Mina regala ai suoi fan una straordinaria sorpresa per Natale pubblicando su cd i quattro brani inediti realizzati appositamente per la colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo “La banda dei Babbi Natale”. Il cd si intitola “Piccola Strenna” e sarà nei negozi da martedì 30 novembre, come cd singolo oppure in una “Deluxe Edition” natalizia unitamente all’ultimo album di Mina “Caramella”.
“Piccola Strenna” si apre con “Mele Kalikimaka”, un brano natalizio gioioso e solare, cantato parte in inglese e parte in lingua hawaiana, già in radio. “Walking the town” è invece una canzone in puro stile rock inglese che aderisce perfettamente all’ambientazione di una particolare scena del film, così come “Il sogno di Giacomo”, le cui note sottolineano l’incubo ricorrente di uno dei protagonisti, rimandando alle atmosfere delle colonne sonore più classiche, con la voce di Mina che accompagna le musiche con vocalizzi da brivido. Infine, il più conosciuto tra i brani natalizi, “Silent Night”, è proposto in una emozionante e suggestiva chiave a ballad jazz.
Come di consueto, le copertine sono a cura di Mauro Balletti che per “Piccola Strenna” ha ripreso pennino e calamaio per realizzare un delizioso disegno a tema natalizio dal sapore antico, mentre per il doppio cd ha spolverato di stelline scintillanti la cover di “Caramella”.
Il film “La banda dei Babbi Natale” con Aldo, Giovanni e Giacomo è diretto da Paolo Genovese, prodotto da Paolo Guerra per Medusa Film e Agidi s.r.l. e sarà nelle sale cinematografiche il 17 dicembre.
“PICCOLA STRENNA”
1. MELE KALIKIMAKA (R.Alex Anderson)
Arrangiamento e sax : Gabriele Comeglio – Batteria: Diego Corradin – Basso: Lorenzo Poli – Steel Guitar e ukulele:Giorgio Cocilovo – Piano: Franco Serafini – Tromba: Emilio Soana – Trombone: Marco Parodi – Tecnico di registrazione e mix: Celeste Frigo
2. WALKING THE TOWN (Samuele Cerri /Franco Serafini)
Arrangiamento e tastiere: Franco Serafini – Batteria: Diego Corradin – Basso: Lorenzo Poli – Chitarre: Giorgio Cocilovo – Archi diretti da Gabriele Comeglio – Tecnico di registrazione e mix: Celeste Frigo
3. IL SOGNO DI GIACOMO (Massimiliano Pani / Franco Serafini)
Archi diretti da Gabriele Comeglio – Tecnico di registrazione Gabriele Kamm – Tecnico di missaggio: Celeste Frigo
4. SILENT NIGHT (John Freeman Young /Franz Gruber)
Chitarra: Luca Meneghello – Tecnico di registrazione e mix: Celeste Frigo
Mastering effettuato da Alessandro Di Guglielmo presso Elettroformati Milano
Prodotto da Massimiliano Pani
Copertina e disegno: Mauro Balletti – Grafica: Stefania La Gioiosa
Intanto svegliarsi e apprenderlo da Facebook, tra mille post frivoli e personali, è devastante.
Monicelli è morto.
Vado subito al link di Repubblica e rimango disgustato da un altro esempio di pessimo giornalismo.
Il titolo:
Addio a Mario Monicelli
il regista suicida in ospedale.
Quel "suicida" sottolinea il gesto ma non le motivazioni.
Quelle sembrano essere riportate dal lungo catenaccio
"Se ne va l'ultimo grande del cinema italiano. Aveva 95 anni. Si è buttato da un balcone al quinto piano dell'ospedale romano San Giovanni, dove era ricoverato per un tumore in fase terminale. Le reazioni del mondo della cultura e delle istituzioni"
Insomma la notizia è che Monicelli ha deciso lui quando porre fine alla propria vita, una gran bella vita. Malato di un cancro in fase terminale ha detto basta a una morte doppiamente inevitabile, per sopraggiunta età e per la malattia terminale.
Invece nell'articolo si passa al pudore per il gesto, quasi fosse il risultato della senescenza, e non un coraggioso atto di volontà.
Addio a Mario Monicelli, l'ultimo grande del cinema italiano. Il regista, 95 anni, è precipitato dal quinto piano dell'ospedale romano "San Giovanni". E' accaduto intorno alle 21. Secondo fonti sanitarie, si è tolto volontariamente la vita.
Dunque non è precipitato, si è gettato...
Era ricoverato da qualche tempo nel reparto di urologia, per un tumore alla prostata in fase terminale. Era in una stanza da solo. Non è stato trovato alcun biglietto.
E certo! Un gesto talmente incomprensibile che un biglietto era proprio necessario. Capite la mente di questo giornalista (sic!) come è abituata al suicidio come gossip, un gesto del quale trovare una causa? Come se 95 anni di età e un cancro terminale alla prostata non fossero una motivazione più che sufficiente. Invece e di sottolineare la grandezza dell'uomo anche nella morte, scelta e non subita, si insinuano dubbi che sono tutti nella mente di chi scrive...
Il corpo è stato rinvenuto dal personale dell'ospedale, a pochi metri dall'ingresso del pronto soccorso, disteso in un vialetto, accanto ad alcune aiuole. Il reparto è presidiato dalle forze dell'ordine. Il padre del regista, Tomaso, scrittore e giornalista, si era suicidato, nel 1946.
Ed ecco la porcata finale. Tale padre tale figlio. Il suicidio è una eredità di famiglia, un male trasmesso dai genitori. Non una opzione di alta dignità etica, per decidere quando finire la propria vita, suggerendo, casomai, che bisognerebbe istituire il suicidio assistito perchè magari Monicelli invece di defenestrarsi poteva andarsene in un modo meno cruento (ma che coraggio! Che coraggio!). Macché
sucida come il padre.
Ladro come il padre. Mafioso come il padre.
Non vi viene da vomitare?
Tra l'altro, in una intervista a Vanity Fair, del 7 giugno 2007 (ma la fonte è wikipedia...) Monicelli aveva parlato del suicido di suo padre inserendolo nell'orizzonte etico del proprio:
"Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre lo ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto".
Due minuti di ricerca su internet...
Un professionista onesto lo avrebbe fatto. Ma non ci sono più giornalisti onesti in questo paese. Nè cittadini. Ed ecco un terzo motivo per andarsene, vero Mario?!
Anche se la mia amica Mariù, a ragione, mi ricorda che non ha senso parlare di cose che hanno consistenza solo sulla rete non posos fare a meno di commentare certi articoli pubblicati sulla rete.
Stamane mi cade l'occhio sul sito Giornalettismo il cui titolo è già tutto un programma.
Tra le notizie leggo questa: Non chiamatemi prostituto, sono un escort gay”.
Niente da invidiare alla carta stampata. Non leggo l'articolo, non spreco più il mio tempo così. Mi cade però l'occhio sullì'...occhiello dell'articolo che dice: Nella notte parigina il sesso a pagamento omosessuale nasce nei bar: ecco le testimonianze di tre protagonisti.
Sesso a pagamento omosessuale...
Cioè non è il sesso ad essere omosessuale, ma il pagamento...
Beh è evidente che un pagamento gay p molto più gentile e morbido...
Giova ricordare Moretti: Chi parla male, pensa male. Tommaso Caldarelli, l'autore di questo pezzo, non pensa affatto e nel suo articolo (poi l'ho letto...) dice solo stupidaggini da gossip e non ricorda nemmeno che, nel mondo gay battere non vuol dire prostituirsi, ma cercare qualcuno che ci sta. Per cui la descrizione dei clienti tipo di uno di questi escort, riportata nel pezzo,
C’è l’uomo sposato, che ha scoperto tardivamente la sua omosessualità, o che ha a volte solo bisogno di parlare; poi c’è l’uomo attivo e superindaffarato, che quando è di passaggio a Parigi vuole tirare un colpo veloce ad un bel ragazzo; e poi c’è il ragazzo di 25 anni che ha avuto un colpo di fulmine e vuole passare una bella notte con me
sono tutte cose che soprattutto a Parigi, puoi fare GRATIS, non solo nei locali gay, ma in qualunque altro posto della città, visto che parlare lo fanno tutti e che i ragazzi di 25 anni che si innamorano di altri ragazzi sono gay ben inseriti nella società, con una vita lavorativa oltre che omoaffettiva e non hanno certo bisogno dei soldi per mediare le loro sere di sesso (o di amore).
Ma si sa, l'omosessualità deve sempre rimanere nel sordido...
Stamane ascolto come sempre il gr2. Tra le notizie ce n'è una su uno spot pro eutanasia che avrebbe scatenato molte polemiche.
Fino a qualche mese fa, già qualche minuto dopo la seconda edizione del gr2 del giorno, quella delle 7 e 30, la principale del mattino, la prima va in onda un'ora prima, potevo riascoltarla su internet. Adesso non più. Ancora alle 8 e 30 è disponibile la prima edizione del gr1 ma non quella del gr2 (l'ultima disponibile del gr2 è quella delle 21 e 30 di ieri, non andata in onda).
Per il momento non posso riportarvi dunque la notizia data dal gr2, in maniera talmente distorta, surrettizia e capziosa che paesanini arresterebbe tutti dal direttore generale della rai in giù con la precisione che mi è solita: cioè la trascrizione parola per parola della notizia tal quale.
Il fatto però che sulla rete non si trovi il gr2 e che il sito grr privilegi il gr1 come tutto il primo canale rai mi preoccupa davvero... La democrazia in questo paese ce la stano togliendo pezzo per pezzo.
Intanto beccatevi lo spot, brutto, noioso, antitelevisivo, mal doppiato (si vede l'origine non italiana e la lingua originale dell'attore che è l'inglese) con un attacco frontale a questo governo (il peggiore della storia d'Italia) che è probabilmente il vero motivo dello scandalo. Avremo modo di riparlarne.
Appena recupero il podcast del gr2 (domani?) vi rendiconto sulla notizia data in studio e sul servizio nel quale vengo fatte certe affermazioni da far ridere anche il più sprovveduto degli studenti al primo anno di comunicazioni di massa...
Dunque, il podcast è finalmente online. Ecco come viene data la notizia in studio.
E' destinato a riaprire dibattiti e polemiche uno spot televisivo a favore dell'eutanasia già censurato in Australia ma permesso in Canada. Nel nostro paese si attende la risposta dell'Autorità Garante delle Comunicazioni per la trasmissione del filmato su alcune reti televisive al nord ma intanto è già disponibile in rete, ascoltiamo il servizio. parte il servizio
Sono pochi secondi però destinati ad avere un effetto dirompente per il contenuto che hanno e per il dibattito mai sopito che prevedono di riaprire. Il tema è l'eutanasia legata al diritto di scelta e mentre si attende una risposta da parte dell'Autorità garante delle Comunicazioni che autorizzi la messa in onda su alcune emittenti lombarde lo spot interpretato da Tony Garrani è già fruibile con un click su internet. Bruno Mazzara vicepreside della Facoltà di scienze delle comunicazioni dell'università la sapienza di Roma.
domanda della cronista: ancora una volta la rete cambia le carte in tavola delle regole della comunicazione?
risposta del Prof.: Certamente perchè la rete porta al massimo delle potenzialità quell'aspetto attivo della fruizione che nel caso della televisione era limitato quando possibile all'uso del telecomando.
domanda della cronista: Quindi in qualche modo la discussione che si apre sulla questione dello spot è già superata dai fatti?
risposta del Prof.: cioè se io quello spot lo vedo in televisione diventa semplicemente un messaggio che io posso più o meno accettare se è in rete io lo inserisco in un mio perocorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni.
Viviana Verbaro per il gr2.
Un servizio a dir poco agghiacciante. Non la notizia di per sé ma proprio come viene data.
Per il gr2 dibattiti e polemiche sono la stessa cosa. Peccato che non sia così per la lingua italiana. Il dibattito in quanto Pubblico confronto di opinioni su un tema dato1 è il sale di ogni democrazia, mentre la polemica, in quanto Discussione dettata da animosità e condotta spesso solo per il gusto di contraddire gli altri2 è esattamente il contrario della democrazia. Non per il gr2 che, fascisticamente, ritiene il dibattito alla stregua delle polemiche, una cosa negativa, qualcosa di negativo perchè è una discussione che è stata chiusa (e non è vero) e guai a riaprirla. Della serie decido io per tutti e per sempre. Democratico, no? Qualcosa che va censurato, come è successo in Australia, e infatti, dice la speaker in studio, si aspetta il responso dell'autorità Garante delle comunicazioni. Un organismo che non esiste essendo il nome preciso Autorità nelle Garanzie delle comunicazioni, cioè l'Agcom i cui scopi precipui però, lungi da essere censori, sono ben altri.
L'Autorità svolge infatti una funzione attiva di controllo dell'intero mercato delle comunicazioni, i cui attori devono conformarsi in primis ai principi dell'art. 21 della Costituzione: pluralismo e promozione della concorrenza, garanzia di un'informazione imparziale, completa, obiettiva e di qualità. Ha inoltre competenze in materia tariffaria, di qualità, controllo degli operatori del mercato (fonte Wikipedia.
Il fatto è che l'associazione Luca Coscioni, di area radicale, nel cui statuto si legge che lo scopo è Promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili (fonte Wikipedia ha comprato i diritti italiani per lo spot pro Eutanasia creato dall'associazione Exit International, lo ha doppiato in italiano con la voce di Toni Garrani (è del doppiatore il nome dell'attore citato nel servizio del gr2, non quello dell'attore che lo interpreta...) e lo ha messo in rete. Il tutto presentato in una conferenza stampa, a Milano, il 9 novembre, alla quale ha partecipato, assieme a Mina Welby e al Segretario dell'Associazione Luca Coscioni Marco Cappato, anche Fabio Ravezzani, direttore di Telelombardia. L'emittente lombarda ha annunciato, la trasmissione dello spot. (fonte Il sito dell'associazione Luca Coscioni Prima di metterlo in onda telelombardia ha voluto sentire il parere preventivo dell'Agcom, assieme alle emittenti locali Antenna3 e Milanow3, cui la messa in onda è subordinata. Ed ecco il perchè l'agcom è stato coinvolto.
Ora, quello che il servizio non dice affatto è che ieri, 10 novembre, sull'Avvenire, il quotidiano dei vescovi, sono stati pubblicati due4 articoli5, entrambi nella pagina degli interni, e quindi non strettamente un editoriale, che criticano e l'iniziativa e lo spot in questione. Repubblica riporta, male, entrambi gli articoli.
CITTA' DEL VATICANO - "Permettere che si pubblicizzi un reato attraverso i mezzi di comunicazione a noi pare inammissibile". Dura presa di posizione di Avvenire sullo spot a favore dell'eutanasia che, lanciato prima in Austraila, è ora stato adottato in Italia dai Radicali "col chiaro intento di provocare un caso" e di "azzardare la dimostrazione del trito teorema secondo il quale il Paese sarebbe più avanti del Palazzo (e della Chiesa, manco a dirlo) nell'esigere la codificazione di nuove libertà ". (La Repubblica)
Peccato che la dichiarazione con cui apre Repubblica non sia già dell'editorialista cioè di chi firma il pezzo (in realtà senza firma) ma riporta (male), le parole di Luca Borgomeo, presidente dell'associazione di telespettatori cattolici Aiart (una masnada di fascisti, ma di quelli proprio brutti). la farse di Avvenire è Come si fa a trasmettere sulle tv uno spot su una cosa che è del tutto illegale? L'eutanasia in Italia non è prevista, quindi con capiamo perchè la televisione debba essere utilizzata per questi scopi Che non è esattamente la stessa cosa riportata da Repubblica. Che Avvenire abbia vocazione dittatoriale, quel che pensano loro deve valere per tutti, è cosa nota (d'altronde cosa aspettarsi da una religione che ti dice che dio ti ama anche se tu non lo vuoi?)ma le argomentazioni dei due articoli, per quanto capziose e polemiche, sono un po' più sostanziose di quanto riportato da Repubblica. Come a dire che non eiste più una infromazione che possa dirsi tale in questo paese. Sull'eutanasia di per sé non ho nulla da dire, se non che la posizione morale di chi è contro è diversa da quella di chi è a favore. Chi è contro impone il suo no a tutti, chi è a favore non costringe certo chi non vuole, ma lo permette ha chi esprime questo desiderio. Proprio come per l'Aborto. Ma si sa i Cattolici hanno l'asso di dio, non è l'uomo che parla, dicono, ma Lui quinti taci e obbedisci. Ecco, io userei una bomba ha per disintegrare vaticano e quella merda architettonica di San Pietro. Cioè, non paesanini, ma proprio io io.
Tornando al servizio del gr2, capita l'antifona? Avvenire spara azero contro uno spot ancora non trasmesso in tv e il servizio non riporta le diverse reazioni, la polemica, ma presenta come oggettivamente un problema la comparsa dello spot destinato a riaprire dibattiti e polemiche. Evviva la deontologia!
Il meglio deve ancora venire, quando interviene bruno Mazzara, al quale dobbiamo dare almeno in aprte il beneficio del dubbio perchè la sua intervista è evidentemente manipolata (se la ascoltate sentit4 dei tagli, sicuramente atti a snellire il suo discorso ma che tagliano la frase finale che, così com'è non ha senso se è in rete io lo inserisco in un mio percorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni. delle rappresentazioni di che? Manca qualcosa...
Partiamo dalla domanda un capolavoro di pregiudizi e giudizi impliciti: ancora una volta la rete cambia le carte in tavola delle regole della comunicazione?
Ancora una volta = lo ha già fatto
cambia le carte in tavola delle regole ?!?!?! Pessimo italiano ma il senso è preciso. Non le regole teoriche quelle che in Italia non rispetta nessuno ma le carte in tavola, cioè le intenzioni esplicite del gioco. Dunque la rete non solo cambia le regole ma lo fa mostrando di volerlo fare... Capolavoro del doppiamo che andrebbe premiato. Il pulitzer per la velina di stato a Viviana Verbaro!!!
E vediamo finalmente cosa dice il nostro professore universitario. La sua risposta non è detto necessariamente sia alla domanda che sentiamo nel servizio viene detta in studio, non durante l'intervista telefonica...
La risposta però è certa:
la rete porta al massimo delle potenzialità quell'aspetto attivo della fruizione che nel caso della televisione era limitato quando possibile all'uso del telecomando.
Qundi sula rete sono attivo perchè scelgo io cosa leggere e vedere e non mi sorbisco il palinsesto televisivo che al limite posso modificare solo facendo zapping. Peccato che per quanto la scelta sia più ampia che quella televisiva io scelga qualcosa pensato da qualcun altro... Non sia io a documentarmi, ma mi limiti leggere sul portale del mio quotidiano quel che prima leggevo su carta. Sono pochi quelli che si documentano sul serio (come sto facendo io impiegando molto tempo). E, in ogni caso, la verificabilità delle fonti o ha le stesse autorità del cartaceo e della tv (ansa, agenzie di stampa, quotidiani) p è del tutto aleatoria 8chunque scrive su internet ma non per questo è credibile quel che scrive, soprattutto se non fornisce fonti e pezze d'appoggio).
Non siamo più attivi perchè smanettiamo su internet. Siamo più attivi quando scriviamo la nostra sull'eutanasia e non quando leggiamo quel che hanno da dire gli altri. Per documentarsi internet è solo la prima base la vera documentazione te la fai ancora altrove (biblioteca, etc.). La sindrome di Negroponte miete sempre qualche vittima.
Ma la risposta successiva (ripeto, bisogna vedere il contesto in cui è stata data) lo è dunque almeno per come la usa l'autrice del servizio) è così fascista, così nazista, cosi cattolica (dio ti vuole anche se tu non te lo fili) così agghiacciante che paesanini arresterebbe il prof per ammanco di democrazia.
Cosa dice il nostro ?
se io quello spot lo vedo in televisione diventa semplicemente un messaggio che io posso più o meno accettare se è in rete io lo inserisco in un mio percorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni
Cioè in tv mi fanno illavaggio del cervello e io posso solo dire sono d'accordo o non sono 'accordo. Sulla rete invece mi creo una coscienza critica.
Ora tralasciando se questo sia vero o no quel che ci sta dicendo il prof che lo spot sula rete è più disdicevole che in tv perchè in tv fa solo propaganda sulla rete fa cultura. E questo per lui sarebbe un male? E' una cosa da controllare? Dov'è la democrazia? LA libera circolazione di idee? Non stiamo forse dalla parti di Goebbles che metteva mano alla pistola quando sentiva la parola cultura?
Quindi la tv è buona perchè ammansisce e al limte i fa dire se su un argomento che non ho scleto io sono d'accordo o no (agenda setting)
La rete invece che mi permettere (ammesso e non concesso sia vero) di formarmi una opinione personale più ragionata è il male.
PAESE DI MERDA INFORMAZIONE DI MERDA UNIVERSITÀ' DI MERDA. ITALIA FECCIA DEL MONDO. ITALIANI CANCRO DEL PIANETA
The Socila Network Usa (e getta), 2010, di David Fincher è u film verbosissimo, che puoi seguire benissimo alla radio, tanto poco è film tronfio e inutile come solo gli inventori della rete sanno essere. Vacuo, maschilista, noioso, con un attore protagonista che vorresti prendere a schiaffi per tutta la durata del film e non tanto per il personaggio che interpreta ma per la sua inespressività idiota. se aggiungiamo che ci hanno fatto vedere il film doppiato in italiano la frittata non poteva essere più umidiccia e sporca.
Di frittate ne fanno anche madre e figlio in As melhores coisas do mundo (Brasile, 2010, di Lais Bodanzky, dopo che il padre li ha lasciati per un uomo e lui e suo fratello sonon presi in giro dai compagni di scuola. La prima scopata del protagonista, non con una prostituta dalla quale pur è andato, ma con una compagna di classe un po' zoccola, u fratello maggiore incline al suicidio, salvato dall'uomo del padre che è molto più aperto verso i figli del compagno di lui. Nulla di davvero nuovo ma tutto raccontato con leggerezza, girato bene e che affronta con onestà un tema che finora avevo letto in un romanzo (americano). questo film è tratto da una serie di romanzi intitolati a Momo il giovane protagonista. Un film godibilissimo che in Italia non ha ancora un distributore... Hold om mig Danimarca, 2010 di Kaspar Munk mostra come il bullismo più becero sia arrivato anche nella patria della democrazia perfetta. Dei ragazzini di prima liceo o terza media svesto non una compagna di classe mimando per gioco uno stupro mentre il resto della classe guarda senza intervenire. Inutile dire chi siano i veri mostri. Il film finisce male. Se la merda è arrivata in Danimarca, vuol dire che l'Italia ne è sommersa...
Del collettivo Amanda Flor e del film presentato al Festival on avevo sentito parlare e non sarei andato a vederlo se non fossi stato consigliato. Ad ogni costo Italia, 2010 di Davide Alfonsi e Denis Malagnino, è un film dalla genuina vena narrativa. Il collettivo più che esplorare la società, denunciarne le sperequazioni (come la parola collettivo suggerisce a un vecchio marxista come me...) vuole raccontare una storia e ci riesce benissimo. Una storia sganciata dai film e dalle fiction italiane, la cui amatorialità degli attori e delle riprese (e nonostante alcuni evidenti problemi di edizione, attori sbarbati e poi di nuovo con la barba...) ha una sua autonomia e una cifra personali. In una società dove al sopruso del furto corrisponde quello delle istituzioni (al protagonista spacciatore è chiesto di trovarsi u lavoro per vedere il figlio minore, messo in un istituto) lo spacciatore si arrangia, tra ispettori di polizia corrotti, nuova delinquenza (marocchina) che si sostituisce alla vecchia guardia nostrana, donne virago e dalla pistola facile, tutto detto con coerenza e credibilità. Ne emerge uno sguardo senza speranza, cattivo ma non incattivito, al quale però è indifferente il lato sociale e, a ben vedere, anche quello etico, ed interessa solo raccontare la sua storia fino alla fine. e questo gusto per la storia e non per quel che c'è prima, o dopo, è anche il più vistoso limite ideologico di questa operazione che risulta però più interessate e difendibile dei prodotti patinati come il film di Jalongo. Un pulp nostrano, a tratti grottesco, come quando il protagonista decide di far morire di overdose un suo amico tossico perché ha saputo dalla sua donna che ha l'aids (mai sentito parlare di cure?).
Il secondo e ultimo film della giornata è la proiezione unica di Fuwako No Adagio Giappone, 2010 di Tsuki Inoue. Un film delicatissimo sulla femminilità dal punto di vista di una suora cattolica di mezza età, ai primi sintomi di menopausa, che dopo una vita asessuata ritrova attraverso un se mistupro una propria dimensione di donna. Il tutto raccontato in 70 minuti, con una fotografia notevole per u film girato in digitale. Una delle poche sorprese del festival, so far, nella sezione più da seguire, occhio sul mondo\focus.
Poi sono andato a teatro nell'unico appuntamento dell'altra metà del mio non lavoro che no sono riuscito ad evitare.
Grazie all'alchimia dell'orario che si è incastrato bene il 30 sono riuscito a vedere sette film sette.
Una magia che no si ripeterà più, anzi, il 3 tra un film e l'altro aspetterò quasi due ore... Ah potessi fare io l'orario delle proiezioni!!!
Alcuni film erano completamente inutili, come Matching Jack Australia, 2010, di Nadia Tass, su una madre che cerca possibili figli illegittimi del marito cornificatore per salvare il figlio dalla leucemia... Meno peggio di quanto possa sembrare, commovente fino alle lacrime (quanto ho pianto!!!) , ma perfettamente inutile come, a quanto sembra tutti i film della sezione Alice nella città di quest'anno visti fin qua ...
Molto interessate Quartier Lointain Belgio, Francia, Lussemburgo, 2010 di Sam Garbarski, il sogno di un disegnatore di fumetti che rivive la propria infanzia scoprendo le motivazioni che hanno portato il padre tanti anni prima ad abbandonarlo con la madre...
The Freebie (Stati Uniti, 2010, di Katie Aselton, è un film inutile e furbetto sul ménage di una giovane coppia di sposi americani che non fanno più sesso nonostante la loro giovane età e che pensano bene di rinverdire il loro rapporto concedendosi un rapporto extraconiugale. Interno Berlinese, ma in digitale...
Scendendo le scale dopo la visione ho sentito due ragazzine dell'età di Anna Tatangelo, e truccate quanto lei, commentare le attrici del film, la protagonista e quella che interpreta la sorella, due bellissime donne sulla trentina avanzata con pochissimo trucco, dicendo che non erano belle. La tentazione di spingerle giù per le scale è stata forte...
Dog Sweat Iran/Stati Uniti, 2010 di Hossei Keshavarz racconta i maniera illuminante la vita di alcuni giovani iraniani, uomini e donne, alle prese con problemi ben diversi dai nostri eppure simili. Donne non emancipate, che trovano libertà nel matrimonio, che non possono nemmeno incidere canzoni, che fungono da alibi ai mariti gay (che magari non volevano spesarsi e lo fanno solo dopo aver visto le madri in lacrime chiedere a se stesse Perchè proprio io? Perchè a me?. Donne intellettualmente superiori ai ragazzi ( Vuoi fare un film?, dice una studentessa a un ragazzo appena tornato dagli States dove si è laureato in cinema, tanto non diresti la verità, inquadreresti il deserto e due cammelli, mentre la nostra realtà e in questa città (Theran) eppure succubi della stessa visione di femminilità di noi occidentali.
Un film molto interessante di denuncia e non solo della dittatura...
Altro film interessante Shimjangii-Thyney (Corea del sud 2010, di Eunhee Huh) che racconta di una assistente universitaria che torna a fare film porno per svegliare un cuore congelato (che nella sequenza dei titoli di testa mangia letteralmente lordandosi di sangue). La cosa che mi colpisce sempre dei film Coreani è la diversa percezione del tempo: quando l'assistente e la direttrice della casa di produzione porno, amiche di vecchia data, lasciatesi evidentemente in malo modo, si rincontrano dopo anni, c'è una sorta di fermo immagine solo che la pellicola (digitale) scorre sono loro a rimanere immobili per un tempo lunghissimo. Un diverso tempo narrativo dagli snodi temporali complicati, ellittici, che allude molto più di quanto mostri, come il cinema occidentale sapeva fare fino a 30 anni fa prima della semplificazione narrativa voluta dalle televisioni.
La ragazza vuole scopare ma essendo lei timida (ed essendo le relazioni interpersonali condotte da una rigido formalismo) spera di poterci riuscire sul set porno. Qui incontra un ragazzo bellissimo con delle enormi (e vistosamente finte) cicatrici, che lei tocca (e il ragazzo piange). Così durante gli amplessi quel che la ragazza, ma anche il ragazzo, scopre sono le emozioni, al di là del sesso fatto per lavoro, i sentimenti e il desiderio nonostante il sesso. Senza lieto fine americano ma con un più realistico la vita prosegue di merda peggio che prima: viene scoperta da alcuni studenti impudenti (che osano chiederle durante il corso di cinema erotico se lei sia ancora vergine, e lei impassibile), denunciata e licenziata (mi raccomando, le fa il preside, cancelli tutto dal pc controllano tutto).
Insomma mentre il cinema occidentale, almeno quello presnete al festival, sembra non avere davvero più nulla da dire se non ripresentare storie vecchie al pubblico di oggi che i film in cui quelle storie erano già state raccontate (e anche meglio) non li ha mai visti (il cinema è industria e non ha storia, ma solo un eterno presnete...) il cinema asiatico e quello sudamericano è l'unico è in grado di dire ancora qualcosa, anzi molto di più.
La sera è la volta del complesso e discutibile Yoyochu-Sex to Yoyogi Tadashi no Seka Giappone, 2010, di Masato Ishioka un documentario frammentario e privo di un vero senso storico su Yoyochu ultrasettantenne regista di film porno. Se i film di Yoyochu sono interessanti, anche da un punto di vista sociologico (film con ragazze ipnotizzate, con donne esperte nella stimolazione anale dei partner maschili) il documentario di Ishioka è ripetitivo, frammentario, noioso, senza ritmo, maschilista e sessista (ho posto la domanda a entrambi, ma entrambi hanno glissato cavandosela con una risposta sulle differenze culturali, però Yoyochu nella sua risposta cita Focoult!). Un film sul quale voglio tornare appena ho un po' di tempo. Deludente il settimo e ultimo film del giorno Leila Francia, 2010, di Audrey Estrougo, che pretende di raccontare una storia di multiculturalismo e integrazione, sulla scia di canzoni famose, francesi e non (c'è anche Jacques Brel), tutte arrangiate e riscritte in francese, cantate e danzate dai protagonisti del film, ma gira un film piccolo piccolo, involontariamente razzista e con una storia inconsistente: tutte le tnie non bianche incarnano il peggiore dei cliché etnici (le neri vestono etico e muovono la testa lateralmente, gli ispanici ballano, etc.) mentre i bianchi (ricchissimi) sono descritti con toni più dimessi. le canzoni sono belle, le coreografie anche di più, e nonostante il riferimento ai sans papiers del finale (con immagini delle vere manifestazioni parigine) le vie di Parigi sono un set invidiabile (aaaah Paris!) ma il film manca là proprio dove dovrebbe essere più forte, avere uno sguardo vero che sa cogliere la realtà, anche se stilizzata in un musical, e purtroppo fallisce miseramente. Un film da vedere comunque, se non altro per i due interpreti principali bellissimi, lei come lui.