16 novembre 2012

Pompini e poesia. Festival internazionale del film di Roma. Ottavo giorno

Tar (Usa, 2012) di  Edna Biesold, Sarah-Violet Bliss, Bruce Thierry Cheung, Gabrielle Demeestere, Alexis Gambis,Shruti Ganguly, Brooke Goldfinch, Omar Zuniga Hidalgo, Shripriya Mahesh, Pamela Romanowsky, Tine Thomasen, Virginia Urreiztieta con la supervisione di James Franco è presnetato su IMDB come A poetic look at author C.K. Williams' life over the course of 40 years. In realtà, sù di quattro linee temporali sulle quali il film si sviluppa, il presente con il poeta che declama suo versi, gli anni 70 quando il poeta vive con moglie e figlio, l'adolescenza, e la preadolescenza,  quello che rimane impresso sono i ripetuti pompini  che il giovane si fa fare (da ragazzine coetanee e da un puttanone negro, ma scappa da quella donna, finendo da solo, dietro una casa...), mentre i suoi versi  vagheggiano di quando si era puri o che tutti moriremo dopo l'incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island (dalla poesia Tar, che dà il tutolo al film). Un film insopportabile perchè incapace di mostrare lì'estro creativo poetico, (basta una macchina da scrivere elettrica? O la rabbia della mancanza di ispirazione che fa scagliare alcuni libri per terra?). Le poesie di Williams sono molto belle (leggete TAR per sincerarvene) ma questo dal film non si evince proprio. Williams appare un pompinomane mezzo frocio che invece di sbattersi la moglie superfiga passa le notti in giro a cercare l'ispirazione...
Il senso profondo del film, pare, è che il poeta che vagheggia sempre del passato a causa di questo non sta vicino a moglie e figlio finché non capisce però che anche loro sono importanti.
Se non è cunnilungus sono fellatio. Questo l'epitaffio della più brutta edizione del Festival da quando è nato, il cui demerito va a Muller che, invocando il rottamatore universale, spero proprio scompaia dalla faccia (feccia?)  della terra.
Vedendo film inutili e inconsistenti come questi vagheggio l'idea di costituire un sindacato sui diritti del tempo dello spettatore  Un film deve giustificare il tempo che chiede al suo spettatore  alla sua spettatrice, per essere visto, perché il tempo di tutti ha lo stesso valore e non si possono chiedere 72 minuti per sentire versi declamati come non vanno mai declamati con, l'enfasi di chi crede di dire verità universali.


Il film presentato come novità per essere un film collettivo in realtà meraviglia per l'uniformità di stile delle varie scene (dirette ognuna da uno dei registi delle registe firmatar*). L'unico vero pregio sono attori e attrici. La splendida Mila Kunis James Franco, ma, anche, la sua versione ventenne, Henry Hopper, figlio di Dennis,  che con Franco ha già lavorato in un suo corto e che molti ricorderanno, biondissimo, nell'ultimo film di Van Sant Restless (L'amore che resta) del 2011.


Cosimo e Nicole (Italia, 2012) di Francesco Amato è il quinto film a presentare un cunnilungus, tratto distintivo di questa settima edizione del Festival. Improvvisamente si è scoperto che la fica è buona anche da leccare, questa sembra essere la più grande verità impartita in questo Festival. Cosa verissima ma io non ne parlerei in giro... Al limite la leccherei. E basta.
Il film ha una bellissima scena in cui ricostruisce i disordini di Genova, quando la polizia ha potuto finalmente dimostrare di cosa è capace l'Italia. La solidarietà lascia però subito il posto a una storia di scrupoli morali per un nero migrante clandestino creduto morto e abbandonato per non correre guai che poi si scopre essere in coma no è vivo e non si è fatto niente  Allora i due ragazzi lo portano a Bruxelles e lì vengono arrestati per introduzione nel paese di clandestino (non per il furto del furgone, non è per omissione di soccorso e tentato omicidio perché abbandonare un ferito è tentato omicidio). Il tutto raccontato dal carcere a non si sa bene chi (e il film non ce lo dice) con dei lunghi flashback, talmente lunghi che la struttura narrativa non è affatto giustificata e al film avrebbe giovato un raccorto lineare senza sapere dove la storia li avrebbe condotti. Molte ingenuità nella sceneggiatura per un film che non riesce ad emanciparsi dall'immaginario collettivo televisivo (non a caso sceneggia Daniela Gambaro che ha lavorato a I Liceali II, allora tutto si spiega...). Dispiace questa inconsistenza dello sguardo della macchina da presa che sente il bisogno di poggiare su una trama per raccontare i momenti di una storia d'amore, di un paese, di una cultura dell'illegalità (con inferenze ambigue: il tipo che soccorre Nicole a inizio film quando è stata presa a manganellate in testa e chiama un medico amico suo perché se la porta in ospedale sa che verrà arrestata è poi lo stesso che decide di abbandonare il lavoratore nero caduto dall'impalcatura e addirittura arrivare a volersene sbarazzare quando questi riemerge dal coma come per miracolo, come a dire non c'è differenza tra resistenza civile e illegalità...)  dove il lieto fine alla festa dei fratelli neri dell'incidentato è troppo smaccatamente pittoresco ed esotico e tradisce l'innato razzismo italiano. Peccato perché il film è meno ideologico di altre opere italiane (Alì ha gli occhi azzurri da questo punto di vista molto più  razzista) e perché  come film tv avrebbe anche un suo senso. Ma l'uscita in sala è del tutto ingiustificata.


Dedali animati è l'ultima sèance che ho visto al Maxxi che ha proposto alcuni corti di animazione. I più interessanti quelli di Pino Zac
HOMO HOMINI LUPUS, 1967  HOMO TELESAPIENS Pino Zac, 1968
IL DITO DELL’AUTORITÀ Pino Zac, 1969 e  RADICE QUADRATA Pino Zac, 1969 (10’),
nei quali Zac critica con ferocia iconoclasta la società contemproanea, dalle pubblcità alla tv, dalla finanza al potere costituito con ironia ma senza sconti. Necessari.
Meno interessanti èe più datati il resto dei corti proposti.  retorici e paternalistici quelli di Manfredo Manfredi LA SPACCATA Manfredo Manfredi e Guido Gomas, 1967,  K.O. Manfredo Manfredi, 1969, LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA Manfredo Manfredi, 1971 e DEDALO Manfredo Manfredi, mentre del tutto non interessante, intellettualistico paternalista e vagamente destrorso IL SEGRETO DI VIA SATERNA dai disegni di Dino Buzzati per la regia di Renato Mazzoli, 1970.

Eterno ritorno (Ucraina, 2012) di Kira Muratova condivide la stessa poetica de La danza di Deli. Stavolta si tratta di vari provini di stesse scene, ripetuti più volte,  per un film interrotto per la morte del regista e mostrati alla persona che può decidere se continuare  a produrlo o no. Tra bianco e nero dei provini e il colore della realtà, il film spiazza, diverte, annoia e a differenza de La danza di Deli è squisitamente cinematografico, nelle riprese, nella recitazione, nelle scenografie, nel rècit.



El ruido de las estrellas me aturde (t.l il rumore delle stelle mi assorda)  (Argentina, 2012)
di Eduardo Williams appartiene a quell'estetica perniciosa del frammento post youtube che, chissà perché, chissà come, dovrebbe fare film, di per sé. Così non è.
E nemmeno il film è.



Avanti Popolo (Brasile, 2012) di Michale Warhmann comincia faticosamente seguendo il crinale dell'estetica youtube distaccandosene presto per allestire un film personalistico su un fatto privato che appartiene alla storia di eccidi della dittatura brasiliana. Conclusa la storia on l'ultima donna un figlio torna a casa del padre che vive passivamente in attesa da 30 del ritorno di uin figlio ucciso dalla dittatura. nemmeno alcuni super8 ritrovati dal figlio superstite risveglino il padre da questa apatia (Anche seppure il figlio non  da meno... Quando la padre scompare il cane Balena il figlio non batte ciglio)  . Il film si conclude con le lacrime sofferte del vecchio che dice di non saper più vedere e che tutto è grigio.  
Stile asciutto, ellittico, che non riferisce ma accenna, però vero e struggete, e esilarante in alcune sequenze (come quella dell'amico cineasta seguace di dogma 2002 che ridoppia sequenze di film già esistenti...). La colonna sonora alcune canzoni di impegno nella cultura brasiliana, ascoltate in un programma radio. Tra queste anche avanti popolo che il conduttore radiofonico canta personalmente il disco essendo rovinato e non suonabile... Metafora dell'impegno pilitic, dell'individualismo che ci ha travolto tutt* mentre l'unico impegno praticabile sembra quello del mantenimento della memoria collettiva  e personale.

Un Enfant de Toi (Francia, 2012) di Jacques Doillon è un film che molti connazionali non gradiranno perché impossibilitati a capire una storia che pedina i protagonisti, tampinandoli mentre si inseguono in un gioco della seduzione e del ricordo, tra retoriche alto borghesi e spiazzanti verità detto da bambine tanto sagge quanto piccole (d'età).  Un film che sa restituire quella sacralità laica al matrimonio che molti pretendono abbia perso e relegano solo al matrimonio religioso. Qui invece la figlia settenne sposa simbolicamente i genitori precedetemene separati e rimessisi insieme sulla spiaggia d'inverno. Una figlia di sette anni lucida che si scoccia che la madre, con la quale vive, dividendo i fine settimana col padre e la sua compagna (quella che ha causato la separazione)  rimanga a dormire da lui, perché ha accettato la separazione dei genitori e comprende che entrambi hanno vite con altre persone (di a Gaelle che se vuole può rimanere a dormire dice la figlia al padre sulla sua compagna) ma che non sopporta bugie o falsità. Un film impensabile per un paese biogtto e reazionario come l'Italia dove infatti non è stato capito.
Perle ai porci. 
Nel ruolo del nuovo compagno della madre Malik Zidi, ormai cresciuto, che ricorderete ai tmepi di Gocce d'acqua su pietre roventi di Ozon dell'ormaio lontano 2000.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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