26 febbraio 2019

Perché la serie tv "Che Dio ci aiuti" ignora le leggi italiane?

Mi è capitato di guardare Che Dio ci aiuti, il maiuscolo è nel titolo, la serie tv di Raiuno, per caso, grazie a una pubblicità durante la settimana di Sanremo.

Non voglio fare una lettura critica della serie, che, dopo una prima stagione improntata sul giallo e una seconda su situazioni vicine a uno studio di avvocati, è scivolata presto nell'intrico sentimental-popolare nella migliore tradizione delle soap americane,  svolta che il pubblico pare avere apprezzato, a guardare gli indici di ascolto.

Non voglio nemmeno fare una critica sull'ambientazione in un convento di suore. Anzi alcune semplificazioni sul personaggio di suor Angela  infastidiscono me, uomo laico, per mancanza di rispetto nei sui confronti come il fatto che suor Angela non indossi alcuna cuffia quando si toglie il velo, mostrando i capelli quando se lo toglie, anche davanti alle ragazze del convitto e, peggio, agli uomini, una forma di intimità enorme che m'offende.  Il fatto che non tre leggerezza non venga percepita come una mancanza di rispetto del personaggio suora dimostra la superficialità con cui in questo paese si professa la religione cattolica...

Pur non volendo fare una lettura critica a una serie che non sarebbe dispiaciuta alla Democrazia Cristiana, non posso tacere di alcune semplificazioni ideologiche al limite del reato che compaiono qua e là nei vari episodi, accidentalmente per motivi di trama ma, a guardare in tralice, per una visione del mondo italiota e omertosa.

Così nel primo episodio della quarta stagione scopriamo che Azzurra, uno dei personaggi, quando  aveva 15 anni ha abbandonato la sua bambina appena nata, sentendosi per quello un mostro, come confessa in lacrime a Suor Angela (Elena Sofia Ricci, motivo principale per cui guardo la serie), quindici anni dopo.

Adesso che Suor Angela debba essere accogliente e non giudicante va da sé (magari fossero così tutte le suore del mondo reale...), ma che lei, proprio perché donna di chiesa, non ricordi in qualche modo che  non c'è bisogno di abbandonare le neonate (e i neonati)  perché la legge italiana consente a qualunque donna, anche straniera non regolare, di non riconoscere il figlio o la figlia appena nate e di darle in adozione, ha dell'incredibile.

Capiamo che chi ha scritto l'episodio ha pensato che le lacrime di Azzurra per considerarsi una donna mostro siano più interessanti di qualunque veridicità legale ma ogni serie tv contribuisce a rielaborare l'immaginario collettivo informando ...o disinformando.

L'immaginario collettivo  di Che Dio ci aiuti è fermo agli anni 50, quando la donna era sotto il capo famiglia, non poteva divorziare non poteva nemmeno abortire.

Non è una nostra malizia ma un modus operandi della serie.

In un altro episodio Davide, la voce narrante della terza stagione, nel telefilm un bambino di 9 anni, si riferisce al matrimonio come a una cosa che dura tutta la vita, come se in Italia non esistesse il divorzio.

In un altro episodio, sempre della terza stagione, una donna compra un farmaco non per uccidere il marito in coma, come sembra, ma per procurarsi un aborto perché si è appena scoperta incinta.

Come se in italia non esistesse la 184...

Il fatto che si è scelto l'aborto solo per un  colpo di scena sul vero uso del farmaco non giustifica l'omissione di una legge dello Stato. Cioè di un diritto delle persone.

Che sia stato fatto scientemente o per leggerezza l'universo descritto da Che Dio ci aiuti è pericolosamente mendace, contribuendo a rivitalizzare quell'immaginario collettivo che piaceva tanto nel 1956 all'allora sottosegretario alla cultura Oscar Luigi Scalfaro secondo il quale i film dovevano  dare al pubblico un senso di riposo dopo le fatiche della giornata, che lo interessi e diverta in modo semplice, senza creare il tormento di complicati stati d’animo*.

Il pubblico italiano, almeno quello di Raiuno, deve rimanere ignorante, monco nei suoi diritti, e, ça va sans dire, disgustosamente eteronormato.

Ma questo è un altro discorso...


*in Fernaldo Di Giammatteo, Lo sguardo inquieto Storia del cinema italiano 1945-1990, La nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1994

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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