10 agosto 2008

Racconti da Stoccolma e la rete



Un film sorprendente ieri sera al Village.
Racconti da Stoccolma
, stupido titolo italiano, scelto da Teodora, che lo ha distribuito in Italia, in originale è När mörkret faller (Quando calano le tenebre/Quando diventa buio/Quando scende la notte, scegliete voi).

När mörkret faller racconta tre storie parallele, che non si intrecciano mai, se non nel finale, quando i tre protagonisti si ritrovano tutti all'aeroporto (ignari uno dell'altra) [quindi un film raccontato con la tecnica del montaggio parallelo e non alternato come dice, sbagliando, r. n. su Repubblica].
E' il narratore a passare da una storia all'altra indicando, nei vari passaggi, similitudini, analogie e differenze tra quanto accade ai tre protagonisti.

Carina, giornalista della tv nazionale svedese, madre di due figli, sposata da 10 anni, subisce le violenze del marito Håkan geloso sentimentalmente e professionalmente (pur lavorando insieme solo lei ha vinto un prestigioso premio giornalistico nazionale). Håkan la picchia davanti ai loro due figli minori, e le ricorda che lei è solo un buco, tutto quello che ottieni lo devi al buco che hai in mezzo alle gambe. Non sei intelligente e con il lavoro che fai vuoi solo metterti in mostra. Carina subisce per abitudine, perché Håkan è il padre dei suoi figli, finché un giorno, quando Håkan la colpisce in testa con una racchetta da tennis di metallo, Carina chiama la polizia e Håkan viene arrestato.
Carina deve affrontare la reazione dei colleghi (che sono anche colleghi del marito) dei figli, cui manca il padre, e della suocera (una splendida Bibi Anderson) che teme possa odiarla per averne denunciato il figlio. Ma la donna, mentre le mostra le cicatrici che le ha lasciato il suo di marito, le dice senza esitare che ha fatto bene a denunciare Håkan, anche se è suo figlio...
Carina decide di raccontare quel che le è accaduto alla radio nazionale, perché alla sua rete tv prevale un atteggiamento omertoso per difendere la carriera di Håkan, ma il sindaco della città chiede, e ottiene, che la trasmissione radiofonica non venga mandata in onda. La legge proibisce di parlare in pubblico in termini negativi di qualcuno, anche se i fatti sono provati (al processo Håkan è Stato condannato) come Carina avrà modo di raccontare proprio nella sua rete tv, in qualità di ospite, come candidata alle elezioni per il parlamento europeo.
Dopo l'intervista viene licenziata, dinanzi una schiera di giornalisti increduli che la vogliono intervistare... Ma l'intervista, nella quale Carina ha esortato tutte le donne maltrattate a uscire allo scoperto, coglie nel segno e Carina viene eletta eurodeputato...

Leyla, di famiglia numerosa mediorientale, cattolica e non musulmana [come viene detto, sbagliando, sul sito cinemagay.it], del cui Paese di origine il film non si pronuncia mai, è testimone dell'omicidio della sorella Nina, sospettata (ingiustamente) di avere fatto del sesso prematrimoniale.


La famiglia del padre d'accordo con quella della madre organizzano un finto suicidio al confine con la Germania, costringendo la ragazza ad attraversare un'arteria dell'autostrada, ripetutamente, (ai bordi della strada i familiari della ragazza la sospingono sulla corsia minacciandola con dei coltelli) finché non viene investita in pieno da un camion (e il film ci mostra l'intera scena).

Leyla decide di andare alla polizia e starebbe per essere eliminata a sua volta dalla madre, che risulta essere la vera mente degli omicidi, se i due fratelli adolescenti non facessero a loro volta intervenire la polizia mettendo fine alla serie di omicidi per onore (una cugina due anni prima è "morta affogata").
Lo sai perché la tua famiglia si è comportata così? chiede la poliziotta a Leyla che annuendo commenta: Se partorisci una puttana sei anche tu una puttana, ma se la figlia che hai partorito non è mai esistita, allora nemmeno tu sei più una puttana.










Aram, infine, gestisce assieme al fratello un ristorante di successo. Quando Peter, il capo dei suoi buttafuori, allontana tre piantagrane, questi rispondono con inaudita violenza, gambizzando Peter e gli altri due addetti alla sicurezza. Aram assiste alla scena, difende col proprio corpo Peter riuscendo a evitare che uno dei tre aggressori gli spari addosso (a differenza dei suoi buttafuori lui non indossa alcun giubetto antiproiettile) con la disperazione di un "noooooo" urlato a squarciagola, e, avendo visto uno degli aggressori, è pronto a testimoniare in tribunale. Inizia a ricevere minacce, e, nonostante la protezione della polizia, viene aggredito e suo fratello mandato all'ospedale. Peter, invece, confessa di aver accettato denaro dagli aggressori, ma poi si decide a testimoniare in tribunale, mentre Aram ha dei dubbi e non si presenta. Proprio la sera dell'aggressione Peter voleva confessare ad Aram il sentimento d'amore che prova per lui e chiedergli se, come crede, sia ricambiato.
Ma solo quando Peter, all'aeroporto, dopo aver deposto, si allontana dal paese Aram trova il coraggio di baciarlo sulle labbra.

Tre storie esemplari, incentrate sulla famiglia, che, nella sua normalità, è un luogo dove si uccide per mantenerne l'onore, dove si tollerano violenze fisiche e psicologiche per proteggerla ma, anche, dove la famiglia stentano a nascere e che, pure, è già là, esiste già e viene messa in discussione da un gruppo di violenti (Peter confessa ad Aram di aver subito aggressioni verbali di stampo omofobo, e questo prima di avergli confessato i suoi sentimenti...).

Famiglia è anche quella dei colleghi di Carina che la accusano di essere aggressiva perché vuole parlare pubblicamente delle violenze subite dal marito, così come famiglia è il sindacato che difende Håkan piuttosto che Carina (se lui non fosse uno di noi [un giornalista] tu lo avresti già dato in pasto al pubblico accusa Carina un suo collega sindacalista che ha contribuito a impedirle di partecipare alla trasmissione radiofonica).

La vera famiglia è quella degli affetti non quella di sangue: quando Carina decide di voler raccontare pubblicamente le sue vicissitudini, la sorella, che, pure, privatamente l'aveva esortata a reagire alle violenze di Håkan, ora la accusa di essere egoista e che perderà lavoro e rispettabilità. Solo la suocera, sangue appiccicato, le resta vicina e solidale.

Un film imponente, enorme nella lucidità con cui descrive i tratti della normalità familiare che al suo interno grazie alle sue stesse strutture di potere permette violenze di qualunque genere in suo nome e per suo conto. E che tutto questo venga raccontato in uno dei paesi notoriamente più civilizzati d'Europa come la Svezia rende la denuncia ancora più totale e radicale.

La famiglia è il principale luogo di violenza contro le donne (Carfagna VAFFANCULO) e questa violenza non è un'aberrazione, un abominio, ma un normale (sic!) corollario del suo impianto patriarcale.

Secondo il rapporto Eures-Ansa 2006 (...) «la famiglia continua (…) a costituire per la donna il luogo a più elevato rischio di omicidi (…)» e «tra tutte le donne uccise in Italia, in media sette su 10 trovano la morte proprio per mano di un familiare o di un partner (ben il 71,5% nel 2005, il 69,9% nel 2004)». Secondo l’indagine campionaria conclusa dall’Istat nel febbraio 2007 su Violenza e maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia, in Italia un terzo delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni (il 31,9%, ossia sei milioni e 743 mila) ha subito “violenza fisica” o “violenza sessuale” nel corso della propria vita.

Il 14,3% delle donne che hanno un rapporto di coppia in corso o ne hanno avuto uno in precedenza, è stato vittima almeno una volta di violenza fisica o sessuale commessa dal partner o ex partner. Nella loro vita, circa il 4,8% delle donne ha subito uno stupro o un tentato stupro, di cui il partner o ex partner è responsabile nella maggioranza dei casi (69,7%). Nei restanti, l’autore della violenza è quasi sempre un amico, un parente, un collega o comunque un conoscente e solo il 6,2% degli stupri è opera di uno sconosciuto.

Secondo lo stesso rapporto oltre due milioni e 77 mila donne (il 18% del totale) hanno subito qualche forma di stalking (...).
Nel 92,5% dei casi le violenze domestiche non vengono denunciate. Oltre un terzo delle donne che hanno subito abusi da parte del partner o ex partner non ne ha parlato con nessuno; inoltre risulta che solamente il 2,8% delle donne che hanno subito episodi ripetuti di abusi si sia rivolto a un centro antiviolenza.

Soltanto il 18,2% delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale in ambito familiare la considera un reato e solo il 44% “qualcosa di sbagliato”. A livello normativo, la legge 5 aprile 2001 n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, prevede una serie di azioni per tutelare tutti quei soggetti che nell’ambito domestico subiscono sottomissioni e violenze, non solo fisiche ma anche morali, quali minacce, intimidazioni, pressioni e molestie psicologiche. Sia in ambito penale che civile è previsto “l’allontanamento dalla casa familiare” del soggetto violento, laddove «la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente».
(dal pressbook italiano del film).

Il film individua bene anche il meccanismo che rende le donne vittime di quel sentimento di autoconservazione della famiglia per cui se le cose non vanno è colpa della donna, come racconta Carina, o come subisce la madre di Leyla, che vuole lavare l'onta maggiore che maschilisticamente possa colpire una donna quello dell'essere puttana, cioè sessualmente libera, cioè emancipata dall'uomo.
Mai come per questo film ci sarebbe da parlare eppure, un breve excrusus sula rete, lascia esterrefatti, basiti, indignati e disgustati.

Se il succitato sito cinemagay.it si interessa con miopia al film solo per il suo contenuto omoerotico mancando in pieno la connessione tra intolleranza al comportamento libero, sia questo di una ragazza (Nina, che ha solamente parlato con un ragazzo e non ci è andata a letto, ma, anche se fosse..., Nina è maggiorenne...) di una donna madre e giornalista, o di un gay fuori dai cliché, come Peter che non è checca, tutt'altro, altri siti liquidano il film come un'opera didascalica (l’opera stenta a prendere quota, tutta persa nei suoi dialoghi basici ed esemplificativi, nella fredda meccanica delle vicende messe in scena, nel prolisso (la durata è abnorme) svolgimento del compito. Tutto suona prevedibile, registro visivo nordicamente fané compreso. Certo si rivede con piacere immenso Bibi Andersson, ma bastasse un interprete prediletto a salvare la baracca…, così Luca Pacilio su spietati.it), o come spettacolarizzazione del dolore, come dice in un commento al sito cinemagay.it Terzopiano (Spettacolarizzazione di tematiche drammatiche, raccontate come Beautiful o O07. Deploro questo metodo voyeurista senza coraggio di fare cinema, formalmente ineccepibile per le masse televisive a cui non va di riflettere. E non spacciatelo per "film di denuncia". Un'altra volta si dedicassero a film di disimpegno o comici, sarebbe più onesto.

Non tutti i siti naturalmente ne parlano male, ma anche le recensioni che ne riconoscono la portata della denuncia (come Corriereromano.it) devono criticare la fattura del film che è invece ineccepibile.

När mörkret faller colpisce nel segno due volte, come denuncia di fatti reali e come reazione infastidita a un film che ci dice con intelligenza e tranquillità che il mostro generato dal sonno della ragione cresce indisturbato nelle nostre famiglie...
Guarda caso il film, insignito del premio Amnesty International al 57° Festival di Berlino , in Italia è stato inspiegabilmente vietato ai minori di 14 anni, un'azione di vera e propria censura, proprio come quella che subisce a Carina.
Certo non tutto è condivisibile nel film: discutibile è l'esigenza di Peter di difendersi dall'accusa di essere gay, solo con le sue mani (non sappiamo le esatte parole che lo hanno portato, prima dell'aggressione, a denudarsi in pieno inverno, per togliersi il giubetto antiproiettile ed essere vulnerabile) come, nonostante il ginocchio in via di guarigione, riesce a fare alla fine del film quando viene aggredito da uno dei delinquenti, rimasti in libertà, proprio all'aeroporto. E forse la vittoria elettorale di Carina è troppo consolatoria, mentre, in fin dei conti, a salvare Leyla sono i due fratelli maschi ma dopo l'esposizione della mostruosa normalità familiare il lieto fine ha la funzione di un farmakos corroborante.

När mörkret faller (Svezia\Germania, 2007) di Anders Nilsson



1 commento:

Tamcra ha detto...

Caro Ale,
Lurkando sul tuo post non posso fare a meno di pensare che talune opere -anche se non lo si ammette- DANNO FASTIDIO. E non perchè c'è sesso+violenza (in televisione fanno vedere cose peggiori) ma perchè mettono in discussione proprio quello che si mette sistematicamente sotto al tappeto e non si vuole vedere, magari facendo poi i progressisti con le vite degli altri. Ora io non ho visto il film, e non voglio giudicarlo proprio per questo, però mi ha molto colpito il tono generale di chi lo criticava. Si partiva da un folkloristico " ma come, queste cose accadono anche a Stoccolma..." come se non fosse successo niente dai tempi del "Diavolo" con Alberto Sordi, al "ma dai, che esagerati...". Ora, come si può parlare di un film se i cervelli che scrivono sono questi?

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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