Mi ricordo quando,
Fernando era morto da poco,
mi chiamavi,
un filo di voce al telefono,
e ti bastava pronunciare il mio nome
perché io corressi da te.
Non fu sempre che correvo
per stare al tuo fianco.
Ci fu un tempo che non ci vedemmo affatto.
Quando ci ritrovammo
riprendemmo a parlarci
là dove ci eravamo fermati
anni prima
e scoprimmo di non esserci mai perduti.
Ma ora,
mia amica antica,
chi chiamerò
affinché corra al mio fianco,
con un filo di voce,
smarrito, sperduto e impaurito
perché tu non ci sei più?
Ti chiamerò invano
finché il tuo nome diverrà soffio di preghiera
mormorio sommesso
di amore immenso e sempre nuovo
pronto a porgere orecchio
a una risposta anelata e mai soddisfatta.
Tu dormi,
già stanca di aspettare
una morte improvvisa,
che poi così improvvisa non è.
Io ti saluto e
ti passo una mano sulla fronte,
timida carezza rubata.
Tu che al contatto fisico
ti sei sempre concessa poco,
parca di una confidenza che consideravi affettata…
E adesso invece
sorridi soddisfatta
e dici contenta:
Oh yeah!
Come chi,
più annoiato che rassegnato,
aspetta qualcosa
che non può né accelerare né evitare,
attendi
distratta e svogliata,
gli occhi spalancati,
il respiro affannato,
le braccia indolenti
che accennano movimenti stanchi,
il dorso di una mano poggiato mollemente sulla fronte,
attendi
attendi
e io attendo con te.
Non so
quanti sanno
che per te
tutto questo
è solo una recita pagana
che a te diverte, sfacciata, come diverte
uno spettacolo circense,
una farsa sguaiata,
un numero di prestidigitazione…
Non so
quanti sanno
che tu
sai
come so io
che dopo non c’è niente
e che la morte è la fine di tutto.
Ce lo dicemmo, amici di primo pelo,
la sera stessa che perdesti Fernando,
siglando una laica intesa che ci ha uniti per sempre.
Ma la chiesa è piena
in prima fila
ci sono i tossici e i barboni
e il tuo spettacolo è un numero perfetto,
per chi sa,
e per chi non sa.
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