Però i principi dietro questa vicenda, quelli, sono assai semplici.
Alessandro Sallusti non è stato condannato per un reato di opinione ma per aver affermato (permesso che altri) scientemente il falso. Un falso diffamatorio. Cioè che un giudice abbia costretto una minore ad abortire. Falso perchè in Italia nessuno può costringere chicchessia ad abortire. Mai. In nessun caso.
Alessandro Sallusti è noto alla giustizia italiana per diversi procedimenti giudiziari che lo vedono coinvolto nell'esercizio della sua professione: il giornalismo.
Nel novembre del 2010 è stato oggetto di indagini giudiziarie, disposte dalla Procura di Napoli, per violenza privata nei confronti della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.nella sentenza dell'ordine lombardo si legge:
Il 14 giugno 2011 è stato sospeso per due mesi dalla professione giornalistica dall'Ordine dei giornalisti della Lombardia, per avere consentito all'ex giornalista e deputato Renato Farina radiato dell'Ordine nazionale dei giornalisti per i suoi rapporti con i servizi d'informazione di scrivere sul Giornale, del quale Sallusti era all'epoca direttore, dall'ottobre del 2006 al luglio del 2008. (fonte wikipedia)
(...) consentendo a Farina di esercitare di fatto la professione giornalistica senza la correlativa iscrizione all'albo prescritta dalla stessa legge professionale e dall'ordinamento giuridico. Sallusti, in concreto, ha anche vanificato il significato morale della radiazione. (fonte Ordine dei giornalisti consiglio della Lombardia)
Medesima sanzione, per lo stesso motivo, era stata adottata in precedenza nei confronti dell'ex direttore del Giornale Vittorio Feltri che aveva anch'egli ospitato gli articoli di Farina (fonte Corriere della Sera)Sallusti non è insomma un esempio di alta deontologia professionale, ma uno che ha già ignorato regole e sentenze.
Quest'ultima vicenda giudiziaria che lo ha visto condannato (ma la pena è stata subito sospesa dalla procura di Milano) si riferisce a fatti successi nel 2007.
Valentina, 13 anni, di origini peruviane, lunghi soggiorni negli orfanotrofi del suo paese, viene adottata da una famiglia di Torino. I genitori adottivi si separano, Valentina mostra segni di sofferenza psichica che portano la madre a rivolgersi ai medici e ai servizi sociali. La minore frequenta un quindicenne italiano, vicino di casa e rimane incinta. Informa la madre di volere abortire. Le due donne decidono di rivolgersi al giudice tutelare perché il padre non viene informato vista la sua nota severità.
La legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza prevede, per le minori, l'assenso di entrambi i genitori. Assenso, non consenso. Nei casi in cui la minore non vuole rivelare ai genitori la sua decisione, oppure quando c'è disaccordo tra un genitore e l'altro sull'assenso, oppure quando entrambi i genitori le hanno detto no ma lei vuole procedere ugualmente, si rivolge al giudice tutelare.
Il Giudice Cocilovo autorizza l'interruzione, che viene eseguita all'ospedale Sant'Anna atto registrato dal primario Mario Campogrande ed effettuano dal ginecologo non obiettore Silvio Viale.
Che un giudice autorizzi un aborto significa solamente garantire a tutte le pazienti il diritto ad avvalersi di una legge dello Stato, confermata da un referendum popolare.
Alcuni giorni dopo l'aborto Valentina viene ricoverata nel reparto di neuropsichiatria infantile diretta dal professor Roberto Rigardetto, il quale informa il quotidiano torinese "La Stampa" di Valentina e del suo aborto.
La Stampa pubblica un articolo (che non sono riuscito a trovare perchè l'archivio online del quotidiano arriva fino al 2006).
L'articolo viene riportato dal sito UUAR ma non so quanto le parole siano quelle dell'articolo originale, citato come fonte, e quanto siano rielaborate come sto facendo io nello scrivere questo post, avvalendomi di diversi articolo (anche se io distinguo bene la citazione dalla rielaborazione, ma tant'è).
In questo articolo della Stampa, del 16 febbraio 2007, si afferma, che Valentina è stata costretta ad abortire e lei non voleva.
Già il giorno dopo, il 17 febbraio però, l'articolo de La Stampa viene smentito, come ricorda la corte di Cassazione, che non ha riscontrato irregolarità nella sentenza della Corte d'Appello che ha condannato Sallusti a 14 mesi.
(...) la "non corrispondenza al vero" della notizia che era stata pubblicata il giorno prima dal quotidiano 'La Stampa', (...) era gia' stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano 'Libero') da quattro dispacci dell'agenzia Ansa e da quanto trasmesso dal tg regionale e dal radio giornale, tant'è che il 18 febbraio 2007, tutti i principali quotidiani tranne 'Libero' ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini. (fonte AGI)
Sallusti e i suoi collaboratori invece il 18 febbraio 2007 pubblicano due articoli, uno a firma Andrea Monticoli (che non è l'autore dell'articolo a firma Dreyfus come afferma Andrea Rispoli in un suo post sul sito Julie News che ho consultato per ricostruisce i fatti - tant'è che si è già passati alla rivelazione, solo ora, dopo la sentenza, che dietro lo pseudonimo ci sia quel Renato Farina che è costato a Sallusti due mesi di sospensione dall'albo -) nel quale si insiste sulla ricostruzione, errata, delle vicende che hanno portato Valentina a essere ricoverata in un reparto psichiatrico, e un altro a firma dello pseudonimo Dreyfus (la cui "non identificabilita' dell'autore - riporta la sentenza della corte d'Appello - ne fa diretta riferibilità al direttore del quotidiano) per screditare la 194 e l'operato di Cocilovo e del suo ufficio.
Nel corsivo pubblicato il 18 febbraio 2007 a firma Dreyfus non solo si afferma che
nessuno le ha estirpato un figlio, ma un embrione, prima della 12ma settimana, come vuole la 194.
Si afferma anche che in seguito a questa costrizione Valentina sia diventata pazza.
Già il giorno dopo la pubblicazione dell'articolo, sul Corriere della sera Marina Ponzetto, presidente della «Sezione Famiglia» del Tribunale civile di Torino smentisce Libero e dice:
«Mi lasci dire per prima cosa che nessuna donna, minorenne o maggiorenne, può essere costretta ad abortire».(...) «Seminare il dubbio che un aborto sia stato obbligato può creare danni enormi. Invece, ogni ragazza deve sapere che troverà qualcuno che la ascolta e che può aiutarla».Dreyfus però non si limita a distorcere così tanto i fatti ma arriva ad affermare:
Il giudice Giuseppe Cocilovo si sente diffamato e presenta querela. Sallusti, direttore responsabile del quotidiano viene condannato in primo grado a una multa di 5000 euro.
Sallusti fa ricorso in Appello e viene condannato a 14 mesi di reclusione.
A Sallusti non viene riconosciuta la sospensione condizionale della pena (cioè la pena non viene scontata, se nei 5 anni successivi alla sentenza non commetti altri reati. Altrimenti sconti questo e quello) perchè in base all'articolo 133 del codice penale non è applicabile: Sallusti è recidivo e dunque la sospensione della pena è inapplicabile come ha confermato anche la Corte di Cassazione.
Dopo la sentenza e la conferma della Cassazione tutti i partiti, tutti i quotidiani (manifesto compreso) hanno sollevato un coro unanime a favore di Sallusti. Con argomenti così insostenibili che possono ingannare solo noi comuni mortali non esperti di processi.
Intanto tutti sono basiti che dal primo alla secondo grado la sentenza da pecuniaria sia stata trasformata in giorni di carcere.
Adesso che io, singolo cittadino, lo ignori, va anche bene, ma che un giornalista faccia finta di ignorarlo, un po' meno.
Il fatto è semplice: il terzo comma dell'articolo 595 del Codice Penale recita: "Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516". La multa può sostituire i giorni di carcere. La legge prevede che quando la pena è inferiore ai 6 mesi, si può chiedere di sostituirla con una multa, al ritmo di 250 euro al giorno.
In primo grado Sallusti era stato dunque condannato a 20 giorni di reclusione converiti in una multa. La corte di appello a ritenuto la pena troppo lieve e l'hanno aumentata.
L'argomento principale è che tutti gli esponenti dei partiti politici e praticamente tutti i giornalisti hanno scritto a favore di Sallusti sollevando la questione della libertà di Stampa che sarebbe minacciata da questa sentenza.
In base a cosa è limitata la libertà di stampa?
Anche andasse davvero in galera Sallusti potrebbe continuare a scrivere articoli.
Quindi di che si parla?
Leggete il tono con cui Nino Luca intervista Cocilovo sul Corriere...
In ogni caso la libertà di stampa può autorizzare ad affermare il falso per criticare una legge dello stato? Si può affermare il falso su una legge di Stato?
Basta la deontologia professionale a frenare e autoregolamentare?
La galera è davvero esagerata per aver permesso di scrivere una sequela di notizie false e augurare la morte per fatti non commessi?
Il falso è un'opinione?
Eppure ancora ieri il sussidiario può titolare così:
Ha difeso una 13enne costretta ad abortire
A me questa sentenza sembra giusta e sembra lanciare un segnale condivisibile e democratico: se scrivi il falso vai in galera.
Tra l'altro Sallusti non farà un giorno di galera dunque la sentenza è solo simbolica.
E adesso datemi pure dello stalinista.
Ecco e fonti principali che ho consultato senza le quali non mi sarei raccapezzato.
Antonio Rispoli La vicenda Sallusti: perchè strumentalizzare un fatto semplice? Julie news
(che pure attribuisce erroenamente l'articolo a firma Dreyfus ad Andrea Monticoli)
Vera Schiavazzi Così la sentenza del giudice Cocilovo venne trasformata in "aborto obbligato" La repubblica
Sulla stessa Repubblica il 22 settembre scorso Giovanni Valentini difende Sallusti a spada tratta.
1 commento:
Stalinista un par di palle! (e scusa il francese)
Qui in ballo c'è tutto meno che la libertà di espressione, libertà che, a quanto pare, viene abusata anche commentando questa stessa vicenda. Sallusti non è stato condannato per un'opinione ma per aver pubblicato una notizia falsa tacendo intenzionalmente la smentita.
La difesa corporativa di giornalisti e politici è ripugnante non tanto perché difende l'indifendibile ma perché si dichiarano consapevolmente altre falsità per accreditarla!
Se la discussione fosse se sono troppi o troppo pochi 14 mesi di condanna tanto tanto ma che si cerchi di sostenere che dichiarare deliberatamente il falso su un giornale è un'opinione è davvero insopportabile!
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