25 marzo 2018

L'Ansa, il sessismo ce l'ha nel sangue...


Durante i corsi tenuti per l'ordine dei giornalisti (lo so, sol al maschile, ma si chiama così), i miei inviti a scrivere in maniera meno sessista vengono combattuti con pervicace esistenza che malcelata una smaccata ostilità al menomo cambiamento.

La motivazione più ricorrente (spesso sostenuta anche dai colleghi e dalle colleghe che siedono con me dietro le scrivanie di chi il corso lo tiene) è la brevità, soprattutto per i titoli, e l'eleganza di una lingua meno ripetitiva e più stringata.

Per onestà intellettuale non posso nascondermi che non credo affatto ala buona fede di chi, per mille motivi, resiste al cambiamento.

Certo l'esigenza di titoli coincisi è un'argomento vero e problematico, ma tutta la ricerca di una lingua non sessista lo è pur non esistendo (quasi) soluzioni definitive non per questo non vale nemmeno la pena tentare.

L'Ansa mi aiuta a dimostrare la malafede di questa giustificazione.

Lucia Manca pubblica un articolo nel quale definisce la neoeletta presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati avvocatessa, invece del più corretto avvocata, sostantivo ripreso anche nel sommario.  


Eppure avvocatessa (11 lettere) è più lungo di avvocata (8 lettere).

La concisione non giustificava la rinuncia a qualunque attenzione al sessismo della lingua, anche quello non volontario?

Allora perché quel sostantivo "più lungo"?

Il suffisso derivazionale "essa" è stato una modalità diffusa per generare nomi professionali femminili dai corrispettivi maschili due in particolare, dottoressa da dottore e professoressa da professore, ancora attestati a pieno titolo nella lingua italiana del 2018.

Nemmeno il sottoscritto osa suggerire di declinare questi due femminili in dottora e professora, come qualunque altro normale sostantivo di seconda classe (sulla falsariga di infermiere-infermiera,  ingegnere-ingegnera), come pure, ce ne sono, tintora da tintore.

Questo suffisso era ritenuto  normale  dalle grammatiche ottocentesche (la Sintassi italiana di Raffaello Fornaciari del 1881) e seguiva il calco dei femminili delle cariche nobiliari (Barone, baronessa etc.).

Semanticamente quel suffisso specifica,  però, non già il sesso femminile della persona che esercita la professione, quanto, piuttosto, il fatto di essere la moglie di. 

Ancora nel 1938 Bruno Migliorini intendeva presidentessa come "la moglie del presidente" (fonte Accademia della Crusca).

In una società dove la donna ancora nemmeno votava figuriamoci se aveva accesso alla carriera professionale il problema dei nomi professionali al femminile era sentito con una certa eccezionalità che il suffisso essa rimarcava con giusta enfasi.

L'impiego del suffisso si è diffuso ben al di là dell'esigenza grammaticale, laddove infatti ci sono nomi di professioni  che derivano dal  participio presente dei verbi e non variano morfologicamente il  genere, la determinazione semantica del quale deriva dall'articolo che li precede (il dirigente - la dirigente) o nel caso dei nomi, in molti di questi casi si sono adottate forme non necessarie con il suffisso derivazionale essa presidentessa, avvocatessa, vigilessa, per sottolineare,  non tanto, o non solo,  l'eccezionalità di quelle carica, ma, in fondo, a saper  vedere tra le righe, anche, se non soprattutto,  la velleità di quella carica, di quella professione.

Avvocata, checché ne dica il sito Treccani, è l'unica  forma corretta del maschile avvocato mentre avvocatessa, nel 2018, contiene un che di scherno.

L'uso fattone nell'articolo Ansa, non è allora casuale, ma voluto.

Maria Elisabetta Alberti Casellati viene presentata in tutto l'articolo prima ancora che come professionista, come avvocata, come donna.

Per Lucia Manca è fondamentale, già nel primo paragrafo, invece di  ricordare la carriera politica della neo presidente del Senato (ricordando per esempio che pur essendo una ortodossa del berlusconismo ne è stata anche una voce critica, come riporta il corriere)   reputa necessario informare chi la legge che



E'così necessario informarci sul fatto di essere nonna, addirittura nella seconda frase del primo paragrafo?

L'articolo si conclude con una chicca


Curata nell'aspetto.

Vi immaginate a usare tali considerazioni per un uomo?

Pare di stare a leggere i resoconti sulla mise delle 21 deputate  (su 556) della Costituente nel 1946...

Adesso va bene criticare la statura politica di qualcuna, ma farlo basandosi sul fatto che è donna non fa onore a nessuno e nessuna.

O no?
 

1 commento:

sandhurstmabe ha detto...

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