12 dicembre 2009

12 dicembre 1969 Milano. Ore 16:37 Piazza Fontana,


Nella Banca Nazionale dell’Agricoltura una bomba provoca 17 morti e 88 feriti. L’attentato rientra nella strategia della tensione, teorizzata dallo Stato e messa in atto dai fascisti. Quella bomba, come altre tra cui quella che colpì Bologna, apparteneva al disegno di una mente lucida che sedeva in Parlamento e tra i tavoli dei Servizi segreti e che reclutava fascisti per attuarlo. Fascisti come Roberto Fiore, scappato all’estero subito dopo la strage di Bologna e oggi presidente di Forza Nuova. (dal blog assemblea antifascista)

A quarant’anni dalla Strage di Piazza Fontana la violenza dello Stato cambia forme, ma non attenua la sua ferocia.

Negli anni Settanta era un fenomeno anzitutto di vertici statali, di continuità istituzionali tra Fascismo e Repubblica, di tentati colpi di Stato, di bombe nelle piazze, di complotti e segreti nell’ombra. Adesso è invece un fenomeno diffuso, capillare, in gran parte alla luce del sole, articolato anzitutto sul razzismo e alimentato da tv, governi, rotocalchi, amministrazioni locali. Si consideri quanti vigili, poliziotti, carabinieri, consigli comunali sono stati protagonisti negli ultimi anni di aggressioni o provvedimenti razzisti contro rom e migranti: morti anomale, pestaggi, torture, arresti ingiustificati, intimidazioni, allontanamenti forzati, ordinanze antimigranti, prepotenze di ogni genere. Il razzismo in Italia assomiglia ormai a una Bolzaneto a cielo aperto. Ed è una «strategia della tensione» adattata ai tempi nuovi: non più di vertice, ma diffusa, a bassa intensità. Gli omicidi fascisti e razzisti sono ormai una strage a rate. Persone ignare e inermi, uccise per una parola, una sigaretta, un pacco di biscotti.

La strage continua anche oggi, nelle carceri, nei CIE, nelle strade, sui posti di lavoro. E non solo per mano dei fascisti: Marcello Lonzi, ammazzato di botte l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno; Federico Aldovrandi, pestato a morte il 25 settembre 2005 dagli agenti di una volante; Riccardo Rasman, ucciso il 27 ottobre 2006 da quattro agenti intervenuti a immobilizzarlo in casa sua; Aldo Bianzino, deceduto il 14 ottobre 2007 nel carcere di Perugia per «lesioni massive al cervello e alle viscere»; Giuseppe Turrisi, clochard ucciso a botte alla Stazione di Milano il 6 settembre 2008 da due agenti, uno dei quali si è giustificato dicendo: «Mi aveva rotto le palle»; Stefano Brunetti, arrestato ad Anzio e morto per le percosse subìte il 9 settembre 2008; Manuel Eliantonio, morto il 25 luglio 2009 nel carcere di Marassi a Genova dopo aver scritto a casa «mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Ora ho solo un occhio nero, mi riempiono di psicofarmaci, quelli che riesco li risputo ma se non li prendo mi ricattano»; Stefano Frapporti, arrestato senza motivo, pestato e spinto al suicidio nel carcere di Rovereto a fine luglio 2009; Francesco Mastrogiovanni, morto in un letto di contenzione il 4 agosto 2009 dopo un TSO abusivo; Stefano Cucchi, arrestato, pestato e morto il 22 ottobre 2009...
(dal blog assemblea antifascista)



La memoria nei libri delle superiori tra lacune e imprecisioni
I manuali dei licei e piazza Fontana Scompare il nome di Calabresi
Solo uno su sette cita l’omicidio del commissario, il 17 maggio 1972. E pochi ricordano Valpreda e Pinelli


MILANO — Se il dovere della memoria si impara sui banchi di scuola, i manuali di storia non sempre sono buoni viatici. Su sette testi sul Novecento de­stinati ai diciottenni che devo­no arrivare alla maturità prepa­rati anche sulla strage di Piazza Fontana, che il 12 dicembre 1969 segnò una svolta nella vi­ta del nostro Paese, soltanto due parlano di Giuseppe Pinel­li, il ferroviere anarchico preci­pitato dopo tre giorni di interro­gatori da una finestra al quarto piano della questura di Milano. E uno soltanto cita il nome del commissario Luigi Calabresi, che aveva interrogato Pinelli e, al termine di una campagna dif­famatoria, venne ucciso il 17 maggio 1972 da un commando terroristico. Il metodo della nostra picco­la indagine è empirico e di buon senso: abbiamo acquista­to una copia dei più diffusi ma­nuali adottati.


L’unico dei libri analizzati a parlare di Calabresi è il terzo volume della Storia del mondo moderno e contempo­raneo di Adriano Prosperi e Pao­lo Viola, edito dalla Einaudi Scuola. Questo digesto, tra i più accreditati per il prestigio degli autori, presenta così la morte dell’anarchico Pinelli: «Giuseppe Pinelli (1944-1969), durante un interrogatorio in questura cadde da una finestra e morì. La sinistra ha sempre ri­tenuto che sia stato spinto dai poliziotti». Notare che gli auto­ri riportano la versione di una generica sinistra, non le conclu­sioni dell’inchiesta di Gerardo D’Ambrosio, magistrato di sini­stra che parlò di probabile «ma­lore attivo». Gli stessi Prosperi e Viola ar­rivano quindi al caso del «com­missario Luigi Calabresi (1937-1972), secondo l’estre­ma sinistra responsabile della morte di Pinelli». E poi al pro­cesso contro gli ex di Lotta Con­tinua Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietroste­fani, accusati dell’omicidio Cala­bresi e condannati, dopo vari gradi di giudizio: «Il processo, fondato su una sola testimo­nianza — quella del pentito Leo­nardo Marino — sollevò molte perplessità in una parte consi­stente dell’opinione pubblica».



L’unico dei sette manuali da noi analizzati a ricordare assie­me le vittime Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi lo fa seguendo la vulgata di sinistra. E gli altri manuali? Uno dei più diffusi ed equilibrati, il ter­zo volume dei Nuovi profili sto­rici di Andrea Giardina, Giovan­ni Sabbatucci e Vittorio Vidot­to, inquadra la strage di piazza Fontana in un capitolo dedica­to alla crisi del centrosinistra. Si parla di «strategia della ten­sione », della matrice di «estre­ma destra» e delle «pesanti re­sponsabilità dei servizi di sicu­rezza nel deviare le indagini ver­so un’improbabile 'pista anar­chica ' ». Ma Pinelli, Valpreda e Calabresi, nomi simbolo e vitti­me di una stagione della nostra storia recente, non vengono mai citati. Così avviene nella quarta edizione degli Elementi di storia - XX secolo di Augusto Camera e Renato Fabietti (Zani­chelli), nel terzo volume de La storia al presente di Giovanni De Luna, Marco Meriggi e Giu­seppe Albertoni (Paravia), in Le voci della storia di Antonio Brancati e Trebi Pagliarani (La Nuova Italia). Francesco Maria Feltri, Maria Manuela Bertazzo­ni e Franca Neri, autori di I gior­ni e le idee (Sei), fanno i nomi di Pinelli e Valpreda, ma non quello di Calabresi. Infine Mar­co Fossati, Giorgio Luppi, Emi­lio Zanette in Passato e presen­te (Bruno Mondadori) si ricor­dano di Valpreda, non di Pinelli e Calabresi.

La storia non è cronaca, ma perché tutti parlano di Bartolo­meo Vanzetti e Nicola Sacco e pochi di Pinelli e Valpreda? Il ca­so di Sacco e Vanzetti, anarchici italiani giustiziati a Charleston negli Stati Uniti il 23 agosto 1927, sollevò all’epoca un gran­de clamore in tutto il mondo, ma forse che i destini di Pinelli, Valpreda e Calabresi non sono emblematici della nostra storia nazionale? Ciascun volume infine dà una diversa interpretazione dei fatti. Cosa legittima, ma perché ognuno fornisce cifre diverse su piazza Fontana? Il Camera ­Fabietti parla di 16 morti e 80 feriti, il De Luna Meriggi Alber­toni di 16 morti e 90 feriti, Fos­sati Luppi Zanette di 16 morti e un centinaio di feriti, Giardina Sabbatucci Vidotto parlano cor­rettamente di 17 morti. La preci­sione sui dati sarebbe indice di rispetto verso la memoria delle vittime.

Dino Messina
11 dicembre 2009 (Corriere della Sera)

C'è ancora molta strada da fare se qualcuno ancora crede o si sente di poter dire senza cadere nel ridicolo che Pinelli sia caduto da solo per un malore attivo o se c'è ancora bisogno di specificare l'orientamento politico dei magistrati. O presentare Calabresi vittima del terrorismo e non complice (politico e morale se non fattuale) di uno Stato che manipola e uccide (senza per questo giustificare chi lo ha ucciso).
La memoria si perde e si altera e alla fine si parla di vulgata anche dinanzi dei fatti precisi come le Stragi di Stato...

Un brutto giorno per la nostra Repubblica (come se gli altri fossero migliori...).

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poco
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