E infatti tace.
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Della séance di Cinemaxxi proposta oggi (e meno male che avevo deciso di non vederne più) sono stato attratto per il 3d che però non ha riguardato tutti i corti presentati come annunciato nel programma (gli ultimi due non lo erano).
Beato chi riceve la grazia (Italia, 2012) di Margherita Giusti racconta maldestramente di un matricidio per mano del figlio (imbronciato, e maledetto) che, mentre è interrogato dalla polizia rivive alcuni dei momenti che lo hanno portato all'insano gesto. Il più brutto effetto speciale di sangue mai visto la cinema (vernice rosso vermiglio) e, soprattutto, un 3d ingiustificato e mal usato. Tanti soldi per un esercizio da studente e infatti si scopre, alla fine del film, perché nessuno lo dice, che il corto è stato prodotto dalla Nuct. Tanti mezzi e nessuna idea.
Pletora 3D è il seme originario della sigla del Festival di quest'anno. In più, nella sua versione integrale presenta altri quadri con un effetto 3d da Wiew Master che ha un suo senso, dove però la ricerca visiva e 3d è più legata alla fotografia o alla performatività teatrale che al racconto o espressione per immagini in movimento.
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Plant è una istallazione senza sonoro, per due schermi, che esplora la Packard Plant di Detroit, una fabbrica di automobili abbandonata, rielaborando in 3d qualcosa come 18mila fotografie. Un lavoro notevole che esplora veramente le potenzialità del 3d in chiave espressiva.
All the sides of the Road esplora la matericità della strada asfaltata (la Old Highway 101 in entrata e uscita da Dewitt, Iowa) isolandone delle texture che diventano grafiche, texture amplificate dall'effetto 3d trasformandosi in un disegno, una animazione e interagiscono con un frame sopra il frame sempre con l'ausilio del 3d. Altro lavoro interessante quando, a differenza che da noi, ai mezzi economici si aggiungono anche le idee e la voglia vera di sperimentare.
Ixijana (Polonia, 2012) di Jozef e Mikal Skolimowski
Uno scrittore al primo libro pubblicato dal più grande editore Polacco ha un amico del cuore che gli frega la donna del cuore, che non lo contraccambia. Si sono litigati. Ma lui non ricorda nulla. L'amico è stato accoltellato. Da lui. No. E' vivo. No è morto di overdose. No. C'è lo zampino del diavolo. No. E' solo un altro racconto a casa dell'editore. Ha preso un acido e non ricorda. No. E' la vendetta di una donna. No. Gli hanno rubato il coltello. No. Lei è un'indovina. No. E' tutto un complotto. NO. Dai figli di Jerzy Skolimowski Jozef e Mikal, uno sciocchezzaio inutile con la profondità del più greve dei fumetti. Tra citazioni velleitarie letterarie (Il Maestro e Margherita di Bulgacov) e cinematografiche lynch e Polanski il film si perde nei meandri di una trama farraginosa che vuole solo stupire ma non ha granché da dire. Memorabile la soggettiva finale del protagonista che muore mentre recita per se stesso un pater noster. Memorabile anche la bella, ricca, lunga e soddisfacente leccata di fica (uno dei temi ricorrenti del festival, dedicherò al più presto un post tutto suo) che il protagonista si concede a metà film.
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E questa estetizzazione è, s ben vedere, una contraddizione di fondo.
Se la catena di montaggio del forno crematorio è disumanizzante il documentario così sviluppato non è da meno.
Anzi.
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L'ultima fatica di Paolo Franchi E la chiamano estate (Italia, 2012) ha la passione del racconto e della storia che si vuole dire a tutti i costi. Si apre con una citazione de L'origine del mondo Di Courbet (a prestare il ...volto Isabella Ferrari) ha l'ambizione di raccontare l'irraccontabile l'inadeguatezza di un uomo che non riesce a fare sesso con la donna che (dice) di amare e si concede solo sesso mercenario e donne di coppie scambiste. Ha una struttura narrativa ambiziosa che accanto a eleganti riproposizioni di scene che al secondo passaggio hanno una nuova collocazione temporale cambiando il significato originario, ma scade spesso nell'ingenuità, nell'errore da dilettante, pagando lo scotto di una atavica incapacità di sapere dirigere gli attori - soprattutto il protagonista maschile Jean- Marc Barr - espressivo quanto una statua di cera - complice uno dei più atroci doppiaggi della storia del cinema italiano, presentando una morale sessuale che più borghese non si può, dove lo scambismo l'urofilia, il cunnilingus, la fellatio, sono tutte degradazioni dell'amore, che, si sa è penetrativo e coitale.
Un film schizofrenico pieno di imperdonabili errori ma che rispetto tanti altri film visti al festival almeno prova a dire qualcosa che poi non ci riesca è un altro paio di maniche.
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