17 novembre 2006
IL GIORNO/LA NAZIONE/IL RESTO DEL CARLINO
MINA FA BAU E CANTA MA NON RISCALDA I CUORI
di Marco Mangiarotti
Milano. NUN ME PIACE. Tanto. Che nel caso di Mina è come dire no ad un piatto cucinato dalla mamma. Colpa del fuoco, del cuoco, degli ingredienti? O della padella? Degli ingredienti, come ci insegna slow food. Massimiliano coordina, produce e arrangia un materiale inedito che ci riporta agli ultimi discutibili album di Nostra Signora della Canzone. Un solo titolo nel suo piccolo memorabile, “Acqua e sale”. Qualche altra cosa tipo “Brivido felino”. Il resto bruttino, inutile o carino. Generalizzando, s’intende. In mezzo a notevoli album di cover. Come fanno da sempre a ogni latitudine le voci del suo rango. Di “Bau” non ci spaventa l’ascolto dell’ignoto o il record, come autore, del simpatico Mingardi (foto sotto). Che ne mette in buca otto, con Tirelli e ne canta (benissimo) due. Ci inquieta l’assenza di note memorabili, degne del suo mito. Andrea non è Mogol né Battisti, per citare il singolo e il primo dei duetti. Nel senso che ha sempre espresso la forza e il linguaggio di una incontenibile passione per la musica nera e gli anni ’50 e ’60 (’70). Ma non ha mai scritto in carriera nulla di memorabile. Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto. Quindi questo lavoro che vira da pop vinoso al black coffee ci restituisce al massimo le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Quando un pezzo parte bene subito ti ricorda un po’ troppo qualcos’altro. O cade da un “ponte” improbabile. Come la dalliana “Johnny scarpe gialle” che inizia strizzandoti cuore e romance. Insomma, difficilmente ci si smuove dal carino. Si sfiora l’inutile, dolorosamente.
Max Pani presenta con giusto orgoglio un brano firmato, tra gli altri, dal figlio Axel e ribadisce: “Mamma ha scelto come sempre da sola. E se ci sono tutte queste canzoni di Mingardi vuol dire che erano quelle che le erano piaciute di più”. Ovviamente non è tutto da buttare. Lei canta sempre sopra il cielo di Lugano, anche quando gioca a far la sciatta o la sciantosa. E la musica gira intorno elegante, senza trucchi. Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier. Per dirla con il maestro Paolo Conte, qui si sbaglia da professionisti. Riguardo il bicchiere: niente rosso, un bianco da signore. E cerco di vederlo stavolta mezzo pieno.
Allora cosa può piacere ai nuovi e ai vecchi fan, quelli che comunque comprano almeno 150mila copie dei suoi dischi. A prescindere. Il pop inedito e, per fortuna, gli standard jazz. Può divertire il rimando citazionista a titoli, armonie, giri e fughe melodiche del passato. Se non le hai già vissute funziona quasi sempre. Le storie di Johnny, sulle scarpe gialle e sull’Orient Express. Così reale e blue che sembra uscito da un romanzo-fumetto di Mingardi. Poi il fatto che il repertorio è vinoso; quindi, da un punto di vista minimale, coerente. Che qualche pezzo suona meglio di altri, anche se non degno di stare fra i suoi hit immortali. Che puoi trovare il tutto, come nel caso delle Vibrazioni, sui telefonini Nokia Music Edition (questa è la distribuzione del futuro, più del pc; non solo le suonerie ma interi album). Delle cose di Andrea non mi dispiace “L’amore viene e se ne va”. Ha il respiro debole del grande pezzo. E “Inevitabile”. Bigazzi e Falagiani danno il loro contributo in “Fai la tua vita”. Agostino Guarino celentaneggia con “Come te lo devo dire” e lei si adegua ruvida e country. “Datemi della musica” è dare a Mingardi quel che è di Mingardi. In sidecar.
Il giudizio grave e un po’ greve non poteva prescindere dall’altezza monumentale e vocale di Mina. È stata una stroncatura onesta ma sofferta. Tanto so che lei, francamente, se ne infischia.
Cos’è che mi fa incazzare di questo articolo?
Certo non la stroncatura dell’ultimo disco di Mina. Sarebbe troppo facile. E troppo infantile. Io ascolto Mina da quando avevo 13 anni ma so mantenere un mio giudizio critico nei suoi confronti. E se servissero le credenziali di fan critico e non acritico posso chiamare a testimoniare i miei amici che di Mina mi hanno sentito parlare bene ma anche male.
No. Non sono incazzato come fan di Mina.
Sono incazzato come lettore.
Perché, da lettore, alla recensione di Marco Mangiarotti non posso che rispondere: “E chi se ne frega?!”.
Un giornalista, un critico non esprime giudizi, ma dà informazioni, fornisce strumenti critici, dando la possibilità a chi li legge di farsi una opinione propria, magari diversa da quella espressa dal giornalista stesso, quelli veri lo fanno. Anche quando esprime giudizi personali il vero critico lo fa portando delle argomentazioni, delle motivazioni che possono essere condivise o criticate, con le quali, insomma, ci si può dialetticamente confrontare.
Mangiarotti, invece, crede di essere al bar, a casa con gli amici, o a Music Farm (dove tutto si riduce a un voto da 1 a10) e esprime un giudizio secco, senza argomentazioni, pensando che basti la sua auctoritas come argomentazione, come strumento critico. “Nun me piace”. Punto.
Ancora, come lettore, non posso non dirgli “E chi se ne frega!”.
Ora, anche fosse il miglior critico musicale, il miglior giornalista del pianeta (e Mangiarotti non lo è), ciò non lo solleverebbe dall’obbligo di spiegare a chi lo legge il perché delle proprie affermazioni, perché pubblicando le sue idee su un (tre) quotidiano(i), non può limitarsi a esprimere un giudizio, lo deve argomentare, ma Mangiarotti se ne dimentica (o lo ignora).
Va be’, direte, magari nell’articolo qualche argomentazione la propone, qualche strumento critico lo fornirà. Vediamo.
Milano. NUN ME PIACE. Tanto. Che nel caso di Mina è come dire no ad un piatto cucinato dalla mamma. Colpa del fuoco, del cuoco, degli ingredienti? O della padella? Degli ingredienti, come ci insegna slow food. Massimiliano coordina, produce e arrangia un materiale inedito che ci riporta agli ultimi discutibili album di Nostra Signora della Canzone.
Al di là della metafora culinaria, Mangiarotti dice, senza argomentare, che a lui il disco di Mina non è piaciuto, limitandosi ad asserire che Bau è discutibile come gli altri suoi ultimi dischi. Perché? Boh, non lo dice. Proseguiamo.
Un solo titolo nel suo piccolo memorabile, “Acqua e sale”. Qualche altra cosa tipo “Brivido felino”. Il resto bruttino, inutile o carino. Generalizzando, s’intende. In mezzo a notevoli album di cover.
Invece di argomentare, spiegare il perché di quanto ha appena detto, Mangiarotti prosegue affermando che solo “Acqua e Sale” e “Brivido Felino” (entrambi dal disco Mina Celentano del 1998, ma questa informazione lui non la dà …) sono “nel loro piccolo” memorabili. Di nuovo un giudizio espresso senza argomentazione. Il resto, prosegue (di cosa, di Mina Celentano? Degli ultimi dischi della Signora? O di Bau? non si capisce…), è bruttino, inutile, o carino. Ah! Complimenti!! Bei termini degni di un critico esperto!
Poi Mangiarotti si corregge e precisa che sta generalizzando e che qualche canzone non bruttina, non inutile o non carina magari c’è. Però, ancora, senza dare un perché. Poi riduce ancora il campo e incensa i notevoli album di cover. Di nuovo senza argomentare perché quelli sì e questi (gli album di inediti) no.
In questo Mangiarotti si allinea a una tradizione della critica italiana che, sin dai tempi in cui Mina pubblicava un album doppio, con, appunto, il primo volume di cover e il secondo di inediti (l’ultimo è stato Pappa di latte nel 1995), vedeva preferire le cover che Mina “nobilitava con la sua voce” alle canzoni inedite dalle quali la sua voce veniva invece "mortificata”. Ma non divaghiamo e proseguiamo.
Come fanno da sempre a ogni latitudine le voci del suo rango.
Mangiarotti precisa (prima informazione che ci dà dall’inizio dell’articolo) che ogni cantante con la voce del rango di Mina fa da sempre dischi di cover. Come dire che in questo Mina non è nemmeno originale ma fa quello che tutti i grandi fanno.
Di “Bau” non ci spaventa l’ascolto dell’ignoto o il record, come autore, del simpatico Mingardi (foto sotto). Che ne mette in buca otto, con Tirelli e ne canta (benissimo) due. Ci inquieta l’assenza di note memorabili, degne del suo mito. Andrea non è Mogol né Battisti, per citare il singolo e il primo dei duetti. Nel senso che ha sempre espresso la forza e il linguaggio di una incontenibile passione per la musica nera e gli anni ’50 e ’60 (’70). Ma non ha mai scritto in carriera nulla di memorabile. Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto.
Qui Mangiarotti ci dice che c’è qualcosa che lo spaventa (e, ancora vorrei dire, “e chissenef…”) ma non le canzoni ignote (l’aggettivo si riferisce agli autori oppure al fatto che sono canzoni inedite? Boh!?...) né il record delle canzoni scritte da Mingardi, definito simpatico (certo! Perché se era antipatico questo influiva sul giudizio dato sulle sue canzoni…) il quale, dice sempre Mangiarotti, ne canta benissimo due.
È l’assenza di note memorabili (cioè di canzoni, la parte per il tutto) a inquietarlo, e dice che le canzoni scritte per Mina non sono degne del suo mito (di Mingardi, o di Mina?…), ancora senza dire il perché. Chissà forse leggendo oltre… Macché Mangiarotti spara un altro giudizio tranchant, sempre senza argomentarlo, e dice che Mingardi non è ne Battisti né Mogol (eh già, è …Mingardi!!!) e che non ha mai scritto in vita sua una canzone memorabile (e le argomentazioni? Niente! Eppure l’affermazione è di quelle definitive…).
Ma allora il mito di Mingardi di cui Mangiarotti parlava prima da dove proviene?!?!? Vuoi vedere che si riferiva davvero a Mina ?
“Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto”.
Che vigliacco Mangiarotti! Dopo averlo ucciso artisticamente dice che almeno umanamente Mingardi non è una merda (eh già, lo aveva chiamato “simpatico”, ricordate?).
Quindi questo lavoro che vira dal pop vinoso al black coffee ci restituisce al massimo le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Quando un pezzo parte bene subito ti ricorda un po’ troppo qualcos’altro.
Ah ecco, mi direte, vedi? Qui sì che Mangiarotti argomenta!!! Sei il solito polemico Alessa’…
Beh, un attimo, vediamo…
Intanto ci informa che il disco (Bau) vira dal pop vinoso (“detto di vino che presenta aroma e sapore sano e genuino” dallo Zingarelli, terzo di quattro lemmi) al Black Coffee (titolo di canzoni diverse, io ne ricordo una memorabile cantata d Sarah Vaughan…) e che, al massimo, restituisce le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Ma a quanto pare questo non basta perché, prosegue, se un pezzo parte bene è perché te ne ricorda un altro.
Quindi, deduco, il disco non gli piace perché le canzoni non sono novità….
Ci sto.
Non è la prima volta che Mina canta canzoni che ne ricordano altre (in qualche caso anche in maniera imbarazzante, come in Per averti qui di Massimiliano Pani e Valentino Alfano, in Italiana, del 1982 che è la copia di Voglio di più di Pino Daniele).
Però…
Se il disco è un omaggio al Jazz e al Blues come si fa a fare qualcosa di nuovo?
Il blues è il blues…
Il jazz è il jazz...
Ovvio che ti ricordi qualcos’altro.
Ma tanto lo si dice sempre delle canzoni inedite di Mina “ne ricordano altre…”.
Certo, se avesse dato qualche argomentazione in più, per esempio che nel brano È inevitabile di Mingardi, il ritornello assomiglia paurosamente a Harvest for the World degli The Isley Brothers (rifatta anche dai Christians alla fine degli anni ’80) sarebbe stato più difficile controbattere. Ma Mangiarotti è parco di informazioni e di argomentazioni. Si accontenta di dire “buono” o “cattivo”, magari con uno stecchino in bocca e il ruttino pronto sgorgare dalla sua bocca, d’altronde ha aperto l’articolo con una metafora culinaria…
O cade da un “ponte” improbabile. Come la dalliana “Johnny scarpe gialle” che inizia strizzandoti cuore e romance. Insomma, difficilmente ci si smuove dal carino. Si sfiora l’inutile, dolorosamente.
Almeno una volta a onor del vero ad argomentare ci prova… Infatti dopo aver detto che il disco Bau non è bello perché le canzoni non sono delle novità ma ricordano canzoni già scritte, critica il ponte improbabile di qualche canzone… Però sbaglia canzone!!! Cita Johnny dalle scarpe gialle che di improbabile (improbabile per chi?... per Mangiarotti… echissenefrega) casomai ha il ritornello e non il ponte, che…non c’è!!! Improbabile perché poi? Perché il ritornello è rock e il resto della canzone è melodica, dalliana come dice il nostro… ? Argomentare Mangiarotti, argomentare!!!!
Mangiarotti invece tace e prosegue dicendo che il disco non si muove dal carino.
Ecco, l’uso di aggettivi di gusto come questo al posto di una vera argomentazione (una, Mangiarotti, ne sarebbe bastata una…) fa del nostro un criminale, nel senso che commette un crimine, quello di uccidere l’esercizio della critica (e del giornalismo) delegittimandone il duro apprendistato in favore di un gusto estemporaneo di pancia (sempre gli stessi aggettivi buono cattivo carino…) alla portata di tutti. Un modo di fare critica che poco ha a che fare con la musica e molto col mito di Erostrato che aveva dato fuoco al tempio di Artemide nel 356 a.C. sperando così che il suo nome divenisse immortale… Però qui Mangiarotti si illude, perché fra 100 anni di Mina si continuerà a parlare, e ad ascoltare le canzoni, mentre di Mangiarotti non si ricorderà più nessuno... Ma sto divagando di nuovo…
Insomma il disco è “solamente” carino e inutile, e mentre lo dice ne prova dolore… (ma allora che lo dice a fare… che ipocrita!). E spiega per caso il perché? No.
Max Pani presenta con giusto orgoglio un brano firmato, tra gli altri, dal figlio Axel e ribadisce: “Mamma ha scelto come sempre da sola. E se ci sono tutte queste canzoni di Mingardi vuol dire che erano quelle che le erano piaciute di più”. Ovviamente non è tutto da buttare. Lei canta sempre sopra il cielo di Lugano, anche quando gioca a far la sciatta o la sciantosa. E la musica gira intorno elegante, senza trucchi.
Apparentemente pentito di tanto dire male ammette che non tutto e da buttare (senza specificare cosa sì e cosa no…) e concede (che magnanimo!) che Mina canta sempre sopra il cielo di Lugano (eh?) anche quando gioca e fa la sciatta o la sciantosa. Il dolore di prima deve avergli fatto perdere lucidità perché Mangiarotti si inerpica per una considerazione che non so a cosa serva e cosa significhi, se qualcuno ha il buon cuore di evincermi… (sarò un lettore stupido ma ho il diritto anche io di capire che caspita sta dicendo Mangiarotti).
Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier.
Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier.
TRADUZIONE PLEASE!!!!
Poi nello stesso periodo cita Paolo Conte e dice che Mina sbaglia (in cosa? Nei capetti vintage?...), sì, ma da professionista…. Le dà della signora che beve il vino bianco piuttosto che del rosso, di cui aveva parlato lui… (beh in una delle canzoni in effetti Mina offre del vino…).
Boh! Io non lo seguo più… E mi chiedo se queste righe astruse non potevano essere sostituite da due righe due che argomentassero almeno una delle affermazioni che spara in tutto l’articolo, che ne so, una semplice, che Bau è solamente carino? Invece conclude la metafora col logoro detto del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto… Cioè prima dice che il disco è ben misero e poi si dice ottimista su quel che c’è, che comunque vale…. A Roma direbbero che Mangiarotti “Se la canta e se la sona”… ma andiamo avanti.
Allora cosa può piacere ai nuovi e ai vecchi fan, quelli che comunque comprano almeno 150mila copie dei suoi dischi. A prescindere. Il pop inedito e, per fortuna, gli standard jazz.
Il nostro bacchetta chi compra i suoi dischi a prescindere (il pubblico va sempre rispettato Mangiarotti, magari educato, ma rispettato…) invece di riconoscere a Mina il potere di vendere a scatola chiusa 150.000 copie, che sono tante in un mercato malato come quello contemporaneo (lo constata lei stessa in un suo articolo uscito lo stesso giorno sulla stampa Adesso questo lavoro, che è anche carino, ce lo tiriamo in fronte. Eh sì, dischi non se ne vendono più. Purtroppo o per fortuna, non so. Cioè lo so benissimo, ma questa è un’altra storia.), ma pochissime rispetto quel che Mina vendeva una volta.
Ecco, un vero critico avrebbe anche parlato di un po’ di storia e di economia della musica invece di discettare di ...vinosità e capetti Chanel (ma siamo sicuri che Mangiarotti si interessi di musica e non di enogastronomia e moda? Mah!) e risponde (a una domanda fattasi da solo…) che i fan potranno consolarsi con il pop inedito (parla di qualche canzone in particolare o del pop generico che caratterizza l’album? Mistero!) e gli standard Jazz. Gli standard Jazz?!?! Quali? Non ci sono standard Jazz in Bau… Non è che sbaglia disco…? O parla forse in generale dell’ultima produzione discografica di Mina quindi anche dei dischi di cover?…. Ah saperlo!
Può divertire il rimando citazionista a titoli, armonie, giri e fughe melodiche del passato. Se non le hai già vissute funziona quasi sempre.
Quindi i suoi fan non sono solo cretini a comprare i suoi dischi a scatola chiusa sono anche ignoranti ché non conoscono la storia della canzone e prendono per nuove canzoni che invece non lo sono… Ma allora come fanno ad apprezzare il rimando citazionista…?
Lui, Mangiarotti, le conosce bene e non si lascia ingannare… Ma che pallone gonfiato ‘sto Mangiarotti… Parla sempre di sé, solo di sé… di quello che piace a lui personalmente… senza possedere un’idea di musica, una weltanschauung, uno straccio di estetica che vada al di là dei suoi succhi gastrici.
L'articolo non è finito…
Le storie di Johnny, sulle scarpe gialle e sull’Orient Express. Così reale e blue che sembra uscito da un romanzo-fumetto di Mingardi. Poi il fatto che il repertorio è vinoso; quindi, da un punto di vista minimale, coerente.
Qui tra le righe gli scappa che il disco ha una coerenza interna musicale, vera, grande novità per Mina che negli ultimi anni ha sempre fatto album contenitori, nei quali convivevano canzoni diverse per ascendenza ed estrazione… Ma a Mangiarotti non preme fare informazione solo autocelebrarsi esprimendo i suoi gusti tranchant. E infatti lo butta là per inciso, dopo aver detto che il repertorio è vinoso… (secondo me è Mangiarotti è un sommelier mancato…).
Che qualche pezzo suona meglio di altri, anche se non degno di stare fra i suoi hit immortali. Che puoi trovare il tutto, come nel caso delle Vibrazioni, sui telefonini Nokia Music Edition (questa è la distribuzione del futuro, più del pc; non solo le suonerie ma interi album).
Qui si ripete, limitandosi a dire che qualche canzone è meglio delle altre, ma che nessuna è degna di stare tra i suoi hit immortali… E poi critica la scelta anch’essa nuova per Mina di pubblicizzare il cd facendolo uscire una settimana prima sui telefonini Nokia (perché se il disco è disponibile prima che la sua recensione esca sul giornale poi magari la gente anche se legge la sua stroncatura ormai l’ha comprato… e che fa? Restituisce il telefono al negoziante…?).
Poi, come se finora avesse fatto una critica argomentativa, propendo spunti di discussione, facendo notare particolari critici degni di esegesi, metodi critici, idee sulla musica e non giudizi sommari, Mangiarotti si permette pure l’angolo del personalismo e dice cosa gli piace e cosa no, ovviamente sempre senza una briciola di argomentazione….
Delle cose di Andrea non mi dispiace “L’amore viene e se ne va”. Ha il respiro debole del grande pezzo. E “Inevitabile”. Bigazzi e Falagiani danno il loro contributo in “Fai la tua vita”. Agostino Guarino celentaneggia con “Come te lo devo dire” e lei si adegua ruvida e country. “Datemi della musica” è dare a Mingardi quel che è di Mingardi. In sidecar.
Che argomenta, spiega, ragiona? Che lo chiedo a fare...
Poi (finalmente!) conclude.
Il giudizio grave e un po’ greve non poteva prescindere dall’altezza monumentale e vocale di Mina.
Eppure anche sulla voce ci sarebbe da dire, volendolo, che cambia con gli anni, che è comparso da qualche anno (quasi un decennio) un impercettibile soffio sui toni medi...
ma ormai abbiamo capito…
È stata una stroncatura onesta ma sofferta. Tanto so che lei, francamente, se ne infischia.
Eccolo che si autoassolve (e continua a parlare di sé!).
Onesta?
Egotista,
non onesta
.Ecolalica direi…
Autocelebrativa, anche,
ma non onesta…
Perché a sparare a zero su Mina (su un disco una volta tanto diverso dagli ultimi lavori…) ci guadagna solo Mangiarotti (chi?!?) che si inerpica sulle spalle dei giganti per sopperire alla propria mediocrità.
Però su una cosa Mangiarotti ha ragione quando dice che Mina
francamente, se ne infischia.
E con lei, caro Marco, tante, tantissime persone, perché, finché continuerai a esprimere giudizi senza argomentarli, molti, quasi tutti i lettori, tranne quelli abituati alle recensioni-diceria in cui sembri eccellere, ti grideranno con tutta la voce che hanno in gola:
“E CHI SE NE FREGAAAAAAAA!”