Final(fucking)mente un film che dà da pensare al Village.
A dire il vero un film inadatto per il village perché è senza musiche di commento, i dialoghi arrivano solo dopo i primi 5 minuti di proiezione e la gente si distrae, chiacchiera, rumoreggia, risponde al telefono (giuro!), fuma.
Quando ad alta voce redarguisco chi è che parla ricordando che "non siamo a casa vostra" e che non è concesso fare commenti, qualcuno, sardonico, commenta che "chiacchierano e basta, mica stanno commentando il film".
Pierre si districa tra una serie di giovani marchettari (uno dei quali sogna di portarlo vestito da donna al cinema) e vecchi amici coi quali ricorda i tempi di gioventù, parla di problemi di salute e di danaro, di marchette più o meno esose (gli extracomunitari chiedono 40 euro, gli altri anche 150) vecchi amori e vecchie marchette, oggi ex galeotti, con figlie che non vedono mai, tra nuove terapie farmacologiche per l'aids, di cui Pierre ha paura per via degli effetti collaterali, teme di perdere i capelli, e uno sprovveduto psicologo freudiano!
Testimonianza di un uomo, di un modo di vivere, quando l'omosessualità non aveva ancora scoperto l'orgoglio gay e trovava modo di essere negli unici interstizi che la società gli lasciava: la prostituzione, la pulsione sessuale priva di una possibilità affettiva, l'affettività che trapelava clandestina e umiliata dal non avere non solo alcun diritto ma nemmeno il modo di essere riconosciuta come tale, piuttosto rimossa, taciuta, negata.
Tanti giovani che ignorano che il mondo fino ieri è stato molto diverso, un mondo senza computer (Pierre scrive rigorosamente con la penna su dei figli di carta sparsi per tutta la scrivania e anche per terra) senza pornografia (i soldi vengono spesi per fare sesso con dei giovani non per vedere sesso posticcio su di un videotape o un dvd), senza tv (ma anche senza cinema), dove la cultura è quella pre massa, pre media, pre consumismo, dove il denaro (maneggiato, accartocciato, tenuto alla rinfusa in tasca, mai in un portafoglio né in un ferma banconote di metallo) serve al suo scopo (Pierre paga le marchette, lo psicologo, il garzone che gli porta a casa la spesa) ma non ha un valore di per sé (E Pierre rimprovera uno dei suoi amici di chiedere il riborso statale per lo psicologo nonostante gli affari gli vadano più che bene...).
Quello che mi sfugge, quello di cui mi piacerebbe parlare con Nolot, è lo statuto della marchetta, nel film, nella sua mente di regista e autore del film, e nella realtà nostra in cui tutti viviamo.
Una marchetta normalmente è un etero che va con gli uomini per soldi, ventenni che si pagano così i cellulari all'ultima moda, trentenni che arrotondano il magro stipendio da precario, uomini che non sanno o non vogliono vivere una omosessualità aperta, dichiarata, esplicita e si barricano dietro le convenzioni sociali, hanno la ragazza, una compagnia di amici etero omofobi, e si diceno che fanno sesso con gli uomini "solo per soldi".
I gay non si prostituiscono. Tant'è che "battere" nel mondo gay non vuol dire "cercare clienti" ma cercare qualcuno che ci sta.
Per questo chi paga una marchetta è ancora più deprecabile perché usa il denaro per uno scopo che potrebbe raggiungere altrimenti (tutti "ci stanno" non solo i gay...).
Quel che non capisco è perché Pierre, bellissima marchetta a 20 anni, a 58 anni debba cercare altre marchette. Perché non trovare un giovane al quale piacciono gli anziani (ce ne sono vi assicuro)? E se cerca uomini e non donne vuol dire che da giovane non era marchetta ma un gay che si faceva pagare... Perchè (se capite cosa intendo dire...).
Di più, dal film sembra che un uomo "anziano" possa fare sesso solo a pagamento. E questo è un modo i pensare etero! Tanti giovani gay sono gerontofili, come tanti vecchi pederasti, e le loro relazioni non sono mediate dal denaro, mentre da etero si pensa che nessuna donna la dà a un vecchio...
Magari potranno sembrarvi domande oziose, o, peggio, senza senso, ma mi piacerebbe leggere cosa ne pensate, voi lurkers del cavolo, che so che leggete questo mio inutile blog, questa mia fiera delle vanità, questo mercato delle mie ecolalie, pubbliche e private, senza pronunciarvi mai.
La parola a Voi.
Avant que J'oublie (Francia, 2007) di Jacques Nolot
la recensione di Libération
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