Vado a teatro 3 volte a settimana. No, non me lo ha prescritto il dottore, è solo la mia ingordigia, posso chiedere accrediti stampa (scrivo ancora per il sito teatro.org) e una volta tanto non mi faccio mancare niente, almeno a teatro.
E' sabato sera, devo arrivare al Furio Camillo, esco di casa presto, perchè un sabato di qualche mese fa aspettai l'autobus un'ora (giuro!) e persi lo spettacolo...
Arrivo alle 20.20 a teatro.
Sano il primo. Il ragazzo del botteghino (Sempre gentile con me... Sospiro!) scherza e mi dice che non sa se riesce a trovare un posto per me quella sera. Io sono distratto (eh-he) e per una frazione di secondo lo prendo sul serio. Poi quel po' di cervello che mi è rimasto mi riporta alla realtà e mi metto a ridere.
Mi metto a sedere occupando uno dei tavolini rotondi che c'è nel foyer. Armeggio con la mia agenda. Cancello appuntamenti, controllo cose da fare, compiti da correggere, lezioni da organizzare. Siccome sulla mia agenda scrivo a matita uso la gomma per cancellare, riscrivere, spostare impegni.
Trascorrono così 3 quarti d'ora. Sono così assorto che non mi accorgo che sono già le 21 e 15. Si avvicina una delle ragazze dell'ufficio stampa, mi saluta, si siede al tavolo con me, parliamo un po'. Poi finalmente alle 21 e 30 aprono la sala, saluto il ragazzo che mi stacca il biglietto, lo ringrazio e vado oltre. Il Furio Camillo ha i posti a gradoni e non prevede assegnazione delle poltrone, scelgo così una fila alta le coreografie si vedono meglio dall'alto.
Questa sera doppio spettacolo. Già mi preoccupo del ritardo, spero di fare in tempo a prendere l'ultimo diurno, a mezzanotte.
Lo spettacolo non mi piace per niente, non mi prende, è pretestuoso, noioso, criptico, presuntuoso. Quasi quasi mi addormento, ma finisce prima.
Alla fine come bisognosi di tempo per risvegliarci tutti dal torpore in cui siamo calati durante lo spettacolo ce ne restiamo tutti a sedere, anche perchè, credo, aspettiamo tutti il secondo spettacolo. Io temo ci dicano di uscire (per cambiare scena) e infatti il ragazzo del botteghino nemmeno due minuti dopo ci invita con solerzia a uscire.
Mi risiedo al tavolino di prima. Tutti rimangono a confabulare... Sento un'amica della ragazza dell'ufficio stampa concionare sui teatri e sulla critica. Intanto si fanno le 22 e 45. Molti iniziano ad andarsene. Anche la ragazza dell'ufficio stampa mi saluta e se ne va.
Rimaniamo io e una ragazzona alta alta più, alta di me anche da seduta.
Ha un'aria imbronciata, come una bambina che è stata messa in castigo.
Dopo altri dieci minuti mi alzo per sgranchirmi e la ragazza, visto che le passo vicino, mi chiede, in inglese, se c'è il secondo spettacolo. Rispondo titubante che credo di sì che anche io come lei lo sto aspettando, poi, colto dal dubbio, chiedo in sala, dove dei tizi stanno smontando la scena. Mi guardano e con faccia meravigliata si affrettano a rispondermi di no.
Lo dico alla ragazzona, la quale tutta contenta (come me del resto) si alza e esce.
Facciamo insieme un tratto di strada ridendo e commentando l'assuridtà della situazione. Noi lì ad aspettare (Chi? Cosa?!) e nessuno che ci abbia detto nulla, che si sia chiesto che ci facevamo lì seduti come due idioti ad aspettare.
Vorrei chiederle il nome, se la rivedrò alle prossime serate (lo spettacolo fa parte di una rassegna) ma lei già devia per andare a prendere la metro e m salutia...
Continuo a pensare a lei mentre raggiungo la fermata del 671 (l'autobus che una volta ho aspettato un'ora) poi mi immergo nella lettura de Non è un paese per vecchi e alla ragazza non penso più.
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