Braccia rubate all’agricoltura
Oggi ho un attacco di grafomania. Perdonatemelo, vi prego. Prometto che nel weekend mi dedicherò alle biciclettate nel bosco.
Ma davvero non posso tacere di fronte all’articolo pubblicato da Il Manifesto in data 31/08/2013 e firmato Sarantis Thanopulos, un articolo dal titolo “Non è violenza di genere“.
Che cosa, secondo il signor Thanopulos non è violenza di genere?
E’ presto detto: la violenza contro le donne.
Ci dice il Thanopulos che parlare di “violenza di genere” è una indebita semplificazione della situazione, perché sebbene siano le donne a subire la violenza e gli uomini ad agirla, in realtà “la vittima predestinata è la sessualità”.
Il fatto che le donne muoiano, insomma, è assolutamente accidentale: è un qualcosa che capita nel frattempo, un piccolo dettaglio insignificante all’interno di un quadro molto più complesso, perché nessuno aveva intenzione di fare del male a lei, la donna.
“In realtà l’oggetto dell’aggressione non è la donna in sé, intesa come «genere», ma la qualità femminile del desiderio, la possibilità stessa del coinvolgimento profondo e del godimento vero in entrambi i sessi.” ci spiega Thanopulos.
Se un uomo aggredisce una donna, sta tentando di aggredire la possibilità di un coinvolgimento profondo, non quella donna e non perché è donna, ma perché in quella donna vede la qualità femminile del desiderio.
Femminile, da dizionario, significa “proprio della donna”, ovvero, afferente alla donna in quanto soggetto di un genere diverso da quello maschile.
Però, per qualche motivo, per Thanopulos aggredire la qualità femminile del desiderio non ha nulla a che fare con il genere.
“L’intero edificio sociale si basa sulla complementarità dei sessi”, dice più avanti.
Sesso, sempre da dizionario: insieme dei caratteri anatomici e fisiologici che contraddistinguono, all’interno di una specie, il maschio e la femmina. Che sono due generi. Ma il genere non c’entra niente.
Sono io che non capisco, oppure il signor Thanopulos si è un po’ ingarbugliato?
Senza soffermarmi troppo sui beceri stereotipi che vengono elencati dopo l’annuncio della “teoria della complementarità” (il ricorso della sessualità maschile a norme e convenzioni e l’anticonformismo femminile, per esempio, anticonformosmismo che probabilmente va tradotto con “non si attengono rigorosamente alle regole imposte dagli uomini”) vi ricordoche a proporre questa teoria è stato, non troppo tempo fa, Enhada, il partito tunisino conosciuto anche Movimento della Rinascita, e che le donne tunisine non l’hanno presa bene. Alla proposta di inserire nella Costituzione l’articolo che recitava “lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, sotto il principio della complementarita’ con l’uomo in seno alla famiglia, e in qualità di associata all’uomo nello sviluppo della Patria” sono scese in piazza protestando con tanto di striscioni.
Ma veniamo alla parte peggiore dell’articolo:
“La violenza nei confronti della donna è sociale e danneggia egualmente uomini e donne come soggetti sessuali. Nella sostanza danneggia più l’uomo che la donna perché l’uomo violento perde il suo oggetto del desiderio e subisce una deprivazione psichica devastante. Una donna può essere sopraffatta dalla violenza ma restare internamente viva mentre l’uomo sopraffattore è già morto dentro.”
La vera vittima della violenza contro le donne, signori e signore, è l’uomo. L’uomo perde l’oggetto del desiderio! Vogliamo mettere la sua sofferenza psichica con le coltellate, l’acido in faccia, le fratture, i lividi… La donna forse soffre, ma se sopravvive è viva, mentre l’uomo, poverino, è morto dentro. E se la donna muore? Beh, è morta, quindi ha smesso di soffrire. A qualcuno importa? A Thanopulos no.
Ma dentro la donna cosa c’è? Evidentemente, secondo Thanopulos, niente di niente, visto che la sofferenza psichica della donna non viene nominata. Ce l’avranno una psiche le donne? Temo proprio di no.
Che meraviglia, aprire un giornale e scoprire che la violenza di genere non esiste perché la donna è solo un oggetto del desiderio! Non c’entra niente il genere: gli oggetti non hanno genere! Gli oggetti non sono femmine o maschi: sono solo cose!
Grazie al signor Thanopulos adesso sappiamo perché tante donne muoiono: non perché sono donne, ma perché non sono esseri umani.
Sono andata a cercare una citazione per esprimere un diverso punto di vista:
«l’amicizia è – ma non in senso peggiorativo – il meno naturale degli affetti, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile. Qui i nostri nervi c’entrano ben poco, in questo sentimento non c’è nulla di tenebroso: nulla che faccia accelerare il polso, o arrossire, o sbiancare» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 60).
«L’amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre, che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire allora, come le anime beate in Dante: “Ecco che crescerà li nostri amori”, poiché in questo amore “condividere non significa perdere”.
È ovvio che l’esiguo numero di spiriti a noi congeniali – tralasciando considerazioni pratiche, quali le limitate dimensioni delle stanze e il volume ridotto della voce umana – pone dei confini oggettivi all’ampliamento di questa cerchia di amici; ma entro questi limiti il nostro godimento di ciascuno degli amici aumenta, e non diminuisce, con il numero di coloro con i quali lo dividiamo.» (C.S. Lewis, I quattro amori, pp. 62-63).
«In questo tipo di affetto – come disse Emerson – “Mi vuoi bene?” significa: “Vedi la stessa verità?” o, per lo meno, hai a cuore la stessa verità? Chi concorda con noi sul fatto che una certa questione, dagli altri considerata secondaria, è invece della massima importanza, potrà essere nostro amico. Non è necessario, invece, che egli sia d’accordo sulla risposta da dare al problema. [...]
Ecco perché quei patetici personaggi sempre a caccia “a caccia di amici” non riescono mai a trovarne. Si può arrivare ad avere degli amici soltanto a patto che si desideri qualcos’altro, oltre agli amici. Se la risposta sincera alla domanda: “Vedi la stessa verità?” fosse: “Non vedo niente e non mi interessa niente; voglio soltanto un amico”, allora non potrà nascere alcuna amicizia – anche se potrà nascere affetto. Non ci sarebbe niente per cui essere amici, e l’amicizia deve avere un oggetto, fosse anche solo una passione per il domino o per i topolini bianchi. Chi non possiede nulla non può dividere nulla; chi non sta andando da nessuna parte non può avere compagni di viaggio» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 66).
«Non ho il dovere di essere amico di nessuno, e nessuno ha il dovere di esserlo nei miei confronti. Niente pretese, nemmeno l’ombra di un obbligo. L’amicizia è superflua, come la filosofia, l’arte, l’universo stesso (Dio, infatti, non aveva bisogno di creare). Essa non ha valore ai fini della sopravvivenza; è piuttosto una di quelle cose che danno valore alla sopravvivenza» (C.S. Lewis, I quattro amori, p. 70).
(Per chi lo ignorasse, Lewis è l’autore del ciclo di Narnia…)