11 novembre 2012

festival Internazionale del cinema Giorno 3. GLU GLU

Decidendo di poltrire a letto fino alle 9 del mattina (a quel luxe!) salto il film dei musi giall... ehm dei cinesi delle 11 e 30 (grazie Müller, ma l'Asia non è solo la Cina!!!) e arrivo all a Fest... al festival alle 15. Seconda sèance di cortometraggi. E stavolta la scelta si fa tragica. Film dilettanteschi, scolastici (c'è anche un pessimo saggio di una scuola, pieno di soldi ma privo di idee) mi arrabbio talmente che decido di non vedere neint'altro di questi MAXXI Brevi. Non scrivo parolacce se no poi vi lamentate. Ma fate conto che le abbia usate tutte, ma proprio tutte.

Si comincia da un merdosissimo corto Some Part of Us Will Have Become  (Gran bretagna, 2012) di Semiconductor, commissionato da Channel 4 e Arts Council England che mostra immagini di una pessima qualità da internet del greggio che fuorisce direttamente in mare nel disastro di Deepwater Horizon, mentre una voce fuori campo recita dei versi, in parte propri, in parte tratti da Baudrilard. Ah, già, sarebbe la voce del braccio meccanico che assiste al disastro causato da lui per colpa di un errore umano. L'unica cosa che vale la pena di ricordare sono alcune frasi di Baudrillard: la dignità umana svilita a merce di scambio. I sottotitoli italiani censurano il testo inglese: il robot descrive il getto di greggio come una ejaculazione e il sottotitolo italiano traduce fuoriuscita...


Poi è la volta di Montana en Sombra (Spagna, 2012) di Lois Patino, un corto visivo interessante anche se una maggiore sintesi gli avrebbe giovato. Immagini contrastate e prese dall'altro di gente che scia sulla neve, tra le montagne dei Pirenei. Una ricerca visiva, dove il contrasto rende le immagini in bianco e nero, nonostante siano a colori (lo tradisce il colore rosso di un traliccio dello sky lift), con una chiusa notturna con fiaccolata rossa su sfondo nero.
Suggestivo, interessante e ben realizzato. Ma poco più di un divertissement.
Non certo degno di stare in un festival di cinema e non di videoarte.


Di Dossier Scolaire (Francia/germania, 2012) di Noelle Pujol e Andres Bolm mi paicerebbe poter dire solamente che il protagonista maschile, Dominic Serman è carino assai, ma due parole in più devo invece spenderle. Nel programma il corto è presentato così: Due ragazze adolescenti si aggirano per i corridoi di una scuola abbandonata. Un ragazzo entra improvvisamente nel loro spazio.  In realtà la prima immagine che vediamo è  quella di lui, ansimante, che corre fuori dalla scuola.
Il racconto si dipana tra due diversi momenti.
Uno nel quale la scuola è in disuso e lui, prima da solo poi testimoni le due ragazze, si aggira per i vani dell'edificio (belle alcune soluzioni visive, come il corridoio buio che prende luce dalle aule bifronti che le due ragazze aprono man mano che, dal fondo del corridoio, vengono verso la cinepresa) e, nella piscina vuota, si diverte a gettare vecchi estintori che qualcun altro o lui ha accumulato lì.
A questo momento se ne alterna un altro quando la scuola è ancora attiva e funzionante, vediamo altri studenti e sentiamo i tipici rumori da scuola, sempre negli spazi liminari, fuori dall'aula.
Le uniche parole che sentiamo sono quelle del programma di geografia sussurrato da una delle due ragazze (ma la voce è fuoricampo non coincidendo con il momento in cui le due studente sono riprese) o le giustificazioni possibili fatte dal genitore per l'assenza della figlia (stesso meccanismo visivo-sonoro).
Il senso di tutto questo? Nel pressbook (fichissimo, stampato, a colori) si parla di una storia di fantasmi...
Ve l'ho già detto che Dominic Serman è carino, vero?

In End Of Life (Gran bretagna, 2012) di Zineb Sedira di origini algerine, vediamo alcune automobili, ancora col motore e apparentemente in buone condozioni finire allo sfasciacarrozze e venire fatte a pezzi dalle presse... Stessa sorte capita a degli pneumatici.
Bella idea, orignale!!!
Mai nessuno ci ha pensato prima!!!

GHL (Austria, 2012) di Lotte Schreiber, racconta del sopralluogo fuoristagione prima o dopo un evento traumatico (?) a un lido. Splendida location usata con maestria per un racconto che cresce anche se non quaglia. Ma il senso di attesa e disorientamento è voluto ed efficace.
L'unico corto di questa seconda sèance (e non solo) che ha un senso essere programamtico a un film festival.

Monsoon (Thailandia, 2012) di Apichatpong Weerasethakul è un piccolo film dove due ragazzi distanti migliaia di chilometri comunicano via skype durante la notte di terremoto in Giappone (ci viene detto a inzio corto) quando uno dei due mostra a l'altro una farfalla...
Torniamo alla sindrome di Youtube...

Il più irritante è The Ogres's Feathers (Usa, 2012) di Michael Almereyda tratto da Calvino, dove si racconta di piume di orchi e di mogli. Il tutto realizzato visivamente in un fintissimo stile muto (dove le didascalie riproducono i dialoghi (cosa che i veri film muti non hanno fatto mai...  vedere The Artist di Michel hazanavicius per credere) dove tutti sono vestiti ai giorni d'oggi e l'orco ha le sembianze di un professore.
Insomma una cazzata!
Posso dirlo o è poco professionale?


Nonostante la decisione di non vedere altri corti della rassega MAXXI mi sono trovato disperatamente a vedere tutti i corti di massimo 3 minuti prodotti da Channel 4 di alcuni dei quali ho già avuto modo di parlare nei post precedenti (o prima, in questo stesso post). Senza entrare nei dettagli di ognuno basta dire che il minimalismo, il qualunquismo, il pressapochismo di tutti questi corti, è giustificato da una programazione televisva ma presnetati ad un festival del cinema sono un vero delitto all'intelligenza del pubblico e a quella del cinema.
Una delle rare occasioni in cui Channel 4 fa sentire di essere un canale televisivo e di non pensare in termini di cinema.

Ma non tutto il male viene per nuocere.
La pioggia, la rabbia e la distanza (splendido titolo per una canzone... chissà!) mi fanno desistere dall'ennesima séance di corti MAXXI (ma quanti ne avveo scleti?!?!)  e riesco a vedere Milleunanotte di Marco Santarelli girato nel penitenziario Dozza di Bologna.

Lo stile purtroppo è quello del documentario di oggi dove il commento dell'autore è nascosto nel palinsesto con cui sono organizzate le sequenze, che dovrebbero parlare da sole (mentre sono sempre una scleta di chi le fa) ma quel che il film mostra è prezioso.
Le domandine che bisogna presentare per lavorare (ma non è concesso lavoare se si è ancora imputati solo se si è già giudicati anche solo di primo grado, per cui gli imputati in attesa di giudizio marcisocno in carcere senza nemmeno poter guadagnare i solid, almeno che non te li mandino da fuori...).
Le visite mediche decise dall'estro dell'addetto alle prenotazioni che gestisce la cosa nella maniera più personalistica possibile (con tutto il rispetto per un alvoro sicuramente non facile), i detenuti stranieri che si aiutano l'un l'altro dando consigli e informazioni sui diritti dei detenuti (diritto ad avere  un interprete della stessa nazionalità altrimenti il siriano non ti capisce tu dici una cosa e lui traduce un''altra) le distinzioni dell'astruso lessico giuridico le fondamentali differenze tra dibattimento (sono innocente, voglio collaborare, sono disposto arispondere a tutte le domande e a sottopromi a tutti i tes) e patteggiamento (riconosco la colpevoleza e preferisco patteggiare unos conto della pena piuttosto che anadare in aula) le lacrime di una ragazza buttata fuori da una comunità di recupero perchè intesse una storia sentimentale con un'altra ragazza  e il centro di recupero non è attrezzato per le storie omosessuali (eeeeh?!?!!) tanto che le due ragazze, separate, decidono di evadere per poter stare nello stesso carcere (poteva anche rimanere un po' di più su quetsa stroia ceh, da sola, merita lo spazio di un film tutto suo) mentre l'asistente sociale  non batte ciglio e le dice solo di avere coraggio. Un cittadino straniero accusato di sfruttamento alla prostituzione che spiega che le donne cui fai da pappa un po' le devi fare innamorare e che dunque in quel lavoro c'è un po' d'amore (perché fare il pappa è un lavoro ? chiede sgomenta l'assistente  sociale). Stroie di normale delinquenza spaccio, tossicodipendenza. Una donna di origini tedesche che sconta una grossa pena tornana casa dai figli (lui quant'è carinooooo) in licenza (o come diavolo si dirà in gergo carecario).
Un film interessante al quale dovrebbe però seguire un dossier su tutte le leggi disattese e i provvedimenti legislativi necessari per tutelare la popolazione di carcerati e carcerate così in mano ai soliti capò di turno (si può telefonare  a casa solo una volta al mese e se per la tua religone è un giorno di festa il capò ti risponde che a noi, cioè a lui, se è festa non interessa) però il Natale è sacro vero?
E voi vi arrabbiate se bestemmio ?!?

Insomma un vero film, uno dei pochi ad avere uno scopo oltre quello di far riempire la sedia e svuotare il tuo cervello che semrbra mediamente il criterio con cui sono stati scelti gli altri film...

Di El Ojo del tiburon (Argentina\Spagna, 2012) di Alejo Hoijmann vorrei dire solo una cosa:
ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ

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bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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