Intanto svegliarsi e apprenderlo da Facebook, tra mille post frivoli e personali, è devastante.
Monicelli è morto.
Vado subito al link di
Repubblica e rimango disgustato da un altro esempio di pessimo giornalismo.
Il titolo:
Addio a Mario Monicelli
il regista suicida in ospedale.
Quel "suicida" sottolinea il gesto ma non le motivazioni.
Quelle sembrano essere riportate dal lungo catenaccio
"Se ne va l'ultimo grande del cinema italiano. Aveva 95 anni. Si è buttato da un balcone al quinto piano dell'ospedale romano San Giovanni, dove era ricoverato per un tumore in fase terminale. Le reazioni del mondo della cultura e delle istituzioni"
Insomma la notizia è che Monicelli ha deciso lui quando porre fine alla propria vita, una gran bella vita. Malato di un cancro in fase terminale ha detto basta a una morte doppiamente inevitabile, per sopraggiunta età e per la malattia terminale.
Invece nell'articolo si passa al pudore per il gesto, quasi fosse il risultato della senescenza, e non un coraggioso atto di volontà.
Addio a Mario Monicelli, l'ultimo grande del cinema italiano. Il regista, 95 anni, è precipitato dal quinto piano dell'ospedale romano "San Giovanni". E' accaduto intorno alle 21. Secondo fonti sanitarie, si è tolto volontariamente la vita.
Dunque non è precipitato, si è gettato...
Era ricoverato da qualche tempo nel reparto di urologia, per un tumore alla prostata in fase terminale. Era in una stanza da solo. Non è stato trovato alcun biglietto.
E certo! Un gesto talmente incomprensibile che un biglietto era proprio necessario. Capite la mente di questo giornalista (sic!) come è abituata al suicidio come gossip, un gesto del quale trovare una causa? Come se 95 anni di età e un cancro terminale alla prostata non fossero una motivazione più che sufficiente. Invece e di sottolineare la grandezza dell'uomo anche nella morte, scelta e non subita, si insinuano dubbi che sono tutti nella mente di chi scrive...
Il corpo è stato rinvenuto dal personale dell'ospedale, a pochi metri dall'ingresso del pronto soccorso, disteso in un vialetto, accanto ad alcune aiuole. Il reparto è presidiato dalle forze dell'ordine. Il padre del regista, Tomaso, scrittore e giornalista, si era suicidato, nel 1946.
Ed ecco la porcata finale. Tale padre tale figlio. Il suicidio è una eredità di famiglia, un male trasmesso dai genitori. Non una opzione di alta dignità etica, per decidere quando finire la propria vita, suggerendo, casomai, che bisognerebbe istituire il suicidio assistito perchè magari Monicelli invece di defenestrarsi poteva andarsene in un modo meno cruento (ma che coraggio! Che coraggio!). Macché
sucida come il padre.
Ladro come il padre. Mafioso come il padre.
Non vi viene da vomitare?
Tra l'altro, in una intervista a Vanity Fair, del 7 giugno 2007 (ma la fonte è
wikipedia...) Monicelli aveva parlato del suicido di suo padre inserendolo nell'orizzonte etico del proprio:
"Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre lo ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto".
Due minuti di ricerca su internet...
Un professionista onesto lo avrebbe fatto. Ma non ci sono più giornalisti onesti in questo paese. Nè cittadini. Ed ecco un terzo motivo per andarsene, vero Mario?!