14 febbraio 2008

La guerra di Charlie Wilson (no, non è una recensione...)

Di questo film mi hanno attirato il regista Mike Nichols (sul quale Aristarco fece una delle sue ultime lezioni, anzi nemmeno lezione, ma postilla alla fine di un incontro al "CATTID" dopo che Pasquale aveva fatto un intervento che non arrivava mai a conclusione e si era fatto tardi e tutti si alzavano e se ne andavano e Pasquale continuava a parlare senza mai mettere i soggetti ai verbi delle coordinate che andava inanellando...) e Julia Roberts, che non è mai stata una delle mie attrici preferite ma una compagna di crescita cinefila, che ho sempre ritrovato nei film più disparati, da Mistc Pizza che vidi negli anni '80 con Pasquale, e poi andammo a bere un caffè al bar dell'opera (ma in quale sala eravamo andati a vederlo? Non ricordo più!!!)...

Insomma, Tom Hanks è imbolsito, Julia Robert sembra rifatta in digitale ma anche io sono sono più il pischello di una volta!

E mentre sorridi bonario perché gli attori che erano belli e giovani durante la tua adolescenza ora iniziano a invecchiare (ma Tom più di Julia) perché TU inizi a invecchiare (e quest'anno vado per i 43...!!!) ritrovi delle facce conosciute, ancora giovani ma nemmeno loro così giovani come fossero nuovi studenti che hanno preso il tuo posto, quando lo studente eri tu e ti muovevi negli orizzonti cinematografici con tanta disinvoltura e fiducia mentre ora tutto ti fa fatica...
Ruolini poco più che particine, o camei...
Ma, insomma ecco Shiry Appleby
che ho lasciato, anni fa, bambolina innamorata dell'altrettanto imbambolato Jason Behr (ve lo ricordate rimanere in mutande nello spot della Chloralit?) nella serie Roswell;


Ecco Rachel Nichols, algida e bellissima moglie del ...fidanzato di Sidney Bristow in Alias e altrettanto algida e sexy agente FBI nella serie The Inside (e che vedremo nle prossimo film di Satr Trek...)

Ecco Spencer Garret, che ricordo tenero romulano in crisi nelle grinfie della ammiraglio figlia pazza del giudice
in un episodio di Star Trek The Next Generation.

Ecco Amy Adams, che ha recitato in un episodio di Buffy The Vampire Slayer.
Insomma il film è pieno di volti dei miei trascorsi di spettatore televisivo degli ultimi 10 anni, e mi sento ancora più vecchio e decrepito...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Ale,
rammaricarsi perchè gli attori (specie di cinema) invecchiano a differenza dell'immagine che abbiamo di loro mi sembra uno - se non IL - cardine dello spettacolo moderno. se ci pensi bene, ora quasi tutte le performances sono documentate, non è come il teatro dove uno spettacolo è irripetibile. Questi/e poveri signori/e si ritrovano a dover competere per sempre con i sè stessi di dieci, quindici, vent'anni fa. Non è piacevole, anche se ufficialmente ostentano disprezzo e ironia. La maggior parte cerca di porre rimedio con non si sa quante nascoste operazioni chirurgico-botuliniche, alcuni svaccano di brutto invecchiando precocemente, magari per alcool e droghe varie, ma soprattutto per l'ANGOSCIA di doversi sempre rinfacciare il fatto che sì, anni fa ERANO PIU' GIOVANI. Se noi comuni mortali quando cresciamo lo facciamo lentissimamente e non ci accorgiamo subito del nostro decadimento inarrestabile, i divi hanno questi loro fulgidi momenti fissati per sempre, ed è una bella sfida per il loro equilibrio interiore. Per questo non mi sento mai di dire di un attore (maschio o femmina) "Oddìocomes'èinvecchiato/a", mi sembra di essere inutilmente crudele. Tutti cresciamo, e non siamo più quelli di una volta.Ho visto recentemente Rupert Everett dal vivo -era alla libreria Feltrinelli per presentare la sua autobiografia- e mi è sembrto un ottimo cinquantenne, guai se fosse rimasto come ai tempi di "Another Country".

Alessandro Paesano ha detto...

Ha profondamente,perfettamente, completamente ragione!

E ora sento che c'è qualcos'altro , oltre la casa, che devo "mettere a posto". Salo che, a differenza del casa, non basteranno tre ore della mattinata una aspirapolvere e un secchio con dell'acqua...

Non mi sento all'altezza di commentare quanto hai scritto. Non perché ci sia qualcosa da aggiungere, sei stata precisa ed esauriente come non mai. Ma perché tanto acume va premiato con qualche considerazione speciale.

Mi rivolgo a Luigi Pirandello e al suo Quaderni di Serafino Gubbio operatore.
Te ne cito un brano, tratto dal III capitolo del Settimo quaderno:

Questa sera, uscendo dal Reparto del Positivo, ove, per la premura che fa il Borgalli, ho dato una mano anch'io per lo sviluppo e la legatura dei pezzi di questo film mostruoso, mi son veduto venire incontro Aldo Nuti per accompagnarsi insolitamente con me fino a casa. Ho notato subito che si studiava, o meglio, si sforzava di non dare a vedere che aveva qualche cosa da dirmi.
- Va a casa?
- Sì.
- Anch'io.
A un certo punto mi domandò:
- È stato oggi alla Sala di prova?
- No. Ho lavorato giù, al Reparto.
Silenzio per un tratto. Poi ha tentato con pena un sorriso, che voleva parere di compiacimento:
- Si sono provati i miei pezzi. Hanno fatto buona impressione a tutti. Non avrei immaginato che potessero riuscire così bene. Uno specialmente. Avrei voluto che lei lo vedesse.
- Quale?
- Quello che mi presenta solo, per un tratto, staccato dal quadro, ingrandito, con un dito così su la bocca, in atto di pensare. Forse dura un po' troppo... viene troppo avanti la figura... con quegli occhi... Si possono contare i peli delle ciglia. Non mi pareva l'ora che sparisse dallo schermo.
Mi voltai a guardarlo; ma mi sfuggì subito in un'ovvia considerazione:
- Già! - disse. - È curioso l'effetto che ci fa la nostra immagine riprodotta fotograficamente, anche in un semplice ritratto, quando ci facciamo a guardarla la prima volta. Perché?
- Forse, - gli risposi, - perché ci sentiamo lì fissati in un momento che già non è più in noi; che resterà, e che si farà man mano sempre più lontano.
- Forse! - sospirò. - Sempre più lontano per noi...
- No, - soggiunsi, - anche per l'immagine. L'immagine invecchia anch'essa, tal quale come invecchiamo noi a mano a mano. Invecchia, pure fissata lì sempre in quel momento; invecchia giovane, se siamo giovani, perché quel giovane lì diviene d'anno in anno sempre più vecchio con noi, in noi.
- Non capisco.
- È facile intenderlo, se ci pensa un poco. Guardi: il tempo, da lì, da quel ritratto, non procede più innanzi, non s'allontana sempre più d'ora in ora con noi verso l'avvenire; pare che resti lì fissato, ma s'allontana anch'esso, in senso inverso; si sprofonda sempre più nel passato, il tempo. Per conseguenza l'immagine, lì, è una cosa morta che col tempo s'allontana man mano anch'essa sempre più nel passato: e più è giovane e più diviene vecchia e lontana.
- Ah già, così... Sì, sì, - disse. - Ma c'è qualche cosa di più triste. Un'immagine invecchiata giovane a vuoto.
- Come, a vuoto?
- L'immagine di qualcuno morto giovane.
Mi voltai di nuovo a guardarlo; ma egli soggiunse subito:
- Ho un ritratto di mio padre, morto giovanissimo, circa all'età mia; tanto che io non l'ho conosciuto. L'ho custodita con reverenza, quest'immagine, benché non mi dica nulla. S'è invecchiata anch'essa, sì, profondandosi, come lei dice, nel passato. Ma il tempo che ha invecchiato l'immagine, non ha invecchiato mio padre; mio padre non l'ha vissuto questo tempo. E si presenta a me, a vuoto, dal vuoto di tutta questa vita che per lui non è stata; si presenta a me con la sua vecchia immagine di giovane che non mi dice nulla, che non può dirmi nulla, perché non sa neppure ch'io ci sia. E difatti è un ritratto ch'egli si fece prima di sposare; ritratto, dunque, di quando non era mio padre. Io in lui, lì, non ci sono, come tutta la mia vita è stata senza di lui.
- È triste...
- Triste, sì. Ma in ogni famiglia, nei vecchi album di fotografie, sui tavolinetti davanti al canapè dei salotti provinciali, pensi quante immagini ingiallite di gente che non dice più nulla, che non si sa più chi sia stata, che abbia fatto, come sia morta...


Grazie!

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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