La stampa pubblica una sua intervista nella quale apprezzare la cultura, l'esprit de finesse, e l'ottimismo sui giovani, alla sua veneranda età.
Come sta Cesira, la signorina milanese snob?Ma mi piace (ri)proporvi la Franca con la nostra Mina...
«Benissimo, in gran forma. Lo snobismo ridicolo non muore mai».
E la sora Cecioni, la popolana romana coi bigodini in testa, sempre al telefono con mammà?
«Lei è tranquilla, perché di mezze calze che si prendono sul serio e su cui ironizzare è piena l’Italia. Roma in particolare».
Che cosa le dà più fastidio dell’Italia di oggi?
«Facciamo prima a dire cosa non me ne dà. La maleducazione, l’arroganza e la stupidità sono arrivate a livelli insuperabili».
Una cosa, una soltanto, che le piace?
«I giovani. Forse c’è una percentuale che, non per colpa sua ma dei modelli che ha davanti, è diventata insopportabile. Ma la grande maggioranza è gradevole: vale la pena provare in tutti i modi a farli crescere bene».
Quale autore vorrebbe ancora portare in palcoscenico?
«Ho un desiderio profondo, da attrice e da regista: mettere in scena una commedia di Feydeau. L’albergo del libero scambio, Occupati d’Amelia, Sarto per signora, c’è l’imbarazzo della scelta. I suoi dialoghi sono la perfezione, mi hanno insegnato a scrivere. I suoi personaggi non sono pupazzi e il suo stile non è soltanto burlesco. Merita di essere vendicato dalle sconcezze e dalle sciocchezze con cui cattive compagnie hanno massacrato i suoi testi meravigliosi, dove vive la tradizione dei boulevardiers parigini. Dialogatori imbattibili, i migliori di tutti».
Lei ha lavorato con i massimi attori e registi. Chi le piace ricordare?
«Tanti. Il più grande affetto è per Vittorio De Sica. Come compagni di lavoro, Paolo Stoppa è stato un signore, semplice e glorioso, in una tournée che è durata due anni. Con Alberto Sordi ho girato sette film. Le battute nascevano insieme, inventando, anche sul momento. Alberto era formidabile, come artista e come collega, non avevi mai l’impressione che pensasse solo a se stesso».
Siamo seduti in salotto. Alle pareti, cinquanta locandine di opere liriche, molte col suo nome come regista. E pile di dvd, sempre d’opera.
«Me li regala Elio Pandolfi, è un maniaco dell’opera come me. La lirica, assieme al teatro, è la mia grande passione. Nessun titolo preferito, perché ho amato tutte le opere che ho messo in scena. Se devo scegliere, credo che il Macbeth e il Simon Boccanegra di Verdi con la regia di Giorgio Strehler siano insuperabili».
Strehler più di Visconti?
«Luchino era elegantissimo, Strehler inventava di più».
Locandine, dvd e una libreria colma.
«Ma se cerca il bestseller o il vient-de-paraître, lo Strega, il Campiello o il Viareggio, qui non li trova. I libri recenti sono quelli che mi mandano gli amici, Arbasino prima di tutti, sempre con dedica».
Un consiglio per invecchiare bene?
«Evitare la noia. Gli uomini ignoranti mi annoiano, i finto colti ancora di più. E cercare di capire dove sta la verità di un fatto: spesso ti scorre vicino e neppure te ne accorgi. La verità vista da una mente ironica e magari un po’ lungimirante è qualcosa di meraviglioso».
Legge ancora molto?
«Che domanda! Ai libri ho sempre chiesto quel che non mi può dare la realtà che mi circonda. Leggo le cose che non posso più vivere, sono contenta di aver letto molto e di potermene fregare dell’attualità. La vita la conosco, le tragedie e le gioie. E poi io rido soltanto leggendo. Il divertimento che provo leggendo un testo teatrale a letto, la sera - mi addormento molto tardi - è unico. A teatro, con certi attori, mi capita di ridere una volta all’anno. Guardando la televisione, mai».
Adesso vado, tolgo il disturbo. La lascio lavorare.
«Mi scusi, devo studiare per domani. La prosa di Gadda è così difficile, ha un ritmo tutto suo che, se non lo impari, finisce che ci inciampi dentro. Non so come fanno certe attrici di cinema a prendere alla leggera certi copioni: che disastri».
Roro IV scende dal divano e, con sovrano fastidio, ma gentile, mi accompagna anche lui alla porta.
Io ho avuto la fortuna di vederla diverse volte a teatro e di inoltrarla secoli fa nel 1991 a una delle prime feste gaie cui partecipai (all'ex mattattoio) dove lei venne a proporci i suoi monologhi. Dopo lo spettacolo, mi avvicinai con la copia appena comperata del suo libro (di allora) chiedendole l'autografo. Lei mi squadra dal basso in alto e viceversa, prende il libro e la penna che le porgo e mi chiede, come te chiami?
Auguri Franca!