UN bellissimo articolo su la 27ora del corsera che riporto integralmente per la gioia di leggere un commento intelligente e colto.
E aveva provato a immaginare e raccontare una società in via
di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come
massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste
Quando la pubblicità Barilla, con Mina, raccontava altre storie
Anche Dario Fo ha provato a ricordarlo nell’appello lanciato qualche giorno fa su change.org.
C’è stato un tempo in cui l’azienda emiliana –sotto la guida illuminata di Pietro Barilla (1913-1993)- non solo ha incarnato un’idea di Italia in cui tutti potevano riconoscersi ma ha anche scelto consapevolmente di guardare in avanti, provando a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste.
Da allora sono passati quaranta o al massimo cinquant’anni. Ma sembrano secoli se proviamo a confrontare scelte di campo e modalità di narrazione.
Basta guardare questa breve clip per rendersene conto:
Mina, la più trasgressiva, moderna e sexy delle celebrità degli anni Sessanta, era stata ingaggiata come testimonial dall’azienda emiliana nel 1965: un anno di svolta per la sua carriera. La cantante venticinquenne era infatti appena rientrata in televisione dopo esserne stata bandita per più di un anno a causa della sua relazione irregolare con l’attore Corrado Pani, all’epoca già sposato.
In un’Italia in cui il divorzio non esisteva e i modelli familiari tradizionali non sembravano ammettere eccezioni, Mina aveva deciso di rendere pubblica sia la relazione con Pani che la sua gravidanza -il 18 aprile 1963 era nato il figlio Massimiliano- e aveva pagato a caro prezzo la propria scelta con l’ostracismo da parte della televisione di stato (l’unica, peraltro, esistente in quegli anni). La maggioranza del pubblico, però, rimase dalla sua parte e questo diede al suo rientro il sapore di un trionfo.
Nel 1965 la popolarità di Mina era alle dunque alle stelle, eppure ingaggiarla come testimonial fu una scelta di marketing abbastanza azzardata.
L’investimento nella comunicazione fatto negli anni ’60 lascerà tuttavia un’impronta durevole nel costume e nei consumi degli italiani.
E così gli anni ’80 segneranno non solo l’uscita dalla crisi ma anche, complice la vittoria degli azzurri al campionato del mondo di calcio del 1982, la consacrazione della pasta come icona culturale e gastronomica dell’Italia dentro e fuori i confini nazionali.Ripensando alle polemiche dei giorni passati, sarebbe stato bello se, durante la famigerata intervista con La Zanzara, l’attuale presidente dell’azienda Guido Barilla, piuttosto che cadere nelle trappole dei conduttori della trasmissione radiofonica, si fosse ricordato di una bella campagna a stampa.
Era il 1984 e -per la prima volta in una pubblicità della pasta- si vedeva una donna seduta a tavola per gustare il cibo e
non in piedi nell’atto di offrirlo a qualcun altro. Certo, sembrerebbe
che l’unico a mangiare sia lui, ma –dopo un decennio di lotte e di
riforme fondamentali per la parità di genere e i diritti delle donne-
uomo e donna erano collocati sullo stesso livello.
Almeno nello spazio ideale della pubblicità.
C’è stato un tempo in cui l’azienda emiliana –sotto la guida illuminata di Pietro Barilla (1913-1993)- non solo ha incarnato un’idea di Italia in cui tutti potevano riconoscersi ma ha anche scelto consapevolmente di guardare in avanti, provando a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste.
Da allora sono passati quaranta o al massimo cinquant’anni. Ma sembrano secoli se proviamo a confrontare scelte di campo e modalità di narrazione.
Basta guardare questa breve clip per rendersene conto:
Che effetto vi fa (ri)guardare questa pubblicità?Si tratta di uno spot del 1967 e nel messaggio promozionale è presente un’autentica rivoluzione linguistica e culturale: non solo Mina si rivolge alla spettatrice con il tu, ma la invita a preparare la pasta per il suo uomo e per i suoi ragazzi, non per suo marito e i suoi figli. E allora come oggi la mente corre da una parte al titolo di uno dei più grandi successi della cantante – È l’uomo per me (1964)- e dall’altra alle vicende personali che fecero dell’artista un simbolo di emancipazione femminile.
Mina, la più trasgressiva, moderna e sexy delle celebrità degli anni Sessanta, era stata ingaggiata come testimonial dall’azienda emiliana nel 1965: un anno di svolta per la sua carriera. La cantante venticinquenne era infatti appena rientrata in televisione dopo esserne stata bandita per più di un anno a causa della sua relazione irregolare con l’attore Corrado Pani, all’epoca già sposato.
In un’Italia in cui il divorzio non esisteva e i modelli familiari tradizionali non sembravano ammettere eccezioni, Mina aveva deciso di rendere pubblica sia la relazione con Pani che la sua gravidanza -il 18 aprile 1963 era nato il figlio Massimiliano- e aveva pagato a caro prezzo la propria scelta con l’ostracismo da parte della televisione di stato (l’unica, peraltro, esistente in quegli anni). La maggioranza del pubblico, però, rimase dalla sua parte e questo diede al suo rientro il sapore di un trionfo.
Nel 1965 la popolarità di Mina era alle dunque alle stelle, eppure ingaggiarla come testimonial fu una scelta di marketing abbastanza azzardata.
Cosa c’entrava Mina con la pasta, la casalinga e la famiglia tradizionale italiana? Poco o nulla.Mina rappresentava però un modello di donna moderna e indipendente. E sceglierla come testimonial dimostrò che la Barilla intendeva farsi interprete del cambiamento in atto nella società proprio in un momento storico in cui il paese reale era lontano anni luce dal paese legale. Fu una scelta fatta con stile e ironia –gli spot girati con Mina dal ’65 al ’70 sono lì a ricordarcelo- ma fu un contributo non trascurabile a quella trasformazione della mentalità italiana che avrebbe portato il paese verso la grande stagione delle riforme degli anni 70:
approvazione delle legge sul divorzio e sull’aborto, riforma del diritto di famiglia, legge sulle pari opportunità.La collaborazione di Mina con l’azienda emiliana sarebbe andata avanti fino al 1970. Nei primi anni ‘70, però, con l’avvento della crisi economica, il prezzo della pasta viene calmierato e l’azienda è costretta a ridimensionare drasticamente il proprio budget promozionale.
L’investimento nella comunicazione fatto negli anni ’60 lascerà tuttavia un’impronta durevole nel costume e nei consumi degli italiani.
E così gli anni ’80 segneranno non solo l’uscita dalla crisi ma anche, complice la vittoria degli azzurri al campionato del mondo di calcio del 1982, la consacrazione della pasta come icona culturale e gastronomica dell’Italia dentro e fuori i confini nazionali.Ripensando alle polemiche dei giorni passati, sarebbe stato bello se, durante la famigerata intervista con La Zanzara, l’attuale presidente dell’azienda Guido Barilla, piuttosto che cadere nelle trappole dei conduttori della trasmissione radiofonica, si fosse ricordato di una bella campagna a stampa.
*Nota dell’autrice: Ho studiato a fondo la
rappresentazione della donna nella comunicazione pubblicitaria della
Barilla tra anni ’50 e anni ’60 lavorando sui materiali dell’Archivio
Storico Barilla di Parma, cui appartengono anche tutti i materiali
fotografici utilizzati in questa sede. Il testo completo della mia
ricerca -“A Kitchen with a View”. Female Role-Models and Gender
Relations in Barilla Advertising Campaigns of the 1950s and 1960s- sarà
presto disponibile negli atti del convegno Italian Food: Fact and
Fiction, London, Berg Publishers, 2014.
Link al programma della conferenza [http://www.foodconference.it/schedule/]