Non sapevo nulla della lettera, ho avuto modo di leggerla grazie al blog di Elisabetta, una giovane ragazza di 19 anni di Como.
La lettera di Carfagna* potete leggerla qui, anche io, come Elisabetta, cito i punti che mi hanno colpito.
La famiglia è da sempre la cellula primaria della società italiana. Essa rappresenta il fondamento del tessuto sociale, spesso funge da vero e proprio strumento di coesione ed ammortizzazione sociale e come tale necessita di tutela.
Ha ragione la ministro**. La famiglia è una delle cellule primarie della società italiana. Per questo non va tutelata ma controllata, monitorata, aggiornata e, quando serve, criticata.
Ora è indubbio che sia all'interno della famiglia che si coltivi (sic) il sessismo, la misoginia, il maschilismo e l'omofobia. In ogni caso non si può avere una visione così religiosa della famiglia. Rispettare o tutelare la famiglia non vuol dire accettare supinamente tutto quel che proviene da essa...
Criticare alcuni valori (sic) su ci si costruisce una certa visione della famiglia non vuol dire voler distruggere La famiglia ma quel tipo di famiglia,q uella concezione di famiglia.
Chi pensa il contrario fa come i cattolici che credono di essere gli unici depositari della morale.
Sbagliato.
Dal momento in cui il 68.3% delle violenze contro le donne si consumano in casa, quindi in un luogo privato, ed il 93% delle donne non denuncia la violenza subita dal partner, emerge drammaticamente il rifiuto da parte delle stesse che preferiscono la strada del silenzio per evitare la reiterazione del comportamento violento, ma anche per mancanza di fiducia nella giustizia. Senza dimenticare che la mancata denuncia è anche un tentativo di circoscrivere la tragedia personale della donna nella ristretta sfera familiare.
Nessuna violenza che avviene contro una donna in quanto donna è privata. E' sempre una questione pubblica che riguarda tutte le cittadine e i cittadini italiani dal presidente della repubblica in giù. Lo stato ha IL DOVERE di tutelare le donne e quant'altri sono vittima del maschilismo.
La famiglia, va ricordato, è anche un luogo di realizzazione per la donna, al pari del mondo del lavoro.
Mi sembra di sentire parlare Mussolini... Manca solo l'aggettivo donnesco.
IL MONDO è il luogo di realizzazione di tutte le donne almeno fin quando non varrà anche la reciproca e cioè che la famiglia è un luogo di realizzazione degli uomini (ma chi può sostenere davvero questa affermazione senza suscitare ilarità?).
Certo è che Carfagna dimostra di non avere competenza alcuna per ricoprire la carica di ministro (ma in questo è in buona compagnia nel resto della compagine governativa) . A chi pensa che il solo fatto che sia donna le dia più competenza in campo di pari opportunità credo che quanto scritto dal ministro abbia confutato questa ipotesi ...suggestiva.
Leggendo i commenti anche di donne sul sito del ministero per le pari opportunità leggendo l'astio nei confronti di CArfagna "ex velina" mi rendo conto che c'è molto lavoro da fare, anche tra le donne, anche a sinistra. E continuo difendere Carfagna dagli ignobili attacchi contro i suoi trascorsi nello mondo dello spettacolo. Chi per criticarla la accusa di continuare ad agitare il culo come ha fatto in passato appartiene alla stessa matrice culturale che ha indotto Carfagna scrivere quel che ha scritto.
Attenzione, non cazzate, ma una visione ben precisa e condivisa di famiglia che va confutata con argomentazioni serie e non con gli insulti.
*ho deciso già da anni di non far precedere mai l'articolo "la" davanti al cognome di una donna per distinguerne il sesso scrivere mai (Berlusconi ma la Carfagna) è una forma di discriminazione, di sessismo, di maschilismo (come molti che si celano nella nostra lingua...) facilmente aggirabile e risolvibile.
** Mi fa sorridere l'uso del neologismo ministra che sa troppo di ministra! Così come non sopporto avvocatessa, o dottoressa. Sono termini al maschile perché storicamente erano lavori di esclusivo appannaggio maschile.
Non è così più da tanto tempo per fortuna ma secondo me la lingua dovrebbe continuare a ricordare le discriminazioni passate. Basta considerare il sostantivo anche femminile senza bisogno di cambiarlo: sono le donne che accedono ai mestieri una volta maschili non i mestieri che si femminilizzano cambiando nome.