Una delusione perché il film ha elementi notevoli che lo rendono davvero godibile.
Mundo Ivisiviel, film collettaneo con 12 registi 12 finanziato dalla Mostra internazionale del cinema di San Paolo con la mission di parlare del visibile e dell'invisibile nella città è una delusione gigantesca assai visibile.
Solo tre dei 12 cortometraggi sono visibili, gli altri sono veramente fuffa e della peggiore specie.
Avremmo dovuto poi vedere The Dandelion con Isabella Rossellini. Ma la proiezione è stata cancellata pare per i contenuti inadeguati (!?) del film. Nulla di ufficiale, ma i problemi tenici addotti dalla responsabile quando le ho chiesto lumi non mi hanno convinto. I problemi tecnici avendo tempo si risolvono. e il tmepo per stampare un comunicato da mettere in casella stampa (colpa mia che non l'ho letto in tempo) ci sono stati. Dunque non so... E non saprò.
Do Visível ao Invisível, di Manoel de Oliveira
racconta dell'incontro inaspettato di due amici disturbati dalle continue telefonate ai rispettivi cellulari. Così per parlare si parano tramite telefono nonostante siano uno di fronte all'altro.
Tributo ao Público de Cinema, di Jerzy Stuhr
Un omaggio alla platea: Jerzy Stuhr riprende il pubblico e le sue reazioni durante la proiezione del suo film O Tempo de Amanhã (2003) ala Mostra Internacional de Cinema de São Paulo
Gato Colorido, di Guy Maddin
Immagini amatoriali ma in bianco e nero del cimitero da Consolação che si alternano a quelle a colori di un gatto nero che cerc di mangiare una carcassa animale (un uccello?)
Fábula – Pasolini em Heliópolis, di Gian Vittorio Baldi
Sarà anche stato il suo produttore ma Gian Vittorio Baldi non è Pasolini la ricostruzione del sopralluogo fatto nel 1968 per girare un film sull'Apostolo San Paolo nella città omonima si lascia sedurre dalla strada sin troppo facile dell'imitazione di Pasolini, fastidiosa e inopportuna.
Tekoha, de Marco Bechis
Una barzelletta filmata. Degli indios passeggiano per il Parque Trianon, nel centro della città mentre delle voci fuori campo li idnicano e chedno loro se sonoindios come fossero alieni. All'eneisma domanda uno degli indios risponde che sembrano ma non lo sono.
Ver ou não ver, di Wim Wenders
Un Wenders senile riprende amatorialmente un gruppo di bambini e bambine ipovedenti assistiti dal Departamento de Oftalmologia da Santa Casa de São Paulo, mentre una musica strapalacrime al painoforte insiste sul pedale della commozioe spinta. come il vuoto di questo corto. Da vomitare.
Aventuras do Homem Invisível, di Maria de Medeiros
L'uomo invisibile è un cameriere di un albergo di lusso di San Paolo che, in qanto servo, è ignorato, oppure, usato come occhio voyer. Quando, finito il turno di lavoro, assiste una donna che è caduta, la dona, cieca, lo ringrazia dicendo che è molto gentile. Il vedere non riguarda la vista. Semplice e commovente.
Céu Inferior, di Theo Angelopoulos
Un predicatore fuori di testa rompe i coglioni ocn Gesù cristo, Insopportabile. Inutile. Come chi ci vuole imporre Gesù.
Yerevan - O Visível, di Atom Egoyan
Il più bel corto, l'unico non ambientato a San Paolo ma a Yerevan capitale dell'Armenia dove viene raccontata una delel tante storie del genocidio armeno che ha visto morire un milione e mezzo di persone nel silenzio pubblico mondiale.
O Ser Transparente, di Laís Bodanzky
Una carrellata di luoghi comuni sul ruolo del'attore, sull'impegno, la disciplina, la fatica (come se ci fossero lavori in cui non ci si deve impegnare o avere disciplina, ma vai in fabbrica va') e dove ci si rifà alla teoria sull'attore di un giapponese trapiantato in Brasile, Yoshi Oida, che parla di attore invisibile, cioè di un attore strumento della performance che è l'unica cosa che conta e si deve vedere. La luna e non il gesto. Peccato che una delle attrici che si rifà a questa poetica è conciata come una guru buddista, capelli rasati, di arancio vestita. menomale che doveva essere invisibile.
Conta solo l'atto creativo non l'interpretazione che è solo tecnica. Benedetto Croce non muore mai.
My Sweet Orange Tree (Brasile, 2012) di Marcos Bernstein è uno di quei film che a leggere le note sul programma non avrei valuto vedere, invece è un film commovente di quelli che si facevano alle prime edizioni di Alice (alla Festa del cienma): punto di vista del bambino, amicizia con adulti, altri adulti piccoli e cattivi (oltre che violenti) il premio per il miglior film non poteva andare a film migliore (tranne forse Blackbird...) coin una bella motivazione:
per il perfetto equilibrio tra poesia ed intrattenimento che ne fa un film tecnicamente elegante senza essere inaccessibile. La forte emotività dei contenuti si fonde con una fotografia suggestiva e dal taglio personale. La fantasia è resa protagonista grazie a scene che rappresentano l’immaginazione del piccolo personaggio Zezè, magistralmente interpretato da Joao Guilherme de Avila, senza nulla togliere alla veridicità e alla profonda intimità del legame tra i personaggi.
Altra sorpresa The Passion of Michelangelo (Chile, 2012) di Esteban Larraìn che racconta le vicende del giovane Miguel Angel Poblete, un giovane ragazzo di strada di 14 anni che che giura di vedere e parlare con la Vergine Maria rendendo improvvisamente faso il piccolo paese di Peñablanca, in Chile, dove stigmate, e miracoli sono all’ordine del giorno. Mentre il governo di Pinochet cerca di piegare questo fenomeno a suo vantaggio, la Chiesa manda un prete a indagare. Intanto Miguel Angel si monta la testa, diventa ambizioso, coinvolge alcuni amici di strada, si convince a spettacolarizzare il suo contatto con la Vergine. Quando la verità viene scoperta il ragazzo viene abbandonato al ludibrio della folla che gli dà del frocio perchè Miguel Angel, vistosamente effeminato si è vestito da Vergine.
Un film solido che non lascia spazio alla retorica e non eccede nel clericalismo né nell'anticlericalismo.
durante i titoli di coda il film ci informa che dopo 20 anni di oblio di Poblete si è di nuovo parlato nel 2002 quando, diventata una donna transessuale e avendo preso il nome di Karol Romanoff, raccotoò di essere stato manipolato e indotto a credere alle visioni.
Karol è morta nel 2008 per una grave forma di cirrosi in quanto alcolista.
Ciro (Italia, 2012) di Sergio Panariello e Razza Bastarda (Italia, 2012) di Alessandro Gassman, sono accomunati oltre che dalla programmazione dalla stessa ideologia, televisiva, cioè semplificatoria, che cerca le ragioni della marginalità sociale nella origine geografica, partenopea per Ciro, il giovane protagonista del corto, e romena per il personaggio interpretato da Gassman.
Se Ciro è naif prima ancora che indigesto, tutto paternalisticamente incentrato sulle ragioni di ragazzino innamorato che portano il giovane protagonista a lavorare per un delinquente così può passare i soldi a una ragazza che gli piace e che, ma non si sa perchè, è a corto di soldi ed è pronto a vendicare la ragazza, quando scopre che l'uomo che l'ha messa incinta e abbandonata è proprio il ras che gli dà lavoro immaginandosi di sparargli, Razza Bastarda, girato con un pretenzioso bianco e nero contrastatissimo, vede un Gassman pessimo nella recitazione (il suo accento rumeno è razzisticamente inesistente e ridicolo)
in una storia che dove il giovane figlio del protagonista è innamorato di una giovane prostituta (e quando la vede con un cliente piange) ma la sensibilità non lo sottrae da spacciare o rubare una partita di eroina al padre, mettendolo nei guai. La soluzione? Farsi a sua volta di ero mentre il padre si mette una pistola in bocca...
A vedere queste pellicole si stenta a credere che siamo lo stesso paese che ha avuto il neorealismo...
L'unica nota positiva del film è Giovanni Anzaldo e non tanto per l'avvenenza (notevole) ma proprio per la bravura con cui interpreta Geco.
Il film è la versione cinematografica di Cuba and His Teddy Bear scritto da Reinaldo Povod nel 1986, portato in scena da Robert De Niro a New York, incentrato sui contrasti tra ispanici e statunitensi e sul mondo della droga.
E poi con 60 minuti di ritardo sull'orario annunciato finalmente è stata la volta di Una pistola en cada mano (Spagna, 2012) di Cesc Gay, sì, proprio quello di Krampac, che ammannisce un film anticinematografico tutto dialogo spacciando una storia di ordinarissima media borghesia per un ritratto del maschio spaesato. Noiosissima, verbosissima, interminabile nonostante i soli 94' di durata.
E finalmente in santa pace me ne trono a casa.