Marfa Girl (USA, 2012) di Larry Clark ha il pregio di spogliare la gioventù americana senza farne occasione di morbosità. I nudi, maschili quanto femminili, non rientrano nell'immaginario collettivo patriarcale dei maschi, etero o gai, ma guardano al corpo degli attori e delle attrici alla ricerca di una genuina costruzione del personaggio.
Bellissime e bellissimi di quella bellezza fatta della verità di una gioventù non ostentata e non eccellente ma media, i protagonisti e le protagoniste del film rientrano in una estetica del corpo che lo spettatore e la spettatrice scoprono di pari passo coi personaggi stessi.
La ragazza cui fa riferimento il titolo è una giovane artista che ha vinto una borsa di studio e che fa esperienza anche di sesso, ma non solo, con tutti i ragazzi che incontra e che le piacciono. Senza reticenze sino a sfociare nella naivetè, chiede ai poliziotti ispano americani che lavorano come guardie di confine se non si vergognano a lavorare per fregare migranti ispanici come loro, ma ha una grande capacità empatica e i poliziotti invece di arrestarla le rispondono con sincerità.
Adam un sedicenne già sessualmente attivo, con la sua ragazza, con una vicina di casa ragazza madre più grande di lui, parla con lei di tutto. Lei le spiega le gioie del cunnilingus, col quale terrà per sé la sua ragazza senza che questa cerchi altrove, rovescia la classica considerazione maschilista che vede lecito per gli uomini avere tanti flirt ma non per le donne. Rispondendo ad Adam che si preoccupa che la sua ragazza posa fare un pompino a un altro ragazzo e poi tornare da lui e baciarlo, così che sarebbe un po' come se lui avesse fatto il pompino all'altro, come ha visto fare alla ragazza di un suo amico, che è esattamente quello che alle donne capita sempre ogni volta che fanno un pompino al loro ragazzo che magari lo ha appena infilato nella fica di qualcun altra... E che, anche se fosse, che male ci sarebbe? Insomma una sessualità agita magari con qualche leggerezza (sia la ragazza di Adam che la vicina di casa sono incinta, niente preservativi a Marfa?). Sesso e canne, in un fine anno scolastico dove Adam viene sculacciato dalla professoressa di storia, per essersi addormentato in classe, ma la cosa diverte lei ed eccita lui, tanto che Adam si fa sculacciare anche dalla vicina di casa, se ti va...
Il tutto incredibile ma vero senza maschilismo, senza forzature, anzi con una leggerezza e una credibilità notevoli. Poi però Tom il poliziotto bianco e schizzato, separato dalla moglie e padre di un bambino di 9 anni, una sera, dopo avere ingerito dei funghi allucinogeni, si mette a distruggere la stanza del suo coinquilino viene da questi preso a pugni, e trae piacere dal dolore: glielo vediamo duro dopo che è stato preso a pugni, ma ce lo conferma lui stesso raccontandolo alla ragazza del titolo (abusi fisici del padre). lei lo sfotte perché lui è circonciso e dunque prova metà del piacere, per questo le preferisce ragazzi ispanici che con più sensibilità riescono a venire senza stantuffarle per ore come capita ai maschi circoncinsi. Lui si incazza, ci scopa contro la sua volontà, solo qualche colpo secco. Poi esce di casa. Si reca da Adam che già dall'inizio del film vessa i tutti i modi. Lo ammanetta, gli abbassa i pantaloni, gli lecca il sedere, glielo prende in bocca, gli dice che il suo cazzo sa di fica, che deve farselo venire duro perchè vuole bere il suo latte d'odio, poi se ne va a molestare la madre di Adam, che, dice, vuole essere scopata da lui. Adam lo segue, prende il fucile a casa di suoi amici e gli spara in pieno petto uccidendolo appena dopo che la madre si era liberata dalla sua presa al collo con una padellata alla tempia.
Nel finale del film tutti vengono purificati dal canto di una guru ispano-americana che canta per liberare le energie bloccate dai traumi.
Ora dico. Ma perché nei film di questo festival l'omosessualità è sempre agita da pazzi manipolatori (Marfa Girl), ambigui (Animals), violenti (Marfa Girl), (in conflitto coi propri desideri (Goltzius and the Pellican Company) che alla fine muoiono ammazzati (The Lesson of the Devil) o suicidi (Animals)?
Una delle migliori séance MAXXI quella della retrospettiva Italia ha proposto alcuni cortometraggi del centro Sperimentale di cinematografia che danno una impressione veloce, parziale ma significativa su cosa si faceva 40 anni fa nel capo del cinema sperimentale, o di ricerca, potendolo così confrontato con quello che si fa oggi e che ci è stato ammannito col marchio di fabbrica, purtroppo deludente, di Channel 4.
Si parte con due corti di Alfredo Leonardi Libro di santi di Roma eterna, e Vampiro Romano, rispettivamente del 1968 e 1970. per capire l'importanza di questi due corti basta legegre gli interpreti del primo: Romano Amidei, Nanni Balestrini, Sylvano Bussotti, Sandra Cardini, Pierre Clementi, Michelle Coudrai, Giulio Darra, Carlotta del Pezzo, Huguette Elia, Marco Gherardi, Peter Hartman, Ronny Koelling, Jannis e Efi Kounellis, Alfredo, Silvana e Francesco Leonardi, Mario Maglietti, Eliseo Mattiacci, Letizia Paolozzi, Pino Pascali, Ettore Rosboch, Mario Schifano, Mirella Virgili, insomma un bel pezzo di cultura tra cinema musica e arte dell'epoca. Il corto con un taglio apparentemente svagato, da ripresa in superotto, ci mostra momenti della vita del gruppo di amici tra convivio e costume, tra omo erotismo, in anni certo non facili come i nostri e ménage familiare, costituendo nel suo dipanarsi una risposta forte e personalissima alla morale borghese.
Vampiro Romano segue una giornata di un giovane allampanato, che porta con disinvoltura un lungo cappotto color canarino: dalla spesa a campo di fiori alle visioni fantasmatiche di un vampiro con la complicità di un uomo anziano - che usa la dentiera come monstrum per spaventare il pubblico- la ricerca ardita dei costumi (pre Renato Zero) con l'impiego di bigiotteria che veste le parti intime del protagonista e un amico, dai fori della quale emerge un folto pelo pubico, nerissimo e alcuni estratti dello spettacolo A come alice con e di Manuela Kusterman Vampiro Romani si f testimone di un clima, di un periodo, dello stimolo a fare le cose in un certo modo che oggi sembra irrimediabilmente perso. Meno interessante, o forse solamente più datato, The Box of Life di Federica Mangoni (1979 che già è fuori da quel certo clima di ricerca dei settanta e già dentro l'edonismo degli imminenti anni ottanta, tutto incentrato sulla costruzione di una maschera da indossare, e poi di nuovo illuminanti gli ultimi tre corti, i più didattici, da quello sulla storia della maschera nel teatro, La maschera e l'attore di Marcello Grottesi, 1973, al bellissimo Esperienze in uno spazio non teatrale di Marcello Grottesi, Paolo Matteucci, 1968 nel quale mentre una poetica performativa e politica viene dichiarata vediamo l'intervento in diversi spazi pubblici con il coinvolgimento del pubblico di diverse attività performative fino all'altrettanto illuminante Performance nel quale la pratica performativa vien spiegata con una chiarezza esemplare, portandola sino alle sue estreme conseguenze parapsicologiche (in un periodo in cui la parapsicologia aveva ancora una certa base di serietà parascientifica). Un programma bellissimo, che mostra alcune delle perle che il centro Sperimentale e la Biblioteca Nazionale nascondono e che chissà cos'altro offre, basta sapere cercare.
1979 - the box of life from federica marangoni on Vimeo.
Poi una sorpresa voluta da Mr. Greenaway, che ha organizzato un concerto gratuito con gli Architorti
un quintetto d’archi di formazione classica: due violini, viola, violoncello, contrabbasso che da anni collaborano, tra gli altri, con Greenaway per tutti i suoi film. Una esperienza unica, per farvela intendere, una contaminazione tra Quintorigo e Michael Nyman (to put it simply).
Mai Morire, (Messico, 2012) di Enrique Rivero racconta con dei tempi lenti, ma non troppo, de ritorno della figlia più giovane a casa dell'anziana madre per assisterla fino al momento della morte. Tra culti dei morti (in una festa si prepara del cibo per loro, aspettando che ritornino nipotini che non si capisce che stiano a fare là, con un padre che non si comporta proprio come tale, il film ha i suoi punti di forza in una fotografia meravigliosa che rende ogni inquadratura un quadro, ma per un film che lascia troppe cose non dette, facilmente capibili, presumiamo da chi conosce la cultura messicana, ma enigmatico fino alla reticenza per chi ha un mero occhio occidentale, come chi scrive. La frustrazione per non poter apprezzare fino in fondo scelte, gesti, espressioni dei protagonisti che ci arrivano solamente tramite il solito gusto esotico (non tanto nel film quando in chi lo ho scelto per portarlo in concorso) per il paesaggio naturalistico e per la casa di latta veramente da poveri sottosviluppati che all'occhio etnocentrico di noi occidentali non può che diventare pittoresco ed edificante va di pari passo con l'estetica pseudo documentaristica del film che sembra essere l'unica macrocoordianta di un festival davvero povero di sorprese.
Ultimo film della giornata (dopo essere uscito prima da Sono entrato nel mio giardino, unico film, so far, al quale mi sono sottratto) Photo, una storia molto letteraria e poco cinematografica che pure ha una una forza nelle immagini visto che le foto hanno una certa importanza nella trama.
Una figlia alla morte della madre alla quale somiglia come una goccia d'acqua scopre che il padre non è l'uomo che l'ha cresciuta e nel cercare di incontrare gli amanti della madre incontra una serie di personaggi grazie l'aiuto di un giovane, figlio di secondo letto con uno dei padri possibili della ragazza. Scandito da cartelli neri coi nomi dei vari personaggi la ricerca è storica quanto personale e mostra come la figlia sia davvero simile alla madre. legata a un uomo da sette anni sconvolta dalla sua improvvisa proposta di matrimonio alla fine la protagonista decide di accettare (o, almeno, di tornare dall'uomo che l'ha chiesta in sposa) dopo essere andata a letto con un possibile (ma improbabile) fratellastro libertina come lei.
Tra i personaggi anche un ragazzo che si è innamorato di un'altro del gruppo il quale, indovinate un po'?, è finito in manicomio in preda a paranoia (anche se le vicissitudini che hanno portato alla morte di uno dei ragazzi del gruppo giustificano la malattia dell'uomo). Un film tipicamente da festival che però sa farsi vedere e rimane in testa, forse meno nel cuore.