2 ottobre 2013

Ancora sulla pubblicità e Guido Barilla. Uno splendido articolo di Antonella Valoroso


UN bellissimo articolo su la 27ora del corsera che riporto integralmente per la gioia di leggere un commento intelligente e colto.

E aveva provato a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste

Quando la pubblicità Barilla, con Mina, raccontava altre storie



Anche Dario Fo ha provato a ricordarlo nell’appello lanciato qualche giorno fa su change.org.
C’è stato un tempo in cui l’azienda emiliana –sotto la guida illuminata di Pietro Barilla (1913-1993)- non solo ha incarnato un’idea di Italia in cui tutti potevano riconoscersi ma ha anche scelto consapevolmente di guardare in avanti, provando a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste.
Da allora sono passati quaranta o al massimo cinquant’anni. Ma sembrano secoli se proviamo a confrontare scelte di campo e modalità di narrazione.
Basta guardare questa breve clip per rendersene conto:

Che effetto vi fa (ri)guardare questa pubblicità?
Si tratta di uno spot del 1967 e nel messaggio promozionale è presente un’autentica rivoluzione linguistica e culturale: non solo Mina si rivolge alla spettatrice con il tu, ma la invita a preparare la pasta per il suo uomo e per i suoi ragazzi, non per suo marito e i suoi figli. E allora come oggi la mente corre da una parte al titolo di uno dei più grandi successi della cantante – È l’uomo per me (1964)- e dall’altra alle vicende personali che fecero dell’artista un simbolo di emancipazione femminile.

Mina, la più trasgressiva, moderna e sexy delle celebrità degli anni Sessanta, era stata ingaggiata come testimonial dall’azienda emiliana nel 1965: un anno di svolta per la sua carriera. La cantante venticinquenne era infatti appena rientrata in televisione dopo esserne stata bandita per più di un anno a causa della sua relazione irregolare con l’attore Corrado Pani, all’epoca già sposato.
In un’Italia in cui il divorzio non esisteva e i modelli familiari tradizionali non sembravano ammettere eccezioni, Mina aveva deciso di rendere pubblica sia la relazione con Pani che la sua gravidanza -il 18 aprile 1963 era nato il figlio Massimiliano- e aveva pagato a caro prezzo la propria scelta con l’ostracismo da parte della televisione di stato (l’unica, peraltro, esistente in quegli anni). La maggioranza del pubblico, però, rimase dalla sua parte e questo diede al suo rientro il sapore di un trionfo.
Nel 1965 la popolarità di Mina era alle dunque alle stelle, eppure ingaggiarla come testimonial fu una scelta di marketing abbastanza azzardata.
Cosa c’entrava Mina con la pasta, la casalinga e la famiglia tradizionale italiana? Poco o nulla.
Mina rappresentava però un modello di donna moderna e indipendente. E sceglierla come testimonial dimostrò che la Barilla intendeva farsi interprete del cambiamento in atto nella società proprio in un momento storico in cui il paese reale era lontano anni luce dal paese legale. Fu una scelta fatta con stile e ironia –gli spot girati con Mina dal ’65 al ’70 sono lì a ricordarcelo- ma fu un contributo non trascurabile a quella trasformazione della mentalità italiana che avrebbe portato il paese verso la grande stagione delle riforme degli anni 70:
approvazione delle legge sul divorzio e sull’aborto, riforma del diritto di famiglia, legge sulle pari opportunità.
La collaborazione di Mina con l’azienda emiliana sarebbe andata avanti fino al 1970. Nei primi anni ‘70, però, con l’avvento della crisi economica, il prezzo della pasta viene calmierato e l’azienda è costretta a ridimensionare drasticamente il proprio budget promozionale.
L’investimento nella comunicazione fatto negli anni ’60 lascerà tuttavia un’impronta durevole nel costume e nei consumi degli italiani.
E così gli anni ’80 segneranno non solo l’uscita dalla crisi ma anche, complice la vittoria degli azzurri al campionato del mondo di calcio del 1982, la consacrazione della pasta come icona culturale e gastronomica dell’Italia dentro e fuori i confini nazionali.Ripensando alle polemiche dei giorni passati, sarebbe stato bello se, durante la famigerata intervista con La Zanzara, l’attuale presidente dell’azienda Guido Barilla, piuttosto che cadere nelle trappole dei conduttori della trasmissione radiofonica, si fosse ricordato di una bella campagna a stampa.


Era il 1984 e -per la prima volta in una pubblicità della pasta- si vedeva una donna seduta a tavola per gustare il cibo e non in piedi nell’atto di offrirlo a qualcun altro. Certo, sembrerebbe che l’unico a mangiare sia lui, ma –dopo un decennio di lotte e di riforme fondamentali per la parità di genere e i diritti delle donne- uomo e donna erano collocati sullo stesso livello.
Almeno nello spazio ideale della pubblicità.

*Nota dell’autrice: Ho studiato a fondo la rappresentazione della donna nella comunicazione pubblicitaria della Barilla tra anni ’50 e anni ’60 lavorando sui materiali dell’Archivio Storico Barilla di Parma, cui appartengono anche tutti i materiali fotografici utilizzati in questa sede. Il testo completo della mia ricerca -“A Kitchen with a View”. Female Role-Models and Gender Relations in Barilla Advertising Campaigns of the 1950s and 1960s- sarà presto disponibile negli atti del convegno Italian Food: Fact and Fiction, London, Berg Publishers, 2014.
Link al programma della conferenza [http://www.foodconference.it/schedule/]

Lo spot fallocratico dei Fonzies: ovvero Boldrini ha ragione da vendere!

Così mentre le scuse blande e parziali di Guido Barilla hanno placato gli animi sul boicottaggio della sua pasta (che bisogna continuare a non comprare come minimo perchè il gruppo di minoranza dell'asset proprietario fabbrica armi) scuse parziali che non gli fanno prendere le distanze dalle affermazioni contro la Presidente della Camera Laura Boldrini, quarta carica dello Stato, che per Barilla di può esprimersi circa il maschilismo di certe pubblicità perchè incompetente, ecco una pubblicità che non solo conferma le preoccupazioni della Presidente ma le rende ancora più urgenti.




Il blog Un altro genere di comunicazione ne fa una lettura interessante della quale riporto alcuni passaggi fondamentali

La sessualizzazione dei ragazzini attraverso pubblicità e media avviene per entrambi i sessi, con la differenza che per i giovani maschi si rimanda ad una sessualità attiva, agita; per le giovani femmine, invece, ad una sessualità che rimanda al grado di appetibilità raggiunto e allo sguardo esterno e giudicante su di sé. Non si stupirebbe nessuno, infatti, di ritrovare una dodicenne in una pubblicità alle prese con le sue tette che crescono e con le paturnie conseguenti agli sguardi (o non sguardi) dei coetanei maschi. Ma nell’immaginario collettivo l’organo sessuale femminile è un tabù e viene circondato da un’aurea di sacralità, scollegandolo dalla sessualità attiva e dalla sua funzione di godimento. Il rapporto di un bambino ( poi ragazzo, poi adulto ) con i suoi genitali è impostato sull’esteriorità: esterni i genitali, esterno l’uso e il commento che se ne fa. Esposizione costante, valutazioni collettive. E se viene trovato a masturbarsi, è normale, gli si lascia il suo tempo. Un neonato maschio che si tocca i genitali viene trattato teneramente. Una neonata femmina non deve, fin da piccolissima le si tolgono le mani “di lì”. La vagina, la vulva, la fica nemmeno si nomina, nemmeno si sa che c’è. La bambine non sanno nemmeno com’è fatta, perché non essendo lì fuori, pronta alla vista, in pochissimi genitori spiegano l’anatomia del corpo femminile o suggeriscono le acrobazie con gli specchietti per conoscersi meglio. E’ interiore. Non interna (che anche le donne hanno i genitali esterni), ma proprio interiore. Da mettere vicino ai sentimenti, legando sessualità ed emotività femminile come invece non viene proposto ai bambini, ragazzi, uomini. Non si può nominare in un Parlamento, non se ne può discutere tra amiche senza creare reazioni pruriginose, non se ne può parlare senza uomini che ti insegnino come farlo.

Mimosa Pale, artista finlandese, invita i suoi cittadini ad arrampicarsi nella sua vagina. Ha infatti scolpito un’enorme vagina sul calco della propria e ne ha ricoperto una bicicletta sui cui su cui si può pedalare, assistendo all’esteriorizzazione totale dei genitali femminili. Il senso dell’opera, chiaramente ironica e dissacratoria, vuole essere quello di esporre talmente tanto la vagina da non poterla evitare, non poterla negare, relegare a imbarazzo e ignoranza, come succede in questo mondo pieno di adulazioni falliche.


Io vorrei soffermarmi invece su alcuni aspetti dello spot che restituiscono l'antropologia della sessualità nell'Italia del terzo millennio non così lontana da quella patriarcale e contadina di cui parava Pasolini.


il contesto

Il contesto è rurale, un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti. Lontano dalla città cosmopolita e metrosexual.

A dare pubblicità dei due centimetri in più è un Ape con i megafoni quello che in città oggi sopravvive solo per l'arrotino.

L'età, il sesso, il lavoro e la sessualità

Nello spot, ad esclusione della mamma di Andrea, ci sono solo adolescenti e persone anziane.

Il discorso sul sesso è dunque fatto da persone che al sesso alludono ma che il sesso non agiscono, non ancora o non più.

Il doppio senso non è caricato di alcuna potenzialità ses(n)suale.

Andrea è ancora un brutto anatroccolo e non un ragazzino già sessualmente desiderabile come pure ci sono in altri spot.















A differenza della ragazz(in)a che viene fatta rientrare in casa non solo perchè innocente altrimenti non potrebbe cogliere il discorso sul sesso ma proprio perchè potrebbe coglierlo.

L'interdizione è per la signorina in età da sesso.

Il discorso sui due centimeri che alludono al fallo viene fatto da un preadolescente ingenuo (è l'unico a non avere colto il doppio senso tant'è che alla fine dello spot ribadisce il significato letterale che riguarda il fonzies più lungo, tenendolo in mano, mostrandolo e annuendo per ribadire il concetto) e che dunque ancora non si masturba.

Può dunque avere ancora come interlocutrice la madre alla quale comunica un messaggio senza malizia del quale ignora il portato sessuale.

Portato sessuale che la madre capisce benissimo naturalmente ma non come sessualità agita bensì come sessualità simbolica.

La crescita del pene implica la mancanza di uno sviluppo completo e dunque è ancora una questione di donne che allevano la prole, maschile quanto femminile.

Potrebbe essere cresciuto in altezza e invece no gli è cresciuto l'uccello.

Per evitare cortocircuiti tra l'orgoglio  femminile di genitrice con quello di donna che apprezza il membro maschile in termini sessuali lo spot mostra una mamma.


Una mamma che non fa niente. Nemmeno i lavori donneschi della cucina ma sta al telefono.

La mamma riferisce a sua volta la notizia a sua madre che sta capando i fagiolini.



Ed è la (d)(n)onna a dare la notizia al paese. Ma chi la ascolta?

Gli uomini pensionati che non hanno un cazzo da fare proprio come la madre e giocano a carte, sublimando il sesso in una partita di scopa, e che si complimentano per il maschio che sarà sessualmente attivo ma ancora non lo è, loro che sessualmente attivi non sono più.

C'è anche un bambino colpito dalla notizia che comunque sa che prima o poi succederà anche a lui la stessa cosa.



E che guarda infatti speranzoso più che invidioso.

Non tutti gli anziani dello spot sono inattivi perchè pensionati.


Un uomo fisicamente - poco attraente secondo i canoni standard  - esce dal bar portando sottobraccio quello che sembra un casco(?) un portiere che trova la cosa esagerata, si sa che i vecchi sono sempre restii ai cambiamenti...



e un barbiere e un suo cliente invidiosi (beato lui...)




...una invidia di chi sa che anche gli crescesse l'equipaggiamento non saprebbero pi come usarlo oppure, più sottilmente, non saprebbero con chi usarlo.

Se mancano i maschi giovani o adulti, comunque sessualmente attivi è per scongiurare (censurare?)  il portato implicito omoerotico che quando un maschio apprezza la crescita del membro di un altro maschio è sempre in ballo.

A ben vedere il motivo più profondo dello stigma omosessuale è che l'omosessualità rende concreta ed esplicita quella simpatia simbolica tra maschi dotati di pene.
Una simpatia dettata dal potere e non dal desiderio desiderio che quel potere mina perchè rende esplicita la contraddizione di fondo che il fallocentrismo non può permettersi: la totale non necessità della donna.


Esautorata da ogni gestione del potere nonostante il potere procreativo sia suo  e non del maschio

La donna è la porta che mette in contatto il qui con un altrove da cui tutte veniamo e a cui tutte torniamo talmente potente che l'uomo ha esautorato la donna da quel potere iscrivendolo in una sacralità (la stessa cui fa riferimento Barilla) che di fatto toglie alla donna ogni gestione e controllo.

Sacralizzata la porta diventa il contenitore dello sperma maschile, nell'antichità l'unico principio attivo e vitale (la donna essendo solo un incunabolo). 

Luogo dell'incontro di un potere maschile il ventre materno con la cultura giudaico cristiana diventa è un ventre gestatorio dal quale nasce il figlio di dio (ma la madonna resta vergine prima durante e dopo) un ventre simbolico, una funzione, un oggetto non un soggetto.

I maschi non possono fare sesso tra di loro perchè non essendo tra di loro fertili ricordano che il vero potere sta in quel femminile messo tra parentesi dalla sacralità.
Se due maschi fanno sesso tra di loro si auto-esautorerebbero dal potere lasciandolo alle donne.

Ecco il vero cuore di tutto il patriarcato da quello precedente l'era giudaico-cristiana a quella cattolica dove si insiste tanto sulla famiglia come famiglia che procrea, per giustificare questa divisione del potere: la donna asservita all'uomo senza possibilità di autoemancipazione alcuna.

L'unica eccezione a questo potere performativo del pene ingravidante (dalla quale nessun maschio si può sottrarre) è quella del prete che pur essendo potenzialmente ingravidante è casto raggiungendo il massimo dei poteri magnanimi di chi ha un potere e non lo usa. Proprio come si chiede di fare agli omosessuali il cui peccato non è l'omo-affettività ma l'omo-sessualità...

Per tornare allo spot al di là del fallocentrismo spiazzante nella sua mancanza di pudore colpisce questa idea vetusta che il sesso riguardi solo una fascia giovanile adulta che è ancora ferma a quell'idea rurale, patriarcale e contadina di sesso degli anni 50, prima del passaggio alla società post industriale, come ha saputo ben individuare Pasolini ai tempi del boom.
Beninteso l'idea sublimata e codificata nei racconti nei film e nelle foto, non quella concreta dove i nonni scopano le e i nipoti...


Interessante notare come questo spot sia chiaro per tutte nei suoi riferimenti impliciti nonostante la società reale sia molto distante da questa dove i vecchi sesso lo fanno (basta vedere Berlusconi) le vecchie no ma le donne ancora non contano un cazzo nei mass media eppure...
Ecco come gli spot sostengono, diffondono e rielaborano vecchi immaginari collettivi con il loro portato ideologico poco importa se e quanto questi modelli corrispondano alla società reale.

Questo per rispondere a quante in questi giorni a proposito degli spot Barilla senza gay hanno risposto che gli spot seguono le regole oggettive del marketing e che non vanno letti in senso politico o ideologico.
Che cioè se le pubblicità sono reazionarie è perchè lo è la società.

Questo spot dimostra come l'orizzonte ideologico di uno spot è scelto dalle pubblicitarie secondo una precisa strategia di comunicazione che non è necessariamente scritta nella realtà contemporanea ma in un immaginario collettivo che tutte possediamo anche se vetusto e sorpassato.

E che dire che le pubblicità si limitano a restituire la realtà per quel che è, è una affermazione stra ideologica oltre che risibile e discutibile.

Ognuna di noi coglie questi segni che hanno perfettamente senso tanto da non da dover essere esplicitati o spiegati. 

E quando una comunicazione massmediale è implicita e non abbisogna di spiegazioni si fa indottrinamento puro perchè si confermano con il meccanismo dell'ovvio (di quello cioè che è talmente tacito per tutte da non dover essere spiegato) ideologie che la società, quella reale ha invece magari già messo in discussione, nelle pratiche legislative, nelle pratiche sociali, e anche in certa letteratura o certa cinematografia meno di massa e di consumo quotidiano come uno spot.

Alla faccia di pseudogiornaliste come Naso che sul Fatto quotidiano conciona sulla pubblicità dicendo che non ha alcun impatto sul modo di pensare delle persone cui è rivolta.

Alla faccia di chi, seguendo una ideologia castrante, pretende sia solo uno spot.

Infine ritorno anche io al bel post del sito Un altro genere di comunicazione
quando si dice
Per evitare commenti del club “ma fatevela una risata“, sempre più in crescita: hahahahahaha. Fatto.
L’ironia bisogna saperla cogliere.
 Ecco.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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