Vedo un episodio di The War at Home una insulsa sit-com americana che va in onda il pomeriggio tardo su Italia 1, caratterizzata da siparietti di commento ad alcune battute dei protagonisti.
Me ne colpisce uno, diretto come un uppercut. Quando il protagonista maschile commenta con la moglie che ricorda quando “ha dovuto smettere di studiare. Ecco che parte un siparietto in cui lui e la moglie, vestiti da adolescenti, consultano un test della gravidanza di quelli che si fanno da soli e, essendo evidentemente il risultato positivo, scoppiando a piangere lui chiede a lei se lo vuole sposare e lei piangendo accetta… mentre le risate pre-registrate tipiche della sit-com coronano l’idillico quadretto neo-familiare.
E allora capisco che per i tedoem di tutto il mondo è proprio così: la maternità, la paternità non è un momento di crescita, di maturazione, non è una gioia ma anche un accettare saggiamente e anche sempre con un po’ di sconsideratezza di crescere un figlio (una figlia) ma è sempre visto come la fine dell’adolescenza e l’ingresso traumatico nel mondo degli adulti.
La maternità è presentata come la fine subitanea di ogni libertà, di ogni de-responsabilità, ma anche di ogni aspirazione a una vita migliore, come nel film di Muccino L’ultimo bacio
Chi diventa mamma (e papà) smette di studiare, smette di migliorare la propria cultura, di diventare una persona migliore e non può più vivere una vita migliore per sé e per gli altri.
La maternità è la punizione (divina?) per l’irresponsabilità di avere fatto sesso (come nel film Notte prima degli esami) ma anche l’adeguarsi a un rito che hanno seguito tutte le generazioni precedenti che nonostante le dissennatezze del sesso prematrimoniale ottemperando al proprio dovere genitoriale rinunciando agli studi, al lavoro, alla carriera (la mamma smette di lavorare si sa altrimenti come fa ad accudire al pargolo in arrivo?...) riscattano la loro dissennatezza e diventano adulti rispettabili.
Messa così le precauzioni anticoncezionali sembrerebbero l’unica alternativa concreta all’astinenza (che probabilmente è quello che i teodem vorrebbero). Che modo misero di vedere le cose…
Quando una maternità giunge indesiderata ci sono mille alternative all’aborto.
Si può partorire il bambino e darlo in adozione (non che sia meno traumatico dell’aborto ma almeno nessuno strumento metallico entra nelle tue parti intime…) oppure, se si decide di tenerlo, non si deve necessariamente rinunciare a studiare o a lavorare. Se si è molto giovani si può chiedere aiuto ai genitori (e ai suoceri) per permettere di finire le scuole, l’università, o comunque di trovare un lavoro che sia degno di questo nome. Poi quando la neofamiglia avrà concluso gli studi potrà rimborsare i genitori (e i suoceri). La famiglia serve anche a questo no?
Invece per i Teodem la famiglia è un posto grigio (guardate il manifesto pro famiglia dell’Udeur di Mastella) dove si smette di sognare e ci si adegua subito a un triste, doloroso e sempre uguale a se stesso senso di realtà.
La maternità è gioia, è rivoluzione, è dissennatezza, ma per essere tale deve essere consapevole, meditata, voluta. E che a ricordarlo sia un ramo secco come chi scrive è davvero triste…