IL VOLTO DI UN'ALTRA (Italia, 2012) di Pappi Corsicato, che uscirà il prossimo febbraio, porta una ventata di divertissement a un fstival ingessato, che si prende terribilmente sul serio e che, so far, non sa cosa sia l'ironia, figuriamoci l'autoironia.
Pappi invece si muove a suo agio tra citazioni visive di Almodovar (le bende che coprono le ferite degli interventi chirurgici estetici della clinica dove si svolge il film) e la merda dei Monthy Python del celebre Il senso della vita per denunicare la soceita post valori post tutto ocntemporanea fatta sempre più che mai dell'apparenza e dei soldi. Un film esile, vacuo ma che ha proprio nella sua esilità il punto di forza. Una commedia insolita per ilpanorama italinao un ritorno in grande stile per uno dei registi meno apprezzati del recente cinema italiano.
Suspension of Disbilief (Gran bretagna, 2012) di Mike Figgis parte da un presupposto falso e ci sviluppa l'intero film. Il protagonista maschile, alla domanda di uno dei suoi studenti di un corso di sceneggiatura perchè ci appassioniamo delle storie che vedimao al cinema anche se sappiamo essere finte, risponde dicendo che il nsotro cervello non sa distinguere il falso dal vero.
Niente di più sbagliato!
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Il vero motivo è il fatto che il cinema ci pone nella posizione privilegiata di oesservare i gai e ipericoli che subiscono i perosnaggi potendo godere nel bene e nel male delle cosneguenze senza davvero correre il pericolo. Un concetto nuovo? No, ne parla Lucrezio quando parla dell'orrore ma anche del paicere col quale osserviamo l'aultri naufragio quando siamo ormai al riparo in un'isola...
Il film sviluppa la premessa e ci racconta una stroia di omcidio senza darne una soluziione, dimostrando che un film ci appassiona anche quando non è vero. Slittando semnaticamente dal non vero della finzione al non vero di una stroia raccontata che non ha conclusione.Ambiguo, noiso e prevedibile, il film risente anche di un certo maschilismo senile, dove le donne si mostrano nude senza un effettivo bisogno che non sia quello del piacere dei maschi, del film e in sala, i giovani registi si fanno fare fellatio dalla protagonista del film, dicendo loro di dire che sono la bambina di papà (mma quando il regista trona con la fidanzata ufficiale la protagonista ci rimane male), o, infine, dove le donne si concenono notti di sesso appassionato per poi risolvere il tutto dando la colpa all'alcool.
Un film vechio nell'idea e nella fattura, ma che figura bbene in un Film festival eseendo esattamente uno dei prodotti che forse qui più che in una regolare distribuzione trova una sua vera ragioen d'essere. Quel che manca alla stroia è infatti un perosnaggio che possa dirsi tale (nonostante il professore di scneeggiatura dica giustamente che i personaggi fanno parte della trama). Ma qui tutto è ascritto nei topoi più stantii di un genere come il giallo che non viene davvero consumato, rimanendo un insopportabile coito interrotto, narcisista e sterile.
Tra emancipazione sessuale (il ragazzo con cui ha deciso di fare sesso la prima volta si tira indietro perché lei non lo ha mai fatto - lui le chiede di levargli la maglietta e lei dice di non essere capace a farlo-, fanno sesso più tardi ma poi lui la ignora; lei si concede a incontri occasionali comportandosi esattamente come lui..., subito dopo aver appreso della morte del padre chiede a uno sconosciuto sul treno di baciarla, e il 40enne porco e marpione si sacrifica) il cui mondo viene sconvolto quando il padre viene colpito da una grave malattia degenerativa (Louis Malle è morto nel 1995, per un linfoma, quando Justine aveva 21 anni).
Il film a low budget (300 mila euro), non ha il suo nucleo nel ritratto di Justine Louis Malle, quanto nella capacità di raccontare ancora oggi la vita di alcuni personaggi con un gusto e una sensibilità post nouvelle vague, riprendendone alcuni topoi (il cinema di periferia di Truffaut, i dialoghi tra il minimalista e il filosofico di Rohmer) descrivendo con grande eleganza e sensibilità la vita (alto) borghese di una ragazza di oggi. E forse qui sta anche il limite del film.
Altro ragazzo carino del cinema francese.
Tasher Desh (India, 2012) di Q (Kaushik Mukherjee) è la trasposizione in pellicola della celebre Opera omonima di Tagore (sì, quel Tagore, premi nobel per la letteratura nel 1913) che scrisse testo e musica.
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L'opera è una metafora dei rapporti rigidi dell'India della sua epoca, con le caste e il conformismo di impianto british. La storia racconta di un principe e un suo amico che, alla ricerca della propria rinascita nella verità e nella libertà, evadono dalla gabbia d'oro in cui vivono, approdano in un'isola popolata dalle carte (quelle di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol) e vengono accusati di eresia e blasfemia. Prima di essere arrestati mettono e il seme del dubbio nella rigida società delle carte e quel rigido e separato mondo si rompe grazie all'amore che, come un seme a primavera, fiorisce in tutte le sue forme, uomini amano donne, donne amano donne e uomini amano uomini. Un film dall'andamento lisergico che ricorda nella potenza visiva il Romeo + Juliet di Buz Luhrman ma che ha una sua autonomia registica musicale e tematica. Splendido il doppio registro cromatico, b\n versus colore, le scelte dei costumi, le soluzioni visive per fare interpretare a uomini e donne le carte nei quattro semi francesi, bellissime le ragazze e bellissimi i ragazzi interpreti, sensuali le scene d'amore senza essere smaccatamente erotiche. Un film da vedere ma anche da capire non come fa Nino Tripi su nannimagazine che non capisce nulla e, omofobicamente, arriva a dire che dopo l'intervento del principe la scoietà delel carte è una società fatta di sodomiti, oppiomani, perdigiorno capaci solo di cogliere fiori in giardini proibiti.
Tasher Desh (India, 2012) di Q (Kaushik Mukherjee) è la trasposizione in pellicola della celebre Opera omonima di Tagore (sì, quel Tagore, premi nobel per la letteratura nel 1913) che scrisse testo e musica.
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Parlare di Greenaway in poche righe è una impresa inane, eppure mi tocca provarmici.
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Nel finale Goltizus si vendica sul potere patriarcale di margravio tornando alla sua corte col suo compagno (ammiccando a una omosessualità tradita sin dall'inizio dai segni esteriori della cultura queer contemporanea biacca, orecchino e labbra vermiglie) ora che il Margravio è diventato pazzo e malato (vermi gli escono dalla bocca e dall'ano) ma la compagnia del Pellicano di Goltzius ha pagato sin troppo caro un diritto alla parola concesso e poi negato: affogati, accecati, castrati.
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Molto bella una scena in cui mentre fa sfoggio di una erezione tenera e non ostentata un giovane attore (tanto nel film quanto del film) viene sedotto dalla compagna in una inversione giocosa di ruoli che omaggia l'eterosessualità emancipandola dal patriarcato da cui viene diffusa. Lei prende lui senza che nessuno si senta costretto in alcun ruolo sessuale se nonq uello del proprio corpo diversamente sessuato.
Ecco mi sarebbe piaciuto che lo stesso fosse stato fatto anche per l'omosessualità.
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