29 novembre 2009

Mina da 1 a 50 (22)

LA prima volta che la sentii fu come averla sentita per la prima volta.
Il pezzo mi era noto. Avevo una cassetta della A & M con tutte versioni strumentali fatte da Bacharach stesso, dei suoi brani più famosi (più una splendida A House Is Not a Home da lui stesso interpretata). Ma quella versione così lenta, fino allo sfinimento, di Mina, mi è entrata subito nel sangue e non se ne andrà mai.
Parlo di Walk on by che vi ripropongo alcune delle migliori versioni, di ieri e di oggi.
Mina le batte tutte, tranne forse l'originale.








28 novembre 2009

Mina da 1 a 50 (21)

Oggi vi ripropongo una perla rara, rara nel senso che non è contenuta in un disco di Mina ma in D'improvviso del 2001, un disco da solista di Massimo Moriconi, uno dei più grandi bassisti e contrabassisti sulla scena del jazz europeo e, da 25 (l'album di Mina del 1982), al fianco di Mina in quasi tutte le sue produzioni.



Il pezzo si intitola Così ed è uno standard elegantissimo che Mina canta sufficientemente bene (ho sempre l'impressione che per cose non sue, come per quelle per il mercato estero, Mina non si impegni più di tanto ma si dia un po' via).

Massimo Moriconi è simpaticissimo come potete vedere da questa breve intervista...

fatta al Selinunte Jazz Festival dove alla domanda Chi ti ha dato di più dal punto di vista umano risponde Minona non tanto ovviamente, visto che Massimo ha suonato con Chet Baker, Liza Minelli e tanti altri...

27 novembre 2009

Alfred Van Vogt in edicola ...

Crociera nell'infinito Urania collezione 082, novembre 2009 5,50 euro.
In realtà si tratta di 3 racconti originariamente pubblicati dal Van Vogt fra il luglio 1939 ed il maggio 1943, poi rielaborati completamente con l'aggiunta di una quarta storia, edito nel 1950 in Canada con il titolo The Voyage of the Space Beagle.
I 3 racconti sono
"Black Destroyer", pubblicato nel luglio 1939 sulla rivista di fantascienza Astounding (in italiano col titolo Coerl)
"War of Nerves", pubblicato nel maggio 1950 sulla rivista di fantascienza Other Worlds (il racocnto scritto ad hoc per l'edizione in volume, in italiano col titolo Riim)
"Discord in Scarlet", pubblicato nel dicembre 1939 su Astounding — il secondo racconto di fantascienza in assoluto dato alle stampe da Alfred Elton van Vogt (ora col titolo Ixtl)
"M33 in Andromeda", pubblicato nell'agosto 1943 sempre su Astounding (ora col titolo Anabis),
Le 4 storie sono ambientate sull'astronave astronave Beagle come il brigantino che ospitò Charles Darwin nel suo celebre viaggio naturalistico che svolge una missione pluriennale alla ricerca di mondi sconosciuti e di forme di vita aliene (vi ricorda qualcosa?).
A bordo dell'astronave che ha migliaia di persone per equipaggio c'è anche Grosvenor, capo dipartimento del connettivismo (connexialism) cioè una interdisciplinarità ante litteram). Grosvenor cioè ha competenze in varie discipline e la capacitò di interconnetterle. Nel sistema gerarchico della nave (dove a seconda dell'importanza si ha una diversa priorità per comunicare con gli ufficiali di plancia), Grosvenor ha un livello basso (a significare il poco conto cui è tenuta sua disciplina) eppure è sempre lui a salvare l'astronave da situazioni diversissime di pericolo...

Van Vogt è un genio capace di pensare storie complicatissime con continui compi di scena e ribaltamenti narrativi, forse conosciuto ai più per le sue vicissitudini con Hubbard (sì proprio quello di Dyanetics) cui contribuì, credendo veramente nella scientificità delle premesse, al suo metodo,soprattutto per quanto riguarda una psicologia non aristotelica (una splendida trilogia detta del Non-A si basa propri su questi concetti).

Questa nuova edizione contiene la solita traduzione di Sebastiano Fusco che però presenta qualche differenza rispetto l'edizione Newton Compton del 1994 e quella di Fanucci (che mi regalò mia madre comperandola da Feltrinelli) del 1989 (che non riporta il traduttore ma è sicuramente di Fusco, la collana è a cura di Gianni Pilo che firma insieme a Fusco la collana Newton Compton).

Sul bel blog della Mondadori dedicato al mondo Urania c'è chi si lamenta per questa quinta ristampa in casa Mondadori del romanzo
non posso che constatare che si crea un “pericoloso precedente”: la quinta ristampa!
Crociera nell’infinito era infatti già apparso come Urania 27 (10/11/1953) e 312bis (7/1963), come Classici Urania 22 e nel Millemondi 19 (3/1999), con copie anche piuttosto facilmente reperibili nel mercato dell’usato.

Io sono felice che sia riuscito e vi invito a comperarlo e, soprattutto, a leggerlo!
Se non vi piace vi rimborso la spesa!

Le foto di copertina sono tratte dal sito www.mondourania.com

26 novembre 2009

La legge e la società: Rutelli sul diritto di voto dei migranti

Noi dobbiamo sposare l' Islam moderato e valutare a fondo la larga parte di Islam che esclude laicità e pluralismo, un nucleo sostanzialmente estraneo alla democrazia». Di questo non si parla nelle proposte di legge presentate sulla cittadinanza. «Una nuova legge deve contenere l' obbligo per chi voglia diventare italiano, o voglia ottenere il diritto di voto, di una dichiarazione-giuramento che coinvolga anche la separazione tra religione e Stato. Non basta un riferimento generale ai principi costituzionali». Sarebbe sufficiente? «Sarebbe un momento simbolico alto. Ma so che la cittadinanza deve accompagnare l' integrazione, sulla strada aperta dai ministri Pisanu e Amato. E cittadinanza in Italia deve significare anche uguaglianza tra uomo e donna. La dignità della donna è un punto di diversità fondamentale rispetto all' Islam». (Corriere della sera 23 nov 2009

Chi Parla è Francesco Rutelli che ha la faccia come il culo di dire anche
molti mondi islamici sovrappongono il primato della religione rispetto alle istituzioni e alla vita politica. Si chiama hakimiyya, la sovranità di Dio, alla cui volontà tutto è sottomesso. Altro che le polemiche piccine verso un Vescovo cattolico che si esprime sulla bioetica! Quella è la negazione totale della laicità e della libertà

Sarebbe bello, per coerenza, pensare anche il contrario, cioè che i cittadini che la cittadinanza già ce l'hanno, la perdono se non separano religione dallo stato. Rutelli sarebbe il primo a perderla e con lui molti altri politici.

L'assenza di laicità è uno dei più gravi problemi di questa italia (e italiani/e) di merda.

Questa dichiarazione non è rivoltante solo per la sua ipocrisia (in pieno stile cattolico) ma anche per l'ingenità politica, legislativa, cultuale.

1)L'ignoranza totale che Rutelli ha dell'Islam dimostra la sua incapacità ad un approccio alla vita davvero multiculturale, giudicando mentalità altre con parametri (badate ho detto parametri non valori) etnocentrici. Infatti come ricorda Adnane Mokran nel suo intervenendo all'Arcidiocesi di Milano presso la Cattedra del Dialogo:
(...)Il secondo ostacolo è l’ambiguità del concetto di laicità legato al concetto della piena cittadinanza. È un problema di definizione e di traduzione concettuale. Dire che “la laicità è la separazione tra Stato e chiesa” non ha senso per una religione che non ha gerarchia. Come dire che “la laicità è la separazione tra Stato e religione” può sembrare blasfemo per una persona che crede che l’etica sia essenzialmente religiosa, è come dire “Stato senza religione” o “Stato senza etica”, in pratica uno Stato corrotto, che i movimenti islamisti cercano di islamizzare e moralizzare. Uno Stato religioso, in questa ottica, è uno Stato onesto e giusto.
(clicca qui per leggere tutto l'intervento)
2) Rutelli ignora del tutto i principi base di qualunque legislazione-  Sono le persone che fanno la società non le leggi. Quelle dirimono e distinguono quel che nella società esiste già di fatto. E in un paese così maschilista, misogino, sessista, trans-omofobo come il nostro con quale onestà intellettuale posiamo andare dai/lle mussulmani/e a dire loro voi quello che facciamo noi non potete farlo ?

Ma questi si rendono conto di quello che dicono?

25 novembre 2009

25 novembre giornata mondiale contro la violenza sulle donne

In Italia una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, nella sua vita è stata vittima della violenza di un uomo. Secondo i dati dell'Istat, sono 6 milioni 743 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita violenza fisica e sessuale. Tre milioni di donne hanno subito aggressioni durante una relazione o dopo averla troncata, quasi mezzo milione nei 12 mesi precedenti all'intervista. Ai danni di mogli e fidanzate i reati gravi: 8 donne su 10 malmenate, ustionate o minacciate con armi hanno subito le aggressioni in casa. Un milione di donne hanno subito uno stupro o un tentato stupro. A ottenere con la forza rapporti sessuali è il partner il 70% delle volte e in questo caso lo stupro è reiterato.
Il 6,6% delle donne ha subito una violenza sessuale prima dei 16 anni, e più della metà di loro (il 53%) non lo ha mai confidato a nessuno. Gli autori sono degli sconosciuti una volta su quattro, nello stesso numero di casi sono parenti (soprattutto zii e padri) e conoscenti. (fonte torniamoinpiazza.it

Vero verissimo. Ma la cultura (Sic!) di questa violenza è incubata, cresciuta, radicata dal sessismo e dal maschilismo di cui media stampa e immaginario collettivo italiano (e non solo) sono pregni ciome questa ignobile pubblicità di calzedonia che DOBBIAMO PUNIRE CON UNA CAMPAGNA DI BOICOTTAGGIO



ANCHE PER QUESTO

SABATO 28 NOVEMBRE A ROMA,
ORE 14 
DA PIAZZA DELLA REPUBBLICA A PIAZZA SAN GIOVANNI

manifestazione nazionale

Contro la violenza maschile sulle donne, per la libertà di scelta sessuale e di identità di genere. Per la civiltà della relazione tra i sessi. Per una informazione libera e non sessista. Contro lo sfruttamento del corpo delle donne a fini politici ed economici. Per una responsabilità condivisa di uomini e donne verso bambine/i, anziane/i e malate/i, nel privato come nel pubblico. Contro ogni forma di discriminazione e razzismo, per una scuola che educhi alla convivenza civile tra i sessi e le culture diverse.

24 novembre 2009

I Muppets omaggiano i Queen

Il 24 novembre di 18 anni fa moriva Freddy Mercury.

I Muppets hanno pensato bene di omaggiarlo rifacendo uno dei brani (e dei video) più famosi dei Queen...

A Freddy questo sarebbe piaciuto...



ed ecco l'originale...




Ringrazio Andrea che mi ha segnalato il video...

20 novembre 2009

L'acqua? Una questione privata!

Il decreto salva-infrazioni comunitarie, con le contrastate norme sulla privatizzazione dell'acqua, è legge. La Camera ha approvato la conversione con 302 voti a favore e 263 contrari.

Il Decreto 135/2009 nel suo articolo 15 privatizza i servizi pubblici locali: ciclo dei rifiuti, trasporto su gomma e, soprattutto, l’acqua. L’articolo 15 precisa che la proprietà pubblica del bene acqua dovrà essere garantita. Ma prevede anche che, a partire dal 2011, la gestione dei servizi pubblici locali sia conferita “in via ordinaria” attraverso gare pubbliche e la gestione in house sia consentita soltanto in deroga e “per situazioni eccezionali”.

Le opposizioni sono convinte che la formula, di fatto, apra la strada alle privatizzazioni. Movimenti e opposizioni si preparano già a raccogliere le firme per un referendum abrogativo.

“In tema di servizio idrico è necessario sgomberare il campo dalle fandonie di chi afferma che, con la recente norma, non si privatizza l'acqua, bensì la gestione della rete”. Questa “è una vera e propria 'bufala'”, sostengono Adusbef, Federconsumatori e Movimento Consumatori: “Chi capta l'acqua, la distribuisce, la vende e ne incassa i proventi, di fatto, ne è il padrone”, si legge in una nota. Il Decreto Ronchi “attua una privatizzazione dell'acqua a tutti gli effetti, con le numerose conseguenze negative che tale misura comporterà, in termini di speculazioni, di aumento delle tariffe e di possibili infiltrazioni malavitose”. Le esperienze già fatte in questo campo, secondo i consumatori, “hanno registrato risultati tutt'altro che positivi, con aumenti delle tariffe, 'bollette pazze' e richieste di aumenti retroattivi”. Di fronte a questa norma “inaccettabile, che vuole mettere nelle mani di privati un bene vitale quale l'acqua- dicono Adusbef, Federconsumatori e Movimento Consumatori- le nostre associazioni ribadiscono che sono pronte alla raccolta di firme per un referendum abrogativo”.

“Quella della privatizzazione dell'acqua e' una scelta sbagliata, un pasticcio che produrrà problemi agli amministratori locali, maggiori costi per i cittadini, vantaggi per pochi gruppi industriali e finanziari. Per coprire questo pasticcio il Governo usa le bugie”. E’ quanto afferma in una nota Marco Causi, deputato del Partito Democratico. (fonte rassegna.it)

Come ricorda il blog di Davide Orecchio sull'asfalto la privatizzazione dell'acqua, ovunque è stata applicata ha portato solo guai come in Bolivia, a di Cochabamba dove la popolazione, vistasi aumentare la bolletta dell'acqua del 300% intraprese una vera e propria guerra che, nonostante il governo mandasse l'esercito, è stata vinta.
In Italia ci sono già gravi casi di speculazione sull'acqua da parte dei privati subentrati al pubblico, ora il problema è esteso a tutto il paese.

Chissà, magari fra qualche tempo non potremo vedere più immagini come questa...

19 novembre 2009

Ancora su Stefano Cucchi


Quegli strani segni
sulle mani di Cucchi

Buchi, quasi uguali, oblunghi, si direbbe ovali, sulle braccia e sulle mani di Stefano Cucchi. I periti stanno prendendo visioni delle foto dell'autopsia prima della riesumazione del corpo stabilita per lunedì prossimo. Intanto spiccano quelle croste simili tra loro sulla nocca dell'indice della mano sinistra, sull'ultima falange dell'indice sinistro, sotto l'unghia nel polpastrello del pollice della stessa mano. Altre tre sul braccio, sempre il sinistro, all'altezza del gomito. E le escoriazioni alle gambe. Certo ci sono «lesioni più importanti», sullo zigomo e sulla mandibola. Ma quelle croste farebbero pensare a scottature. Non ci vorrà molto a venirne a capo. Su questo i medici non hanno dubbi e aspettano lunedì. Intanto trapela poco dell'interrogatorio del detenuto africano, S.Y., coetaneo di Cucchi, che dice di aver visto - dallo spioncino della cella nei sotterranei del tribunale - alcuni agenti di custodia che prendevano Stefano a calci e pugni, che lo scaraventarono a terra per trascinarlo in cella e dargli "il resto". Fu Stefano - secondo le scarne indiscrezioni - a confidargli che «Ma non lo vedi? Mi hanno menato questi stronzi». Sabato, il detenuto originario del Gambia sarà ascoltato nel corso di un incidente probatorio. Per ora è ai domiciliari in una comunità. Il suo trasferimento da Regina Coeli ha turbato la polizia penitenziaria. Intanto i tre agenti di custodia indagati per l'omicidio preterintenzionale di Stefano, sono stati distaccati - l'avrebbero chiesto loro stessi - in attesa della fine dell'inchiesta interna del Dap. I loro sindacalisti sono certi dell'innocenza dei colleghi. Nel senso che sono sicuri che l'eventuale pestaggio non sarebbe alla causa della morte. E gli anfibi potrebbero aver colpito calcificazioni preesistenti. La commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale deciderà domani la data dell'ulteriore ispezione al "repartino" del Pertini, dove Cucchi è morto dopo quattro giorni in cui rifiutava le cure perché non gli consentivano di parlare con un legale di fiducia.

Liberazione del 18/11/2009, prima pagina


Roma, 13 novembre 2009 - Tre agenti di polizia penitenziaria indagati per omicidio preterintenzionale e tre medici dell’ospedale Sandro Pertini per omicidio colposo: giunge a una svolta l’inchiesta della procura di Roma sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni, deceduto il 22 ottobre scorso dopo essere stato arrestato dai carabinieri sei giorni prima per cessione di stupefacenti.

Stefano Cucchi ha subito un pestaggio mentre era nelle celle di sicurezza del tribunale, poco prima di essere portato in udienza per la convalida dell’arresto. Di questo è convinta la procura di Roma: il geometra di 31 anni è "stato scaraventato a terra", avrebbe subito ‘una sederata pesantissima', che potrebbe aver determinato le fratture di due vertebre. Non è da escludersi che sia stato anche preso a calci e pugni.

Nicola Minichini, 40 anni, Corrado Santantonio, 50, e Antonio Dominici, 42 sono gli agenti di polizia penitenziaria accusati di omicidio preterintenzionale dalla procura di Roma per la morte di Stefano Cucchi. Stando al capo di imputazione, "colpendo Cucchi il 16 ottobre nelle celle di sicurezza del tribunale con calci e pugni, dopo averlo fatto cadere, ne cagionavano la morte avvenuta all’ospedale Sandro Pertini".

I medici dell’ospedale Sandro Pertini, che per alcuni giorni hanno avuto in cura Stefano Cucchi, avevano tutti gli strumenti per alimentarlo e idratarlo anche se il paziente rifiutava ogni assistenza. È questo il motivo che ha spinto la procura ha indagato tre medici per omicidio colposo. "Si tratta di un eccesso di garanzia", hanno spiegato a piazzale Clodio, "così possono nominare un proprio consulente in vista della riesumazione della salma".

Aldo Fierro, il primario di 60 anni della struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, e i medici Stefania Corbi, 42, e Rosita Caponetti, 38, sono i sanitari accusati di omicidio colposo dalla procura di Roma per la morte di Stefano Cucchi. Secondo il capo di imputazione, i tre, agendo con negligenza, imperizia e imprudenza, "omettendo le dovute cure, cagionavano la morte di Cucchi avvenuta all’ospedale Pertini il 22 ottobre".

Il corridoio dove si trovano le celle di sicurezza del tribunale non ha alcuna telecamera. Per questo, a parere della procura di Roma, è decisiva, ai fini della ricostruzione del pestaggio subito da Stefano Cucchi, la testimonianza di un detenuto, pare un clandestino, per il quale sta per essere avviato il programma di protezione. Il detenuto avrebbe assistito alla scena chiamando in causa tre agenti della polizia penitenziaria. La sua versione, preziosissima ai fini delle indagini, sarà presto cristallizzata con un incidente probatorio (atto che ha valore di prova in caso di processo).

Il detenuto straniero che assistette al pestaggio di Stefano Cucchi, riuscì a parlare con lui, a udienza di convalida conclusa, mentre venivano portati nel carcere di Regina Coeli. Nella richiesta di incidente probatorio, infatti, la procura di Roma spiega che il testimone chiave della vicenda, trovandosi il 16 ottobre nelle celle di sicurezza del tribunale, "udì e vide agenti della polizia penitenziaria in divisa colpire Cucchi" da cui ebbe, dopo, alcune confidenze mentre andavano in carcere a Regina Coeli.

"Contro i carabinieri non sono emersi elementi concreti". Lo precisa la procura di Roma, che scagiona così i militari che la sera del 15 ottobre scorso hanno arrestato Stefano Cucchi per cessione di sostanze stupefacenti e gli altri carabinieri che il giorno dopo lo hanno portato a piazzale Clodio consegnandolo agli agenti di polizia penitenziaria per l’udienza di convalida dell’arresto.

Scandisce bene le parole, e non dev'essere facile, Ilaria Cucchi seduta nel salotto de L'era Glaciale davanti a Daria Bignardi. "Sono abbastanza soddisfatta di vedere che qualcosa si sta muovendo rapidamente - dice, e aggiunge - Tutto sta prendendo forma ed è un dolore indescrivibile sapere cosa ha provato mio fratello negli ultimi giorni della sua vita".

"Non mi spiego il motivo di tanto accanimento verso di lui", ha continuato la Cucchi, che ha confermato la telefonata di Giovanardi il quale aveva parlato di Stefano come di un drogato e di un anoressico. "Gli ho detto che quelle parole utilizzate senza conoscere mio fratello e le sue condizioni erano risultate offensive".

Riguardo i disordini durante la manifestazione di solidarietà nei confronti del fratello, la Cucchi ha precisato: "Chiediamo a chi ci manifesta solidarietà di mantenere il nostro stesso contegno perche’ il loro atteggiamento danneggia la memoria di Stefano". (quotidianonet il sole24ore)



Stefano Cucchi, prima dell'arresto era in palestra: stava benissimo

Quattro ore e mezzo prima di essere arrestato, Stefano Cucchi era in palestra, zona Anagnina, oltre Cinecittà, e non distante, in linea d'aria dalla caserma di Via del Calice, Capannelle, dove sarebbe andato a finire dopo essere stato catturato. ll badge d'accesso al centro sportivo segna alle 18.59 del 15 ottobre l'ingresso del geometra 31enne che morirà all'alba del giovedì successivo, il 22 ottobre, immobilizzato nel lettino del reparto penitenziario del Pertini. Da quattro giorni rifiutava cibo e cure perché gli veniva impedito di incontrare un avvocato di fiducia. Oltre al badge, la famiglia sta per consegnare alla Procura - che indaga su tre agenti di custodia per omicidio preterintenzionale e su tre medici per omicidio colposo - un certificato medico di sana e robusta costituzione datato 3 agosto. Stefano era tornato più magro dalle ferie e il suo istruttore gli aveva richiesto un certificato. Poi, rinfrancato dalle sue buone condizioni, lo stava allenando con pesi ed esercizi per aumentare la sua massa muscolare. Tutto ciò servirà per fare piazza pulita degli equivoci e delle insinuazioni sulla cagionevole salute di Stefano. Avesse avuto acciacchi, Stefano non avrebbe potuto frequentare quel posto ma Alfano ha ripetuto continuamente nei giorni scorsi le versioni su una caduta del giovane risalente a due settimane prima dell'arresto. Per la famiglia Cucchi sono giorni di dolore indicibile e le novità di ieri non migliorano certo la situazione. La riesumazione della salma è stata disposta per le 9 del 23 novembre per consentire ai consulenti delle parti di accertare le cause della morte. Tra gli esami previsti quello del Dna sulle tracce di sangue scoperte sui jeans, ora sotto sequestro. La famiglia ancora non sa dove si trovino quelle macchie ma le foto - scattate prima del funerale - mostrano ferite sotto il ginocchio destro e sulla tibia sinistra. S'è saputo solo ieri, inoltre, ma i fatti che seguono risalgono a una decina di giorni fa. Ossia a quando i genitori di Stefano hanno trovato la forza di passare a Morena, tra Ciampino e la Capitale, dove Cucchi stava sistemandosi un appartamento. Lì, in un armadio c'era una busta sospetta che, più tardi, sarebbe stata sequestrata dalla squadra mobile per conto del pm. Dentro quasi un chilo di hashish, 130 grammi di cocaina e bilancini. L'avviso immediato al pm della scoperta casuale «è la dimostrazione della trasparenza e della correttezza dei familiari di Stefano - dicono i legali Fabio Anselmo e Fabio Piccioni - anche per questo bisogna credere loro quando dicono che il figlio aveva il viso gonfio al suo arrivo nell'aula dell'udienza di convalida». La scoperta, invece, riaccende i riflettori sulla gestione dell'arresto e sulla notte in guardina, in una caserma di Tor Sapienza. Forse i carabinieri sospettavano che quella dei genitori non fosse l'unica dimora di Stefano. Forse erano contrariati dal magro bottino di quella notte, una ventina di grammi di fumo. L'ordinanza che gli nega i domiciliari, in casa o in comunità, dice che era un senza fissa dimora e che non c'erano prove che abitasse dove aveva dichiarato. Magari pensavano che, dopo un po' d'isolamento, avrebbe parlato. Forse negargli l'avvocato di fiducia era uno strumento di pressione. In tribunale quando si trovò un legale d'ufficio, che neppure s'accorse della sua faccia gonfia, Stefano se l'era presa coi carabinieri. Sono domande. Ma chissà perché, quando arrivò l'ambulanza nella cella di sicurezza nei sotterranei di Tor Sapienza, Cucchi era arrotolato tra due coperte e col volto nascosto. E chissà perché rifiutò il ricovero e rifiutò di firmare quel rifiuto. Certo è che quel volto coperto «è una costante di questa storia - dice la sorella Ilaria a Liberazione - e non era un suo atteggiamento». I testimoni sarebbero tre. Uno ha raccontato il pestaggio nel sotterraneo di Piazzale Clodio, gli altri avrebbero raccolto le confindenze di Cucchi su un doppio pestaggio. Un sindacato di polizia penitenziaria - la Uil Pa - si lamenta che il testimone del tribunale sia sotto protezione in comunità: «Se il dispositivo di concessione dei domiciliari parla della necessità di tutelare l'incolumità fisica e alla necessità di sottrarre a condizionamenti ambientali il testimone ci troviamo, inequivocabilmente, di fronte ad un giudizio di illegalità del sistema penitenziario».
fonte Osservatorio sulla repressione da Liberazione del 17 11 09


Dunque i 29 grammi trovatigli addosso erano di Hashish e non di coca.
Stefano stava fisicamente bene (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?)
E' stato picchiato (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?) e ci sono i probabili colpevoli (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?).
Stefano rifiutava le cure perché non gli facevano vedere un avvocato di fiducia, perché i giornali questo i primi giorni non lo hanno detto dicendo solo che rifiutava le cure (così, per autolesionismo) né hanno menzionato che oltre a rifiutare il ricovero appena giunto in carcere rifiutò anche di firmare il foglio di rifiuto? Quindi non le scelte inconsulte di un drogato, ma scelte logiche e coerenti di un ragazzo cui sono stai negati i diritti civili (diritto a un avvocato).

Quanto altri casi come Cucchi?
Quante altre morti dovranno avvenire prima che ci ribelliamo contro questi PARLAMENTARI DI MERDA (ormai non basta più prendersela solo col Governo) stile presa della Bastiglia?

16 novembre 2009

Kenny Rankin passed away...

Proprio l'altra sera, mentre tornavo a casa da teatro, canticchiavo Guess Who I saw Today, nella versione di Janis Siegel, e mi ricordavo di come Frances, una volta, mi assistesse nel dire il testo bene, pronta a sorreggermi quando la mia memoria (e la mia grammatica inglese) venivano  a mancare.

Frances ha sempre apprezzato molto la mia capacità di sentire una canzone e cantarla già dopo il solo primo ascolto... Per me erano gli a solo dei Manhattan Transfer, per lei, mi disse, era Kenny Rankin, un cantante per me sconosciuto, del quale amava soprattutto l'album d'esordio, Silver Mornig, del 1975, [per Frances era l'album d'esordio, scopro su Wikipedia che non lo era...] un album potente, un interprete dalla voce alta, autore di splendide canzoni.



Canzoni meste, le mie preferite, come questa cover dei Beatles, per Frances un po' meno, ma tant'è...




Queste canzoni per me SONO Frances, mi ricordano le mille emozioni che lei sapeva suscitarmi, di amore, attrazione, desiderio, gioia, felicità...

Frances era capace di cantare sulle sue canzoni proprio come io facevo coi Man-Tran.
Ricordo ancora un pomeriggio canterino dove mi (di)mostrò la sua bravura (ricordate ? Io nasco come suo Fan e lei come mia cantante) su pezzi come In the Name of Love




Non tutti i pezzi erano così fast, le sue ballad erano altrettanto impressive, come Killed a Cat che Frances interpretò per me, facendomene un piccolo film.
Un pomeriggio piacevole del quale, ancora dopo tanti anni, sarà stato il 1989...) serbo un ricordo nitido e nostalgico.

Solo stamane scopro  che Kenny Rankin è morto, lo scorso 7 giugno all'età di 69 anni.

Ed è come se Frances sbiadisse un altro po'...

Facile Mina, un brano al giorno (10)



Meglio il frutto che vuoi ma il modo in cui canta è da brivido!!!!

13 novembre 2009

I Liceali 2: il peggio di questa Italia maschilista e omofoba

Sto guardando il primo episodio della seconda stagione de I Liceali che, essendo noi italiani provinciali per vocazione, diventa I Liceali 2.

Nei primi 10 minuti di fiction già due Perle. Anzi tre.

Elena, la figlia di Cicerino, si sente chiedere da Daniele, il suo ragazzo, siccome lei è un po' nervosa, c'hai le cose? (nemmeno tue, le cose e basta). Lei non capisce, ma, quando capisce, invece di inorridire sorride e lo abbraccia.

Quando la nuova arrivata si siede allo stesso banco di Valerio il frocio della classe, uno dei compagni commenta nooo, che spreco!.

Uno dei ragazzi ha un brutto incidente d'auto e i genitori accorrono non in ospedale ma nel luogo dell'incidente, il ragazzo è sulla barella, e i genitori parlano col paramedico (che dice loro che non ci sono fratture come fa a saperlo?!?!) chiamandolo dottore!!! menomale che il regista della serie Lucio Pellegrini ha dichiarato Abbiamo lavorato mantenendo un alto livello di aderenza alla realtà, senza scimmiottare l'estero.
(fonte RealityShow)

Un inizio rivoltante, da ammazzare regista sceneggiatori e produttori (ma anche gli attori che si sono prestati a questa sciarada) d'altronde basta pensare a chi c'è dietro Paolo Virzì e la sua squola di sceneggiatori...

Su Giovanardi e la ferocia delle sue ecolalie

Un giovane arrestato di nome Gesù
di Erri De Luca

Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l’aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.

Liberazione dell'11 novembre scorso.
Ennesima protesta, elegante e intelligente, contro le affermazioni di Giovanardi sula morte di Stefano Cucchi.

Non quoto le ecolalie di Giovanardi per non dare loro altra eco. Per chi volesse le può leggere qui. Stefano Cucchi non era sieropositivo né anoressico, ma nulla sarebbe cambiato se lo fosse stato.

Giovanardi si è già distinto per altre uscite incommentabili su omosessualità, legge 40 sulla fecondazione assistita. E' stato fautore con Fini della nuova legge sulle tossicodipendenze che porta i suo nome.
Quella legge tra le altre cose, ha abolito ogni distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Ma mai aveva fatto affermazioni feroci come quelle su Stefano Cucchi come fa ben notare Francesco Merlo su Repubblica nell'articolo Il cattolico feroce che riporto per intero.
Suscita rabbia e pena, una pena grande, il sottosegretario Carlo Giovanardi, cattolico imbruttito dal rancore, che ieri mattina ha pronunziato alla radio parole feroci contro Stefano Cucchi. Secondo Giovanardi, Stefano se l'è cercata quella fine perché "era uno spacciatore abituale", "un anoressico che era stato pure in una comunità", "ed era persino sieropositivo". Giovanardi dice che i tossicodipendenti sono tutti uguali: "diventano larve", "diventano zombie". E conclude: "È la droga che l'ha ridotto così".

Giovanardi, al quale è stata affidata dal governo "la lotta alle tossicodipendenze" e la "tutela della famiglia", ovviamente sa bene che tanti italiani - ormai i primi in Europa secondo le statistiche - fanno uso di droga. E sa che tra loro ci sono molti imprenditori, molti politici, e anche alcuni illustri compagni di partito di Giovanardi. E, ancora, sa che molte persone "per bene", danarose e ben difese dagli avvocati e dai giornali, hanno cercato e cercano nei cocktail di droghe di vario genere, non solo cocaina ed eroina ma anche oppio, anfetamine, crack, ecstasy..., una risposta alla propria pazzia personale, al proprio smarrimento individuale. E alcuni, benché trovati in antri sordidi, sono stati protetti dal pudore collettivo, e la loro sofferenza è stata trattata con tutti quei riguardi che sono stati negati a Stefano Cucchi. Come se per loro la droga fosse la parte nascosta della gioia, la faccia triste della fortuna mentre per Stefano Cucchi era il delitto, era il crimine. A quelli malinconia e solidarietà, a Stefano botte e disprezzo.

Ci sono, tra i drogati d'Italia, "i viziati e i capricciosi", e ci sono ovviamente i disadattati come era Stefano, "ragazzi che non ce la fanno" e che per questo meritano più aiuto degli altri, più assistenza, più amore dicono i cattolici che non "spacciano", come fa abitualmente Giovanardi, demagogia politica. E non ammiccano e non occhieggiano come lui alla violenza contro "gli scarti della società", alla voglia matta di sterminare i poveracci; non scambiano l'umanità dolente, della quale siamo tutti impastati e che fa male solo a se stessa, con l'arroganza dei banditi e dei malfattori, dei mafiosi e dei teppisti veri che insanguinano l'Italia. Ecco: con le sue orribili parole di ieri mattina Giovanardi si fa complice, politico e morale, di chi ha negato a Stefano un avvocato, un medico misericordioso, un poliziotto vero e che adesso vorrebbe pure evitare il processo a chi lo ha massacrato, a chi ha violato il suo diritto alla vita.

Anche Cucchi avrebbe meritato di incontrare, il giorno del suo arresto, un vero poliziotto piuttosto che la sua caricatura, uno dei tanti poliziotti italiani che provano compassione per i ragazzi dotati di una luce particolare, per questi adolescenti del disastro, uno dei tantissimi nostri poliziotti che si lasciano guidare dalla comprensione intuitiva, e certo lo avrebbe arrestato, perché così voleva la legge, ma molto civilmente avrebbe subito pensato a come risarcirlo, a come garantirgli una difesa legale e un conforto civile, a come evitargli di finire nella trappola di disumanità dalla quale non è più uscito. Perché la verità, caro Giovanardi, è che gli zombie e le larve non sono i drogati, ma i poliziotti che non l'hanno protetto, i medici che non l'hanno curato, e ora i politici come lei che sputano sulla sua memoria. I veri poliziotti sono pagati sì per arrestare anche quelli come Stefano, ma hanno imparato che ci vuole pazienza e comprensione nell'esercizio di un mestiere duro e al tempo stesso delicato. È da zombie non vedere nei poveracci come Cucchi la terribile versione moderna dei "ladri di biciclette". Davvero essere di destra significa non capire l'infinito di umiliazione che schiaccia un giovane drogato arrestato e maltrattato? Lei, onorevole (si fa per dire) Giovanardi, non usa categorie politiche, ma "sniffa" astio. Come lei erano gli "sciacalli" che in passato venivano passati alla forca per essersi avventati sulle rovine dei terremoti, dei cataclismi sociali o naturali.

Giovanardi infatti, che è un governante impotente dinanzi al flagello della droga ed è frustrato perché non governa la crescita esponenziale di questa emergenza sociale, adesso si rifà con la memoria di Cucchi e si "strafà" di ideologia politica, fa il duro a spese della vittima, commette vilipendio di cadavere.
Certo: bisogna arrestare, controllare, ritirare patenti, impedire per prevenire e prevenire per impedire. Alla demagogia di Giovanardi noi non contrapponiamo la demagogia sociologica che nega i delitti, quando ci sono. Ma cosa c'entrano le botte e la violazione dei diritti? E davvero le oltranze giovanili si reprimono negando all'arrestato un avvocato e le cure mediche? E forse per essere rigorosi bisogna profanare i morti e dare alimento all'intolleranza dei giovani, svegliare la loro parte più selvaggia?

Ma questo non è lo stesso Giovanardi che straparlava dell'aborto e del peccato di omosessualità? Non è quello che difendeva la vita dell'embrione? È proprio diverso il Dio di Giovanardi dal Cristo addolorato di cui si professa devoto. Con la mano sul mento, il gomito sul ginocchio e due occhi rassegnati, il Cristo degli italiani è ben più turbato dai Giovanardi che dai Cucchi.

Varie reazioni politiche che non vi sto a segnalare hanno indotto Giovanardi a chiedere scusa.
Le uniche scuse da accettare però sono solo le sue dimissioni.

GIOVANARDI DIMETTITI!!!

Canna Bis?

Mi ricordo che la prima volta che mi chiesero di fare un filtro io strabuzzai gli occhi e risposi candido che non avevo la più pallida idea di quello che mi avevano chiesto. Loro, i miei amici, furono carini, mi abbracciarono, mi applaudirono. Io lo trovai un vezzo sciocco. Non ho mai capito la sacralità della cannabis, la sororanza che, secondo alcuni, lega chi si fa le canne. E' la solita forma di razzismo al contrario. Stronzi ce ne sono dappertutto anche tra i cannaroli.
Non ho mai nemmeno capito l'imprescindibilità della canna. Per me è sempre stata un lusso, una sostanza esornativa, come l'alcool. Se c'è bene, se non c'è bene. Ricordo di giri estenuanti in cerca di fumo di qualche mio amico troppo legato all'idea che per rilassarsi a fine giornata c'aveva bisogno dell'hashish. Così lo stress invece di toglierglielo glielo dava proprio il fumo...
Non mi fraintendete non sono considerazioni contro l'erba e l'hashish, anzi trovo ridicole le discettazioni di chi equipara queste cosiddette droghe leggere alle altre droghe. L'hashish è un intossicante, come il caffè e l'alcool, va consumato con oculatezza e responsabilità (chi fuma, proprio come chi beve, non deve guidare, per gli stessi motivi) mentre qui da noi (ma un po' in tutta Europa) si parla indistintamente di droga che è un termine ridicolo visto che per la lingua italiana droga lo è anche la noce moscata...
Io ho sempre fumato in modiche quantità, due tiri, e di solito raggiungevo il livello di sballo desiderato. Ho sempre invidiato tutte le persone che riuscivano a fumare e a lavorare: Frances ci cantava e ci scriveva, la mia amica Lucia ci studiava, la mia amica Mariù ci insegnava!!! Io al massimo riuscivo ad ascoltare musica o a guardare un film. La mia già scarsa manualità con il fumo andava a farsi benedire del tutto. Poìroprio per questo non mi sono mai fatto canne ma spinelli, canne leggere, per non intontirmi troppo. All'hashish ho sempre preferito l'erba, ma quella era difficile da trovare. Mentre l'effetto dell'hashsih è un flusso d'energia che dall'esterno va verso l'interno, dal mondo verso te, e questo a volte può stordirti (a me mandava in para, per questo ho smesso una decina d'anni orsono): l'erba invece è un flusso di energia che da te va verso il mondo, ti apre, ti rende empatico coll'universo (le solite metafore del cavolo), insomma la preferivo...
Ricordo di una sera  a casa di Frances, quando una sua amica americana tirò fuori un joint d'erba e io lì a scodinzolare come un cagnolino educato. Al terzo tiro Frances mi avvisò Alizandro questa è erba americana, è forte, vacci piano. Io, checca inacidita, le risposi Frances LA CONOSCO l'erba e continuai a fumare belluinamente. Dopo 10 minuti ero sul pavimento... Mi raggiunse anche Frances dopo che l'amica se ne andò (temendo forse di finire sul pavimento anche lei!!!). Ci risvegliammo alle 5 del mattino, vestiti, sullo stesso pavimento dove ci eravamo addormentati.
Io mi alzo, Frances mi chiede se voglio dormire lì da lei, ma io preferisco uscire, e prendere il primo autobus che mi porta a casa. Mi ricordo la città albeggiante, il capolinea del 56 e del 60 proprio sula piazza (Sonnino), l'autobus che prendeva mia madre per andare in ufficio... Sarà stato il 1987 o giù di lì...
Poi di recente ho smesso di fumare. Un po' perché non avevo modo di fare approvvigionamento e un po' perché ormai il fumo mi faceva andare sempre e solo in paranoia...
Brutte sensazioni, probabilmente semplici amplificazioni di quel che  era la mia vita in quel momento, ma almeno, da non fumato, riuscivo a fare finta di niente.
Recentemente mi è successo con Frances di fare un paio di timidi tiri (lei fumana dalla pipa ad acqua...) e ricordo distintamente la paranoia pura che provai: paura di morire (o che Frances potesse morire). Paura di perdere quel che ho, quel che sono, quel che posso essere.
Ora non credo più di avere queste paure.
La scomparsa di Frances mi ha costretto ad accettare la privazione, il lutto, la mancanza, la morte.
Così, l'altra sera, quando mi è stato offerto con un sorriso dolce un tiro di erba ho accettato e ho condiviso l'intero joint. E non solo non sono andato in paranoia ma ho continuato a fare quello che stavo facendo.
Lo so che per voi miei cari lurker questo evento non ha molta importanza, ma per  me è stata una piccola conquista, un riappropriarmi di tante cose che, invece di aggiustare la mia vita per farcele rimanere, avevo reputato più facile rinunciarvi...
Un tornare al mondo per starci insieme agli altri (sembro Heidegger...!).
Piccoli segni di una rinascita, proprio quando pensavo che per me fosse tutto dietro alle spalle...

Facile Mina, un brano al giorno (9)



La canzone che ricorda di più Bau, forse un po' inutile, come anche Eccitanti conflitti confusiche non è incisiva come il pezzo di chiusura di Bau Datemi della musica ...

12 novembre 2009

12 novembre 1989. La svolta della Bolognina...




Anche Achille Occhetto ha un 17 nella sua storia: in via Tibaldi 17 il 12 novembre 1989 annunciò quella che sarebbe stata la «svolta della Bolognina». Il cambio del nome del Pci. Tre giorni dopo il crollo del Muro di Berlino. Accadde in un centro di quartiere zeppo di partigiani che celebravano una battaglia di 45 anni prima, a due passi dalla bolognese Piazza dell´Unità.
(...)
Era domenica, quel 12 novembre 1989. (...) Occhetto ai veterani della Resistenza: «Dobbiamo inventare strade nuove» titolò in prima pagina l´Unità. Di taglio, ma con occhiello shocking: «A chi chiede se il Pci cambierà nome risponde: "Tutto è possibile"». Svolta colossale, per le parole e l´atteggiamento del giornale. «Bisogna inventare nuove strade» fu molto più prudente l´agenzia Ansa, che ponderò per ore ed ore prima di lanciare il dispaccio.
Occhetto arrivò a Bologna per un incastrarsi di casi. L´11 novembre era a Mantova per la mostra di Giulio Romano. William Michelini lo pungolò: «Dici sempre che vieni a Bologna. Domani i partigiani della Bolognina celebrano i 45 anni di una battaglia. Andiamoci». Occhetto a questa città era molto legato, non solo per la moglie Aureliana Alberici, ex assessore con mamma mitica per le tagliatelle. In via Tibaldi arrivò quasi improvviso. Con due giornalisti, Giampaolo Balestrini e Walter Dondi di Ansa ed Unità, catapultati all´ultimo momento dalle loro redazioni. Poi Umberto Gaggioli, operaio, comunista, gran fotografo di popolo.
Il segretario Pci in grisaglia a righe fu accolto da anziani con bandiere partigiane in quello che era un Ufficio Anagrafe. Discorsi prefissati. Occhetto, con uno scambio di biglietti, chiede di parlare. A braccio. Paragona i partigiani ai "veterani" dell´Urss a cui Gorbaciov aveva detto. «Voi avete vinto la guerra e se ora volete che non venga persa, è necessario non conservare ma avviare grandi trasformazioni». «Dal momento che la fantasia politica in questo fine 1989 sta galoppando, - aggiunge Occhetto - nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio di allora, della Resistenza».
Applausi, feste. I giornalisti stanno andandosene. «Ma pensammo: avrà voluto dire che il Pci cambiava nome?» raccontano Dondi e Balestrini. Tornano indietro. Cosa fanno pensare le sue parole, domandano ad Occhetto. «Lasciano presagire tutto» è la risposta. Tutto cosa? «Dite che tutto è possibile».
Mauro Zani, allora segretario di Bologna, era già andato via. Sgrana gli occhi quando i cronisti lo informano. Comincia una nuova storia. Ma quella domenica in Italia se ne accorgono in pochi. Ci vogliono Roma, la Segreteria, la Direzione Pci. Bologna resta Bolognina.

(Marco Marozzi La Repubblica, 10 nov 09).

Ricordo tutto di quel giorno... Del nome nuovo del PCI da cercare che venne indicato come La COSA. E poi la Cosa due e le sue propaggini uliviste, quando smisi di votare quello che era stato sempre il mio partito di riferimento anche prima di avere l'età per poter votare.

Da allora mi chiedo ancora,  e nessuno mi ha dato mai una risposta soddisfacente, PERCHE'?






Le immagini video sono tratte dal documentario Finchè l'Emilia va di  Roberto Anselmi, Emiliano Dario Esposito, Greta Filippini, Claudia Moretta, Cristoforo Spinella, Andrea Tornese e per la regia di Daniele Coluccini, che ho visto (e acquistato) lunedì scorso, alla casa del Popolo a Pietralata.
Un documentario interessante, ben costruito (nonostante sia stato girato addirittura a 12 mani) che raccoglie testimonianze competenti di gente del luogo e ricorda una parte di Italia che (forse) oggi non c'è più.

11 novembre 2009

11 novembre 2007 l'assassinio di Gabriele Sandri

Nella giornata di ieri l’associazione Azione Universitaria Bari, ha organizzato un volantinaggio nelle Facoltà di Giurisprudenza, Economia, Lettere e Filosofia, volto a ricordare l’ingiustizia compiuta nei confronti di Gabriele Sandri e dei suoi familiari. Gabriele era un ragazzo innocente, colpevole solo di avere una passione: seguire la propria squadra del cuore con i suoi amici. Purtroppo quel giorno maledetto (11 novembre 2007) ha pagato con la vita l’errore di un poliziotto che perdendo la calma, premette con freddezza il grilletto della propria beretta. E’ cosa risaputa che in tribunale, l’ex agente di polizia Luigi Spaccarotella non ha avuto il coraggio di porgere le proprie scuse ai familiari del ragazzo; non condanniamo comunque questo gesto. Azione Universitaria, a due anni dai fatti, vuole ricostruire la vicenda: "lo fa -sostiene Gianluca De Cesare, Consigliere della Facoltà di Giurisprudenza - con l' occhio di chi reputa che, a prescindere da ruoli, divise, etichette o categorie, la giustizia italiana, come capita spesso ultimamente, non abbia fatto il suo corso regolare. Sanzionare un omicidio con una reclusione di pochi anni, non riconoscendo la condotta dolosa dell'agente, crea un precedente pericoloso che induce ad una riflessione collettiva. Riteniamo, infatti, questa sentenza inappropriata e vergognosa per i familiari di Gabriele, per i tifosi dello sport, per le persone civili che ripongono fiducia nella Legge e nelle forze dell’ordine. Azione Universitaria vuole sia fatta GIUSTIZIA. Chiede che la condanna a sei anni di reclusione per omicidio colposo venga convertita in condanna per omicidio volontario e preterintenzionale, con conseguente reclusione da ventuno a ventiquattro anni". "Riteniamo inoltre – prosegue Marco Iusco, responsabile del Nucleo Azione Universitaria della Facoltà di Lettere e Filosofia - che tutti coloro che appartengono alle forze dell’ordine si sottopongano a controlli psicologici costanti affinché non ci siano più vittime innocenti o ragazzi malmenati, a prescindere dal loro grado di colpevolezza o stato di innocenza".
In un mondo dove si cerca sempre più di prevaricare sul prossimo, denigrarlo, e dove la violenza è diventata routine quotidiana, Azione Universitaria invita tutti ad opporsi ad ogni forma di violenza, in quanto è l’unico modo per non poter rendere vana la morte di un innocente!
“Un poliziotto va visto come un amico, come un fratello, come qualcuno che ti vuole aiutare e certamente non come un nemico”. Marisa Grasso, vedova dell’Ispettore Filippo Raciti.

Azione Universitaria – Federazione Provinciale di Bari

(fonte sito Barilive)



Cosa manca a questo comunicato in alcune parti condivisibile? mancano le responsabilità dei capi di Luigi Spaccarotella, che per questo gruppo di destra rimane l'unico capro espiatorio.

E' indubbio che l'agente debba essere condannato ma tutti gli altri? Certi climi allarmistici del governo in carica che guidano certe reazioni isteriche collettive?
La destra tace, omertosa come sempre...

Sabato 14 novembre Comitato Madri per Roma Città Aperta ad Acrobax

Grazie al sito Marginalia leggo l'articolo di Doriana Goracci E ancora non la sai tutta la cattiveria del mondo che, come Marginalia, vi invito a leggere nella sua interezza. Io ne quoto una parte, comprese le indicazioni di un incontro che ci sarà sabato pomeriggio prossimo.

Non dimenticare, non lasciare insabbiare, non limitarsi a vomitare quanto sedicenti politici (e sedicenti esseri umani) (Giovanardi e le sue ecolalie) aprono bocca per gittar fuori fiato, ma protestare, criticare, indignarsi e incazzare!


Morire di Stato
Salutare un figlio. Rivederlo morto.
E’ il dramma di Patrizia, madre di Federico Aldovrandi, ucciso da quattro poliziotti durante un fermo.
E’ il dramma di Ornella madre di Niki  Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano (Firenze).
E’ il dramma di Maria, madre di Manuel Eliantonio, morto nel carcere di Marassi a 22 anni.
E’ il dramma della mamma di Stefano Cucchi, morto in carcere a Roma dopo un arresto per pochi grammi di droga.
Uno stato che sottrae un figlio e lo restituisce morto, negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.
In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le Madri per Roma Città Aperta vogliono interrogarsi su questi eventi, su queste maternità negate che calpestano i diritti dell’individuo e rappresentano un gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia. Anche queste morti appartengono al tema della sicurezza. Sicurezza anche dei cittadini quando hanno a che fare con le istituzioni repressive e carcerarie. Per questo come madri non vogliamo dimenticare Nabruka Mimuni, la donna che si è tolta la vita nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quest’anno nel lager di Ponte Galeria, alle porte di Roma.
Abbiamo contestato ai vari sindaci la risposta xenofoba e repressiva delle istituzioni a fenomeni di grave disagio e precarietà, che ha alimentato episodi di razzismo e violenza, opponendo, praticando e sostenendo la cultura della diversità e del rispetto.
Vogliamo affrontare il tema della sicurezza portandolo anche dietro le mura di un carcere o di un CIE. Vogliamo riproporre il tema dei diritti dentro la città e soprattutto nei luoghi dove sembra che rappresentanti dello Stato possano esercitare un diritto di vita e di morte su cittadini italiani e stranieri.
Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien a men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la dignità e i diritti dei suoi figli strappati alla vita.

Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it

Sabato 14 novembre ad Acrobax (ex Cinodromo)


Ponte Marconi ore 17,30

Incontro con avvocati, operatori del carcere, associazioni
Cena per sostenere la famiglia di Manuel Eliantonio

10 novembre 2009

Fame o della pioggia, degli equivoci e del maschilismo.

...e così quando Paolo mi ha proposto di andare a vedere Fame il musical perché aveva due biglietti omaggio non ho saputo dirgli di no. Anche se mi sono pentito, per via del tempo. Venerdì pioveva e la sera sarei rimasto volentieri a casa. Paolo ha una moto non la macchina, così mi chiama al cellulare, mentre tornavo a casa dall'ultimo giorno di convegno su cinema e scuola, e mi suggerisce di andare a piedi, cioè, coi mezzi.
mentre io mi scervello con le indicazioni del sito atac (che praticamente suggeriva di usare il teletrasporto... lo spazio roma, dove fanno il musical, sta dall'altra parte della città) arriva Paolo con la cena: baguette, Camembert, stracchino e una zuppa di melanzane (sì, sì, avete letto bene!). Decidiamo di andare separati, io prenderò la metro e Paolo mi verrà a prendere con la moto per l'ultimo tratto in comune. Usciamo presto, subito dopo le 19 (lo spettacolo c'è alle 21, inizierà alle 21 e 30...) ma poi, sotto casa,  invece di salutarci, Paolo mi propone di provare ad andare insieme, rischiando di prenderci la pioggia. Arriviamo a viale Tor di Quinto prestissimo, ci mettiamo 35 minuti. Da lontano vedo un edificio enorme con su scritto GRAN TEATRO gli dico ecco il teatro!. Paolo parcheggia, entriamo nel grande atrio, raggiungiamo la biglietteria, ma dei biglietti gratuiti a suo nome non c'è nemmeno traccia. Io noto un mucchio di biglietti con su scritto "MICHELE ZARRILLO" e il cervello mi dice che distribuiscono anche i biglietti di un altro concerto... Paolo chiama il suo amico (quello che lavora nel musical e gli ha procurato i biglietti) che viene a prenderci... ma non arriva!
Così scopriamo di AVERE SBAGLIATO TEATRO. Ehehehheehhehehehehehe rido tutto il tempo (nel frattempo riprendi la moto, rimettiti il casco, risali sulla moto, io, con l'agilità di un ippopotamo paralitico). Arriviamo nel teatro giusto (sono appena le 20 e 20) lì i biglietti ci sono, le ragazze alla cassa coincidono con la descrizione che ce ne aveva fatto l'amico di Paolo una grassottella coi capelli a caschetto... che noi, essendo nel teatro sbagliato, non riscontravamo. Entriamo in una sorta di teatro tenda. Grande atrio, con bancone che vende gadget dello spettacolo (maglietteanellitshircappellifelpetutecollane) alla sinistra dello stand un corridoio che dà su un ampio spazio, con luci laser, stile pista da ballo. Io penso ma lo spettacolo lo fanno qui? Stiamo tutti in piedi?, alla destra dello stand i bagni (con la scritta poco italiana TOILETS, di solito in italiano si usa il francese toilettes, e mentre il termine francese è corretto al plurale anche in italiano, essendo le toilettes in quella lingua sempre al plurale, toilets, in inglese, andrebbe al singolare, perché le parole straniere, in italiano, si usano nella forma singolare anche quando in italiano la frase è al plurale: i computer, non i computers...) ma niente teatro. Poi dietro, oltre le ...Toilets, finalmente, l'ingresso per la sala. Ci accoglie un ragazzo secco secco, un poco checca, con la calzamaglia che gli sottolinea il rigonfio del pacco (che fa da pendant col rigonfio del pomo di Adamo) che prima ci fa cenno di entrare poi ci dice invece di aspettare altri 15 minuti. Torniamo alla pista da ballo, che invece è il bar. Il barista è un ragazzo alto, magro, peloso, capello lungo, CARINO. Io e Paolo lo guardiamo imbambolati, una signora, anche lei dietro il bancone, ride sotto i baffi (che non ha). Paolo si prende un Campari, io, che leggo il prezzo, 8 euro, declino. Ma poi la signora che ride sotto i baffi (non li ha nemmeno il ragazzo carino...) gli fa pagare solo 3 euro. Allora il Campari lo prendo anche io (e il ragazzo carino mi guarda male). Beviamo il Campari. Ci imbrilliamo. Entriamo in sala, ci mettiamo sulle poltrone, fin troppo comode e con lo schienale troppo reclinato per farci vedere bene. Siamo alla fila G, dunque vicinissimi al palco. Ma poi scopriamo che quelle sono le poltronissime e che la fila G c'è per tutti e tre i settori in cui è suddivisa la platea. I nostri biglietti sono del terzo settore (terze poltrone) siamo praticamente in fondo alla sala, su normalissime sedie di plastica, a due passi dal ragazzo secco, che continua a fa entrare la gente.
Sono le 20 e 45. Fino alle 21 e 30, quando inizia lo spettacolo, io e Paolo notiamo:
- un tipo carino che si siede di fianco a noi e parla con tutti quelli che gli passano davanti (conosce tutti?);
- che il pubblico presente non è avvezzo ai teatri né ai musical essendo composto dalle zie dei cugini dei nipoti del fratello del salumiere del parrucchiere del giornalaio di qualcheduno che recita nel musical.
- che arrivano tutti tra le 21 e 15 e le 21 e 25.
- che una tipa distribuisce dolcetti fatti da lei, per farsi pubblicità, E CHE SONO BUONISSIMI!
- che molti ragazzi sono sorelle: quelli dai 25 anni in su fanno finta di non esserlo, quelli dai 25 in giù fanno di tutto per farti capire che lo sono (ma in modi non banali, non ovvi. Niente stole di visone, niente scheccate à la cage aux folles, solo baci, abbracci, capelli supercotonati, balli sul posto sulla musica che proviene dal lettore mp3, sguardi malandrini e sorrisi ammiccanti).
- che si sono fatte le 21 e 30 (quasi) e questo cazzo di Musical non vuole cominciare.
Intanto, visto che molte poltrone sono rimaste vuote, ne guadagniamo due, avvicinandoci un po' al palco, ma perdendo una visuale completa, la parte inferiore del palco ci è preclusa dalle teste (cotonate e no) degli altri spettatori.
Poi, poco prima che io e Paolo ci si abbiocchi, final-fucking-mente il Musical comincia.
L'inizio non è dei migliori.
Basi pre-registrate (sarò snob ma i musical vanno con la musica dal vivo e che cazzo!), scenografia unica e molto povera (con due idee due su oggetti polifunzionali, come le specchiere da danza classica che, unite, diventano muri da esterni...) recitativi sulla musica praticamente impercettibili.
I ragazzi ballano e cantano tutti, sono bravi, cioè discreti, migliori nel canto che nel ballo, migliori nel ballo che nella recitazione. Toh guarda c'è anche la checchina scrocchiazzeppi che ci ha accolto all'ingresso, ma ha un ruolo minore...
La recitazione lascia molto a desiderare, a qualcuno potresti dare tranquillamente del CANE. Ma lo spettacolo si fa vedere e ti ricorda un po' troppo da vicino Paso adelante che però è venuto DOPO. Ti accorgi subito che i personaggi sono tutte macchiette, approssimative e datate, anni 80 appunto.
C'è il ragazzo gay (interpretato malissimo) che, ovviamente, è checca, e che per i quattro anni di arco di storia del musical non scopa né si fidanza ma serve solo a fare colore.
C'è la ballerina cicciona che non ce la fa a smettere di mangiare (perché guadate me?! Ho mai fatto la ballerina io?!?!?!) e per tutto lo spettacolo va in giro a elemosinare un pezzetto di cibo (ma dai!!!).
La ragazza ambiziosa fa uso di pasticche e morirà per overdose.
Quella brava a ballare e dunque secchiona, e dunque antipatica, si fidanzerà col bulletto della scuola.
La ragazza brava a cantare (e la sua interprete, Valentina Piccione, lo è davvero) si innamora, non ricambiata, del bello della scuola e, quando, al terzo anno di scuola (cioè a metà del secondo atto) si accorge che a lui non piace il calcio, che è raffinato (legge Stanislawsky), educato e non ha mai avuto una ragazza, deduce che sia gay (che le fa anche comodo così dà una ragione definitiva al fatto che lui non la corrisponda). La risposta di lui è anche peggiore di questa linea interpretativa: le ragazze sono una distrazione (sic!) io voglio studiare (mi sa che è gay sul serio!!!).
Il ragazzo ispanico (interpretato da un ragazzino antipatico, che recita come un cane, senza offesa per i cani) ovviamente non sa leggere e non studia, ma balla da Dio perché si sa i negri il ballo... mentre la professoressa zitella canta una canzone nella quale si consola con gli studenti per i figli che non ha mai avuto... Se ci mettiamo una canzone tra due professoresse, una di inglese l'altra di danza, che discettano, a suon di musica, se studiare sia importante o no, per diventare artisti capite quanto Fame sia diseducativo, intriso dei peggiori luoghi comuni e maschilista, come dimostra la canzone Non riesco a tenerlo giù (sì, si riferisce proprio a quello...).
Il secondo atto è una mezza ripetizione del primo e ti scopri a rimpiangere Paso adelante (il che è tutto dire). Poi uno dei microfoni salta e per le ultime 3 canzoni uno dei ragazzi canta senza amplificazione... (mai microfonare gli attori. MAI. Prima o poi il microfono salta. Non ho mai visto un attore microfonato, cioè col microfono incollato al corpo dell'attore il cui microfono non gli dia problemi (rumori, improvvisi ottundimenti del suono, improvvisa mancanza di amplificazione, interferenze, scariche elettrostatiche...). Se devi amplificare la sala usi gli omnidirezionali E BASTA.
Ma poco importa perché Giulio Pangi uno dei ragazzi (che io credo erroneamente essere l'amico di Paolo che ci ha procurato i biglietti) ha davvero ...carisma e allora le due ore passano più velocemente.
Alla fine pur se apprezzi lo sforzo dei ragazzi (ma del produttore no) ti chiedi MA PERCHE'? e capisci che, in realtà, il musical è una sorta di saggio di Claudio Insegno (che firma la regia) i cui protagonisti sono (quasi) tutti allievi della sua scuola di recitazione. Però le canzoni sono belle (esistono in commercio miriadi di versioni cantate in tutte le lingue).
Alla fine dello spettacolo lasciamo la sala senza salutare nessuno, nemmeno l'amico procacciatore di biglietti. E mentre gli altri si dirigono a mangiare un improbabile piatto di pasta che Insegno, salito sul palco, ha offerto a tutti, io e Paolo siamo già in moto. La strada è asciutta, Paolo arriva in 20 minuti a Termini, prendo il notturno che parte appena salgo sull'autobus. Io penso allo spettacolo visto e devo dire che tutto sommato questa produzione amatoriale non ha da invidiare nulla alle nostre produzioni professionali avendone gli stessi difetti.
Ma qualche ragazza era davvero brava a cantare, le musiche sono belle (quante volte l'ho già detto?) e vedere dei giovani che ballano, cantano e recitano (beh, ci provano...) mi fa tornare a quando anche io recitavo e cantavo (ma non ballavo) 25 anni fa e capisco che ho qualcosa in comune con il Musical, infatti arrivo a casa con una FAME che mi attanaglia, allora apro il frigo, mi finisco il camembert e in santa pasce me ne vado a letto.

FAME

REGIA: CLAUDIO INSEGNO
DIREZIONE ARTISTICA: MARCO DAVERIO
SUPERVISIONE ALLE COREOGRAFIE: PAOLA PAPADIA

CAST:
- Proff. Bell: VERONICA PINELLI
- Proff. Myers: ENRICO BERNARDI
- Proff. Shermann: ELENA PELAZZA
- Carmen Jones: VALENTINA SPALLETTA
- Joe Vegas: GIULIO PANGI
- Nik: MIRCO RANU'
- Serena: VALENTINA PICCIONE
- Mabel: VALENTINA DEGIOVANNI
- Iris: FEDERICA GARGANO
- Goody: FILIPPO NANNI
- Tyrone:GIORDANO ORCHI
- Lamb: SIMONA GIORGIO
- Schlomo: LUCA DI NICOLANTONIO
- Mark: IVAN TRIMARCHI
- Grace: SARA GRECO
- Jack: MATTEO BOCCIARELLI

9 novembre 2009

Berliner Mauer (13 agosto 1961 - 9 novembre 1989)



Per fermare la fuga dalla dittatura il regime comunista della Germania Est iniziò la costruzione di un muro attorno ai tre settori occidentali nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 a Berlino Est. Inizialmente questo consisteva di filo spinato, ma già il 15 agosto iniziarono ad essere utilizzati gli elementi prefabbricati di cemento e pietra destinati a formare la prima generazione di un vero e proprio muro. Il muro divideva fisicamente la città; quando circondò completamente Berlino Ovest, trasformò in pratica i settori occidentali in un'isola rinchiusa entro i territori orientali (...)
La Germania Est sostenne che si trattava di un "muro di protezione antifascista" inteso ad evitare un'aggressione dall'Ovest. Fu chiaro sin dall'inizio che questa giustificazione serviva come copertura per il fatto che ai cittadini della Germania Est doveva essere impedito di entrare a Berlino Ovest e di conseguenza nella Germania Ovest (la Germania Est non controllava completamente il traffico tra Berlino Ovest e il resto della Germania Ovest (fonte Wikipedia)





cliccare sulle foto per ingrandirle

In effetti la DDR soffriva di una fuga in massa di professionisti e lavoratori specializzati che si spostavano all'ovest, per non parlare delle diserzioni dall'esercito. Con la costruzione del muro le emigrazioni passarono da 2.500.000 tra il 1949 ed il 1962 a 5000 tra il 1962 ed il 1989. Dal punto di vista propagandistico la costruzione del muro fu un disastro per la DDR e, in generale, per tutto il blocco comunista; divenne infatti un simbolo della tirannia comunista, specialmente dopo le uccisioni di chi aspirava alla libertà sotto gli occhi dei media, da notare che molti comunisti si erano schierati contro questa divisione e contro quello che i sovietici chiamavano socialismo reale.
(fonte Wikipedia)

8 novembre 2009

HUB Stelle del pensiero, resoconto della prima serata

Sono arrivato in ritardo, dal convegno di Alessandra Guarino, senza nemmeno ricordare il nome della via (ho chiesto al giornalaio un clivo e invece si trattava di una rampa, ma, insomma, sono arrivato in questo posto superfigo, ansimando, sudando, facendo le scale a quattro a quattro (scalini bassissimi, scala circolare) stavo per entrare a casa di un avvocato, (la porta era socchiusa, c'è mancato un pelo), poi ho visto l'ampio ingresso della shenker che ospitava la serata. Una ragazza (straniera?) mi è venuta incontro sorridendomi e facendomi il gesto di entrare, io entro, chiedo a bassa voce è inziato? e lei mi risponde, con lo stesso tono si, prego si accomodi. Un'accoglienza perfetta, mi sento importante. Mentre entro nella stanza, iena di gente che guarda il documentario su di uno schermo piatto sui 21 pollici in 16/9 Daniela mi viene incontro sorridendo, ci salutiamo, le sussurro sono in ritardo lei mi rassicura non ti preoccupare. La sensazione di benvenuto prosegue quando entro nella stanza tutti si prodigano per farmi accomodare, chi sposta una sedia, chi mi indica una poltrona dove sedermi, ci sono pochi uomini, di tutte le età, e moltissime donne, giovani e meno giovani. La stanza è elegante, sedie e mobili di alto design, su ogni sedia un modulo da compilare per essere informati delle prossime iniziative di Hub, ma la mia attenzione va subito al documentario. E' molto diverso da come me lo immaginavo. Molto meno gridato, urlato, incazzato, ironico, femminista di come me lo aspettavo. Lorella Zanardo oltre a fare delle osservazioni davvero profonde, acute, da saggio piuttosto che da documentario per il web, parla con una voce calma, pacata, lasciando all'evidenza delle scene che mostra in un'incessante successione, di parlare da sé, nella loro evidenza.

Lorella ha messo il documentario in rete. Prima di parlarne vediamocelo.





Oppure potete vedere il documentario sul blog Il corpo delle donne con connesso forum.
Attendo vostri commenti, per parlarne insieme.

Facile Mina, un brano al giorno (8)




Ma come mai non ridi più... (e via il clarinetto di Gabriele Comeglio che somiglia tanto al Sax soprano, sempre di Comeglio, in Noi soli insieme, da Leggera, che somigliano entrambi, uff, al sax soprano di Maurizio Gianmarco in brani quali >Amanti da Caterpillar)
...beccato con quell'aria da innocente (ecco i cori di merda di Massimiliano Pani che in 30 anni che ci ammorba con Mina non è ancora riuscito a imparare a farne di decenti... innumerevoli gli esempi: Questo piccolo grande amore da Sì buana che più che un coro sembra la parodia di un coro, o, senza scomodare il passato, cose ben più recenti, come Portati via da Bula bula





6 novembre 2009

Facile Mina, un brano al giorno (7)



Ma c'è tempo, tutto il tempo, per noi passa lento ti voglio e mi vuoi (peccato che io sia single, ma porcaputt!!!)

4 novembre 2009

Tristi tropici per la morte di Claude Lévi-Strauss

“Con il passare degli anni, ogni giorno di più provo la sensazione di usurpare il tempo che mi resta da vivere e penso che niente giustifichi più il posto che occupo ancora su questa terra», aveva dichiarato Claude Lévi-Strauss quattro anni fa, quando non ne aveva ancora novantasette. L’ultimo grande maestro del nostro tempo, l’autore di Tristi Tropici, del Pensiero selvaggio, del Crudo e il cotto, ma anche di quel meraviglioso compimento che è Guardare, ascoltare, leggere, il pensatore che ha segnato il Novecento mettendo in questione non solo la centralità della cultura occidentale, ma anche quella dell’uomo nel sistema vivente, forse voleva che, in quel sistema, la sua vita durasse cent’anni, ma non uno di più. Ne avrebbe compiuti centouno tra meno di un mese. È morto, forse non casualmente, nella notte dei Morti, l’unico rito precristiano e tribale che si celebri ancora oggi in tutto il mondo.

Avevamo festeggiato il suo centesimo compleanno, il 28 novembre dell’anno scorso, pubblicando una parte dei dialoghi avuti a Parigi anni prima. In quelle conversazioni lo avevamo interrogato anche sulla morte. La vedeva molto vicina, non se ne preoccupava affatto. Non gli poneva problemi metafisici, considerava troppo metafisico perfino Seneca, con la sua idea che la vita sia una meditatio mortis, una perenne preparazione alla morte. Lévi-Strauss, contemporaneo dell’esistenzialismo, andava più in là. La sua morale ultima, la sua dichiarazione di fede, era: niente è.

L’aveva ripresa da Montaigne, la ritrovava nel buddismo, di cui era stato curioso all’inizio della sua parabola intellettuale. Naturalmente, aggiungeva conversando nella grande casa parigina piena di libri e di antiche maschere tribali, per vivere bisogna fare come se le cose avessero un senso. Ma criticava perfino Sartre, che sosteneva la necessità di dare un senso alle cose. Sartre pensava che un senso alle cose lo si possa dare veramente, mentre Lévi-Strauss credeva che non ci si arrivi mai. Esistono solo due scelte: «O vivere la vita nel modo più soddisfacente possibile, e allora comportarsi come se le cose avessero un senso pur sapendo che in realtà non ne hanno nessuno: restare lucidi, lasciarsi portare, andare all’avventura. O altrimenti ritirarsi dal mondo, suicidarsi oppure condurre un’esistenza da asceta tra le foreste e le montagne».

In fondo, da giovane, aveva scelto la seconda opzione, quando nel 1935, dopo la laurea in filosofia, presagendo che la carriera accademica non gli sarebbe riuscita facile, era andato a vivere fra le tribù indie dell’Amazzonia e del Mato Grosso. Era stato compagno di studi di Simone de Beauvoir e Merleau-Ponty, ma la sua mente, polimorfa e multidisciplinare fin dall’infanzia, dedita alla pittura e alla musica quanto alla scrittura e alla lettura, era intollerante alle sistematizzazioni. Fu una duplice sconfitta al Collège de France a dargli quella straordinaria libertà di scrittura che fa di Tristi Tropici, dedicato al lungo soggiorno tra i Nambikwara, uno dei capolavori filosofici del Novecento.

La mente di Lévi-Strauss era votata al bricolage, analizzato nel Pensiero selvaggio, o al collage, dove oggetti e pensieri non contano per se stessi, ma per le reciproche relazioni. È lo spirito dello strutturalismo: tutto è linguaggio, dalla poesia al formicaio, alla Sonata.

I manuali parlano di lui come del fondatore dell’antropologia strutturale. Eppure, molte volte ha detto di sentirsi sollevato dalla fine della moda strutturalista degli Anni 70. La radice dello strutturalismo andava per lui cercata nel Settecento di Chabanon, un musicologo dimenticato che aveva anticipato Saussure. Anzi, aveva aggiunto, «andrei perfino oltre, fino ad affermare che i veri inventori della linguistica strutturale sono stati gli Stoici».

Questa capacità, da vero strutturalista, o da vero sciamano, di stabilire per ogni oggetto di studio relazioni e connessioni istantanee e multiple, gli derivava anche da immense letture. Conosceva la cultura classica quanto quella tribale, sfruttava contemporaneamente, sincronicamente e per così dire sinfonicamente le intuizioni dei filosofi greci e i sapienti castelli di carte dei filosofi tedeschi. Ma non voleva «neppure dare l’impressione che il suo lavoro fosse una filosofia». La sua intimità con la poesia era così grande da permettergli di percepire, quasi per sinestesia, i suoni come colori, di confrontare le Vocali di Rimbaud coi neri di Manet e questi con la «tastiera sincromatica» di un dimenticato autore del XVIII secolo, padre Castel. Lévi-Strauss vedeva nero il futuro ma traeva luce dal passato. Era avido di qualsiasi informazione gli venisse da questo sconfinato territorio, ormai così poco frequentato dalla modernità da renderlo quasi più selvaggio delle giungle del Brasile. Ad avvicinarci, a Parigi, era stata la sua curiosità per il mondo bizantino, un’Atlantide sommersa di cui aveva colto l’immensità, e di cui andava interrogando i riti, i miti, i colori.

«Odio i viaggi e gli esploratori»: così aveva scritto all’inizio di Tristi Tropici, citando Madame de Staël. Era naturalmente un paradosso. Un antropologo non può non essere un viaggiatore, viaggia per i continenti, per le culture, per gli argomenti, per le epoche. Ci dimostra quanto sia illusoria la differenza tra la civiltà e ciò che chiamiamo lo stato selvaggio. Ci spiega che anche dietro la più sofisticata delle usanze si nascondono tabù insondabili e paure ancestrali. Si potrebbe dire: che ne sarebbe di tutte le nostre incertezze, senza Lévi-Strauss? Per fortuna, attraverso il suo esempio e i suoi libri, Lévi-Strauss, anche se la scorsa notte dei Morti se ne è andato, varcando l’ultimo confine del suo viaggio, compiendo l’ultimo dei suoi riti di passaggio, resta con noi per sempre. Silvia Ronchey La Stampa del 4/11/09.

Ricordo una conversazione parigina, nel luglio del 2006, con Maria, la sua compagna Mano e la nostra amica comune Rosa. Si era fatta sera, eravamo in un giardino nei pressi degli Champs-Élysées e Maria, laureata in filosofia, commentava il relativismo culturale dicendo che era stata una sciagura e che aveva portato a gravi compromessi. Concordavo e le ricordavo, come esempio, le donne infibulate che partorivano in Italia le quali, per rispetto (Sic!) della loro cultura , venivano ricucite. Le dicevo anche che in realtà il relativismo culturale era stato frainteso perché non portava alla cancellazione dei valori ma, proprio in virtù del fatto che i valori non sono né innati né universali, suggeriva che i valori ci esprimono ci distinguono perché tra una molteplicità scegliamo proprio quelli e non altri, che, insomma, se i valori non sono uguali per tutti questo responsabilizza ancora di più le nostre scelte. Solo le religioni, la chiesa che pretendono di avere una ragione divina e dunque super umana hanno da ridire sul relativismo culturale e ne diffondono infatti la vulgata sciocca, cioè che il relativismo, nel dire che tutti i valori sono relativi e dunque uguali, porta a concludere che non esiste valore alcuno. E' un po' come quei cretini che in nome della democrazia accettano qualunque idea...
Maria mi guarda e mi dice che, anche se concorda con la mia lettura del relativismo, in realtà, quello filosofico e antropologico dice proprio quel che io criticavo. E mi cita Lévi-Strauss che aveva detto, in Tristi tropici, che nessuno può davvero capire una cultura se non ne fa parte e questo, secondo lei, precludeva ogni vero confronto culturale e isolava ogni gruppo di valori, di civiltà, in monadi autoreferenziali e non comunicanti il cui risultato era proprio che tutto è relativo.
Basta leggere le ultime affermazioni di Lévi-Strauss per rendersi conto del suo grande errore.
Dire che la vita è un barcamenarsi vivendola credendo che abbia un senso mentre un senso non ce l'ha. Dire che nulla è.
Non si rendeva conto Lévi-Strauss che è proprio il cercare un senso nella vita a non avere senso che attribuiamo al mondo inorganico un senso che solo la nostra vita autoconsapevole ha non già i quanto senso ma in quanto vita... E che invece di acettare la nostra fine con serenità spaventati dalla consapevolezza della morte una morte che non ha senso cerchiamo la stessa consapevolezza nel resto del mondo, organico e inorganico, e, non trovandola, perché non c'è, dubitiamo della nostra. Dimenticandoci che se nulla davvero fosse non potrebbe nemmeno essere il nostro dubbio, la nostra negazione e che quindi ci stiamo contraddicendo mentre lo diciamo.
Il senso che manca e che ci attanaglia al punto tale da volerlo estendere all'intero universo (almeno quel 5% che conosciamo, essendo il restante 95% fatto di materia oscura...) è quello della nostra morte. Siamo sempre lì.
E' inutile che Strauss dicesse di non avere paura di morire. Quando diceva che nulla è stava pensando all'assurdità della sua morte e al fatto che se le stelle sono indifferenti alla morte umana allora le stelle non esistono e nemmeno la vita.
Certo vivere per sempre sarebbe bello. Io come tanti (ma non tutti...) lo vorrei. Ma vaffanculo! Finché ci sono me la godo e dopo chissenefrega sarò morto.
Spero solo che la mia morte non sia dolorosa o miserabile, ma dignitosa, come quella di Frances. Un dormire andandosene. Pensando alle stelle che campano miliardi di anni ma non sanno nemmeno di esistere.
Ma Strauss naturalmente, era molto di più e c'è un'altra frase che quoto dal sito de L'unità con la aule vorrei chiudere questo post su di Lui
Non ho suggerimenti da dare a nessuno. Mi limito a ricordare che esistono due grandi virtù: la tolleranza e il rispetto per la diversità. È una lezione che abbiamo appreso a un prezzo molto alto e che non dovremmo mai dimenticare. Claude Levi Strauss






matrimonio e famiglia

Dimmi, perché lo stilema
il sintagma e l’idioletto
compaiono col fonema
in ogni tuo articoletto?
Perché ami tanto Jakobson
la metonimia e il significante
Claude Lévi-strauss and Sons,
il diacronico e il commutante?
Perché t’angoscia la differenza
tra fonetica e fonologia
E non puoi vivere senza Barthes e la semiologia?

(Ennio Flaiano, L’uovo di Marx. Epigrammi, satire, occasioni)
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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