27 ottobre 2007

Bollettino ufficiale sulle mie (dis)avventure alla festa delcinema n° 3 (bis)

domenica (seconda parte)

Di And When Did You last See Your Father for the Last Time non vorrei dire nulla se non che, pur essendo ben prodotto (gli inglesi non sono gli americani) rimane solo uno spreco di attori (tra tutti il grande Jim Broadbent e Juliet Stevenson) e di tempo per chi lo vede.



Rolf De Heer, olandese emigrato in Australia, ma cittadino naturalizzato italiano, visto che Procacci della Fandango gli co-produce i film da Bad Boy Bubby (film discutibilissimo visto a Venezia nel '93, con tanto di gatto realmente ucciso durante le riprese che piacque perché mostrava due varianti di famiglia l'una madre-figlio asfissiante e castrante, l'altra marito-moglie-figlio liberatoria (il che fece giustamente inorridire Mariuccia Ciotta, sorprendendomi con un giudizio ben più oculato del mio di allora) è presente alla Festa con Dr. Plonk, film che racconta di uno scienziato del 1800 che arriva con una macchina del tempo nel nostro secolo. Girato come un muto dei primi del 900, è un omaggio sentito e filologicamente preciso al cinema di allora, umoristico e ironico, ma De Heer spreca l'occasione di criticare la società di oggi "vista con gli occhi di allora", c'è solo una blanda, surreale critica al fatto che rimaniamo incantati davanti alla tv (Plonk sbircia nelle case dove intere famiglie restano immobili davanti allo schermo televisivo), critica di una società anni '70 (oggi rimaniamo tutti incantati individualmente davanti al pc e allora quell'essere tutti insieme davanti allo stesso monitor diventa una ricchezza ormai perduta...). Una gioia per gli amanti del cinema delle origini e una fonte inesauribile di risate ma una delusione per quel che il film avrebbe potuto essere (o almeno per come era stato presentato sul programma della Festa che testualmente dice: "Sembra semplicemente un omaggio al cinema delle origini fin quando non scopre il gioco sorprendente di guardare il mondo contemporaneo con gli occhi rivelatori del secolo scorso").



Poi dopo tante risate una doccia fredda, quella di Taxi to the Dark Side un documentario sulle porcate che gli yankee fanno ai cittadini NON americani. Si rimane basiti a vedere come gli americani sanno dei crimini commessi dal governo ma invece di scendere in piazza in 50 milioni (sono 300..) e radere al suolo il Campidoglio e la Casa bianca se ne restino a casa e si limitino a fare film di denuncia che non servono a niente perché Bush è sempre al governo pronto a perpetrare i crimini commessi...


Del film Hafez avevo pensato di scrivere una pagina di colte spiegazioni (beh, mi sarei limitato a una decina di link) ma così avrei offeso il film, insinuando che, per essere capito, avrebbe bisogno di una cotale glossa. Invece Hafez è un film che si fa vedere per quel che è senza bisogno di conoscere il contesto culturale in cui prende senso. Così rimane purissima la sua forza poetica, etica ("La verità è uno specchio che è stato lanciato sulla terra ed è finito in mille pezzi. Ciascuno di noi ne ha raccolto un pezzetto e ha pensato di possederla. Guai però a chi vedrà se stesso riflesso nello specchio” dice un maestro sufi a Mohammed il bellissimo protagonista del film), politica (perché mostra un Islam tutt'altro che granitico e reazionario come volgiono farci credere qui in occidente, ma anzi percorso da mille vie di ricerca, in conflitto tra di loro ma vive e forti). Decido allora di raccontarvi semplicemente quel che succede nel film.
Mohamed ancora giovanissimo, diventa un "Hafez" (da non confondere con Hafiz, il poeta persiano che con il film non c'entra nulla se non che Mohamed conosce i suoi testi e commentarii al corano) cioè un esperto di Corano e di commentari ed è talmente bravo che, nonostante la sua non ortodossia, viene invitato da un Mufti (straortodosso) a impartire lezioni a sua figlia. In due stanze diverse, senza potersi vedere ma solo ascoltare l'uno la voce dell'altra, i due ragazzi si innamorano, lei della voce di lui, lui delle curiosità coraniche, anche non ortodosse, di lei. Per averle insegnato l'arte della critica (e per aver tentato di vederla sbirciando attraverso la finestra) Mohamed perde il titolo di Hafez e si becca 50 frustrate. Il padre dà la figlia in sposa a un altro hafez che si chiama anche lui Mohamed (e la ragazza infatti lamenta di vedere doppio...). Così Mohamed (il primo) si accinge a compiere il "rito dello specchio" (che di solito si fa per trovare il vero amore) per dimenticare la ragazza e parte in viaggio. Il secondo Mohamed lo segue intraprendendo anche lui un rito parallelo. Durante il viaggio (nel quale il primo Mohamed sposa una donna anziana rimasta vergine che muore prima di rispondere sì alla fatidica domanda, che nella cultura sufi viene ripetuta tre volte prima che la donna possa rispondere, un particolare di una cultura bellissima se solo ci si desse la possibilità di conoscerla...) i due ragazzi si invertono di ruolo e il Mohamed che voleva dimenticare scopre che il suo è vero amore mentre quello che ha sposato la ragazza rinuncia perché sa che lei appartiene all'altro Mohamed.

Un film dove cultura, poesia, religione, amore, adolescenza (i due Hafez ne sono appena usciti, mentre la figlia del mufti ne è ancora dentro) sono indissolubilmente uniti dalla cultura islamica.
Certo non un film da vedere a fine serata, come quinta pellicola del giorno (sperando che venga acquistato e che lo si possa rivedere tutti) ma che, nonostante la stanchezza, mi è rimasto dentro il cuore come un percorso esperienziale fatto anche da chi, ciccione come me, a camminare nel deserto rimasticando sure coraniche non sarebbe resistito un giorno...

e finalmente la domenica è finita...
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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