5 luglio 2008

Parco del Ninfeo - Via delle Tre Fontane angolo via dell’Agricoltura

Usciamo praticamente col boccone ancora in bocca: due salsicce (che non si sono mai cotte del tutto, nonostante la padella, prima, e il microonde, dopo), dell'insalata e tanta aranciata. Ci dirigiamo velocemente alla fermata dell'autobus, e mentre redarguisco Silvio, che si è portato il lettore mp3 ed è già con le cuffie alle orecchie (Eh? Eeeh??), prima di riuscire ad attraversare la Colombo, i due autobus che possono portarci a destinazione passano, uno dietro l'altro, lasciandoci a terra. Mi pare di vedere la manina dell'autista che fa ciao, come le caprette di Heidi...
Sul 30 che passa di lì a poco (Silvio ha sempre avuto culo con gli autobus...) due pestiferi bambini ("papà guarda, papà vedi, papà mi dai, papà che fai? Perché ci stringi il collo papà?! Ah no, quella era una mia fantasia...) ci rintronano per tutto il viaggio (va beh, tre fermate...). Scesi dall'autobus ci rechiamo velocemente al Parco del Ninfeo. Io, appena posso, lascio la strada e mi avventuro per la collina leggermente scoscesa, costeggiando il recinto che delimita la parte del Parco adibita a village. Silvio, che teme che io caracolli a terra (come ho fatto una volta in strada inciampando mentre saltellavo, ehm...), mi grida dietro ma dove vai?!?! e rimane sulla strada asfaltata. Arriviamo all'ingresso del village insieme. Superiamo una serie di transenne disciplina-file, ancora non c'è nessuno, il grosso arriverà solo dopo le 23, e ci introduciamo nel Gay Village, come recita un'insegna gigante, lettere bianche su fondo blu, il cui ingresso è ostruito da tre donne basse e cicciotte (ma molto meno di me...) in classica tenuta da lesbiche: capello ultracorto, jeans e maglietta rigorosamente neri, nemmeno un filo di trucco, nessun monile femminile, mancano solo le mani sporche di grasso. Io le supero guardandole negli occhi e sorridendo loro, che nemmeno mi filano. Poi, mentre superiamo i due edifici in legno che fungono da biglietteria (fino alle 21.30 l'ingesso è libero, o, come si dice qui, "c'è l'happy hour") incrociamo un addetto della sicurezza la cui pancia prominente che straborda placida al di sopra della cintola, bassa, mi fa tirare un sospiro di sollievo, perché giustifica la mia. Non avendo praticamente un pantalone estivo che mi entri (ah, il girovita!!!) mi sono abbigliato in maniera azzardata: pantaloni a pinocchietto blu, scoloriti, legati subito sopra l'inguine, e sopra la panciona bella bella, che per una volta non è tagliata in due da pantaloni poco generosi, cinte troppo severamente serrate o bretelle che cercano invano di tirare su quel che spontaneamente va verso il basso (eh no! Stavolta avete pensato male, sto parlando sempre dei pantaloni...). Miracolosamente la maglietta inserita tra i boxer e il pantalone non si sfila, lasciando intravvedere quei due-tre centimetri di pancia cicciona, ma resta ben salda al suo posto (anche molto più tardi, al ritorno...) fasciandomela di rosso, come una panciera. Io la porto (la pancia, non la panciera) con disinvoltura, dirigendola là dove devo andare, rotonda anteprima di me...
Una volta dentro il Village ci guardiamo intorno. La zona delimitata dalle recinzioni è disseminata di bar che vendono superalcolici a go-go, stand di caramelle, il gazebo di radio deegay e da una serie di cubi di stoffa con la struttura in metallo, di due metri di spigolo, illuminati all'interno da lampade al neon colorate (verdi, arancio, blu). Distinguendosi dal resto campeggia anche un rivenditore di sigarette (caugh caugh!!!) dal chiosco vagamente avveniristico, tutto di metallo ricurvo. Quante ne fumerò di sigarette, mio malgrado, durante la serata, per colpa di due fr..., di due ch..., di due... due tizi! Uno alla mia destra arriverà a fumarne 12 (sì, le ho contate...)!
Io e Silvio ci muoviamo un po' spaesati, tra l'altro non vediamo né palchi né schermi. Ah, non ve l'ho ancora detto, siamo venuti al Gay Village a vedere un film. Poi da lontano, beh insomma, si fa per dire, il posto è piccolo (mai quanto il Parco S. Sebastiano però dove si faceva qualche anno fa...) intravedo una serie di sedie disposte in fila e capisco che lì deve esserci la proiezione.
Arriviamo che stanno ancora sistemando il proiettore per il film e un altro proiettore per i sottotitoli (il film è in lingua inglese). Due ragazzi armeggiano sopra di un cubo di legno, dipinto di nero, messo tra lo schermo e le sedie, dove sono poggiati pc e proiettore per i sottotitoli, un altro ragazzo è sopra una scala alta 4 metri, ad armeggiare col proiettore sospeso in aria, agganciato a uno dei tralicci della struttura.
Su ogni sedia un dépliant con le date delle altre proiezioni. Ne prendo diverse copie, perché con Silvio cambiamo posto almeno tre volte, prima di deciderci.
Piccolo, semplice, apro subito il dépliant per vedere quanti film mi sono già perso, e mi consolo nel constatare che ne ho perso solo uno (la mia ingordigia non conosce limiti).
Poi, finalmente, mi rendo conto di cosa ho in mano (sto sempre parlando del dépliant...) Una scritta bianca su sfondo celeste (è il cielo, sotto ci sono sole, arcobaleno e nuvole e poi un prato verde, ma brutti, mica belli come nel desktop di Windows XP) dice "Gay Village - Shows (sic!) & Movies (sic!!)". Ma dentro non ci sono gli Shows (sic!) ma solo i Movies (sic!!). Sembra un dépliant da consultorio (La spirale questa sconosciuta. Secchezza vaginale? Chiedi qui come risolvere questo fastidioso problema...) quando i consultori funzionavano almeno, oppure una pubblicità del latte; potrebbe anche essere di un'associazione ecologista (per un cielo più pulito...), o, perché no, religiosa (conosci Gesù?). Insomma se non ci fosse scritto "gay" a tutto penserei tranne che a un dépliant del village.
Non che il manifesto del Village sia meglio, anzi sono entrambi in puro stile buonista, "ci siamo se diamo fastidio ce ne andiamo", "siamo froci ma tanto sobri, seri, non sporchiamo e teniamo compagnia". La politica non è di casa da queste parti... Per tutto il village non c'è nulla che faccia capire dove siamo. Già, ma dove siamo? Quali sono le ragioni del Gay Village? E' un ghetto o un luogo di contaminazione culturale? Un recinto per far pascolare pecore diverse o un laboratorio dove sperimentare ardite sinergie? Niente di tutto questo. E' un posto dove si balla, che costa un milione e seicentomila euro (a detta di Imma Battaglia) e ne incasserà almeno il doppio. La tristezza del village è che non ci sono i segni della sub-cultura gay, niente libri o musica. Né una raccolta di manifesti delle passate edizioni (la storia non è di casa qui...), né degli stand con alcune (e perché non tutte?) le associazioni di cultura omosessuale della Capitale. Non uno stand informativo per l'aids, o per i diritti di chi mette su famiglia al di fuori del matrimonio, Non uno sportello informativo per contattare psicologi, medici, legali, associazioni di volontariato presso le quali prestare opera, associazioni di genitori di figli gay. Nemmeno un elenco dei locali gay della città, un'agenzia di viaggi gay, l'elenco degli esercizi gay friendly della Capitale o dell'Italia intera... Si mangia e si beve ma non si legge, non si pensa, non si studia, non si è intellettualmente stimolati. Insomma non ci sono né cultura né mercato, non c'è spazio né per chi pensa che l'omosessualità debba avvalersi delle stesse strutture degli etero né per chi pensa, invece, che gay lesbiche e trans devono avere strutture a loro dedicate (dal ristorante gay all'hotel gay, all'agenzia di viaggi trans).
Bisogna dare atto però che, una volta tanto, posso portare il dépliant in giro senza imbarazzarmi per i maschioni semi ignudi che vi campeggiano sopra...
(però era così carino il programma dell'anno scorso con gli orsacchiotti gay e le bambole lesbiche).

Tra i film in programma scopro che a metà Luglio faranno dei documentari sui trans in carcere, che saranno proiettati anche all'imminente Fiction Festival (si parte lunedì!). Allora mi metto ad armeggiare sul programma del Fiction Fest e con la penna segno nuovi film "se vedo questo martedì vedo quest'altro giovedì, e mercoledì... perfetto!!! potrò vedere in santa pace le versioni restaurate dei primi episodi di Star Trek OS (Original Series). Silvio mi prende in giro e dice che mi atteggio mentre mi entusiasmo nel trovare nuovi incastri tra le varie proiezioni.
Le altre sedie sono ancora vuote, solo qualche amico dei curatori della rassegna e qualche curioso da solo o in coppia. Ma ben presto, le fila si ingrossano di ragazzi giovani e giovani uomini, vestiti più o meno nello stesso modo, con capi firmati più o meno dalle stesse griffe, adornati più o meno dalle stesse borse, minimali, con la tracolla di filo, piatte e di colore scuro, l'andatura più o meno dinoccolata, il fianco più o meno effeminato, la canotta aderente sopra torsi più o meno muscolosi, i capelli decisamente corti che lasciano generosamente intravedere il cuoio capelluto (potresti scambiarli per dei nerboruti di Forza Nuova se non si mettessero a parlare rilevando ben altra ...mentalità).
Non mi fraintendente non amo particolarmente il machismo, ma gli avventori omosessuali del village paiono usciti da una fabbrica di cloni. Val la pena di citare la poesia di Sandro Penna:

Beato chi è diverso,
essendo diverso,
ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.

Mentre Silvio rabbrividisce e mi chiede più di una volta di andare via (giuro!) io, che sono già abituato alla loro presenza come a quella di zombie inquietanti da vedere ma fondamentalmente innocui, armeggio con il ventaglio, dal quale non mi separo mai, per spostare le masse di fumo dei tabagisti incalliti di cui vi ho già detto.
E mentre anche le ultime sedie vengono occupate, dopo un paio di video-clip che fanno ulteriormente inorridire Silvio (si va da Madonna a Paola e Chiara, come dire il perfetto florilegio del canone musicale gay...) finalmente la serata inizia.
Un presentatore un po' checca introduce l'ospite della serata, il tizio che stava in cima alla scala di 4 mt nemmeno 30 minuti prima, che spiega di far parte dello staff del festival gay di Milano che adesso ha cambiato nome divenendo "Festival Mix" perché oltre al cinema ci sono anche altre forme multidisciplinari (e cita il teatro e la videoarte... vagli a spiegare che la multidisciplinarietà vuol dire ritrovare queste "discipline" nello stesso spettacolo/film/video...). Festival Mix di cinema gay e lesbico e di cultura queer sa tanto di insalata mista (ci saranno i finocchi?) ma è più elegante di "Froceria, di tutto un po'" (mmm, non ne sono così sicuro...). Il tipo, aria da milanese, parlata da milanese (ma quella simpatica) aspetto non proprio da signorina, balbetta due o tre NON idee sul film e sul corto che vedremo e poi dà subito inizio alle proiezioni.

Il cortometraggio Braedrabylta - Wrestling (Islanda, 2007) di Grimur Hakonarson è interessante (il tipo ha detto che ha vinto il premio al festival gayo "insalata di tutt'un'po'", ma si è ben guardato di dire che ha ricevuto una menzione speciale al festival di Locarno, sezione Premio «Cinema e Gioventù 2007» – Pardi di domani.
Fuori dai nostri schemi Braedrabylta racconta di due uomini non più giovani, uno scapolo che vive ancora con la mamma (che muore durante il corto...) l'altro sposato con una virago che lo vessa e con una figlia giovane. Il primo ha dato all'altro l'ultimatum: "O me o lei!" Lui non si sa decidere. Ah, lo scapolo manovra macchine perfora tunnel, lo sposato è agricoltore, tanto affezionato al suo vecchio toro come a un gattino (almeno così lo vede sua moglie, che vuole sopprimere l'animale ormai vecchio).
Insomma siamo nell'orizzonte medio finlandese, anni luce più evoluto di quello nostro italiano, ma sempre orizzonte medio, fatto di cliché (l'uomo mammone, la donna virago) di situazioni affettive nonostante tutto adolescenziali (nessuno dei due sembra aver abbracciato una vita propria che gli si addica e lo rappresenti), un'omosessualità da consumare in fretta, nei ritagli di tempo, all'ombra di una vita altra.
Entrambi giocatori di wrestling nel piccolo centro dove vivono, uno dei due campione locale, le loro vite proseguono nella solita routine fino alla morte della mamma di uno dei due. L'ex mammone decide di andare altrove, in città, lasciando il suo amore lì, incapace di seguirlo. Ma prima di partire l'ex mammone partecipa ad un incontro di wrestling, e combatte proprio contro il suo amato. I due amici-amanti passano allora, senza soluzione di continuità, dal wrestling alla danza all'abbraccio, non già erotico, ma di reciproco affetto, come se solo in quel momento i due fossero davvero loro stessi. Niente finale consolatorio, niente reazione sgomenta della moglie di uno dei due, niente pubblico ludibrio.

Invece il lungometraggio Dreamboy (Usa, 2007) di James Bolton, tratto dal romanzo di Jim Grisley, è uno dei tanti film americani nei quali si percorre sempre la stessa via:
due adolescenti la cui reciproca attrazione (foia adolescenziale, deliziosa e struggente, ma sempre foia) è spacciata per "amore" (ah" L'amore!!!); un indugio iniziale su come approcciare l'altro al quale segue un altrettanto facile sviluppo positivo (l'altro ci sta al tocco timido di una mano...), un padre stupratore geloso che il figlio esca, così lui non può più abusarne quando vuole, la madre tremebonda che cerca di proteggerlo pregando il marito di lasciarlo solo (chiamare la polizia no? Una coltellata tra le palle nemmeno?).
E ovviamente la morte finale del dolce cucciolo per mano di un amico del suo amore che li ha visti coinvolti in pratiche orali e che dopo averlo stuprato lo uccide con un colpo netto alla testa. La madre, che non batte ciglio, solo ora trova la forza di lasciare il marito, che, lui sì, piange, beh ha perso il suo oggetto sessuale... Un film rivoltante, pieno di cliché e di luoghi comuni, dove l'omosessualità non è mai l'argomento principale della storia ma solo ancella di altri problemi, altre tematiche, padri stupratori, madri tremebonde, amici omofobi (ma che, con la scusa che la penetrazione anale è umiliante, fanno sesso con altri ragazzi) e assassini, una società inerme che ignora molestie sessuali e amori omoerotici.
Il finale del film è poi memorabile. Mentre nemmeno sai se l'assassino stupratore viene consegnato alla giustizia o meno il fantasma dell'ucciso torna ad abbracciare il suo amore. Agnizione finale (come insegna Brokeback Mountain).
A quando un film in cui l'omosessualità (maschile) è raccontata con leggerezza? A quando un lieto fine, uno? Quando un film in cui non muore nessuno anche se non tutti "vissero felici e contenti"?
Silvio resta seduto con l'aria contrita per un po. Io per consolarlo me ne esco dicendogli "ma dai, è solo un film..." (chissà perché non aggiungo, "un film di merda"...).
Finito il film gli organizzatori smontano le sedie già durante i titoli di coda. Due orsi protestano dicendo che il film non è ancora finito ma nessuno, oltre me, credo, li capisce.
Io e Silvio già ce ne andiamo verso l'uscita ma poi , anche per scrollarci di dosso la morte del film appena visto, decidiamo di fare un giro. Mi viene in mente un verso di una canzone di Sergio Caputo "Quante signorine, bello capitarci senza te"" ma sono altre le signorine cui alludo. Ma non sono la unica presenza. Ci sono anche tante ragazze. Alcune sono classiche fag hag*, altre sono ragazze lesbiche, altre ancora sono semplicemente donne che amano ballare e poi ci sono le compagne dei tanti ragazzi gay che circolano al village. Ma non illudetevi non si tratta di etero illuminati, di giovani insensibili alle etichette della società. Sono degli omofobi repressi che vengono al village perché "i froci sì che sanno organizzare dei posti dove si balla" e poi è pieno di lesbiche da convertire, e poi vuoi mettere? So così bono che mi guardano uomini e donne!. Insomma dopo cinque minuti immaginatevi il ciccione e lo smilzo con le mani protese in avanti, le dita ben aperte, gridare all'unisono, mentre, gambe in spalla, guadagnano l'uscita. Bella immagine vero?
Tra l'altro sono già le 23 e 30. Abbiamo ancora solo mezz'ora di autonomia prima che finisca il servizio degli autobus...
Invece prima di uscir a riveder le stelle incappiamo nell'unico stand che non vende da bere o sigarette, quello di D'Gay Project, organizzatore del Village. Ci fermiamo e decidiamo di compilare un loro questionario. Arrivato alla domanda 12 trasalisco per le opzioni di risposta.

Domanda: Hai mai partecipato ad un grande evento e manifestazione gay (esempio Gay Pride)? Se si perché vi hai partecipato?

Possibili risposte:
Per rivendicare i propri diritti e visibilità (perché non "i miei"?);
per conoscere gente;
Per divertirmi ed esibirmi;
Per curiosità.

E LA POLITICA?

Inizio a parlare con i due ragazzi che stanno dietro al bancone.


(cliccare sulle due immagini per ingrandire e leggere le domande)

Mi rispondono che posso aggiungere le risposte che credo (dove? Nel questionario non c'è uno spazio adibito né diciture tipo "altro" e "specifica") . "Vai vai", mi fanno, come mi dessero il permesso di servirmi un altro piatto di pasta... tanto i risultati dei questionari li inseriamo a mano. Anzi le risposte "extra" che leggiamo sono quelle più interessanti (ripeto, allora perché non c'è uno spazio per altro (specificare) che pure c'è in altre domande per esempio la 10...?).
Giovani, saccenti e acidi come solo i gay sanno essere, i due ragazzi, tra i 22 e i 24 anni, sanno destreggiarsi tra ragionamenti-tipo che o hanno interiorizzato come slogan oppure hanno sentito dire ad altri tante di quelle volte da impararne a memoria forme e contenuto (da spia anni '50: "impara a memoria e poi ingoia il foglietto").
Io li cazzio per il questionario e mi rispondono che è stato scelto apposta un profilo basso altrimenti nessuno risponde alle domande. Che la parola politica fa scappare le persone(sic!). Poi affrontiamo in ordine sparso vari argomenti: il manifesto scelto per il village (quello di Toscani costava troppo...); l'assenza della sinistra in parlamento (Beh non è che Vladimr Luxuria abbia fatto chissà che...); l'assenza di un progetto politico delle associazioni gay al di là dell'utile gay (beh se anche tu la pensi come il PD che i problemi dei gay sono problemi comuni anche ad altre categorie di persone), insisto dicendo che ci sono questioni come il femminismo, l'aborto, le unioni civili che riguardano anche gay e lesbiche (beh siamo un'associazione di categoria gay è ovvio che trattiamo i nostri problemi), lamento l'assenza di stand di altre associazioni (mah sai è difficile da gestirli tutti, si alzano anche i costi...), li incalzo sulla storia a proposito del travestitismo durante il pride (ma sai Stonewall è successa da così tanto tempo, io per esempio non ero nemmeno nato... siamo stanchi, noi giovani di sentire riportare tutto al 68 al femminismo agli ani 80, noi siamo più interessati al presente); li incalzo sulla mancanza di un progetto politico (beh o sei massimalista come il pd oppure...), cerco di far capire loro che la politica non si fa solo in parlamento (beh o sei massimalista come il Pd oppure...), faccio notare loro che quello è il loro modo di vedere le cose (no, è così beh o sei massimalista come il pd oppure...) Non gli faccio mai finire lo slogan, pardon, il concetto.
In realtà sono in due a rispondere alle mie osservazioni ma entrambi sono responsabili di quanto vi ho riportato, nessuno dei due trasecola alle cazzate che dice l'altro...
Poi arriva Silvio che mi trascina via, mentre uno dei due ragazzi mi regala un origami a forma di rana (lo conservo in una delle librerie) io li saluto e mi riprometto di fare vidsita, a settembre, all'Associazione. Ma appena messo piede fuori dal Village ho già cambiato idea.
Il problema è che mi piacerebbe pure di riprendere a fare politica ma non per riformare e far crescere l'organizzazione. Quando ho lasciato Socialismo Rivoluzionario in quel del 1994 fu per una ragione analoga. Per me un'organizzazione politica è un mezzo per raggiungere degli obiettivi politici. Per molti diventa il fine e se continuavo a fare politica il mio fine politico si sarebbe trasformato nel fare politica all'interno dell'associazione, per l'associazione non all'esterno, tra la gente, nel territorio...
Sono le 24 e trenta. Abbiamo perso l'ultimo autobus... Ci restano i notturni, ma mentre arriviamo a Viale Europa (non proprio distante dal Village ma nemmeno dietro l'angolo), ci rendiamo conto che l'ex 91, ora n9, è stato deviato d'itinerario e che non c'è un autobus che dall'Eur ci porti direttamente a casa.
Allora ripieghiamo sulla metro (che il week-end chiude alle 01 e 30) che ci lascia a San Paolo e ce ne torniamo a casa a piedi (intanto si son fatte le due..), distrutti ma felici (di essere rientrati).
Ci prepariamo un pasto rifocillatore, ci guardiamo un episodio di Buffy l'ammazza vampiri (Silvio se lo guarda io crollo a nemmeno metà episodio...) e, in zanta pace, ce n'annamo a letto.


*"una donna che ama la compagnia di uomini gay. Possono essere spesso scambiati per una coppia sposata... semplicemente perché, passando tanto tempo insieme, raggiungono un livello di amicizia molto vicino alla relazione matrimoniale. Perché come una coppia sposata si amano, non si sopportano e non fanno sesso". (dal blog Gingerheidi)
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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