19 febbraio 2014

Prime note sparse su Sanremo 2014

Guardo Sanremo da sempre.
Per tradizione familiare.
Lo seguivo quando la mia famiglia, felicemente e alternativamente ginecentrica, si riuniva la sera davanti la tv, rigorosamente in bianco e nero, per commentare le canzoni, i cantanti, gli ospiti, i conduttori (gli accordi di genere sessisti sono voluti: all'epoca in casa paravamo così...).
Mia nonna, mia mamma mia sorella e me. Io costruivo delle tabelle  per votare canzoni cantanti musiche e testi e li distribuivo a tutte e tutte esprimevamo un voto, più voti.

Nell'epoca provinciale dell'Europoa disunita, dove l'orgoglio nazionale non era percepito ancora come sciovinismo, Sanremo ci restituiva dignità. La dignità di un paese che sapevamo, allora come ora, allora meglio di ora, essere molto indietro rispetto il resto d'Europa, per i diritti, non solo quelli riconosciuti per legge (che anche da noi il divorzio e l'aborto finalmente c'erano) ma i diritti percepiti, quelli che riconoscevano dignità ai gay (perchè già da piccolo sapevo, perchè l'informazione circolava libera, non solo che i froci esistevano ma che nel nord d'europa erano trattati come persone normali e addirittura si potevano sposare...) e alla donna (mentre da noi c'era ancora il delitto d'onore) tanto che lo stupro era percepito come un delitto contro la persona e non contro la morale, mentre da noi c'era una legge a stabilire il contrario (per tacere del matrimonio riparatore col quale solo stupratore si metteva la coscienza, e la fedina penale, a posto...).
Sanremo era uno dei pochi eventi che ci faceva sentire orgogliosi di essere italiane (no, non è la mia retorica antisessista, mi riferisco a mia nonna, mia mamma a mia sorella ...e a me), prima delle canzonette c'era stato Puccini (e Verdi).
Nel blu dipinto di blu
che tutti chiamavamo Volare era un biglietto da visita che ci precedeva ovunque e, nonostante il paese goffo provinciale ignorante e analfabeta che eravamo (e siamo), la musica in qualche modo ci risarciva.
La canzone italiana di cui Sanremo è il festival era un bene comune e condiviso con delle specificità italiane che contribuiva a costruire l'identità nazionale, laddove le canzoni recepivano, a modo loro, il cambiamenti culturali che avvenivano nel paese.

Certe canzoni hanno fatto la storia non tanto da un punto di vista musicale ma sociale e politico.
Come dimenticare l'impatto che Chi non lavora non fa l'amore di Celentano ebbe a Sanremo nel 1970 (vincendolo) una canzone che Perfino Il Tempo, quotidiano romano di destra, ha definito (...) una barzelletta reazionario-populista (galleriadellacanzone.it)?

Oggi ci si lamenta che le canzoni di Sanremo sono più brutte tanto che la gente non se le ricorda più. Il luogo comune che siano più brutte lo si è sempre usato già dalla seconda edizione del Festival.
Se le canzoni oggi uno non ce le ricordiamo più, secondo me, non c'entra con le canzoni stesse che, secondo quella disperata di Dario Salvatori, maschio che ieri, come tanti altri uomini, con l'unica eccezione di Sgarbi, sparava a zero contro Laetitia Casta rea di non essersi fermata davanti le telecamere di quel programma immondo che è La vita in Diretta, non vengono più scelte in base alla linea melodica. Per me la colpa non è delle canzoni ma della memoria (inesistente) delle italiane (adesso sì uso la mia retorica antisessista)... Io no. Io mi ricordo le canoni di ogni Sanremo che ho visto. Perchè io ancora oggi lo guardo con quella stessa attenzione che gli tributavamo in famiglia quando ero un bambino.

Se vi parlo di Sanremo però non è per celebrare la mia tradizione familiare.
Sin da quando ho studiato antropologia culturale con Ida Magli, ho imparato a leggere il festival come un laboratorio antropologico di prim'ordine.

Quelle che seguono sono le prime impressioni di cosa capiamo (del polso) del paese da questo Sanremo 2014.

L'inizio
Sarà che piacendomi Mina ho sempre coltivato un certo gusto nazional popolare.

Ma il modo di reagire e di gestire la crisi con cui si è aperta ieri la sessantaquattresima edizione del Festival proprio non l'ho gradito.



Non è la prima volta che qualcuno cerca di approfittare del tamburo mediatico del festival.
Era già successo quando a condurre il festival era Pippo Baudo.
 Ma guardate la differenza di stile.


Fazio è un pretino senza nerbo, non si comporta come padrone di casa ma come legittimo abitante di una casa altrui che si sente scalzato dall'occupante illegittimo e non ha autorità alcuna per farsi sentire, per farsi rispettare. Arriva addirittura a chiedere ai due se pare loro il caso di impedire il lavoro di migliaia (sic!) di persone.

Pippo Baudo invece va dal tipo che voleva suicidarsi, si sporca le mani, si mette al suo livello, è davvero preoccupato. Fazio è solo scocciato che non gli lascino iniziare il festival.


Non mi scrivete commentando che Baudo recitava.
Anche Fazio recita tra le due performance recitative quella di Baudo mi sembra più umana, quella di Fazio più menefreghista e untuosa come è il personaggio pubblico, tant'è che dopo aver letto la lettera Fazio può dichiarare che la faccenda è chiusa.
Certamente chiusa per lui non per i due tipi e gli altri 800 lavoratori che, a fidarsi delle loro parole non percepiscono stipendio da 16 mesi.
D'altronde uno che lo scorso anno ha preso 600 mila euro per condurre il festival cosa significhi non percepire lo stipendio pur continuando a lavorare proprio non può nemmeno immaginarselo.


Il modo in cui Fazio ha gestito l'incidente la dice lunga sul cinismo del paese che ormai non si vergogna più di mostrarsi per quel che è.

Poi c'è l'ingresso di Littizzetto, il più grande bluff della storia della tv italiana.
Quella che siccome qualche volta (ma solo qualche volta ) dice cose sensate viene percepita come un genio che non è.

Basta guardare il suo ingresso  a Sanremo accompagnata da ragazze stile Blu belles con mezza chiappa di fuori che Fazio da maschilista qual è chiama signorine (termine sessista che indica lo stato civile delle ragazze, cioè se sposate o nubili, e che non fa più parte del vocabolario italiano da più di 30 anni, perchè le donne, a prescindere dal loro stato civile, sono tutte sempre e solo signore proprio come gli uomini sono sempre e solo signori) termine ribadito da Littizzetto che in quanto a sessismo non è seconda a chicchessia tanto meno a Fazio e che invece di scandalizzarsi della mezza chiappa al vento delle signorine dice che hanno dei culi fantastici.


E se anche una donna etero invece di commentare, casomai, il culo fantastico dei signorini, commenta quello delle donne, vuol dire che il maschilismo ce lo abbiamo proprio nel dna...


Troppo facile sbavare dopo, quando vengono gli ospiti a leggere il risultato di gara tra le due canzoni presentate da ogni artista. Qui avrebbe fatto una bella differenza lamentarsi, per esempio, che avrebbe preferito che anche i culi dei ragazzi fossero visibili a metà...

Ma l'intelligenza del personaggio pubblico Littizzetto (che, per classica sperequazione sessista, percepisce un compenso che è poco meno della metà di quello di Fazio)  sta tutta nell'occhio di guarda.

Insomma i culi al vento sono ancora solamente quelli delle donne.

Il maschio come oggetto sexy (sdoganato da più di 30 anni di pubblicità) non è di casa a Sanremo.

Anzi quando più avanti nella serata Laetitia Casta canta Ma 'ndo vai se la banana non ce l'hai da Polvere di Stelle (Italia, 1973) di Alberto Sordi, accompagnata dai ballerini à la Zizi Jeanmaire,
Fazio richiama uno dei ballerini dicendogli scusi signore ha dimenticato una piuma ribadendo una presunta superiorità virile lui che sbava dietro Laetitia come un quindicenne per tutta l'esibizione dell'attrice francese...

Insomma un'Italia sessista maschilista eterocentrica dove la fica deve piacere a tutti gli uomini e anche le donne notato i bei culi femminili non come rivendicazione del proprio corpo o per l'omoerotismo lesbico ma sempre per strizzare l'occhio ai gusti del maschio quello incarnato da Fazio che si dice invidioso di un coriandolo insinuatosi nei seni di Laetita o quello incarnato da Marco Bocci quando Luciana Littizzetto lo zittisce per mandare in onda la pubblicità: “Zitto Marco Bocci, guarda le mie bocce!“, e Bocci risponde: Ammazza che belle!

Il resto del festival è inesistente.
Inesistenti le canzoni, sette big, con due canzoni a testa e un meccanismo di voto ridicolo diluiti in oltre 4 ore di spettacolo (ma come si fa!?).

Tra gli ospiti quel fascista dedito all'Islam di Cat Stevens che conciona di religione dicendo che se la religione non inneggia alla pace e alla amorosa convivenza non è una religione (infatti l'Islam, come la religione cattolica, è un tripudio di amorosa convivenza... lo sa bene lui che nel 1989 spiegava agli e alle studenti del Kingston Polytechnic di Londra il perché [sic!] della fatwa lanciata contro  Salman Rushdie per i suoi Versi satanici) ma la memoria storica italiana è inesistente per i fatti del Paese figuriamoci per quelli esteri...

Un festival ingessato  e moscio dove l'unica iniezione di vitalità arriva dalla settantenne Raffaella Carrà che, a differenza del pretino e della ...bocciofila, sa come si sta sul palcoscenico.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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