18 ottobre 2009

Cronache dal festival (3) più un inserto di teatro.



Quando scelgo un film non mi baso mai sulla trama. Un po' perché quelle sinossi che ti danno sono del tutto inaffidabili e un po' perché non voglio mai sapere troppo del film prima di averlo visto. Ma  allora su che base scelgo? La nazionalità (Francia Belgio e nord Europa sono privilegiati rispetto l'Asia, così  come Africa e Brasile e sudAmerica sono privilegiati rispetto il cinema targato USA a meno che non siano documentari...), i protagonisti, qualche attore...
Insomma in una scelta sempre un po' rabdomantica mi capita spesso di indovinare film. Stamane mi è riuscito in pieno con un film del quale non avevo visto nemmeno la locandina (sarebbe bastata quella...) in proiezione unica, in una delle rassegne collaterali, Donne-moi la main (Franica/Germania, 2008) di Pascal-Alex Vincent, del quale sapevo solo si trattava di un film su due gemelli. Mi ha attirato, credo, l'idea di vedere due gemelli della vita vera fare gli attori. A meno di trucchi cine-fotografici non puoi fingere due gemelli al cinema, li devi avere per davvero davvero...  Dopo un incipit che mi ha fatto temere per il peggio (o mio dio è un cartone animato!!!) il film parte con un i due protagonisti di spalle, mentre attraversano una strada di notte, senza parlare: un vero racconto per immagini, con una precisa ricerca sulla posizione della mdp prima ancora della composizione dell'inquadratura, che mostra il viaggio dalla Francia alla Spagna di Quentin e Antoine due fratelli gemelli che vogliono andare al funerale dellla madre (che non hanno mai conosciuto). Durante il viaggio Antoine rimorchia una ragazza, ci fa l'amore, davanti lo sguardo imbronciato del fratello, che fa disegni, con lo stile grafico del cartone con cui si è aperto il film. Strada facendo Quentin fa l'amore con un giovane ragazzo che assembla balle di fieno e stavolta è Antoine a rimanere basito. Il giorno dopo parte costringendo il fratello a lasciare la storia appena iniziata, senza nemmeno un saluto. E quando, in un bar della stazione, gli manda un trentenne in bagno dove Quentin è andato a pisciare, dopo essersi fatto dare 100 euro, i due fratellli si dividono... L'omofobia è dura da curare anche tra fratelli  gemelli.

All'uscita del film una signora anziana mi parla del film. Ne fa una lettura fantastica, parla di amore e di legame carnale, ma non sessuale, fra i due fratelli. Dice che Antoine non ha sopportato che il corpo di suo fratello sia satto con un altro corpo maschile che non fosse il suo. Ma l'omosessualità non c'entra, mi fa... Non è rimasta per niente scandalizzata dal sesso (ce n'è abbastanza nel film e non solo omoerotico) mi racconta di aver conosciuto due gemelli ma dizigotici e di averli visti crescere (figli dei vicini) era il 41 c'era la guerra. Saliamo sull'autobus si parla, di cinema, dei film di Zampa, tutti da vedere, ma non L'onorevole Angelina che conosco a memoria  mi dice. Scende a Piazzale Flaminio. Tu prosegui? mi chiede e mi saluta  Ciao. Ecco. Il film è durato un po' di più per me.

Anche il film delle 10 è magico. To Be All and End All  (GB, 2008) di Bruce Webb. Una commedia  inglese (mio dio che accento!). Una storia sulla carta goliardica, ma trattata bene, con intelligenza. Un 15enne scopre di avere una malattia mortale e incarica il suo amico sedicenne di fargli perdere la verginità prima di tirare le cuoia.
Dietro di me, in sala, una giovane famiglia madre padre con figlio 15enne. Penso che forse il film non è adatto per lui. Ma nessuno si scandalizza, né si imbarazza (beh io a star lì con mamma e papà mentre vedo un film in cui ragazzi della mia età parlano di seghe e di canne io sì che mi imbarazzerei...). Così il vero moralista sono io...
Una mattina magica. Per giunta all'uscita del film inglese fuori c'è il sole, stamane alla prima proiezione c'era quella pioggerella fine...


Poi vengo in sala stampa a scrivere queste righe, prima di recarmi al teatro Valle dove ho visto POPOPERA di Emio Greco (chi causa il suo mal...) perdo il film delle 19 alla casa del cinema (sala piena...) ed eccomi di nuovo qui a scrivere queste 4 righe 4 prima dell'ultimo film su un padre incestuoso...
Sono stanco e ho mal di testa e una settimana di film davanti a me...

I couldn't ask for anything better!

Col Wi-Fi dall'auditorium (cronache dal festival 2 - conclusione)

Viola di mare è un film dalla vocazione televisiva, che sa collocarsi più tra le fiction targate mediaset che tra i film italiani per le sale. Infatti la sua regista, Donatella Maiorca, dopo l'esordio cinematografico (Viol@ presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1998), si è dedicata alle fiction: La stagione dei delitti 2 (2006), Diritto di difesa (2003), La squadra (2002/2007), Cuori rubati (2002), Giornalisti (1999), Un posto al sole (1999).
Il suo cinema è superficiale, approssimativo, pressappochista. Ricostruisce un ottocento siculo oleograficamente, dipinge gli uomini come padri padroni ma poi in chiesa fa stare donne e uomini negli stessi banchi (ma figuriamoci! c'era la separazione tra masculi e fimmine), dipinge il padre della protagonista come un porco che picchia le donne ma poi gli fa accettare l'idea che sua figlia "diventi uomo" così, dalla notte al giorno. Tommaso, l'ex fidanzato di Sara, la donna che Angela, una volta diventata Angelo, sposa (una stucchevole stonata, insopportabile e fintissima Isabella Ragonese) accetta di metterla incinta, perché innamorato di lei e, quando lo fanno Sara gli dice di fare presto mette il materasso per terra, non lo bacia, eppure lui riesce lo stesso a fare l'amore/sesso con lei...
Il sesso che emerge dal film è modernissimo nei modo di guardare ai corpi che la regista ha, le estetizzanti algide asettiche scene di nudo (ovviamente femminile, dei masculi vediamo solo un paio id chiappe) incapace di restituire la percezione del sesso (la prossemica, la funzione sociale, il vissuto personale, l'importanza dell'illibatezza) quanto ridicolo nella sua implausibilità: Sara dopo essere stata fecondata non ha segni di sangue (eppure dovrebbe essere vergine) e, ovviamente, rimane incita dopo la prima scopata, Angelo/a che soffre che Sara venga scopata, eppure aveva insistito lei perché la sua donna rimanesse incinta...
Potrei continuare per ore a sputtanare le cazzate contenute in ogni fotogramma del film, ma mi fermo qui. Un'altra cosa, la più insopportabile, è la musica di commento che sottolinea ogni sacrosanto istante del film, una musica didascalica, drammatica quando il padre padrone picchia la figlia, dolce quando Sara e Angela stano insieme, e così via. Una musica moderna, con chitarre elettriche anni settanta (del novecento però) che con l'ottocento c'entra come i cavoli a merenda.
Un film così dà ragione a Brunetta (se quello che dice avesse un senso): meglio dare i soldi alle discoteche e ai piano-bar.
Viola di mare non sposta di un millimetro l'immaginario collettivo sull'omosessualità femminile: le donne a letto non si sa cosa fanno le vediamo solo strusciarsi, senza nemmeno tanta convinzione, l'una con l'altra, mentre Angela abbraccia Sara da dietro (forse la regista ha fatto confusione con la sessualità maschile...) e una volta sposati Angela fa il masculo e lavora alla cava mentre Sara non fa un cazzo tutto il giorno, tranne cantare filastrocche come una bambina deficiente quando sta a letto con lei.
Ovviamente Sara morirà di parto (si sa fare bambini era pericoloso nel'800) lasciando Angelo inconsolabile, che tornerà a vestire panni femminili (a lutto) portando il neonato alla camera ardente della madre morta.
Un'altra storia di amore che si conclude con la morte di uno dei due protagonisti, proprio come nel caso di Brokeback Mountain di Ang Lee. Un ennesimo caso di amore che finisce male. Io aspetto ancora il film a tematica col lieto fine, quello retorico e zuccheroso...

Viola di mare registra l'immaginario collettivo italiano contemporaneo mostrando la miseria culturale con cui riesce a pensare il proprio passato e la sessualità, prima ancora che l'omoerotismo (al quale non fa un buon servizio trasportando i problemi nel lontano 1800 mostrando situazioni così al limite, Angela rinchiusa per mesi in cantina dal padre padrone, da indurre a pensare che oggi sia tutto superato, mentre invece oggi lo stesso padre padrone siede al parlamento e ha un nome preciso UDC) costituendo un involontario grido di allarme perché l'Italia non è più capace di fare film degni di questo nome.
Il cinema italiano sta diventando cieco, incapace di vedere la realtà limitandosi a guardare di sfuggita l'immagine deformata che ce ne restituisce la televisione riproducendola e spacciandola per cinema e Viola di mare lo urla.

L'unico bel ricordo del film è la bellezza devastante di Valeria Solarino, stupenda sia nei panni di Angela, sguardo fiero capelli neri lunghissimi, sia in quelli di Angelo, un bel picciotto, dalla faccia intelligente meno curto e niro degli altri lavoratori.

Avrei voluto vedere Sound Of Morocco, ma tra ritardi accumulati per gli spettatori della proiezione precedenti che si sono attardati in sala, l0annuncio degli ospiti in sala fatto al buio, e poi ripetuto alla luce, il mini concerto di Noureddine, un inizio del film stentato e con imbarazzanti problemi di audio (tanto che la regista lascia la sala incazzata nera), alle 23 e 30 ancora si doveva iniziare. Me ne sono andato, tanto è un film LUCE, lo recupererò da qualche parte.

L'organizzazione del festival quest'anno lascia a desiderare, magari però un concerto più proiezione non si mette alle 22 e 30 ma prima, per permettere a tutti di vederlo... non in Italia, non nella Roma di Alemanno...
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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