31 luglio 2007

Ingmar bergman è morto...

Erano i tempi belli dell’università e io e la mia amica Alessandra decidemmo di partecipare a un concorso di Raitre: dovevamo scrivere una sceneggiatura, quella vincitrice sarebbe stata prodotta dalla rete e diretta dagli autori della medesima… Concorso allettante, mezzo dipartimento di musica e spettacolo alla Sapienza (beh allora era l’unica università romana…) aveva deciso di parteciparvi. Noi sentivamo di avere una marcia in più sia perché ci sentivamo più pratici del mezzo (alcuni “colleghi” all’università ci avevano chiesto, meravigliati, e con un po’ di spocchia: “Ma come?!?! Scrivete anche i dialoghi!”?!?!?) sia perché eravamo convinti di avere una storia buona tra le mani (due amici poco più che 18enni partono dal centro di Roma, in piena estate, per andare in Svizzera a cercare la ragazza di uno dei due il viaggio si trasforma in un viaggio nell’Italia degli anni 80 alla ricerca dei sottili confini tra amicizia e amore…). Passano i mesi e io e Alessandra ci divertiamo a improvvisare scene e situazioni mettendoci l’anima (e le nostre storie personali). Siamo due pazzi e scriviamo una sceneggiatura di ferro, prevedendo gli stacchi di montaggio le musiche e addirittura il piazzamento della mdp…

Il problema più grosso che dovevamo superare era quello di trovare delle inquadrature adeguate, dinamiche e, soprattutto, non noiose per le ripetute sequenze che si dovevano girare nell’abitacolo dell’automobile… Ci scervelliamo e optiamo per una serie di campi e controcampi da punti di vista diversi (finestrino laterale esterno, sedile posteriore, con ripresa anche di quanto si vede attraverso lo specchietto retrovisore) impiegando molto il piano d’ascolto (inquadrando cioè chi ascolta e non chi parla…).

Passano i mesi…

Il tempo si accorcia.

La sceneggiatura è praticamente finta. Dobbiamo solo revisionare i dialoghi e intanto, dattiloscriverla (al pc del fratello di Alessandra, primo pc che abbia mai usato, siamo nel 1986… io non lo comprerò che nel 1990). Ma calcoliamo male i tempi e, con metà della sceneggiatura ancora da dattiloscrivere, desistiamo una notte alle 4 del mattino (il concorso scadeva il giorno dopo alle 12…). Siamo dispiaciuti però siamo contenti di quanto abbiamo scritto, di quello che io e Alessandra ci siamo scambiati in quei mesi alla ricerca di inquadrature, dialoghi, musiche, emozioni.

Passano dei mesi, l’inverno e la primavera. Verso giugno (credo…) al Fantafestival, una delle mitiche edizioni che si tenevano al cinema Capranica (oggi non più operante) che apriva i corridoi collegandosi col cinema Capranichetta (chiuso nei primi anni 80 e mai più riaperto…) danno Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, che né io né Alessandra abbiamo mai visto. Ci precipitiamo e abbiamo una sorpresa che sa di epifania. Non tanto perché il film è magnifico (altro che la sequenza del sogno di Dalì in Notorious di Hitchcock, vedere per credere!) ma perché nelle scene on the road Bergman ha messo in pratica la nostra idea di inquadratura “non noiosa”… Rimaniamo senza fiato non solo perché quel che sulla carta (sulla sceneggiatura) sembrava funzionare scopriamo che funziona magnificamente anche sullo schermo ma soprattutto perché dal nostro punto di vista Bergman …ci ha rubato l’idea! Nessuno dei due aveva mai visto prima quel film e quindi nemmeno inconsciamente potevamo ricordarci di quelle inquadrature. Evidentemente quando una inquadratura è buona sarà sicuramente già venuta in mente a qualcun altro prima.

Ma tant’è per noi la sceneggiatura ha avuto la benedizione di Bergman

Poche altre volte ci siamo sentiti così io e Ale durante gli anni dell’università (un’altra occasione è stata la consegna delle nostre tesine su Zabriskie Point e Identificazione di una donna a Michelangelo Antonioni il giorno della consegna della Laurea honoris causa voluta da Guido Aristarco).

La sceneggiatura non abbiamo mai finito di trascriverla ma ne possediamo una copia ognuno e ci siamo ripromessi di finirla, un giorno o l’altro, o magari anche di provare a girarla, perché no… Se mai lo faremo e leggerete una dedica a Ingmar Bergman, ora sapete il perché…

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bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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