M., un ragazzo di 16 anni, si è prima pugnalato e si è poi gettato dalla finestra perché non sopportava più di essere tacciato per gay. Giornali e radio hanno parlato subito di "omofobia", accusando, nemmeno troppo velatamente, professori e bidelli (sempre loro) di non controllare i ragazzi durante il cambio dell'ora (e come potrebbero? I professori sono intenti ad andare da una classe all'altra, o se sono in classe sorvegliano, eccome, mentre i bidelli, normalmente uno per piano, non vedo come potrebbero sorvegliare più di quanto già non facciano).
Insomma la colpa è della scuola che non fornisce gli adeguati strumenti culturali per accettare una scelta sessuale altra, anche perché, associazioni di categoria e giornali “di sinistra” in testa, lasciano intendere che la colpa è dei benpensanti, di destra e di sinistra, e della chiesa con la sua azione anti-dico (sic!), che danno per scontato che, almeno fino alla maggiore età, siamo tutti etero…
Niente di più sbagliato e fuorviante…
Arcigay e certe menti …attiviste vorrebbero che ogni ragazza e ogni ragazzo, anche minorenne, anche al di sotto dei sedici anni, limite legale perché possano fare sesso, scelga già definitivamente la propria sessualità e si dichiari lesbica o gay, senza che i compagni di scuola, gli adulti reazionari o la chiesa, impedisca loro di essere “fiero di quello che sei”, come recita uno degli slogan in voga nei gay pride.
Perché un(a) sedicenne, se è attratto dalle donne (dagli uomini) ma anche (un po’? forse? chissà!) dagli uomini (dalle donne) deve scegliere solamente una delle due possibilità, quando rimanendo etero, visto che la …maggioranza silenziosa gli permette di godere del beneficio del dubbio, può sperimentare la propria sessualità senza fare, ancora, scelte definitive?
Si può scoprire di provare un profondo legame affettivo, forse anche sessuale, per una persona del proprio sesso senza per questo dover rinunciare alla propria parte etero? Che scuola è quella che insegna a scegliere definitivamente, a rinunciare a una parte di sé, a vedere tutto bianco o nero (o, se credete, bianco e rosa…) imponendo alle sue studentesse, ai suoi studenti, di scegliere appena può un orientamento sessuale?. Mi sembra una scuola, questa, più intenta a proiettare sui giovani la mentalità degli adulti che vi insegnano che pronta aad ascoltare i giovani e capire quel che loro vogliono davvero…
Io insegno nelle scuole come esperto esterno (Linguaggio cinematografico e audiovisivo) e questo mi permette di osservare le ragazze (i ragazzi) da un punto di vista privilegiato, mi percepiscono come qualcuno a metà strada tra loro e i prof. canonici. Insegno in una scuola che non brilla per politicizzazione e dove la maggioranza non è certamente di sinistra, eppure noto tra i ragazzi e le ragazze una disinvoltura che ai miei tempi (quando io stavo come loro al liceo), era impensabile.
Ho visto ragazzi di prima liceo assistere alle mie lezioni tenendosi per mano, ragazzi di quarta, in cineforum pomeridiani dove ci si rilassa e la postura è meno rigida di quella delle ore curricolari, vedere film usando il proprio compagno come schienale, come poggiatesta, mentre il compagno di dietro gli cingeva le spalle con le braccia…. Mi hanno sempre intenerito queste dimostrazioni d’affetto, e non ho mai pensato minimamente, nemmeno per una frazione di secondo, che i ragazzi in questione fossero gay, anzi! Mi fa piacere che finalmente i ragazzi possano permettersi dimostrazioni d’affetto senza che queste indichino uno piuttosto che un altro orientamento sessuale.
Il vero problema non è l’omofobia (che c’è, ma a un livello superiore) ma la diffusione dei cliché sessuati: per offendere le donne si dà loro della puttana, per offendere gli uomini si dà loro del finocchio. Sono insulti connaturati nel linguaggio. Non lo dico per giustificarne l’uso ma per denunciare il fatto che l’impiego dispregiativo di parole a sfondo sessuale è in tutte(i) noi … E che l’omofobia nasce già nel momento in cui due ragazzi che si prendono per mano vengono visti esclusivamente in chiave gay, poi poco importa se qualcuno (la maggioranza) pensa “che schifo” e qualcun altro (pochi) pensa “che carini”.
Il 16enne si è suicidato perché la sua effeminatezza (lo chiamavano Jonathan, come l’effemminato partecipante a un grande fratello…), vera o presunta, magari crudelmente addotta ai tratti somatici della sua etnia (la madre è filippina), o per una certa riservatezza e una certa gentilezza insita nel suo carattere, non si sa, era stata sussunta nell’omosessualità, termine col quale oggi si indica una persona debole, troppo sensibile, un uomo che si comporta come una femminuccia… e che dunque più che riguardare il vero e proprio orientamento sessuale ha più a che fare con l’indole, col carattere, con l’atteggiamento. Se si taccia di omosessualità un ragazzo perché non si mette la mano vistosamente sul pacco ogni volta che incontra una bella ragazza (a Roma la si chiama una bella figa, la parte per il tutto..) non c’entra l’omofobia ma il maschilismo (madre di tutte le discriminazioni) lo stesso maschilismo che vede come lesbiche le ragazze che non corrispondono a quei clichè femminili creati ad uso e consumo dei maschi.
Se riduciamo questi atteggiamenti all’omofobia (che, ripeto, è presente ma dopo il maschilismo, non prima) ci si dimentica del maschilismo, lo si ignora, lo si nasconde, lo si percepisce come inevitabile, o innocuo, si giustifica insomma quella mentalità che fa dire di un uomo che va con tante donne che è un furbo e di una donna che va con tanti uomini che è una zoccola, che non riguarda dunque solo froci e lesbiche, ma tutte e tutti.
È questa mentalità che va sradicata, quella stessa che mostra pubblicità dove alle bambine già da piccole si regalano bambole e elettrodomestici (l’aspirapolvere e la lavatrice funzionanti della Lima) e, se anche i bambini giocano con loro, sono le ragazzine a svolgere i lavori donneschi, in una pantomima della società sessista degli adulti.
Non è distrazione ma ipocrisia quella dei genitori che si preoccupano del disegno animato nipponico Sailor moon il quale, mostrando uomini truccati e con degli abiti che ricordano le gonne, temono che i figli maschi possano diventare gay (sic!), ma ignorano che le pubblicità età abituino, dalla tenera età, le ragazze a essere serve degli uomini (come tante mamme insegnano purtroppo ancora oggi alle loro figlie…).
Una società che sa vedere due ragazzi che si tengono per mano (i miei studenti carini, uno dei quali, dopo la lezione, visto che io avevo fatto notare la disinvoltura del loro atteggiamento mi ha detto: “a professo’, m’ha rovinato!!!”) solo esclusivamente in chiave gay e che poi si prodiga a dir loro: “che carini, siete gay, è normale, che bello!” non è meno omofoba della società che invece li prende in giro dicendo loro “ma che vi siete fidanzati?”.
Ci dimentichiamo che siamo tutti solamente uomini e donne e che i nostri gusti sessuali non dovrebbero diventare di pubblico dominio, non perché ipocritamente non si deve sapere quello che ognuno fa a letto, ma perché dovrebbe essere irrilevante chi fa cosa con chi… Perché un gesto d’affetto resta tale qualunque sia l’assortimento o l’orientamento sessuale della coppia che se lo scambia, e perché “non tutti i gay sonno checche”, come diceva
Perché M, il ragazzo che si è suicidato perché tutti pensavano fosse frocio, aveva il diritto a scheccare anche se non era gay, e a essere lasciato in pace senza che quel suo modo di essere diventasse naturaliter un atto di rivendicazione politica pro-omosessualità o il segno evidente di un suo presunto orientamento sessuale.
Prima ancora dell’omofobia M. è stato vittima dei cliché di una società maschilista, un maschilismo che prima ancora di colpire altri uomini (presunti gay) colpisce le donne, quell’altra metà del cielo cui sempre di più gli uomini (gay o etero poco importa) si dimenticano di prendere in considerazione.
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