25 settembre 2005

La storia e il cinema

Ierisera, durante una festa a casa mia con amici nuovi e ritrovati si parlava di cinema (che novità!).
Si parlava dell'ultimo film di Spielberg (troverete la mia recensione sul prossimo numero di FILM - TUTTI I FILM DELLA STAGIONE). Io senza farlo notare citavo direttamente dal mio articolo (è sempre un copiare ma un copiare se stessi...) e, mentre constatavo la reazionarietà de La guerra dei mondi citavo, en passant, una scena di un altro suo film, Amistad, nel quale Spielberg fa dire a dei neri in schiavitù che il popolo ebraico ha sofferto più di loro.
Mentre una mia amica criticava la marginalità della mia osservazione, un mio amico argomentava che non potevo fare quel tipo di osservazione senza tenere conto della mentalità dell'epoca in cui il film era ambientato.
Il mio amico è una persona colta e intelligente eppure stava cadendo in una critica facilmente smontabile e poco sostenibile da un punto di vista storiografico, ma in realtà, credo, stesse usando quest'argomentazione (sbagliata) per criticare, in maniera indiretta, il mio approccio critico ai film.

il mio approccio ai film
Normalemnte quel che mi interessa di un film quando devo farne una critica (quando cioè voglio scriverne qualcosa che altri possano leggere) non riguarda le caratteristiche cinematografiche del film (quelle mi possono interessare magari a scuola, per le mie lezioni sul linguaggio cinematografico e audiovisivo) riguarda invece le sue peculiarità narrative, cioè quello che un film narra e il modo in cui lo marra. Mi interessa in particolare tutto ciò che un film, nel susseguirsi della sua trama, dà per scontato senza soffermarvisi troppo, perchè notoriamente accettato da tutti.
Esempio:
tutti sanno che le donne hanno un innato istinto materno e non c'è bisogno nel film spiegare perchè una donna si comporta così;
viceversa se una donna odia i figli, spiegarne il perchè può essere un interessante spunto per una trama.
In realtà l'istinto materno è culturale e non innato e quindi andrebbe sempre giustificato all'interno di una cultura....

Adesso, senza scomodare l'antropologia culturale, che fa dell'ovvio (cioè di quello che tutti diamo per scontato tanto che non ci soffermiamo mai a chiederci il come e il perchè) uno dei propri oggetti di studio, quello che consideriamo come naturale, spontaneo, e non pensiamo mai sia invece il prodotto di un processo storico e culturale, veicola sempre con sè delle scelte ben precise, dei meccanimsi di senso, di significato, dai quali non possiamo prescindere. E' un po' come la barzelletta che per essere tale, per far ridere, è sempre reazionaria.
L'uso dell'ovvio è imprescindibile, non sto criticando il fatto che una cultura vi ci ricorra. Mi interessa però particolarmente l'uso che ne viene fatto in un film perchè, secondo me, i giudizi, i lughi comuni, le scelte che vengono veicolate, propagandate, propalate attraverso il meccanismo dell'ovvio, che non sono mai nè le uniche nè le migliori, vengono difusi senza che ce se ne accorga perchè normalmente guardiamo al cinema secondo due approcci diversi ma sostanzialmente omologhi, le due classiche facce della stessa medaglia.

C'è chi guarda il film come una storia di fiction e crede che quel che il film racconta non possa essere criticato come un fatto realmente accaduto (che non possa cioè soggiacere alle stesse leggi morali, considerazioni politiche e di conseguenza non possa essere sottoposto a critiche fatte secondo quei punti di vista) "E' soltanto un film".

C'è chi invece, confuso dal fatto che un film pare (e sottolineo pare) avere più verosimiglianza di un romanzo perchè mostra sempre (almeno fino a oggi, digitale permettendo...) immagini di oggetti e persone fische, pensano che se quel che in un film si vede è verosimile non possa essere sottopsoto a critica perchè rimandano alla realtà degli oggetti ripresi. Ci si dimentica in questo caso che ogni film non è mai realtà tout-court ma ricostruzione, riproposizione, un modello di realtà a partire da una certa idea di realtà (che è proprio quello che interessa a me in un film...). Senza dimenticare poi che il criterio di verosimiglianza di un film varia da genere a genere (sarà di un tipo nei film di fantascienza dove nessuno si meraviglia di vedere l'alieno, di un altro nella commedia dove uno può cadere dal terzo piano e farsi solo un occhio nero, di un altro ancora nel film horror dove uno può morire inciampando in una sedia e andando a sbattere la testa...)

In entrambi i casi si arirva a vedere al film come una un oggeto che si è fatto da sè non perchè c'è qualcuno che lo ha costruito e quindi quel che racconta non può essere criticato perchè manca l'intenzione a diffondere ideoogia che io invece vi vedrei a tutti i costi. Per non parlare di quei film, e Amistad è uno di quelli) tratti da un fatto raelmente accaduto! Lì allora non si può imputare al film scelte che derivano dal naturale svolgersi storico degli eventi (ecco l'ovvio che rifà capolino).

Questa osservazione dimostra la reazionarietà, o, almeno, il conservatorismo di chi fa questo tipo di osservazioni. Cosa vuol dire infatti che non posso criticare al film quel che il film racconta perchè in realtà essendo tratto da fatti realmente accaduti la trama è fedele ai fatti così come sono avvenuti? Che una volta che gli eventi sono consegnati alla Storia non sono più passibili di critica. Ecco spiegati i cattolici (e non solo) che non credono alla storia, che aborrono il marxismo, che credono agli universali e che predicano che "La storia va studiata ma non criticata"...).

Ecco perchè il mio aproccio critico dà fastidio, viene interdetto, proibito, criticato.

Ora io non voglio dire che sia il migliore, l'unico, nemmeno che sia particolarmente interessante, anzi io stesso lo considero marginale, nei confronti di quello che va sotto il nome di "critica cinematografica", un approccio che lascia inespressi e non analizzati molti classici elementi cinematografici (la recitazione, la regia, la sceneggiatura, la fotografia, il montaggio, i dialoghi, etc etc) tuti fattori che lascio ai critici veri e più bravi di me.
Mi sono ritagliato un cantuccio dal quale posso osservare i film da una prospettiva privilegiata che mi fa vedere (o almeno ho la presunzione di credere di risucire a vedere)l'ovvio che il film, come ogni prodotto culturale, porta dentro di sè.

Quando il mio amico mi dice che non posso non tener conto della mentalità dell'epoca in cui il film è ambientato nell'argomentarne le critiche, quello che in realtà mi sta dicendo è che non posso percepire un film con la stessa predisposizione con cui percepisco il comportamento di una persona del mondo reale (di nuovo, " è soltanto un film") o che non posso accusare il film (cioè il regista, lo sceneggiatore, o chi per loro) di stare seguendo semplicemente l'ovvio loro NON quello del periodo storico in cui il film è ambientato,... Che, insomma, confondo i musiscisti con l'autore della musica....

Eppure, il film, ogni film è sempre il prodotto storico della mentalità delle persone che lo hanno fatto così come di quelle che lo vanno a vedere.

Un film ambientato nel 1820 ma prodotto nel 1990 in nessun caso sarà il prodotto e quindi potrà espriemre la metalità del 182o ma solo ed esclusivamente:

a) quella del 1990

b) quello che nel 1990 le persone pensano sia stata la mentalità del 1820.

Ci sono film che lo fanno meglio e film che lo fanno peggio, ma solo un film prodotto nel 1820 (il che è impossibile visto che in quell'anno il cienma ancora non esisteva...) può essere considerato espressione della mentalità di quell'anno.

E sfido chiunque a dirmi che questo non è vero !



(post modificato il giorno 29 settembre 2005)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ale ti do ragione su molte cose...il cinema è pur sempre una scelta di "campo".....

Alessandro Paesano ha detto...

Grazie Edo!
D'altronde io credo molto nel "politco" come lo intendeva Platone. E ogni nostra scelta è sempre, anche una scelta poltica...

Anonimo ha detto...

Caro Ale,
ho visto "Amistad" e mi sembra che a Spielberg non interessasse tanto il problema degi schiavi africani, quanto la reazione dell'America bianca di fronte a un problema "esterno".Tutto il film è visto con gli occhi dell'uomo bianco, e i naufraghi della nave alla fine sono stati liberati non tanto perchè erano "uomini" e non bestie - nonostante l'insistenza su questo argomento, questo risulta "di facciata", come a giurare a priori sulla bontà dell'America - quanto perchè si stava giocando sulla loro pelle una questione che agli Stati Uniti premeva molto di più : la supremazia economica del Nord sul Sud , che poi sfocerà nella guerra civile americana (e in "Via col Vento"...).Comunque sull'identità africana si sovrappone quella ebraica, tanto da farmi pensare che Spielberg in realtà stia parlando degli ebrei in America più che dei neri...Quindi ti dò ragione sul fatto che un film non è "solo un film", come ogni opera dell'intelletto umano.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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