7 settembre 2009

Un articolo sul Libero...

...firmato da Rémi Brague, filosofo francese specialista di filosofia medievale (fonte wikipedia francese) sproloquia di scienza e uomo.

Ecco il testo integrale, leggiamolo insieme
La scienza che non sa spiegare l’uomo
27/08/09

Il paradosso della scienza odierna è che è sempre più esatta, ma sempre meno interessante. Mi spiego con una distinzione fra tre significati della parola “interessante”.

Il primo significato è quello di ciò che ci fa guadagnare qualcosa. Questo qualcosa può darsi che siano i soldi, come quando si parla dell’interesse di un capitale. Ma quello che guadagniamo può essere più importante, per esempio la felicità, o la stessa esistenza.

Il secondo significato di “interessante” è quello di fascinoso, attraente, avvincente. Un paesaggio o un’opera d'arte sono interessanti, ma questo tipo di interesse non è lo stesso di quello definito in precedenza. Kant, nella sua terza Critica, quella in cui sviluppa la sua estetica, parla del piacere estetico, di ciò che sentiamo davanti al bello, come di un piacere disinteressato.

Il terzo significato di “interessante” è, secondo me, il più autentico. Esso corrisponde a una possibile etimologia. Il verbo latino interesse vuole dire partecipare, essere in mezzo a qualcosa. L’interessante è ciò che si deve attraversare per giungere a se stessi. L’arte al suo apice è interessante. Come esempio, possiamo pensare al teatro. Una commedia può essere molto buffa, può affascinarci, ma non ci dice niente su noi stessi. Non accade lo stesso in una grande tragedia. In questo caso, si può sempre dire: de te fabula narratur, la storia che si racconta è la tua. Quello che si svolge sulla scena non è un oggetto, ma costringe il soggetto a un esame di coscienza. Questo accade quando si leggono la Divina Commedia, il Don Quijote, il Faust, i Fratelli Karamazov, ecc.

Allora, per la concezione pre-moderna della conoscenza, cioè quella antica o medievale, la natura era interessante nel senso più autentico di questa parola. La contemplazione della natura ci insegnava quello che siamo e quello che dobbiamo fare per essere più umani. Lo scrive per esempio Seneca nella prefazione alle sue ricerche di fisica: lo studio dell’astronomia permette all’anima umana di scoprire il suo vero luogo d’origine nei corpi celesti.
Il grande paradosso

Altri dicevano, con il Timeo platonico: dobbiamo imitare l’ordine splendido dei fenomeni celesti per porre ordine anche noi nelle nostre vite.

Questa concezione è irrimediabilmente tramontata. E rimane l’uomo moderno davanti a un grande paradosso: la conoscenza della natura che gli dà la scienza moderna è mille volte più vera e più efficace di quella pre-moderna; ma non è per niente affatto più interessante nel senso che ho appena detto.

La scienza moderna, alleata alla tecnologia che essa rende possibile, è sommamente redditizia. Un solo esempio: la vaccinazione, a cui molti in questo auditorium devono la vita stessa. Questa conoscenza scientifica è anche sommamente affascinante. Si pensi agli spazi dell’infinitamente grande o dell’infinitamente piccolo, a tutto ciò che ci mostra il telescopio o il microscopio, per non parlare di strumenti ancora più precisi.

Tuttavia, questa conoscenza non è interessante. Prendiamo le scoperte che riguardano l’uomo, per esempio quelle della paleontologia o della preistoria, o di tutti i rami dell’antropologia. Tutto questo è affascinante, ma non ci dice niente sui problemi che abbiamo da affrontare nella vita. Non ci dice niente del “senso della vita”. Più semplicemente, benchè ci dica moltissime cose sull’uomo come specie vivente, non dice niente su quello che dice “io”. Non dice nulla di quello che io dovrei fare.

Davanti a questo problema, ci sono due tentazioni opposte:

a) Possiamo conservare la scienza e scordarci del desiderio di capire. Fare come se l’uomo potesse vivere senza la brama di senso. La scienza deve essere l’unica sorgente di verità. Questa tesi non la sostiene la scienza, che non dice niente di sé. La sostiene l’uso ideologico della scienza, secondo cui potremo guarire l’uomo dal desiderio vano di senso. Si produce così una specie di mutilazione.

b) Possiamo conservare il desiderio di senso e scordarci della scienza. Il ritorno a una visione pre-moderna del mondo, superata nel campo della scienza, ma finora presente nel campo del mito. Si produce una specie di schizofrenia: si difende una visione del mondo che sappiamo essere illusoria. Esempio: la Terra era per il mito greco una dea; per la scienza moderna è un pianeta. Dopo la modernità, non possiamo vederla più come una dea. Purtroppo, possiamo illuderci e idolatrare Gaia, la Terra. Questo lo faceva già Auguste Comte, alla fine della sua vita. Chiamava la Terra il “grande feticcio” .

La terza via sarebbe una conciliazione tra la conoscenza scientifica dell’universo e l’interesse vitale. La potremmo cercare nel campo della fede.

Appare interessante che né l’uso ideologico della scienza, né l’illusione del mito, accettano la fede, e specialmente quella cristiana.
Cadute ideologiche

Per l’ideologia scientista, “credere” è soltanto un modo debole o scarso del sapere. Da qui la concezione positivistica della religione come spiegazione primitiva dei fenomeni naturali, una concezione che non corrisponde a quello che ci dice l’etnologia. La visione mitica del mondo non accetta la fede. La fede sa quello che crede. Il mito crede di sapere, o si illude sulla verità di quello che crede. La fede si sviluppa dove abbiamo a che fare con cose interessanti nel senso che ho appena delineato. La fede non si oppone alla ragione; la fede è la ragione che prende come oggetto le sue condizioni di possibilità.

La fede non ci dice nulla sulla costituzione della realtà naturale. Quindi non si muove nello stesso piano della scienza. Per esempio la fede nella creazione non ci dice come è fatto il creato, neppure come venne fatto. Ci lascia liberi di cercare e di costruire modelli di intelligibilità.

Ma ci dice qualcosa di più fondamentale: ci dice che c’è una intelligibilità delle cose. Ci dice che il mondo è immerso in una dimensione di carattere razionale: all’inizio, dice il quarto Vangelo, c’era il Logos, il Verbo, la ragione. Ci dice inoltre che questa intelligibilità si radica in una libertà che è la sorgente della nostra e a cui la nostra libertà può avere accesso, con cui può entrare in dialogo.

Vediamo un po'.

Il paradosso della scienza odierna è che è sempre più esatta, ma sempre meno interessante. Mi spiego con una distinzione fra tre significati della parola “interessante”.

Incipit surrettizio, afferma, dandolo per certo, che la scienza vive un paradosso, uno scollamento tra la sua esattezza e la mancanza di essere interessante.

Sorprendono le tre definizioni di "interessante" che Brague dà:
Il primo significato è quello di ciò che ci fa guadagnare qualcosa. (...)
Il secondo significato (...) è quello di fascinoso, attraente, avvincente. (...) Il terzo significato di “interessante” è, secondo me, il più autentico. Esso corrisponde a una possibile etimologia. Il verbo latino interesse vuole dire partecipare, essere in mezzo a qualcosa. L’interessante è ciò che si deve attraversare per giungere a se stessi.

E' una graduatoria sconcertante, al primo posto mette l'interesse utilitaristico, anche se subito dopo la definizione si preoccupa di precisare che quello che guadagniamo può essere più importante, per esempio la felicità, o la stessa esistenza.

Sconcerta proprio questo connubio, di solito tra interesse economico e interesse dello spirito non ci sono legami, ma, semmai, contrasti.

Nessun dubbio che il primo interesse per Brague sia quello utilitaristico: quando affronta il secondo dei tre significati di "interessante" Brague scomoda Kant dicendo che Un paesaggio o un’opera d'arte sono interessanti, ma questo tipo di interesse non è lo stesso di quello definito in precedenza [la prima definizione]. Kant, nella sua terza Critica, quella in cui sviluppa la sua estetica, parla del piacere estetico, di ciò che sentiamo davanti al bello, come di un piacere disinteressato.

Ne emerge un'idea dell'uomo, alquanto squallida. La prima, la più semplice, più spontanea forma di interesse è il tornaconto personale, poi viene quello estetico.

Infine c'è quello più alto, l'unico al quale Brague sente di scomodare un'etimologia.

Il verbo latino interesse vuole dire partecipare, essere in mezzo a qualcosa. L’interessante è ciò che si deve attraversare per giungere a se stessi. L’arte al suo apice è interessante.

Etimolgia più o meno corretta che però Brague astrae dal suo contesto originario e inserisce in uno tutto suo.

L'etimo di interesse infatti è


Inter fra, in mezzo, ed esse essere ma con sottinteso, negotia alicuis. Brague invece impone uno slittamento semantico, cancellando l'interesse utilitaristico verso un interesse più filosofico.
L’interessante è ciò che si deve attraversare per giungere a se stessi. L’arte al suo apice è interessante.

Definizione condivisibile che subito Brague collega, di nuovo in maniera implicita e surrettizia, a una scala di valori.

Una commedia può essere molto buffa, può affascinarci, ma non ci dice niente su noi stessi. Non accade lo stesso in una grande tragedia. In questo caso, si può sempre dire: de te fabula narratur, la storia che si racconta è la tua. Quello che si svolge sulla scena non è un oggetto, ma costringe il soggetto a un esame di coscienza. Questo accade quando si leggono la Divina Commedia, il Don Quijote, il Faust, i Fratelli Karamazov, ecc.

L'estetica di Brague è moralista, paternalista, reazionaria, vecchia, stantia

Moralista perché mette la tragedia sopra la commedia, (il pianto è più serio della risata) paternalista perché invece di dimostrare questo sillogismo lo dà per scontato, come fosse chiaro e condiviso da tutti, reazionaria vecchia e stantia perché impartisce una scala di valori e di priorità vecchia quanto il cucco: chi lo ha detto che una commedia non ci dice nulla su noi stessi?

Intanto notiamo come il plurale sia maiestatis il percorso è del singolo, dell'individuo. Nella tragedia, spiega infatti il filosofo, la storia che si racconta [nella tragedia] è la tua. Quello che si svolge sulla scena non è un oggetto, ma costringe il soggetto a un esame di coscienza.

Un percorso individuale, sembrerebbe, avulso dalla Storia, dalla società, alla ricerca di valori universali validi per il singolo indistintamente, senza gruppo, senza gli altri, senza il popolo, senza storia.

Anche la commedia ci parla di noi stessi, sfido chiunque a dire che Sogno di una notte di mezza estate non dica qualcosa su di noi come fa Amleto...

Oppure che Nostalgia di Tarkowski dica qualcosa sull'uomo e Il vedovo di Risi no.

Poi dopo aver fatto inutili citazioni da Seneca e Platone ripete l'incipit senza addurre alcuna prova:
E rimane l’uomo moderno davanti a un grande paradosso: la conoscenza della natura che gli dà la scienza moderna è mille volte più vera e più efficace di quella pre-moderna; ma non è per niente affatto più interessante nel senso che ho appena detto.

Perché?

La scienza moderna, alleata alla tecnologia che essa rende possibile, è sommamente redditizia. Un solo esempio: la vaccinazione, a cui molti in questo auditorium devono la vita stessa.

La scienza redditizia?
Anche la ricerca pura?
Anche quella sulla fisica delle particelle, che ha fatto chiedere alla altre volte intelligente Milena GabanelliMa quali benefici usciranno da queste collisioni? Riuscirete a trovare il modo di sconfiggere il cancro? O di risolvere il problema energetico?.

Ed ecco che torna l'idea di utilitarismo. La scienza serve solo se cura dal cancro ma non se cerca il bosone di Higgs. (tralasciando il fatto eh anche dalla ricerca pura ci possono sempre essere scoperte secondarie "utili")

Infatti Brague prosegue
Questa conoscenza scientifica è anche sommamente affascinante. Si pensi agli spazi dell’infinitamente grande o dell’infinitamente piccolo, a tutto ciò che ci mostra il telescopio o il microscopio, per non parlare di strumenti ancora più precisi. Tuttavia, questa conoscenza non è interessante. Prendiamo le scoperte che riguardano l’uomo, per esempio quelle della paleontologia o della preistoria, o di tutti i rami dell’antropologia. Tutto questo è affascinante, ma non ci dice niente sui problemi che abbiamo da affrontare nella vita. Non ci dice niente del “senso della vita”. Più semplicemente, benchè ci dica moltissime cose sull’uomo come specie vivente, non dice niente su quello che dice “io”. Non dice nulla di quello che io dovrei fare.

Davvero???

L'antropologia non ci dice nulla su quello che dice io? Ma Brague sa di cosa si occupa l'antropologia? O la riduce alla semplice antropologia fisica, o alla paleontologia?

L'alternativa che ci pone davanti è talmente ideologica da provocare un senso di nausea in ogni uomo con un po' di coscienza politica, etica o scientifica.


Avanti a questo problema, ci sono due tentazioni opposte:
a) Possiamo conservare la scienza e scordarci del desiderio di capire.
b) Possiamo conservare il desiderio di senso e scordarci della scienza.

La scienza ci aiuta a capire che certe domande sul senso dell'uomo non hanno significato, o sono mal poste, o vanno riformulate in altro modo. Proprio perché viviamo in un mondo complesso la scienza ci aiuta a camminare attraverso questa complessità e lo fa in maniera democratica e non dogmatica.
Nessuno scienziato chiede di essere creduto sulla parola. fornisce dati che chiunque può verificare.
Certo per capire certi dati bisogna avere competenze molto specifiche e la società, lo Stato, soprattutto quello italiano, è parco in alfabetizzazione scientifica, ma tant'è. Chiunque può verificare quel che dice Einstein a patto che sappia capire le sue equazioni a patto che impari a vedere le cose da un punto di vista che può cozzare con il senso comune.
Quel senso comune che in passato ci ha fatto sostenere tante credenze poi rivelatasi fallaci.

La scienza deve essere l’unica sorgente di verità. Questa tesi non la sostiene la scienza, che non dice niente di sé. La sostiene l’uso ideologico della scienza, secondo cui potremo guarire l’uomo dal desiderio vano di senso. Si produce così una specie di mutilazione.

La scienza E' l'unica sorgete di verità.
Casomai è la teologia, o qualunque religione, che pretende di avere lo stesso statuto di verità della scienza. Ma non sono a conoscenza di scienziati che per affermare la loro teoria hanno ucciso, imposto divieti, o fatto coricate o guerre sante...

La scienza non dice niente di sé? Ma se ogni volta che parla dimostra il suo metodo, lo affina, lo mette alla prova, lo verifica, lo mette in discussione, non lo dà mai per comprovato una volta per tutte!!!

La scienza quando parla parla sempre di sé...

A meno che Brague non confonda scienza con tecnologia...

E' proprio la mancanza di un metodo storico-scientifico a far affermare a Brague che
Il ritorno a una visione pre-moderna del mondo, superata nel campo della scienza, ma finora presente nel campo del mito. Si produce una specie di schizofrenia: si difende una visione del mondo che sappiamo essere illusoria. Esempio: la Terra era per il mito greco una dea; per la scienza moderna è un pianeta. Dopo la modernità, non possiamo vederla più come una dea. Purtroppo, possiamo illuderci e idolatrare Gaia, la Terra. Questo lo faceva già Auguste Comte, alla fine della sua vita. Chiamava la Terra il “grande feticcio”.

Inutile dire che il mito, come per Platone, era un'interpretazione metaforica della realtà, una narrazione, per spiegarci in altro modo le cose. Un modo simbolico di spiegarci le cose, tipica dell'uomo (come ci spiega quella scienza che per Brague non dice niente sull'uomo, l'antropologia) e che anche se nessuno oggi prende più i miti alla lettera questi hanno ancora tanto da dirci... (ma nemmeno ai tempi di Platone i miti erano presi alla lettera, basta leggere il dialogo La Repubblica...)

Questo lo aveva capito anche Galilei quando suggerì che la transustanziazione fosse da leggere come simbolica e non come concreta (altra distinzione antropologica...) ma questa insinuazione gli costò un processo e il rischio di una condanna al rogo...
Ergo, Galilei ritrattò.
La terza via sarebbe una conciliazione tra la conoscenza scientifica dell’universo e l’interesse vitale.

Ecco un altro slittamento semantico surrettizio, dalle domande di senso si è passati alla ricerca vitale, che la scienza non avrebbe (riconfermandone il principio utilitaristico...)
La potremmo cercare nel campo della fede.
Ed ecco l'antica presunzione cristiana, quella di essere la sintesi ultima, più alta, di pensieri precedenti.
Appare interessante che né l’uso ideologico della scienza, né l’illusione del mito, accettano la fede, e specialmente quella cristiana.
Per l’ideologia scientista, “credere” è soltanto un modo debole o scarso del sapere.

Qui si sbaglia. Soprattutto per lo scientismo la fede è una non conoscenza...

Da qui la concezione positivistica della religione come spiegazione primitiva dei fenomeni naturali, una concezione che non corrisponde a quello che ci dice l’etnologia.

Non a caso parla di etnologia e non di antropologia...

Ed ecco il delirio puro
La visione mitica del mondo non accetta la fede. La fede sa quello he crede.

La fede sa quello che crede?

Se sapere significa conoscere la fede non sa ma crede. E' questa l'essenza, affascinante, della fede.

Nel nuovo testamento si legge La fede è già un modo di possedere le cose che si sperano, di conoscere già le cose che non si vedono (Lettera agli Ebrei 11,1).

Esattamente il contrario della conoscenza scientifica.
Il mito crede di sapere, o si illude sulla verità di quello che crede.
Il mito sa qualcosa e ce lo spiega per vie traverse attraverso una narrazione.

La fede si sviluppa dove abbiamo a che fare con cose interessanti nel senso che ho appena delineato. La fede non si oppone alla ragione; la fede è la ragione che prende come oggetto le sue condizioni di possibilità.
La fede non si oppone alla ragione? Brague vada a dirlo a Giordano Bruno, a Galilei, a tutto il consesso scientifico contemporaneo così pesantemente redarguito da Ratzinger!

La fede non ci dice nulla sulla costituzione della realtà naturale.
Quindi non si muove nello stesso piano della scienza.
Per esempio la fede nella creazione non ci dice come è fatto il creato, neppure come venne fatto.
Ci lascia liberi di cercare e di costruire modelli di intelligibilità.
Allora come si spiegano i continui interventi, interferenze del vaticano in campo scientifico?

Come si spiega l'avversione per il darwinismo? Per la ricerca sulle staminali? Per tacere dell'insistenza dell'omosessualità come malattia anche se l'organizzazione mondiale della sanità l'ha depennata dalle malattie nel 1994 (1974)?
Ma ci dice qualcosa di più fondamentale: ci dice che c’è una intelligibilità delle cose.
Veramente questo lo aveva detto già Galilei quanto dice
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

Galileo Galilei, Il Saggiatore, in Opere di Galileo Galilei (a cura di Franz Brunetti), UTET, Torino, 1980, vol. I, pp. 631-632

Altro che la fede!

Ci dice che il mondo è immerso in una dimensione di carattere razionale: all’inizio, dice il quarto Vangelo, c’era il Logos, il Verbo, la ragione.

Veramente il Logos, il verbo, non è la ragione ma la parola di dio... comunque...

Ci dice inoltre che questa intelligibilità si radica in una libertà che è la sorgente della nostra e a cui la nostra libertà può avere accesso, con cui può entrare in dialogo.

Una libertà che la chiesa scientemente continua a negare in tutti i campi...

Una serie di semplificazioni e di menzogne talmente evidenti da dar dubitare della sanità mentale del suo autore (o del traduttore dell'articolo, che Libero si guarda bene dal riportare...).

Come al solito parliamone...

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bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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