Mi cambiavo in un attimo, via i vestiti da ufficio (pantaloni lunghi, perché allora Cesare mi aveva sconsigliato quello corto anche d'estate...) e indosso comodissimi short (sotto, le mutande, niente costume, tanto al mare avrei preso l'abbronzatura integrale...), una T shirt di quelle larghissime (all'epoca ero magrissimo, anche se la percezione che avevo di me era che fossi grasso proprio come lo sono ora, che mi penso magrissimo...) che lambivano il ginocchio, pantofole di plastica (allora l'infradito per me era ancora una tortura, non come oggi che ci marcio durante il gay pride...).
Per arrivare al mare dall'ufficio dovevo affrontare un tragitto lunghissimo, mi sostenevano il walkman (niente mp3, era il 1992...) un modello autoeverse che mi faceva sentire ricco (costava assai...) e up-to-date (in realtà ero solo pigro...) e qualche libro anche voluminoso, che divoravo sui mezzi pubblici o sulla spiaggia (se non dormivo).
Prima prendevo un autobus qualunque che mi portava sul lungotevere. Di lì avrei cambiato mezzo per arrivare sino a Piramide. Da Piramide la metro fino a Magliana (capolinea provvisorio del trenino per Ostia visto che quello ufficiale di Piramide era in ristrutturazione...). Poi da Magliana avrei preso il treno fino a Ostia. Veloce passaggio al bar per comperare una bottiglia d'acqua (carissima, ma almeno era gelata) e il biglietto dell'autobus (all'epoca Rutelli non aveva ancora unificato i trasporti pubblici e dovevo comperare un biglietto diverso per autobus, metro e trenino per Ostia...) se non stava per partire l'autobus che mi avrebbe portato fino al "settimo cancello" (in quel caso l'acqua l'avrei comperata in spiaggia). Una volta giunto all'ultimo degli stabilimenti liberi del comune sula spiaggia di Torvaianica (="Settimo Cancello"), scarpe in mano, mi dirigevo verso la spiaggia e sul bagnasciuga camminavo per un paio di km circa fino a raggiungere la spiaggia libera detta "il buco" che prendeva il nome da foro sulla recinzione che 15 anni prima avevano fatto i primi nudisti (la spiaggia era chiusa al pubblico, ufficialmente perché teatro di possibili residui bellici del secondo conflitto mondiale, in realtà più plausibilmente perché quella spiaggia lambiva i confidi della tenuta estiva del Presidente della Repubblica...).
Mi fermavo solo quando vedevo qualche altro bagnate senza costume. Non mi piaceva l'idea i essere l'unico spogliato in mezzo a tanti vestiti.
Ora di partenza le 13.10- Ora di arrivo tra le 14.50 e le 15.30.
Trascorrevo il resto del pomeriggio a prendere il sole, su di un semplice asciugamano, senza lettino (costava, si vede che non ero poi così ricco), senza ombrellone (non mi sono mai piaciuti), alle prese con dei bagni frequenti e la distribuzione continua di abbronzante sul corpo.
Unica compagnia (oltre la musica e la lettura) una busta con della frutta (Albicocche, qualche Prugna, un paio di Pesche) che mi avrebbero dissetato e sostenuto fino alla sera.
Mi trattenevo in spiaggia fin verso le 20.00 quando il sole si faceva una palla arancione non più caldissima in procinto di scivolare dietro il mare. Il viaggio di ritorno a quell'ora scivolava via in fretta (prima c'era sempre traffico a passo d'uomo sulla litoranea fino a Ostia). A Ostia, come da rigido rituale, comperavo un gelato (tipo croccante o cono Algida all'amarena) che consumavo sul trenino che mi riportava in città. Una volta sulla metro scendevo non a Piramide (da dove avrei preso il 27 che mi avrebbe riportato a casa) ma al Colosseo. L'idea di sentire il fresco passeggiando per il centro della città (di solito per il ritorno mi mettevo una t-shirt a maniche lunghe, ma sotto avevo sempre le scarpe da mare e gli shirt...) era un piccolo vezzo, una ciliegina sulla trota di un pomeriggio perfetto.
Poi, giunto a casa, ero troppo stanco per riuscire e me ne rimanevo in casa, a leggere, o a vedere un film (in tv) o ad ascoltare musica. Io e me stesso.
Mia sorella (allora vivevo con lei) raramente era a casa le sere d'estate e mi godevo Buio (il mio gatto di allora) e quell'elettricità delle energiche serate estive, da solo, uno spinello leggerissimo in mano (che si spegneva sempre) e uno sguardo alla città indaffarata che osservavo dal margine di una vita in souplesse.
Trascorsi così il mese di luglio e tutto agosto.
Nel walkman rigorosamente all'andata e al ritorno la cassetta degli Swing Out Sister Get In Touch with Yourself che, ancora oggi, mi riporta ad allora (e mi sembra sempre di sentire quasi l'odore della salsedine...).
Poi, dopo di allora, il mare è uscito dalla mia vita per una sorta di pigrizia, mista all'insofferenza per un sole sempre più agli ultravioletti. Il peso ha detto fine a quei bagni di sole da Iguana, oggi non ne sopporterei più nemmeno l'idea...
Così come ho perso di vista gli Swing Out Sister... che, pure, hanno continuato a produrre album.
Li ritrovo oggi, con un nuovo disco, più intimista e meno ritmato di quello di allora, ma che, lo stesso, mi racconta di passeggiate al mare, di gelati mangiati e acque bevute, di soli scrutati al tramonto, e monumenti romani al buio della sera estiva che non ci sono stati più ma avrebbero potuto esserci ancora.
La musica serve anche per questo.
O no?
19 maggio 2008
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