Primo film da regista di Antonio Pietrangeli,
Il sole negli occhi (Italia, 1953) "
pur nella sua chiave intimistica, è considerato uno degli ultimi esempi di neorealismo. Una delle sue virtù sta nell'assenza di una tesi. Pietrangeli intendeva costruire un personaggio da caratterizzare a poco a poco e da seguire nella sua evoluzione, attento alla lezione di Rossellini: mostrare, non dimostrare. (
Morandini 2008).
Lontanissimo dal neorealismo rosa che già prolifica in quegli anni
Il sole negli occhi ha il pregio di fotografare certa realtà sociale più con asciuttezza che con schematismo: Celestina che arriva a Roma mandata dai fratelli a servizio (dal paese di Castelluccio); i fratelli che partono per L'Australia; la pratica di avere una
serva diffusa in tutte le classi sociali dagli arricchiti presso cui Celestina lavora dapprima, ai commercianti obesi e con le mani lunghe (il figlio che per aver toccato il seno di celestina rimedia una cornettata di telefono sulla mano) che vanno in villeggiatura a Ladispoli; all'alta borghesia pariolina, ai pensionati di origine sicula che vivono di poco e vorrebbero lasciare la terra in eredità a Celestina, ma intervengono i parenti, famelici, pronti a far internare l'anziano parente (anziani anche loro) e ad arrestare Celestina per circonvenzione di incapace e ancora la solidarietà fra ragazze
serve come lei, tutte del nord, dal veneto all'Emilia, una ragazza madre, che tiene il figlio dalla balia "ma mi costa un sacco di soldi".
La crescita di Celestina è esemplificata dal passaggio per le tappe di un'umanità varia, e per l'amore per Fernando uno
stagnaro che per i soldi si lascia convincere dal fratello della fidanzata ufficiale a sposarla, in cambio diventa socio del negozio e può comperarsi una moto. Così quando Celestina scopre che Fernando si è sposato, essendo anche incinta, tenta il suicidio. Fernando piange come un bambino e le promette di rimanere con lei e il bambino ma Celestina decide di non volerlo più vedere. Le ultime sue parole sono riportate dalle amiche
serve che la vanno a trovare in ospedale (le vediamo riunite fuori dall'edificio), le quali sciorinano la classica saggezza popolare: tutti gli uomini sono mascalzoni, ma anche lei doveva stare attenta; Celestina, dice la ragazza madre, ha deciso che il bambino è solo suo e di tenerlo (e una delle ragazze dice"giusto").
Tutto sembra funzionare, anzi funziona, nel film, ma quello che lo allontana dal neorealismo è l'assenza della società, delle istituzioni, non tanto come denunica della loro mancanza, ma proprio come assenza nelle considerazioni degli autori del film (Pietrangeli che scrive la sceneggiatura, tra gli altri, con Ugo Pirro).
La storia di Celestina è una storia
privata, e il figlio della colpa deve tirarselo su da sola, senza un aiuto statale o dalla famiglia o di chi per loro, senza he la società preveda delle facilitazioni per le ragazze madri mentre Fernando rimane impunito (anche se siamo contenti per sua moglie... ma che uomo è Fernando? A quando una nuova servetta da mettere incinta?)
Nei commenti del Mereghetti e del Morandini non emerge questa ineluttabilità nei confronti delle sorti di una giovane ragazza madre (
ora, dice la sua amica ragazza madre,
troverà più lavoro, perché molte famiglie cercano una così
che già si è scottata c e non cerca più l'amore, perché ha altro cui badare. Solo quando non sarà più bella come una volta forse Celestina potrà sperare in un uomo che la sposi, come capita a Marisa Merlini in Pane amore e gelosia.
La morale è sicuramente quella (demo)cristiana della donna che deve cavarsela da sola (ma in questo c'è almeno una certa autodeterminazione delle nuove generazioni, che però, passa sempre per la sessualità
punita) dopotutto è stata lei a sbagliare perché si sa, gli uomini sono tutti mascalzoni...
C'è da farsi venire il mal di fegato...