29 aprile 2008

Ma che vi ridete?

A due anni e mezzo ho avuto la meningite.
Un febbrone che superava i 40 gradi e 24 ore durante le quali sembrava non fosse sicuro dovessi farcela.
Mia madre mi raccontava che, travolta da una preoccupazione immensa, di quelle talmente devastanti da non lasciarti nemmeno la forza di disperare, affacciata al balcone della nostra casa al secondo piano, durante una breve pausa d'aria che si prendeva mentre si alternava con papà al mio capezzale, si meravigliava che la gente che circolava in via Rivoltella, dove abitavamo, fosse spensierata e, ignara di quanto le stesse succedendo, osasse addirittura ridere, indifferente della sua pena. Stavo perdendo il senno della ragione amava raccontarmi per tranquillizzarmi, quando, anni dopo, mi vedeva afflitto da qualche preoccupazione. Mi domandavo, mi raccontava seria, come osassero ridere, visto che io rischiavo di perdere mio figlio. Non mi capacitavo che quella disperazione che mi toglieva il fiato fosse solo mia e non coinvolgesse nessun altro. E come poteva? Chi rideva non sapeva nemmeno che tu esistessi...
Ieri, mentre tornavo a casa su di un affollatissimo 769, mia madre mi è tornata in mente. Meglio, ho ritrovato mia madre dentro di me, come mi capita a volte, abbastanza spesso, quando un suo atteggiamento, una sua reazione, un suo punto di vista, diventano improvvisamente anche i miei. E' il mio modo laico per dire che mia madre, morta nel lontano 1990 (macché lontano, mi sembra ieri!), è qui con me, al mio fianco, non mi ha abbandonato mai (come purtroppo pensa mia sorella) e mi consiglia, mi stuzzica, ride divertita con me, continua a coltivarmi quel senso di autoironia che mi ha donato, la cosa per la quale le sono più grato (beh, dopo avermi messo al mondo beninteso... ma di quello devo ringraziare anche papà!).
Insomma sono lì, attonito, frastornato, incapace di credere che Alemanno abbia vinto le elezioni, tra l'altro l'ho saputo nel peggiore dei modi, alla tv della stazione della metro, detto con lo stesso tono con cui si può annunciare la vittoria della Roma al derby (ecchisenef...), guardo la gente sull'autobus gremito e cerco di capire, guardando le facce, chi possa aver votato Alemanno, chi si sia astenuto e chi abbia votato come me Rutelli, ma mi sembrano tutte facce brutte, vecchie, cadenti, rose da un destino di morte che le attanaglia tutte. Poi una ragazza al cellulare scoppia in una risata e lì mi trasformo in mia madre. Sto quasi per dirglielo ma che cosa ti ridi! ed è allora, per fortuna, che mia madre mi tira per la giacchetta, mi fa quel suo mezzo sorriso che secondo lei non notava nessuno, abbozzando con gli occhi come per dirminon fare come me quando avevi la meningite!.
Ho sorriso a quel pensiero, scrollandomi di dosso, almeno per un momento, l'oppressione di una sconfitta che mi preme sul petto e non mi fa respirare.
E allora ho capito che devo fare autocritica.
Non quella ipocrita e fondamentalmente fascista del perbenismo proletar-borghese del comunismo europeo di ispirazione sovietica (quello che porta Angi Vera al processo politico nel film omonimo di Pál Gábor).
L'autocritica cui mi riferisco riguarda la mia spocchia, quel senso di superiorità che mi ha sostenuto in tutti questi anni, la presunzione di credere che, pur convinto che le idee di sinistra non siano spontanee ma frutto di un duro lavoro di ricerca e di addomesticamento della bestia-uomo, quelle idee in me fossero in qualche modo spontanee. Questa spocchia, questa presunzione, o, come si diceva una volta, l'individualismo borghese di chi sapendo di avere ragione vede gli altri dall'alto in basso, va radicalmente modificata. Non tanto perché ormai a destra ha vinto, li avrò come interlocutori e quindi devo trattarli umanamente, ma proprio perché quest'aria di sufficienza con cui guardavo a destra mi ha impedito di capire i motivi di questa svolta a destra, le cui ragioni sono la vera e più profonda sconfitta della sinistra. Sono ancora convinto che le ..."idee" del centro destra non siano nemmeno degne di essere chiamate tali, che i "valori" (sic!) cui si rifà chi ha votato Alemanno (e il Pdl) si basino sull'ignoranza e la deficienza di cultura, di senso critico, sulla mancanza di senno, siano il sintomo di quel sonno della ragione che genera mostri. Ma così pensando ho anche io commesso lo stesso errore della sinistra: guardare ma non vedere tutte quelle persone, in carne ed ossa, che si allontanavano dai valori della sinistra, uguaglianza tra popoli, tra generi, difesa delle classi più povere, il diritto dovere al una visione critica delle cose, verso una weltanschauung più semplice, semplificata, monolitica, assoluta, priva di dubbi, di se e di ma, di relativistici distinguo. Che, insomma, mentre io mi pascevo di un orgoglioso "Io no" il Paese, chi mi stava intorno, le persone con le quali mio malgrado condividevo aria, servizi, strade, ospedali, cinema, teatri, cibo e città, andavano inesorabilmente a destra anche perché io, come tanti (tutti?) altri "di sinistra", ero incapace di mostrare loro che la vera semplicità è nella complessità, che l'errore è nel voler ridurre le differenze invece di accettarle nella loro caotica armonia.
Per cui va a finire che quelli fuori dal mondo sono quelli come me, quelli incapaci di trasmettere agli altri quel sano dubbio che da sempre li sostiene e li conduce ma che non ha saputo salvare dalla vanità frivola che faceva sentire diversi non già perché ci si comportava in modo diverso, ma semplicemente perché ci si sentiva diversi e dunque lo si era.
E il fatto che la sinistra debba occuparsi di sé invece che del popolo dalla deriva reazionaria, fascista e patriarcale, la dice lunga sul senso profondo di una sconfitta che non nasce da queste elezioni disastrose ma che con queste elezioni disastrose si conclude.
Se è vero che alle Istituzioni ci vanno i rappresentanti del popolo è giusto che i rappresentanti di sinistra non ci siano perché non c'è più il popolo di sinistra che è ormai un cadavere in putrefazione anche se finora avevamo fato finta di non accorgercene.
E ora, inorriditi, meravigliati, sconvolti, guardiamo al nostro corpo di Zombie e increduli ci accorgiamo che siamo (politicamente) morti.

E a risorgere è bravo Cristo non certo noi di sinistra...
(rivisto e parzialmente modificato il 2 magio 2008)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Pelle d'oca per una tragica verità che non arriva inaspettata ma diretta come uno schiaffo che la vita ti ha sempre promesso ma mai dato, e che sinceramente, non ti aspettavi. Ma mi permetto di dire che forse alcuni di noi l'hanno sperata. E' la fine della sinistra di quel potere che ha sempre voluto e mai avuto. E' inevitabile affermare che per ripartire da zero, (come ha voluto far credere troppe volte il trasformismo di sinistra degli ultimi 15 anni) bisogna arrivarci SUL SERIO allo zero. Alla tabula rasa. Ora di raso spero solo di non vedere troppe teste...

Alessandro Paesano ha detto...

Certo è triste dover aspettare l'infarto per poter curare il colesterolo...

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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