Da
solo in scena Giovanni Bonacci ci restituisce il vissuto di un giovane uomo che
rivive il ricordo di un amore raccontato al pubblico come in un monologo
interiore.
Quasi una personalità multipla quella dell’io narrante in scena che dà voce, oltre al protagonista maschile, anche alla sua ragazza, con la quale intesse una storia altalenante di amore e rifiuto, di frequentazione e di oblio, ai commenti superficiali e giudicanti degli amici, invidiosi della storia d’amore e poi falsi consolatori quando la storia finisce, e a quelli arguti e attenti di un narratore che osserva e descrive.
Un amore che trova un nuovo modo di essere quando il ragazzo per riconquistare la fidanzata, persa il giorno in cui trova un nuovo lavoro, inizia a pubblicare su facebook le foto di quando stavano insieme dando così un nuovo corpo a quell’amore finito.
Un corpo virtuale, raccontato e messo in scena, proprio come il racconto che il pubblico vede a teatro.
Il testo, dello stesso Bonacci, è un tour de force dal quale l’attore esce a testa alta riuscendo a restituire emozioni e intenzioni dei vari personaggi che popolano una storia
che trova il suo vero nucleo nell’affabulazione narrativa, quella del testo teatrale e quella del protagonista che rivive la sua storia d’amore sul social network, un’affabulazione che è la stessa che sostiene ognuno e ognuna di noi quando vogliamo dare un senso a quel che ci succede nella vita e che cerchiamo di ri-raccontarci per dare un ordine, una forma, un motivo a un vissuto che la nostra vita non sempre ha.
Lo spettacolo si fa dunque riflessione sul nostro bisogno di raccontarci e raccontare e su come questo racconto, una volta intimo e privato, stia oggi assumendo una dimensione pubblica di rappresentazione che si sostituisce alla vita vera, per cui quel che conta non è più la funzione mediatrice del racconto, che restituisce un senso al nostro vissuto, ma la rappresentazione sociale di una vita che viene vissuta per essere raccontata. Meglio che esiste è c’è solo quando viene rappresentata.
La foto del martedì si declina dunque anche come un nuovo paradigma in quella costante indagine sui rapporti tra vita e teatro con una cifra elegante di scrittura e di interpretazione.
Avrebbe forse giovato allo spettacolo una regia esterna, non curata cioè dallo stesso interprete e autore, per diversificare sulla scena in maniera più articolata i vari livelli narrativi e di rappresentazione che, così come lo spettacolo è andato in scena, si distinguono solo grazie all’istinto dell’attore e poco per la messa in scena, non sufficientemente pensata.
Quasi una personalità multipla quella dell’io narrante in scena che dà voce, oltre al protagonista maschile, anche alla sua ragazza, con la quale intesse una storia altalenante di amore e rifiuto, di frequentazione e di oblio, ai commenti superficiali e giudicanti degli amici, invidiosi della storia d’amore e poi falsi consolatori quando la storia finisce, e a quelli arguti e attenti di un narratore che osserva e descrive.
Un amore che trova un nuovo modo di essere quando il ragazzo per riconquistare la fidanzata, persa il giorno in cui trova un nuovo lavoro, inizia a pubblicare su facebook le foto di quando stavano insieme dando così un nuovo corpo a quell’amore finito.
Un corpo virtuale, raccontato e messo in scena, proprio come il racconto che il pubblico vede a teatro.
Il testo, dello stesso Bonacci, è un tour de force dal quale l’attore esce a testa alta riuscendo a restituire emozioni e intenzioni dei vari personaggi che popolano una storia
che trova il suo vero nucleo nell’affabulazione narrativa, quella del testo teatrale e quella del protagonista che rivive la sua storia d’amore sul social network, un’affabulazione che è la stessa che sostiene ognuno e ognuna di noi quando vogliamo dare un senso a quel che ci succede nella vita e che cerchiamo di ri-raccontarci per dare un ordine, una forma, un motivo a un vissuto che la nostra vita non sempre ha.
Lo spettacolo si fa dunque riflessione sul nostro bisogno di raccontarci e raccontare e su come questo racconto, una volta intimo e privato, stia oggi assumendo una dimensione pubblica di rappresentazione che si sostituisce alla vita vera, per cui quel che conta non è più la funzione mediatrice del racconto, che restituisce un senso al nostro vissuto, ma la rappresentazione sociale di una vita che viene vissuta per essere raccontata. Meglio che esiste è c’è solo quando viene rappresentata.
La foto del martedì si declina dunque anche come un nuovo paradigma in quella costante indagine sui rapporti tra vita e teatro con una cifra elegante di scrittura e di interpretazione.
Avrebbe forse giovato allo spettacolo una regia esterna, non curata cioè dallo stesso interprete e autore, per diversificare sulla scena in maniera più articolata i vari livelli narrativi e di rappresentazione che, così come lo spettacolo è andato in scena, si distinguono solo grazie all’istinto dell’attore e poco per la messa in scena, non sufficientemente pensata.
LA FOTO DEL MARTEDI’
di e con Giovanni Bonacci
Aiuto Regia Enrica Nizi e Matteo Quinzi
Ass.ne Culturale
RUMORE DI FONDO TEATRO
Via di Monteverde 57/A Roma
7 e 8 Marzo Ore 20,30
9 marzo ore 17.30