Quegli strani segni
sulle mani di Cucchi
Buchi, quasi uguali, oblunghi, si direbbe ovali, sulle braccia e sulle mani di Stefano Cucchi. I periti stanno prendendo visioni delle foto dell'autopsia prima della riesumazione del corpo stabilita per lunedì prossimo. Intanto spiccano quelle croste simili tra loro sulla nocca dell'indice della mano sinistra, sull'ultima falange dell'indice sinistro, sotto l'unghia nel polpastrello del pollice della stessa mano. Altre tre sul braccio, sempre il sinistro, all'altezza del gomito. E le escoriazioni alle gambe. Certo ci sono «lesioni più importanti», sullo zigomo e sulla mandibola. Ma quelle croste farebbero pensare a scottature. Non ci vorrà molto a venirne a capo. Su questo i medici non hanno dubbi e aspettano lunedì. Intanto trapela poco dell'interrogatorio del detenuto africano, S.Y., coetaneo di Cucchi, che dice di aver visto - dallo spioncino della cella nei sotterranei del tribunale - alcuni agenti di custodia che prendevano Stefano a calci e pugni, che lo scaraventarono a terra per trascinarlo in cella e dargli "il resto". Fu Stefano - secondo le scarne indiscrezioni - a confidargli che «Ma non lo vedi? Mi hanno menato questi stronzi». Sabato, il detenuto originario del Gambia sarà ascoltato nel corso di un incidente probatorio. Per ora è ai domiciliari in una comunità. Il suo trasferimento da Regina Coeli ha turbato la polizia penitenziaria. Intanto i tre agenti di custodia indagati per l'omicidio preterintenzionale di Stefano, sono stati distaccati - l'avrebbero chiesto loro stessi - in attesa della fine dell'inchiesta interna del Dap. I loro sindacalisti sono certi dell'innocenza dei colleghi. Nel senso che sono sicuri che l'eventuale pestaggio non sarebbe alla causa della morte. E gli anfibi potrebbero aver colpito calcificazioni preesistenti. La commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale deciderà domani la data dell'ulteriore ispezione al "repartino" del Pertini, dove Cucchi è morto dopo quattro giorni in cui rifiutava le cure perché non gli consentivano di parlare con un legale di fiducia.
Liberazione del 18/11/2009, prima pagina
Roma, 13 novembre 2009 - Tre agenti di polizia penitenziaria indagati per omicidio preterintenzionale e tre medici dell’ospedale Sandro Pertini per omicidio colposo: giunge a una svolta l’inchiesta della procura di Roma sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni, deceduto il 22 ottobre scorso dopo essere stato arrestato dai carabinieri sei giorni prima per cessione di stupefacenti.
Stefano Cucchi ha subito un pestaggio mentre era nelle celle di sicurezza del tribunale, poco prima di essere portato in udienza per la convalida dell’arresto. Di questo è convinta la procura di Roma: il geometra di 31 anni è "stato scaraventato a terra", avrebbe subito ‘una sederata pesantissima', che potrebbe aver determinato le fratture di due vertebre. Non è da escludersi che sia stato anche preso a calci e pugni.
Nicola Minichini, 40 anni, Corrado Santantonio, 50, e Antonio Dominici, 42 sono gli agenti di polizia penitenziaria accusati di omicidio preterintenzionale dalla procura di Roma per la morte di Stefano Cucchi. Stando al capo di imputazione, "colpendo Cucchi il 16 ottobre nelle celle di sicurezza del tribunale con calci e pugni, dopo averlo fatto cadere, ne cagionavano la morte avvenuta all’ospedale Sandro Pertini".
I medici dell’ospedale Sandro Pertini, che per alcuni giorni hanno avuto in cura Stefano Cucchi, avevano tutti gli strumenti per alimentarlo e idratarlo anche se il paziente rifiutava ogni assistenza. È questo il motivo che ha spinto la procura ha indagato tre medici per omicidio colposo. "Si tratta di un eccesso di garanzia", hanno spiegato a piazzale Clodio, "così possono nominare un proprio consulente in vista della riesumazione della salma".
Aldo Fierro, il primario di 60 anni della struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, e i medici Stefania Corbi, 42, e Rosita Caponetti, 38, sono i sanitari accusati di omicidio colposo dalla procura di Roma per la morte di Stefano Cucchi. Secondo il capo di imputazione, i tre, agendo con negligenza, imperizia e imprudenza, "omettendo le dovute cure, cagionavano la morte di Cucchi avvenuta all’ospedale Pertini il 22 ottobre".
Il corridoio dove si trovano le celle di sicurezza del tribunale non ha alcuna telecamera. Per questo, a parere della procura di Roma, è decisiva, ai fini della ricostruzione del pestaggio subito da Stefano Cucchi, la testimonianza di un detenuto, pare un clandestino, per il quale sta per essere avviato il programma di protezione. Il detenuto avrebbe assistito alla scena chiamando in causa tre agenti della polizia penitenziaria. La sua versione, preziosissima ai fini delle indagini, sarà presto cristallizzata con un incidente probatorio (atto che ha valore di prova in caso di processo).
Il detenuto straniero che assistette al pestaggio di Stefano Cucchi, riuscì a parlare con lui, a udienza di convalida conclusa, mentre venivano portati nel carcere di Regina Coeli. Nella richiesta di incidente probatorio, infatti, la procura di Roma spiega che il testimone chiave della vicenda, trovandosi il 16 ottobre nelle celle di sicurezza del tribunale, "udì e vide agenti della polizia penitenziaria in divisa colpire Cucchi" da cui ebbe, dopo, alcune confidenze mentre andavano in carcere a Regina Coeli.
"Contro i carabinieri non sono emersi elementi concreti". Lo precisa la procura di Roma, che scagiona così i militari che la sera del 15 ottobre scorso hanno arrestato Stefano Cucchi per cessione di sostanze stupefacenti e gli altri carabinieri che il giorno dopo lo hanno portato a piazzale Clodio consegnandolo agli agenti di polizia penitenziaria per l’udienza di convalida dell’arresto.
Scandisce bene le parole, e non dev'essere facile, Ilaria Cucchi seduta nel salotto de L'era Glaciale davanti a Daria Bignardi. "Sono abbastanza soddisfatta di vedere che qualcosa si sta muovendo rapidamente - dice, e aggiunge - Tutto sta prendendo forma ed è un dolore indescrivibile sapere cosa ha provato mio fratello negli ultimi giorni della sua vita".
"Non mi spiego il motivo di tanto accanimento verso di lui", ha continuato la Cucchi, che ha confermato la telefonata di Giovanardi il quale aveva parlato di Stefano come di un drogato e di un anoressico. "Gli ho detto che quelle parole utilizzate senza conoscere mio fratello e le sue condizioni erano risultate offensive".
Riguardo i disordini durante la manifestazione di solidarietà nei confronti del fratello, la Cucchi ha precisato: "Chiediamo a chi ci manifesta solidarietà di mantenere il nostro stesso contegno perche’ il loro atteggiamento danneggia la memoria di Stefano". (quotidianonet il sole24ore)
Stefano Cucchi, prima dell'arresto era in palestra: stava benissimo
Quattro ore e mezzo prima di essere arrestato, Stefano Cucchi era in palestra, zona Anagnina, oltre Cinecittà, e non distante, in linea d'aria dalla caserma di Via del Calice, Capannelle, dove sarebbe andato a finire dopo essere stato catturato. ll badge d'accesso al centro sportivo segna alle 18.59 del 15 ottobre l'ingresso del geometra 31enne che morirà all'alba del giovedì successivo, il 22 ottobre, immobilizzato nel lettino del reparto penitenziario del Pertini. Da quattro giorni rifiutava cibo e cure perché gli veniva impedito di incontrare un avvocato di fiducia. Oltre al badge, la famiglia sta per consegnare alla Procura - che indaga su tre agenti di custodia per omicidio preterintenzionale e su tre medici per omicidio colposo - un certificato medico di sana e robusta costituzione datato 3 agosto. Stefano era tornato più magro dalle ferie e il suo istruttore gli aveva richiesto un certificato. Poi, rinfrancato dalle sue buone condizioni, lo stava allenando con pesi ed esercizi per aumentare la sua massa muscolare. Tutto ciò servirà per fare piazza pulita degli equivoci e delle insinuazioni sulla cagionevole salute di Stefano. Avesse avuto acciacchi, Stefano non avrebbe potuto frequentare quel posto ma Alfano ha ripetuto continuamente nei giorni scorsi le versioni su una caduta del giovane risalente a due settimane prima dell'arresto. Per la famiglia Cucchi sono giorni di dolore indicibile e le novità di ieri non migliorano certo la situazione. La riesumazione della salma è stata disposta per le 9 del 23 novembre per consentire ai consulenti delle parti di accertare le cause della morte. Tra gli esami previsti quello del Dna sulle tracce di sangue scoperte sui jeans, ora sotto sequestro. La famiglia ancora non sa dove si trovino quelle macchie ma le foto - scattate prima del funerale - mostrano ferite sotto il ginocchio destro e sulla tibia sinistra. S'è saputo solo ieri, inoltre, ma i fatti che seguono risalgono a una decina di giorni fa. Ossia a quando i genitori di Stefano hanno trovato la forza di passare a Morena, tra Ciampino e la Capitale, dove Cucchi stava sistemandosi un appartamento. Lì, in un armadio c'era una busta sospetta che, più tardi, sarebbe stata sequestrata dalla squadra mobile per conto del pm. Dentro quasi un chilo di hashish, 130 grammi di cocaina e bilancini. L'avviso immediato al pm della scoperta casuale «è la dimostrazione della trasparenza e della correttezza dei familiari di Stefano - dicono i legali Fabio Anselmo e Fabio Piccioni - anche per questo bisogna credere loro quando dicono che il figlio aveva il viso gonfio al suo arrivo nell'aula dell'udienza di convalida». La scoperta, invece, riaccende i riflettori sulla gestione dell'arresto e sulla notte in guardina, in una caserma di Tor Sapienza. Forse i carabinieri sospettavano che quella dei genitori non fosse l'unica dimora di Stefano. Forse erano contrariati dal magro bottino di quella notte, una ventina di grammi di fumo. L'ordinanza che gli nega i domiciliari, in casa o in comunità, dice che era un senza fissa dimora e che non c'erano prove che abitasse dove aveva dichiarato. Magari pensavano che, dopo un po' d'isolamento, avrebbe parlato. Forse negargli l'avvocato di fiducia era uno strumento di pressione. In tribunale quando si trovò un legale d'ufficio, che neppure s'accorse della sua faccia gonfia, Stefano se l'era presa coi carabinieri. Sono domande. Ma chissà perché, quando arrivò l'ambulanza nella cella di sicurezza nei sotterranei di Tor Sapienza, Cucchi era arrotolato tra due coperte e col volto nascosto. E chissà perché rifiutò il ricovero e rifiutò di firmare quel rifiuto. Certo è che quel volto coperto «è una costante di questa storia - dice la sorella Ilaria a Liberazione - e non era un suo atteggiamento». I testimoni sarebbero tre. Uno ha raccontato il pestaggio nel sotterraneo di Piazzale Clodio, gli altri avrebbero raccolto le confindenze di Cucchi su un doppio pestaggio. Un sindacato di polizia penitenziaria - la Uil Pa - si lamenta che il testimone del tribunale sia sotto protezione in comunità: «Se il dispositivo di concessione dei domiciliari parla della necessità di tutelare l'incolumità fisica e alla necessità di sottrarre a condizionamenti ambientali il testimone ci troviamo, inequivocabilmente, di fronte ad un giudizio di illegalità del sistema penitenziario».
fonte Osservatorio sulla repressione da Liberazione del 17 11 09
Dunque i 29 grammi trovatigli addosso erano di Hashish e non di coca.
Stefano stava fisicamente bene (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?)
E' stato picchiato (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?) e ci sono i probabili colpevoli (chi lo dice in malomodo a Giovanardi?).
Stefano rifiutava le cure perché non gli facevano vedere un avvocato di fiducia, perché i giornali questo i primi giorni non lo hanno detto dicendo solo che rifiutava le cure (così, per autolesionismo) né hanno menzionato che oltre a rifiutare il ricovero appena giunto in carcere rifiutò anche di firmare il foglio di rifiuto? Quindi non le scelte inconsulte di un drogato, ma scelte logiche e coerenti di un ragazzo cui sono stai negati i diritti civili (diritto a un avvocato).
Quanto altri casi come Cucchi?
Quante altre morti dovranno avvenire prima che ci ribelliamo contro questi PARLAMENTARI DI MERDA (ormai non basta più prendersela solo col Governo) stile presa della Bastiglia?
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