31 agosto 2010

Noi...no! (Ma io sì!)



Avevo 12 anni. Era il 1977. Cantavo questa canzone spesso, ne avevo comperato il 45 giri (alla Rinascente) e cantavo la canzone a memoria sul mio giradischi.
Mi ricordo che sotto Natale Luciano, l'uomo (il compagno) di mia madre, mi sorprese che cantavo la canzone e, ironizzando, ma neanche troppo, mi chiese se cercavo davvero un uomo.
Io, checchina ingrana e poco avvezza all'autorità maschile, trasecolai non pensando  minimamente che quella canzone potesse essere un proclama di rivendicazione frocio, ma solo una canzone da cantare e se il testo dice cerco un uomo anche se sei uomo canti cerco un uomo (anche perchè cerco una donna con la metrica non ci sta...) e poi avevo 13 anni Cristo! Va bene che ero già sessualmente attivo ma la mia età innocente mi permetteva di cantare anche cose più ambigue di quella senza essere sospettato di chissà che... Insomma Honi soi chi male y pense mandai Luciano a quel paese e continua a cantare indisturbato.
la versione a 45 giri era diversa da quella che andava in onda come sigla, oggi non riesco più a cogliere la differenza, ma vi assicuro che allora mi disturbava non poco.
Il titolo Noi ...no! si riferisce al tormentone della sigla del programma precedente della coppia Mondaini-Vianello (Di Nuovo) Tante scuse dal titolo Piru Piru Pirulì che, pure, vi propongo.





Noi ...no! aveva un format ardito per l'epoca: si fingeva di star registrando un programma tv e se ne mostrava anche il dietro le quinte. Noi ...no!, terzo e penultima programma con quel fromat, fu il primo grande varietà a colori della Rai (il colore divenne ufficiale solamente quell'anno, circa 10 anni dopo il resto d'Europa, perchè, illo tempore, il governo Dc aveva deciso che per gli italiani era meglio spendere i soldi per comperare le automobili, aiutando così la FIAT, invece di acquistare i nuovi televisori che allora erano costosissimi.

Nel varietà a colori Vianello si ritagliava una parte, rigorosamente in bianco e nero, seria  e meno frivola, nella quale, con comparse improvvisate si dedicava al cabaret, di brechitiana memoria, intonando, in calzamaglia nera, in tedesco, Die Moritat von Mackie Messer, tl La ballata di Mackie Messer, dall'Opera da Tre Soldi commedia satirica di Brecht-Weill, più conosciuto come standard jazz col titolo di Mack the Knife, cantato da tutti i più grandi, da Ella Fitzgerald





a Louis Armstrong







Ah, sì, l'ha cantata anche Mina





Ma torniamo a Vianello e Noi ...no! Ecco la sua idea di Cabaret





Un capolavoro, una presa in giro esemplare e sempre un modo di portare Weill Brecht in un varietà del sabato sera.

A proposito, poi ci riusciranno a farlo bene!







Questo tanto per ribadire come la tv di stato di 30 anni fa sapeva fare cultura anche nei varietà del sabato sera...


Il vero motivo per postare questi video adesso è che dopo Io c'avevo una nonna pazza e Clamoroso, sulla cassetta di 45 italiani c'era Cerco un uomo.

E ancora lo cerco. Con buona pace di Luciano.

Howl o quando il cinema spiega la poesia




Sono Andato a vedere Howl (USA, 2010) di Rob Epstein, Jeffrey Friedman, che firmano anche la sceneggiatura, per spirito di corpo. Volevo vedere come Hollywood raccontava la vita di un altro frocio. Se lo avrebbe fatto in maniera così prevedibile e noiosa come Gus Van Sant (che qui è il produttore esecutivo)  in Milk.

E' stata invece un'esperienza di crescita, culturale e emotiva.
Intanto il film non è affatto un Biopic che racconta, romanzandola, la vita del protagonista. Howl  come recita il titolo, è incentrato sulla lunga poesia (componimento poetico) non poema (narrazione poetica di notevole ampiezza generalmente ripartita in canti o libri) come si dice nel film, forse perchè poesia in inglese si dice poem, scritta da Ginsberg nel 1955.
Lo vediamo leggerla in una serata di reading a un pubblico attento e estasiato (in b\n). A questo primo nucleo narrativo se ne aggiungono, intersecandosi, altri due: una lunga intervista a Ginsberg  (a colori) nella quale Allen parla di tutto, dalla verità della poesia (tutti parliamo con sincerità anche di cazzi e di culi ai nostri amici, perchè smettiamo di essere così schietti quando parliamo alla nostra musa?), delle sue vicissitudini private, ma sempre come elemento per spiegare la sua poesia (opera poetica di un autore), di omosessualità e altro (intervista autentica, rilasciata al Times e mai pubblicata) e, terzo nucleo, il processo per oscenità intentato non già contro di lui, ma contro il suo editore Lawrence Ferlinghetti. Questi tre elementi, combinati a sensibili inserti di animazione grafica (non pienamente efficaci) fanno di Howl un'esperienza unica. 
Il film è una lunga, precisa, sentita e appassionata declamazione della sua poesia, ostica, difficile, incomprensibile al primo ascolto. Per questo il film ce la declama tre volte, quando Allen la legge al reading, quando l'avvocato che la trova oscena ne legge alcune parti chiedendo ai testi del processo, professori universitari e critici letterari, in maggior parte chiamati dalla difesa, di spiegarla (ma si può spiegare la poesia?) e una terza volta quando un Allen fuori dal livello diegetico declama ancora quei versi (e vediamo come immagini le animazioni grafiche).
Questa triplice declamazione permette allo spettatore di familiarizzare con la lunga poesia, di sentirne brani, di capirne il senso prima e meglio dell'avvocato dell'accusa,  e di rimanerne emozionato proprio come il pubblico che la ascolta al reading dalla voce stessa del suo autore.
Già. La voce.
Ho visto il film in italiano perchè al Metropolitan hanno pensato bene di dare in versione originale Giustizia privata (Usa, 2009) di F. Gary Gray, invece di questo film. Come al solito il doppiaggio italiano fa schifo già nella scelta delle voci.
La voce italiana di Allen Ginsberg (interpretato da James Franco) è di Alessandro Tiberi.




Una voce giovane, da pischello, alta, vagamente molle.

Sentite invece la voce originale di James Franco e ditemi cosa ha di molle.





Niente.

L'unica cosa molle è il cervello dei doppiatori italiani che, ancora nel 2010, pensano che se un personaggio è omosessuale devono dargli la voce da frocetto, NON IMPORTA QUAL E' LA VOCE ORIGINALE DELL'ATTORE.

L'Allen Ginsberg di Alessandro Tiberi è un pischello succhiacazzi dalla voce frocetta mentre il Ginsberg di James Franco è un giovane uomo al quale piacciono gli uomini.

Per questo trovo davvero obsoleto il doppiaggio dei film (e dei telefilm) in Italia e credo che bisognerebbe dare allo spettatore almeno la facoltà di poter vedere tutti i film nella doppia versione, doppiata e originale.


La voce del vero Ginsberg?
Ascoltatelo mentre legge Howl nel 1975





Cosa ha in comune con la voce di Alessandro Tiberio? 

NULLA. 


Cosa con quella di James Franco? 

MOLTO.

E mentre ci siamo vogliamo parliamo anche della scelta della produzione di avere James Franco, un gran sorco da paura (o preferite un più sobrio bel ragazzo?), nei panni di Ginsberg, che aveva dalla sua la più semplice bellezza della gioventù?


Una scelta discutibile (a Hollywood abbelliscono sempre) però stavolta fatta con moderazione. Hanno ...sbellito Franco, facendolo somigliare ad Allen il più possibile, d'altronde se il film viene distribuito con più facilità perchè come attore c'è lui invece che uno meno conosciuto ma più somigliante, io non h nulla da ridire.
Ma torniamo al film. Howl è un film da vedere, da studiare, pur non essendo perfetto, ma è perfetto negli intenti, è intellettualmente onesto, è un raro esempio di cinema didattico poetico, un film che può esser visto a scuola, anzi, dati i tempi di neopuritanesimo, un film che DEVE esser visto a scuola.
Un film che dimostra che non c'è democrazia senza libertà di espressione (honi mal qui mal y pense) e che l'impatto dirompente che Howl, la poesia, ha avuto allora è lo stesso per le nuove generazioni di oggi.

Una poesia nella quale si declama un omoerotismo sfacciato e palese (e non si capisce perchè le animazioni si limitino a mostrare copule etero, tra uomo e donna, non solo quando la poesia parla di ragazzi che scopano con donne, ma SEMPRE, anche quand'è chiaro che la poesia parla di rapporti orali e anali tra ragazzi...) una poesia che però non è presentata come cultura gay, come un testo che parla di froci. Perché Howl parla anche di altro, non solo di quel che sessualmente fa o piace a un ragazzo omosessuale, ma parla di estetica, di politica, di persone e umanità varie. Siamo nel 1955 e Stonewall è lungi da venire.
Ginsberg fa cultura non cultura gay.
Se parla di omosessualità è solo perchè lui è gay, Allen parla di sé, della sua vita (ognuno deve parlare di quel che gli piace dice nell'intervista se sei un feticista del piede, parlerai dei piedi, se ti piace la borsa parlerai degli alti e dei bassi degli indici) insomma non fa del contenuto gay della poesia l'unica ragione di esistere del componimento, l'unico motivo per cui va venduta come merce (la cultura gay post Stonewall è solo una questione di mercato).

Allen Ginsberg rimane un poeta, non un poeta gay, non perchè nasconde la sua omosessualità, ma perché non ne fa un'arma di diversità bensì, più semplicemente, un'arma di verità.
Parlare di omosessualità dice nell'intervista spezza molti confini e permette di parlare di tutto.
Credo che il più grande errore del movimento glbt post Stonewall sia stato rivendicare il diritto di parlare di omosessualità e basta, e di non considerarla come un bene dell'umanità ma un bene esclusivo per gay, lesbiche e trans (che sono per la maggior parte etereo...).
Invece di ammettere al mondo dello scibile l'amore che non osa dire il suo nome si è creato uno scibile apposito dove omosessualità e sue mille varianti trovassero esclusivo diritto di cittadinanza.
Anche per questo nel film non c'è sesso. Vediamo solo Allen inginocchiarsi e sbottonare i pantaloni del suo migliore amico, e primo innamorato, Luther Nichols , interrotto dall'arrivo della moglie di Luther (la scena più banale e prevedibile del film), e giusto qualche bacio con Peter Orlovsky, il suo primo vero amore col quale Allen resterà insieme fino alla morte (e anche in questo Ginsberg non è affatto gay...).
Coraggiosamente, intelligentemente Howl non è un film a tematica omosessuale non è nemmeno un film che parla di omosessualità, ma un una pellicola nella quale l'omosessualità è solo uno degli elementi, annoverato senza pruderie né ipocrisie, in un tessuto narrativo più complesso.
Howl è una poesia importante di uno dei più grandi poeti contemporanei. 
Poeti, non poeti gay.
Il movimento dovrebbe riflettere sull'insegnamento che Ginsberg ha dato a tutti noi.



Howl
di Allen Ginsberg


a Carl Solomon




I


Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia, morir di fame isteriche nude,
trascinandosi per le strade negre all'alba in cerca di una dose rabbiosa,
hippie dalla testa d'angelo bruciare per l'antica paradisiaca connessione alla dinamo celeste nel macchinario della notte,
che la povertà e gli stracci e gli sguardi spenti e lo sballo innalzarono fumando nella sovrannaturale oscurità di appartamenti ad acqua fredda galleggiando oltre le vette di città contemplando il jazz,
che mostrarono i loro cervelli spogli al Paradiso sotto l'El e videro angeli Maomettani barcollare sui tetti dei condomini illuminati,
che attraversarono università con occhi freddi raggianti allucinando l'Arkansas e la tragedia della luce di Blake in mezzo ai dottori della guerra,
che furono espulsi dalle accademie per pubblicare odi oscene e pazze sulle finestre del cranio,
che si rannicchiarono in stanze non rasate in mutande, bruciando i loro soldi nel cestino ed ascoltando il Terrore oltre la parete,
che furono beccati nelle loro barbe pubiche a Laredo tornando con una cintura di marijuana per New York,
che mangiarono fuoco in hotel di vernice o bevvero acquaragia a Paradise Alley, la morte, o purgarono i loro torsi notte dopo notte
con sogni, con droghe, con incubi ad occhi aperti, alcool e cazzo e palle infinite,
incomparabili strade cieche di lampo e nube vibrante nella mente saltando verso i poli di Canada e Paterson, illuminando tutto l'immobile mondo del Frattempo,
solidità di Peyote di saloni, albe cimiteriali da albero verde del giardino posteriore, ubriachezza da vino sui tetti, quartieri da vetrina di semafori lampeggianti al neon di auto rubate da sfattoni, vibrazioni d'albero e sole e luna nei ruggenti crepuscoli invernali di Brooklyn, castronerie da posacenere e gentile re luce della mente,
che si incatenarono alla metro per la corsa infinita da Battery al sacro Bronx fatti di benzedrina finché il rumore di ruote e bambini li faceva cadere vibrando con le bocche crollate e picchiati privi di cervello prosciugati del talento nella deprimente luce di Zoo,
che affondarono tutta la notte nella luce sottomarina di Bickford usciti galleggiando e sedettero tutto il pomeriggio di birra stantia nella desolazione di Fugazzi, ascoltando lo scricchiolio del destino al jukebox all'idrogeno,
che parlarono continuamente per settanta ore da parco a casa a bar a Bellevue a museo al Ponte di Brooklyn,
un battaglione perduto di conversatori platonici saltando giù dalla predella di porte anti-incendio da davanzali dell'Empire State fuori dalla luna,
chiacchiericciando gridando vomitando sussurrando fatti e ricordi ed aneddoti e calci nelle pupille e shock di ospedali e prigioni e guerre,
interi intelletti evacuati in perfetta rimembranza per sette giorni e notti con occhi brillanti, carne per la Sinagoga gettata sulla strada,
che svanirono nel nulla Zen New Jersey lasciando una scia di ambigue cartoline dell'Atlantic City Hall,
soffrendo febbri orientali e trita-ossa di Tangeri ed emicranie della Cina in crisi d'astinenza nella stanza senza mobili di Newark,
che vagarono e vagarono a mezzanotte lungo i binari chiedendosi dove andare, ed andarono, senza lasciare cuori spezzati,
che accesero sigarette in vagoni merci vagoni merci vagoni merci baccagliando nella neve verso fattorie solitarie nella notte nonna,
che studiarono Plotino Poe San Giovanni della Croce telepatia e cabala bop perché i cosmi vibravano istintivamente sotto i loro piedi in Kansas,
che vagarono solitari per le strade dell'Idaho cercando angeli indiani visionari che fossero angeli indiani visionari,
che pensarono di essere solo pazzi quando Baltimora luccicò in un'estasi sovrannaturale,
che saltarono in limousine col Cinese di Oklahoma dietro l'impulso della pioggia di paese da lampione di mezzanotte invernale,
che si sdraiarono affamati e solitari per Houston cercando jazz o sesso o zuppa, e seguirono lo Spagnolo brillante per disquisire di America ed Eternità, un'impresa disperata, e così si imbarcarono per l'Africa,
che sparirono nei vulcani del Messico lasciandosi alle spalle nient'altro che l'ombra di salopette e la lava e cenere di poesia sparsa nella Chicago focolare,
che riapparvero nella West Coast investigando l'FBI in barbe e short con grandi occhi pacifisti sexy nella loro pelle scura distribuendo foglietti incomprensibili,
che si marchiarono le braccia con le sigarette protestando contro la narcotica foschia tabagista del Capitalismo,
che distribuirono volantini Supercomunisti in Union Square piangendo e spogliandosi mentre le sirene di Los Alamos li abbatterono urlando, e urlando abbatterono Wall, e anche il traghetto di Staten Island urlava,
che ruppero in pianto in palestre bianche nudi e tremando di fronte al macchinario di altri scheletri,
che morsero sul collo investigatori e strillarono di piacere nelle volanti per non aver commesso altro crimine se non la loro selvaggia pederastia culinaria ed intossicazione,
che urlarono in ginocchio nella metro e furono trascinati giù dal tetto sventolando genitali e manoscritti,
che si lasciarono far fare il culo da santi motociclisti, e strillarono di piacere,
che succhiarono e si fecero succhiare da quei serafini umani, i marinai, carezze d'amore Atlantico e Caraibico,
che chiavarono di mattina di sera in giardini di rose e l'erba di parchi pubblici e cimiteri spargendo il loro sperma liberamente a chiunque venisse,
che singhiozzarono senza sosta cercando di sghignazzare ma finirono col piangere dietro un separé in un Bagno Turco quando l'angelo biondo e nudo venne a trafiggerli con una spada,
che persero i loro amanti per le tre vecchie arpie del fato l'arpia orba del dollaro eterosessuale l'arpia orba che ammicca fuori dal ventre e l'arpia orba che fa nient'altro che star seduta sul culo e taglia i fili d'oro intellettuali del telaio dell'artigiano,
che copularono estatici e non satolli con una bottiglia di birra un cuoricino un pacchetto di sigarette una candela e caddero dal letto, e continuarono sul pavimento e giù per la sala e finirono svenuti sul muro con una visione della figa suprema e vennero eludendo l'ultima sborrata di coscienza,
che addolcirono le fesse di un milione di ragazze che tremavano al tramonto, ed avevano gli occhi rossi al mattino ma si prepararono ad addolcire la fessa dell'alba, chiappe lampanti sotto i granai e nude nel lago,
che uscirono a troieggiare per il Colorado in miriadi di auto notturne rubate, N.C., eroe segreto di queste poesie, cazzaro ed Adone di Denver - gioiamo al ricordo delle sue innumerevoli chiavate con ragazze in parcheggi vuoti e cortili di tavole calde, file cadenti di cinematografi, in caverne sulle vette dei monti o con cameriere secche nei sollevamenti di panciotti solitari familiari lungo le strade e specialmente nei solipsismi segreti di gabinetti di benzinai, e anche in vialetti di paese,
che si spensero in vasti sordidi film, furono cambiati in sogni, si svegliarono in un'improvvisa Manhattan, e si alzarono fuori dai postumi da sbornia di sotterranei con Tokay senza cuore ed orrori dei sogni ferrei della Terza Strada ed inciamparono agli uffici di collocamento,
che camminarono tutta la notte con le scarpe piene di sangue sui moli di neve ammucchiata aspettando che una porta ad East River si aprisse su una stanza piena di vapore caldo ed oppio,
che crearono grandi drammi suicidi sugli appartamenti a strapiombo sull'Hudson sotto il faro blu bellico della luna e le loro teste saranno coronate d'alloro nell'oblio,
che mangiarono lo stufato d'agnello dell'immaginazione o digerirono il granchio sul fondo fangoso dei fiumi di Bowery,
che piansero per il romanticismo delle strade con i carrelli pieni di cipolle e brutta musica,
che si sedettero in scatole respirando al buio sotto il ponte, e si alzarono per costruire clavicembali in soffitta,
che tossirono al sesto piano di Harlem coronati dalle fiamme sotto il cielo tubercolotico circondati da casse arancioni di teologia,
che scribacchiarono tutta la notte dondolandosi e rotolandosi su incantesimi elevati che nella mattina gialla erano strofe di stupidaggini,
che cucinarono animali marci polmone cuore zampe coda borsht e tortillas sognando il puro regno vegetale,
che si gettarono sotto camion di carne alla ricerca di un uovo,
che buttarono i loro orologi dal tetto per dare il loro voto all'Eternità fuori dal Tempo, e sveglie caddero loro in testa ogni giorno per la decade successiva,
che si tagliarono i polsi tre volte di seguito senza successo, si arresero e furono spinti ad aprire negozi d'antiquariato dove pensarono di stare invecchiando e piansero,
che furono bruciati vivi nei loro innocenti abiti di flanella in Madison Avenue tra esplosioni di versi plumbei e lo scalpitio intanicato dei reggimenti ferrei della moda ed gli strilli alla nitroglicerina delle checche della pubblicità ed il gas mostarda di sinistri editori intelligenti, o furono investiti dai taxi ubriachi della Realtà Assoluta,
che saltarono dal Ponte di Brooklyn questo è successo davvero e se ne andarono camminando ignoti e dimenticati nello spettrale caos di camion dei pompieri e vialetti alla zuppa di Chinatown, nemmeno una birra libera,
che cantarono dalle loro finestre disperati, caddero dal finestrino della metro, saltarono nel lurido Passaic, balzarono su negri, piansero per tutta la strada, ballarono su bottiglie di vino rotte scalzi spaccarono dischi da grammofono di nostalgico jazz europeo anni '30 tedesco finirono il whiskey e sboccarono gridando nel water insanguinato, urla nelle orecchie e l'esplosione di colossali fischi di vapore, he corsero giù per le autostrade del passato viaggiando l'uno verso l'occhiata di Golgota-bolide solitudine-prigione dell'altro o l'incarnazione jazz di Birmingham,
che guidarono attraverso la campagna settantadue ore per scoprire se io avevo avuto una visione o tu avevi avuto una visione o lui aveva avuto una visione per scoprire l'Eternità,
che viaggiarono per Denver, che morirono a Denver, che tornarono a Denver ed attesero invano, che badarono Denver e si preoccuparono e rimasero soli a Denver ed infine se ne andarono per scoprire il Tempo, ed ora Denver è solatia per i suoi eroi,
che caddero in ginocchio in cattedrali disperate pregando l'uno per la salvezza e la luce ed il petto dell'altro, finché all'anima si illuminarono i capelli per un secondo,
che si scontrarono nelle loro menti in prigione aspettando criminali impossibili con teste d'oro ed il fascino della realtà nel cuore che cantassero dolci blues ad Alcatraz,
che si ritirarono in Messico per coltivare un'abitudine, o Rocky Mount per il tenero Buddha o Tangeri per i ragazzi o il Sud Pacifico per la locomotiva nera o Harvard per Narciso per Woodlawn per la collana di margherite o la tomba,
che richiesero l'accertamento della salute psichica accusando la radio di ipnotismo e furono lasciati con la loro instabilità psichica e le loro mani ed una giuria discorde,
che lanciarono insalata di patate ai conferenzieri su Dadaismo della CCNY ed in seguito si presentarono sui gradini di granito del manicomio con le teste rasate e un arlecchinesco discorso sul suicidio, richiedendo lobotomia istantanea,
e che invece ricevettero il concreto nulla di insulina Metrazol elettricità idroterapia psicoterapia terapia occupazionale pingpong ed amnesia,
che in una protesta seriosa rovesciarono solo un tavolo da pingpong simbolico, riposandosi brevemente in catatonia,
tornando anni dopo veramente calvi tranne che per un toupet di sangue, e lacrime e dita, al pazzo destino visibile dei quartieri dei pazzi paesi dell'Oriente,
fetidi saloni di Pilgrim State di Rockland e di Greystone, bisticciando con gli echi dell'anima, dondolando e rotolandosi nei dolmen-reami dell'amore di solitudine-panchina di mezzanotte, sogno della vita un incubo, corpi fatti pietra pesanti come la luna,
con una madre finalmente *******, e l'ultimo fantastico libro lanciato dalla finestra condominiale, e l'ultima porta chiusa alle 4 di notte e l'ultimo telefono tirato contro il muro in risposta e l'ultima stanza ammobiliata sgomberata fino all'ultimo mobile mentale, una rosa di carta gialla attorcigliata su un appendiabiti di filo nell'armadio, e perfino quell'immaginario, null'altro che uno speranzoso pezzetto d'allucinazione
ah, Carl, finché non sei al sicuro io non sono al sicuro, ed ora sei davvero nella totale zuppa animale del tempo,
e che pertanto corsero per le strade ghiacciate ossessionati da un improvviso lampo dell'alchimia dell'uso dell'ellissi il catalogo il metro ed il piano vibrante,
che sognarono e fecero divari incarnati nel Tempo e nello Spazio attraverso immagini giustapposte, ed intrappolarono l'arcangelo dell'anima tra 2 immagini visive ed unirono i verbi elementari ed unirono il nome ed un briciolo di coscienza saltando con la sensazione di Pater Omnipotens Aeterna Deus
per ricreare la sintassi e la misura della povera prosa umana e starvi davanti senza parole ed intelligenti e tremanti di vergogna, rifiutati benché confessando l'anima per conformarsi al ritmo di pensiero nella sua testa spoglia ed infinita,
il barbone pazzo ed angelo batté in Tempo, ignoto, e comunque fece crollare qui ciò che dovrebbe essere rimasto da dire nel tempo giunto dopo la morte,
e si sollevò reincarnato nei panni spettrali del jazz nell'ombra del corno dorato della band e soffiò la sofferenza della mente nuda d'America per amore in un grido di sassofono eli eli lamma lamma sabachtani che scosse le città fino all'ultima radio
con il cuore assoluto della poesia della vita squartato dai loro stessi corpi buono da mangiare mille anni.




II


Quale sfinge di cemento ed alluminio scoperchiò loro i crani e divorò i loro cervelli e l'immaginazione?
Moloch! Solitudine! Sporcizia! Bruttezza! Posacenere ed inottenibili dollari! Bambini urlanti sotto le scale! Ragazzi singhiozzanti negli eserciti! Vecchi piangenti nei parchi!
Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch senza amore! Moloch mentale! Moloch il pesante giudicatore degli uomini!
Moloch l'incomprensibile prigione! Moloch la carcere senz'anima tibie incrociate e Congresso di dolori! Moloch le cui costruzioni sono giudizio! Moloch l'ampia pietra della guerra! Moloch i governi sbigottiti!
Moloch la cui mente è pura macchinazione! Moloch il cui sangue è moneta corrente! Moloch le cui dita sono dieci eserciti! Moloch il cui petto è una dinamo cannibale! Moloch il cui orecchio è una tomba fumante!
Moloch i cui occhi sono mille finestre cieche! Moloch i cui grattacieli stanno nelle lunghe strade come infiniti Geova! Moloch le cui fabbriche sognano e gracchiano nella nebbia! Moloch le cui ciminiere ed antenne coronano le città!
Moloch il cui amore è pietra ed olio infinito! Moloch la cui anima è elettricità e banche! Moloch la cui povertà è lo spettro del genio! Moloch il cui fato è una nuvola di idrogeno senza sesso! Moloch il cui nome è nella Mente!
Moloch in cui siedo solitario! Moloch in cui sogno Angeli! Pazzo a Moloch! Pompinaro a Moloch! Senza amore né uomo a Moloch!
Moloch che mi è entrato nell'anima presto! Moloch in cui sono una coscienza senza un corpo! Moloch che mi ha spaventato fuori dalla mia estasi naturale! Moloch che abbandono! Sveglia a Moloch! Luce che scorre fuori dal cielo!
Moloch! Moloch! Appartamenti robot! sobborghi invisibili! tesorerie scheletriche! capitali ciechi! industrie demoniache! nazioni spettrali! manicomi invincibili! cazzi granitici! bombe mostruose!
Si spezzarono le schiene sollevando Moloch fino in Paradiso! Strade, alberi, radio, tonnellate! sollevando la città fino in Paradiso che esiste ed è ovunque attorno a noi!
Visioni! presagi! allucinazioni! miracoli! estasi! giù per il fiume americano!
Sogni! adorazioni! illuminazioni! religioni! l'intera vagonata delle stronzate sensibili!
Passi avanti! sul fiume! svolte e crocefissioni! giù per la piena! Sballi! Epifanie! Disperazioni! Dieci anni di grida animali e suicidi! Menti! Nuovi amori! Generazione folle! giù per le rocce del Tempo!
Vera sacra risata nel fiume! Hanno visto tutto! gli occhi selvaggi! le sacre urla! Dissero addio! Saltarono dal tetto! nella solitudine! salutando! portando fiori! Giù per il fiume! nella strada!




III


Carl Solomon! Sono con te a Rockland
dove sei più matto di me
Sono con te a Rockland
dove devi sentirti stranissimo
Sono con te a Rockland
dove imiti l'ombra di mia madre
Sono con te a Rockland
dove hai assassinato le tue dodici segretarie
Sono con te a Rockland
dove ridi per questo umorismo invisibile
Sono con te a Rockland
dove siamo grandi scrittori sulla stessa spaventosa macchina da scrivere
Sono con te a Rockland
dove la tua condizione è diventata seria ed è riportata alla radio
Sono con te a Rockland
dove le facoltà del cranio non ammettono più i vermi dei sensi
Sono con te a Rockland
dove bevi il te dei seni delle zitelle di Utica
Sono con te a Rockland
dove sberleffi i corpi delle tue infermiere le arpie del Bronx
Sono con te a Rockland
dove urli con la camicia di forza che stai perdendo la partita del vero pingpong dell'abisso
Sono con te a Rockland
dove picchi sul piano catatonico che l'anima è innocente ed immortale non dovrebbe mai morire senza dio in un manicomio armato
Sono con te a Rockland
dove altri cinquanta shock non faranno mai tornare la tua anima al suo corpo dal suo pellegrinaggio ad una croce nel nulla
Sono con te a Rockland
dove accusi i tuoi dottori di pazzia ed ordisci la rivoluzione socialista ebraica contro il Golgota fascista nazionale
Sono con te a Rockland
dove dividerai i cieli di Long Island e resusciterai il tuo vivente Gesù umano dalla tomba sovrumana
Sono con te a Rockland
dove ci sono venticinquemila compagni pazzi che cantano tutti insieme le ultime strofe dell'Internazionale
Sono con te a Rockland
dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli Stati Uniti che tossiscono tutta la notte e non ci lasciano dormire
Sono con te a Rockland
dove ci svegliamo dal coma elettrizzati dagli aeroplani delle nostre stesse anime che rombano sopra i tetti sono venuti a lanciare bombe angeliche l'ospedale si illumina crollano muri immaginari oh magre legioni corrono fuori oh stellato shock di pietà l'eterna guerra è qui oh vittoria dimenticati la biancheria siamo liberi
Sono con te a Rockland
nei miei sogni cammini sgocciolando da una crociera sull'autostrada attraverso l'America in lacrime fino alla porta del mio casolare nella notte occidentale.






San Francisco 1955-56 (fonte Forum Giovani.it)

Franca Rame: Io c'avevo una nonna pazza

Era la sigla di Buonasera con... Franca Rame. Trasmissione preserale che andava in onda tutti i giorni dal lunedì al venerdì.
La canzone mi aveva colpito moltissimo sia per la musica (di Fabio Carpi) che per il testo, di Dario Fo, autore/attore che io già conoscevo dal 1977, avevo persino comperato una delle sue commedie, la prima che vidi in tv Isabella tre caravelle e un cacciaballe  (nel 1977 avevo 12 anni...) perchè allora in tv mandavano le commedie di Fo, tutti i venerdì (e per vederle avevo rinunciato al mio telefilm preferito di allora Agente Pepper, con Angie Dickison, la moglie di Burt Bucharach, ma questa è un'altra storia).



Il testo della canzone non è solo una intelligente presa in giro delle fiabe ma anche uno statement politico molto preciso ed efficace che a 14 anni capivo benissimo: i lupi sono buoni, cappuccetto rosso e pinocchio i cattivi e i mostri e i brutti sono quelli che alla fine vivono felici  e contenti.

Io c'avevo una nonna pazza  
Io c'avevo una nonna pazza
che allevava gatti di pezza
abitava su una terrazza
e dormiva in una tinozza,
in una tinozza in riva al mare.
Si mangiava solo le cozze
coltivate nell'acqua nera
e non si beccava mai il colera,
né la peste, né il mal di mar.
[Coro:] Che nonna pa-azza!

Tante favole raccontava
storie matte a sgarampazzo
faceva tutto un gran papocchio:
streghe a cavallo d'un ranocchio
diavoli nani in fondo al mare
Mangiava solo i funghi matti
con la capocchia avvelenata,
se li mangiava in insalata
e non le veniva da vomitar.
[Coro:] Che nonna pa-azza! (x2)

"C'era una volta", mi raccontava,
"un ragazzaccio, di nome Pinocchio,
che siccome era una gran mala razza
lo chiamavano Cappuccetto Rosso..."

[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"
[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"

"...Cappuccetto Rosso, detto "che spara",
andava sempre armato di lupara:
una lupara caricata a palle
e sparava contro tutte le farfalle"

[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"
[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"

"Schiacciava i pomodori col trattore
e avvelenava i fiumi col cianuro
stappava i tappi delle petroliere
per inquinare di petrolio il mare"

[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"
[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"

"Nella foresta ci stava un lupo,
gentile e dolce, e bene educato,
che giocava a rincorrer gli elicotteri
svolazzanti proprio sopra i datteri"

[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"
[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"

"Cappuccetto Rosso un dì assaltò un lupo,
che, senza fiato, grida: Aiuto! Aiuto!
Poi lo cattura, mettendolo in un sacco,
Chiede alla nonna lupa un bel riscatto"

[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"
[Coro:] "Ma nonna, non è così"
La nonna: "Zitta, tu!"

"Per fortuna passo un cacciator di là
che cacciava Cappuccetti Rossi... e PAM!
Spara un colpo e Cappuccetto Rosso è morto lì.
Salvo il lupo ma tutto zuppo di pipì.
Per lo spavento si sfasciò l'incanto,
il lupo si trasforma all'istante
in una bella strega tutta denti
e arrivarono tanti pretendenti:
tre orchi, sei rospi e tre serpenti.
E vissero tutti felici e contenti"

[Coro:] "Ma nonna, non è possibile, non è così"
La nonna: "Zitta, tu, zitta, tu, o di favole non te ne conto più!"



Anncora oggi ho il 45 giri della canzone, che comprai allora. Nei primi anni 80 feci una cassetta con tutti i miei 45 giri, da un alto le canzoni italiane, dall'altro quelle straneire, come si diceva allora.
Nel lato italiano figurava la canzone di Franca Rame e, subito dopo, il lato b di di Donatella di Rettore, Clamoroso, che vi propongo così, per amor della filologia.

30 agosto 2010

I filtri per fare il caffè americano

E' dal 1987 che bevo caffè americano.
Anche adesso, mentre scrivo questo post.
L'aggettivo non si riferisce alla qualità del caffè, ma alla modalità di preparazione.
Niente caffè ottenuto per pressione (l'acqua passa attraverso il caffè dopo aver raggiunto una determinata pressione), ma per infusione.

Con una speciale macchina, o manualmente, versando lentamente l'acqua nell'apposito filtro.
Ne viene un caffè molto meno denso (più liquido) di quello italiano, con molta più caffeina, nonostante la diversa consistenza faccia pensare il contrario (l'acqua rimane a contatto con il caffè per più tempo e cede più caffeina...).
Quindi dal 1987, quando scopri il caffè americano a Parigi, oltre a cercare le macchine che lo fanno (durano in media sui 5 anni, se tua sorella non ti rompe la caraffa di vetro prima) dovevo trovare anche gli indispensabili filtri di carta.
Per anni li ho comperati dalle Sorelle Adamoli, un negozio a via del Plebiscito, angolo via della gatta/palazzo Grazioli. Mitico Sorelle Adamoli!  Fu una scoperta personale, non ricordo più fatta come, ma ci vado sin dai tempi del liceo.
Il nome risale alle prime proprietarie le tre sorelle Adamoli che aprirono il negozio nel 1886 a Piazza Venezia. Nel 1901 il nipote Pietro Tortima lo sposta nell'attuale sede. Nel 1964 dalla famiglia Rappini di Casteldelfino e, dal 1986 da Mario Andrea e sua moglie Roberta. Il nome  (e l'insegna) Sorelle Adamoli rimane. Poi all'incirca una decina d'anni fa il negozio si rinnova, cambia nome, diviene un idiota House & Kitchen. Continuo ad andarci ma adesso il posto è l'ombra di quello che fu.
Quelli delle Sorelle Adamoli (negozio non proprio a buon mercato, ma dove trovasvi TUTTI i complementi d'arredo per la cucina) erano filtri della Melitta, casa tedesca famosa in tutta Europa. Carissimi. Bianchi (quindi passati in un bagno di cloro per toglierli il colore marrone originario). Da House & Kitchen costano sui 5 euro le confezioni da 40 filtri (mi ricordo quando andai in vacanza in Val Pusteria e li trovai, identici, sia bianchi che quelli ecologici senza sbianca tura al cloro a 1.50!!!). Non sempre li trovavo. A volte le Sorelle Adamoli ne erano sprovviste. rimediavo con un foglio di Scottex Casa arrotolato, ma il risultato non era lo stesso. Spesso il caffè fuoriusciva e... insomma, un disastro!   Ci sono anche dei filtri in plastica che però devi lavare ogni volta (ah! al pigrizia) e poi il grasso del caffè si accumula sulla retina del filtro rendendolo filthy!
Poi qualche anno fa ho scoperto dei filtri anonimi, in un negozio di ricambi per aspirapolvere, 100 pezzi, non sbiancati, a 3 euro! Mi bastava contemperarne 34 confezioni per stare a posto per un intero anno... Nel 2009 il prezzo è aumentato del 50% passando da 3 a 4 euro e cinquanta centesimi! Ancora più convenienti dei Melitta (che sono comunque di qualità superiore...) ma un po' meno.
Stamane ho aperto la seconda scatola da 100 pezzi, vuol dire che sono apssati già tre mesi da uando ho aperto la prima dell'ultimo stock di acqusto.
Il tempo passa anche di caffè in caffè...

Le sinfonie di Beethoven ancora all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

E visto che, a soli tre anni di distanza, ritornano le sinfonie di Beethoven all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia<, eseguite dal 2 al 24 settembre, dall'Orchestra e Coro dell'Accademia, in quattro concerti con replica, diretta dalla prestigiosa bacchetta di Kurt Masur (82 anni) dedico a tutti gli amanti di Ludovico questo meraviglioso omaggio dei Muppets all'Inno alla Gioa.

La maledizione della Pre apertura della caccia

La stagione venatoria apre ufficialmente la terza domenica di settembre (il 19) e si chiude il 31 gennaio. Ma le doppiette potranno tornare a sparare già dal primo settembre, grazie alla pre-apertura contro la quale sono già pronti i ricorsi al Tar da parte delle maggiori associazioni ambientaliste, tra cui Wwf e Lipu.

Il wwf sostiene che Ancora una volta a prevalere sono le pressioni del mondo venatorio piuttosto che le esigenze della fauna selvatica, le indicazioni del mondo scientifico e le norme europee ed italiane per la tutela della biodiversità.(...) 


Anticipare di 20 giorni la caccia è dannoso perchè va ad incidere su un periodo in cui tutta la fauna selvatica è in genere messa in difficoltà da condizioni ambientali non facili di fine estate e nel quale non tutti i giovani dell'anno sono ancora completamente indipendenti; non essendo ancora giunti i contingenti migratori dal nord, si concentra sui soggetti che nidificano sul nostro territorio e che sono quindi di particolare importanza per la nostra fauna; per quanto riguarda le anatre, ricade in un periodo in cui parte delle femmine non hanno ancora completato la muta e possono avere difficoltà di volo; comporta un impatto indiretto (disturbo) e anche diretto (possibili atti di bracconaggio) sulle tante specie protette che in questo periodo stanno iniziando il lungo volo migratorio e ancora si trovano sul nostro territorio.


Per ora, con la pre-apertura, si potrà sparare soltanto in due giorni: il primo e il cinque settembre, mentre in Puglia anche il 12. Quasi tutte le Regioni, a parte Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria offrono questa possibilità. Ma i calendari veri e propri tardano ad arrivare, così da evitare i ricorsi al Tar degli ambientalisti con delibere che arrivano anche oltre il 28-29 agosto. Per questo alcune Regioni hanno deciso di affidare la pre-apertura alle singole province, come in Toscana, in Emilia-Romagna e in Lombardia (qui ha aderito solo Brescia). Poi, il via ufficiale domenica 19 settembre. 

Purtroppo quest'anno a far danno non c'è solo la pessima legge italiana ma anche la legge comunitaria recepita dal nostro Parlamento - tra le polemiche - pochi mesi fa dall'Aula della Camera, il cui articolo 42 del testo di recepimento della direttiva Ue ha modificato la legge quadro che regola l'attività venatoria, la 157. Tra i punti principali, la possibilità di estendere il periodo di caccia ai primi 10 giorni di febbraio oltre la chiusura del 31 gennaio, i 10 giorni in febbraio, ritardandone però l'inizio in settembre. Un'eventualità alla quale, secondo gli esperti, «starebbe lavorando per ora soltanto la Sardegna». Per contro l'introduzione del «divieto di caccia alle specie in periodo di migrazione, riproduzione e assistenza alla prole, e accoppiamento». Cambiamenti che hanno portato l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) a divulgare un documento per le Regioni con le linee guida per la stesura dei calendari, tenendo conto che - secondo la legge - qualsiasi deroga, sia relativa alle specie cacciabili sia temporale, è legata al parere dei propri dati scientifici. E - secondo gli esperti del settore - all'Ispra per il momento non sembra siano arrivate richieste specifiche. 

fonti per questo post (dai quali ho preso parti rielaborandole e no senza esplicitare le citazioni): Il gazzettino.it  OmniMilano  Ansa



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Oggi pre apre la stagione venatoria

Ancora sulla caccia e su Mina




29 agosto 2010

Gli Snack di Massimo Andrei

Ho conosciuto Massimo nel 1994 quando lavorava in uno spettacolo di monologhi di Annibale Ruccello e lui interpretava un magnifico Femminiello (lui altissimo e vistosamente maschile...) che parlava di piriti. Recensii lo spettacolo elogiandone la bravura e lui mi scrisse. Una lettera come si usava una volta. le conservo ancora. Ce ne scambiammo diverse poi, per colpa mia, ci perdemmo di vista.
Oggi lo ritrovo raffinato ideatore di questi Snack, che, oltre a interpretare, firma assieme a Luciano Bonetti e Luciano Colellavanno una Campagna di comunicazione per la promozione dei Valori promossa da Cogito Ergo SUD e trasmessa nella tv interna della metro di Napoli. Eccovene un assaggio.
Ve ne proporrò uno al giorno. E ce ne sono tantissimi!

27 agosto 2010

Franca Valeri una splendida 90enne

Lo scorso (ehm) 31 Luglio Franca Valeri ha compiuto 90 anni.

La stampa pubblica una sua intervista nella quale apprezzare la cultura, l'esprit de finesse, e l'ottimismo sui giovani, alla sua veneranda età.

Come sta Cesira, la signorina milanese snob?
«Benissimo, in gran forma. Lo snobismo ridicolo non muore mai».

E la sora Cecioni, la popolana romana coi bigodini in testa, sempre al telefono con mammà?
«Lei è tranquilla, perché di mezze calze che si prendono sul serio e su cui ironizzare è piena l’Italia. Roma in particolare».


Che cosa le dà più fastidio dell’Italia di oggi?
«Facciamo prima a dire cosa non me ne dà. La maleducazione, l’arroganza e la stupidità sono arrivate a livelli insuperabili».

Una cosa, una soltanto, che le piace?
«I giovani. Forse c’è una percentuale che, non per colpa sua ma dei modelli che ha davanti, è diventata insopportabile. Ma la grande maggioranza è gradevole: vale la pena provare in tutti i modi a farli crescere bene».

Quale autore vorrebbe ancora portare in palcoscenico?
«Ho un desiderio profondo, da attrice e da regista: mettere in scena una commedia di Feydeau. L’albergo del libero scambio, Occupati d’Amelia, Sarto per signora, c’è l’imbarazzo della scelta. I suoi dialoghi sono la perfezione, mi hanno insegnato a scrivere. I suoi personaggi non sono pupazzi e il suo stile non è soltanto burlesco. Merita di essere vendicato dalle sconcezze e dalle sciocchezze con cui cattive compagnie hanno massacrato i suoi testi meravigliosi, dove vive la tradizione dei boulevardiers parigini. Dialogatori imbattibili, i migliori di tutti».

Lei ha lavorato con i massimi attori e registi. Chi le piace ricordare?
«Tanti. Il più grande affetto è per Vittorio De Sica. Come compagni di lavoro, Paolo Stoppa è stato un signore, semplice e glorioso, in una tournée che è durata due anni. Con Alberto Sordi ho girato sette film. Le battute nascevano insieme, inventando, anche sul momento. Alberto era formidabile, come artista e come collega, non avevi mai l’impressione che pensasse solo a se stesso».

Siamo seduti in salotto. Alle pareti, cinquanta locandine di opere liriche, molte col suo nome come regista. E pile di dvd, sempre d’opera.
«Me li regala Elio Pandolfi, è un maniaco dell’opera come me. La lirica, assieme al teatro, è la mia grande passione. Nessun titolo preferito, perché ho amato tutte le opere che ho messo in scena. Se devo scegliere, credo che il Macbeth e il Simon Boccanegra di Verdi con la regia di Giorgio Strehler siano insuperabili».

Strehler più di Visconti?
«Luchino era elegantissimo, Strehler inventava di più».

Locandine, dvd e una libreria colma.
«Ma se cerca il bestseller o il vient-de-paraître, lo Strega, il Campiello o il Viareggio, qui non li trova. I libri recenti sono quelli che mi mandano gli amici, Arbasino prima di tutti, sempre con dedica».


Un consiglio per invecchiare bene?
«Evitare la noia. Gli uomini ignoranti mi annoiano, i finto colti ancora di più. E cercare di capire dove sta la verità di un fatto: spesso ti scorre vicino e neppure te ne accorgi. La verità vista da una mente ironica e magari un po’ lungimirante è qualcosa di meraviglioso».


Legge ancora molto?
«Che domanda! Ai libri ho sempre chiesto quel che non mi può dare la realtà che mi circonda. Leggo le cose che non posso più vivere, sono contenta di aver letto molto e di potermene fregare dell’attualità. La vita la conosco, le tragedie e le gioie. E poi io rido soltanto leggendo. Il divertimento che provo leggendo un testo teatrale a letto, la sera - mi addormento molto tardi - è unico. A teatro, con certi attori, mi capita di ridere una volta all’anno. Guardando la televisione, mai».


Adesso vado, tolgo il disturbo. La lascio lavorare.
«Mi scusi, devo studiare per domani. La prosa di Gadda è così difficile, ha un ritmo tutto suo che, se non lo impari, finisce che ci inciampi dentro. Non so come fanno certe attrici di cinema a prendere alla leggera certi copioni: che disastri».

Roro IV scende dal divano e, con sovrano fastidio, ma gentile, mi accompagna anche lui alla porta.
Ma mi piace (ri)proporvi la Franca con la nostra Mina...





Io ho avuto la fortuna di vederla diverse volte a teatro e di inoltrarla secoli fa nel 1991 a una delle prime feste gaie cui partecipai (all'ex mattattoio) dove lei venne a proporci i suoi monologhi. Dopo lo spettacolo, mi avvicinai con la copia appena comperata del suo libro (di allora) chiedendole l'autografo. Lei mi squadra dal basso in alto e viceversa, prende il libro e la penna che le porgo e mi chiede, come te chiami?

Auguri Franca!

21 agosto 2010

Il bon ton del buon vestirsi.
Su un articolo del Giornale contro i pantaloni a pinocchietto

Detesto quelli che criticano accostamenti incauti nel colore del vestiario, quelli che dicono che certi vestiti se li possono permettere solo determinati fisici e altri no.

Certo mi piacerebbe essere un maestro dell'eleganza e della moda per dare a queste mie considerazioni un peso maggiore, ma, lo sanno anche i sassi, io mi copro, non mi vesto.
eppure credo che certe interdizioni legate al buon gusto siano non solo disgustosamente borghesi (dunque ipocrite) ma anche sottilmente pericolose.

Ferma restando la decenza (che però vuol dire solo non andare in giro nudi) diffido di ogni commento contro un certo modo di vestire, perchè profondamente non democratico sono io a stabilire come ci si deve vestire, chi può vestire in un certo modo e chi no. certi accostamenti di colori no, certi tessuti con altri no. sono tutte convenzioni irrilevanti portate al rango di leggi universali. E io soffoco.

Così incappo su questo articolo del Giornale e ne rimango profondamente (e negativamente) colpito.
A parte il dedicare spazio su un quotidiano a un tema irrilevante (ma, si sa, è ancora estate...) trovo davvero antidemocratico (per non dire proprio fascista) l0'intero assunto dell'articolo

Pare che dal Paradiso dei burattini sia già partita una querela, a firma Pinocchio. Motivo del contendere, il nome di un pantalone che è la quintessenza della ridicolaggine: pinocchietto, appunto.
Ok a te non piacciono i pantaloni a pinocchietto, e sti c...
Per chi non l’avesse presente, parliamo di quella braghetta appena sotto il ginocchio che fa tanto pescatore tristanzuolo.
Cerchi di spiegarci il perchè o stai solo insultando chi li porta? Pescatore è una metafora ma tristanzuolo?
Se il pantalone lungo di lino bianco è per l’uomo che non deve chiedere mai,
colonizzazione di una vecchia pubblicità anni settanta
il pinocchietto è per l’uomo che deve chiedere sempre. Insomma, l’emblema del perdente
ammazza, un capo di vestiario rende perdenti!
che continuerà a perdere non in quanto perseguitato dalla sfortuna, ma perché punito dalla propria imbarazzante mancanza di senso estetico.
Ecco il punto. Chi scrive pretende di averlo e, al contempo, che gli altri non lo abbiano, almeno chi porta quel tipo di braghetta.

Il pinocchietto, ad esempio, è strutturalmente incapace di star bene addosso a chicchessia, foss’anche un giovanotto dal fisico palestrato; figuriamoci se poi l’obbrobrio è indossato da un comune sfigato.
Quindi evinco da questi paragoni che se sei palestrato sei ok, tutti gli altri sono sfigati.
Categoria alla quale non appartiene Rino Gattuso che tuttavia - per colpa del suo pinocchietto grigio topo (con l’aggravante dei laccetti ad altezza polpaccio ndr) - ha fatto a Montecarlo una figura peggiore di quella rimediata in Sudafrica con Lippi e compagnia azzurra.
ecco che si usa il vestiario per criticare la sua performance sportiva negativa...

Ma cosa ha combinato il popolare Ringhio? Niente di grave: si è solo presentato all’ingresso di un ristorante esclusivo, sfoggiando un pinocchietto col quale avrebbe avuto difficoltà a entrare perfino a Milanello. Particolare ancor più grave: nell’occasione il difensore del Milan era al fianco di Monica, sua moglie, elegantissima. Ma come - dico io - tua moglie si mette in ghingheri e tu ti metti il pinocchietto?
Ma saranno anche cazzi loro?
Se la moglie ci è uscita magari a lei non frega niente, o no? O vuoi sostituirti a sua moglie?
Tutta colpa dell’intrinseca filosofia compromissoria di cui è portatore il pinocchietto, che ha la vana pretesa di essere casual e sportivo al tempo stesso, risultando invece semplicemente inguardabile.
Secondo te...
Un errore che nell’estate cafona (ma ormai sono cafoni pure inverni, autunni e primavere) commettono milioni di uomini di ogni età, cultura e religione.
Certo, se il pinocchietto è cafone, Bossi cosa è???
Attenzione, qui non si tratta di una distinzione di classe (tra chi ha i soldi e chi non li ha), ma semplicemente di una distinzione di classe (nel senso di stile).
Che è smepre una forma di classismo...

Ma l’avete visto Gianfranco Fini al mare con il pinocchietto? Ecco, ora qualcuno dirà che rompiamo le scatole al presidente della Camera perfino sul pinocchietto solo perché siamo i soliti servi di Berlusconi.
Excusatio non petita...
Dite pure, ma le foto di Fini pinocchiettato parlano da sole. Ma è possibile che la terza carica dello Stato vada in giro vestita in quel modo?
Certo, perchè a differenza tua che, solo per il fatto di scrivere su un quotidiano, ti senti sto cazzo, Fini, terza carica dello stato, è molto più umile di te.
Certo, Bossi in versione canottierata fa anche peggio (per non parlare della felpa con la scritta «Padania» e i pantaloncini corti a righe del ministro Calderoli), ma si sa che il popolo leghista è fuori classifica in quanto - diciamo così - antropologicamente naif.
Naif?
Cioè fini col pinocchietto è cafone e Bossi celodurismo è
naïf ??? (che poi si scriverebbe con la dieresi, immagino che sbagliare l'italiano (e il francese) non è cafone quanto indossare i pantaloni a pinocchietto...

Non che vada meglio con i vip dello star system: a cadere sul pinocchietto sono stati in tempi passati pezzi grossi come Robert De Niro, Jack Nicholson, Russell Crowe e Brad Pitt; mentre, in tempi più recenti, il virus della pinocchietteria ha infettato anche una variegata fauna di vip nostrani: da Flavio Briatore a Clemente Mastella, da Giorgio Armani ad Antonio Di Pietro. E via truzzando. Tutti orgogliosi di mostrare stinchi afflosciati e gambe tozze che più afflosciati e tozze non si può. Già, perché tra le diaboliche controindicazioni del pinocchietto c’è anche quella di un imbarazzante effetto-tafazi: vale a dire che se hai una gamba lunga e turgida, il pinocchietto te la trasforma istantaneamente in corta e molliccia.
In queste condizioni mettere ai piedi scarpe da ginnastica, ciabatte, infradito, zoccoli o sandali non cambia nulla. L’unica soluzione per evitare la vergogna è allungare il passo e sparire alla vista altrui. (fonte Il Giornale

Ed ecco il punto che mi ha allarmato.
Il giornalista non si limita a criticare un vestiario per lui non consono ma consiglia all'incauto indossatore di allungare il passo e sparire alla vista altrui.

Altrimenti cosa? Lo si insulta come ai gay che indossano  spillette comuniste o froce? Lo si picchia come a donne neri e gay sgraditi?

Ecco anche dove viene covata l'intolleranza, nel giudicare come vestono agli altri e chiedere loro di sottrarsi ala vista altrui perché danno fastidio. Sparire per evitare la vergogna(?!). Poco importa chi sei o cosa fai, se evadi le tasse, se picchi tua moglie, se critichi i gay  e poi ti fai scopare dalle trans. L'importante è che se indossi il pantalone a pinocchietto sparisci dalla vista altrui.
Bella scala di valori. (per giunta da pubblicare su un quotidiano...).

Evviva le mie t-shirt piene di macchie d'olio!

19 agosto 2010

E' morto Kossiga

Ecco il mio piccolo contributo per provare a capire chi fosse Cossiga. Non spiegherò il portato storico del senatore a vita mi limiterò a un suo recente intervento per ribadirne l'umanità inesistente.
Non riporto la nota intervista rilasciata a Il giorno\Il Resto del Carlino\La Nazione il 23 ottobre 2008, ma la meno nota, ma altrettanto agghiacciante, dichiarazione di voto di Cossiga per la Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º  settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di  istruzione e università:

COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, presidente Cossiga.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente,  signor Ministro, signori senatori, credo che tutti in quest'Aula  sappiano che io non ho mai votato per il partito dell'onorevole  Berlusconi. Anche alle ultime elezioni ho votato per il PD perché  purtroppo il PCI non c'è più. Ho votato per il PD, ma non capisco più  che cosa sia, salvo che mi rechi a New York per sentire Veltroni che fa  propaganda per Obama. Per me votare questa legge è quindi già una  deviazione, ma spiegherò perché la voto. (Applausi dal Gruppo PdL).

Signor Ministro, io ho letto solo fuggevolmente il testo del decreto... (Commenti dai banchi dell'opposizione).


GRAMAZIO (PdL). Stai zitto! (Richiami del Presidente).


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Ma lasciate interrompere...


PRESIDENTE.Colleghi, invito al silenzio sia la maggioranza che l'opposizione per rispetto nei confronti del presidente Cossiga.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente,  mi scusi, ma quando ero deputato e Aldo Moro fece un nobile discorso  approvando l'intervento americano in Vietnam, io feci a pugni e l'amico  Pajetta mi diede un pugno in piena faccia. Quindi, torniamo ai vecchi  tempi! (Applausi dal Gruppo PdL). Per esempio, un pugno dal  Capogruppo del PD lo gradirei, devo dire onestamente. Pajetta era però  più cattivo e non so se lei sappia fare a pugni.


PRESIDENTE. Prego, presidente Cossiga, prosegua nel suo intervento.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Sì, signor Presidente, volevo solo chiarire perché ho fatto a pugni.


Signor Ministro, ho letto fuggevolmente il testo  del decreto-legge, solo per accertarmi delle ragioni della vasta  protesta degli studenti universitari, non convinto dalle parole che ieri  Umberto Eco ha pronunziato dando loro dei perfetti imbecilli, dicendo:  «Voi non capite che state lottando per i baroni e non per voi stessi».  Ma Umberto Eco è notoriamente di destra. (Ilarità dal Gruppo PdL).

Di fronte alla vasta protesta degli studenti  universitari, dei ricercatori e di quelli contro i quali un tempo gli  studenti protestavano, cioè i baroni universitari, ho voluto vedere se  il decreto-legge contenesse qualche disposizione sull'università. L'ho  letto, l'ho riletto, l'ho fatto leggere ai miei collaboratori: niente. E  sono stato contento, perché questa è una forte confutazione della  teoria dello zero e della teoria del nulla: si può manifestare anche  contro lo zero e contro il nulla.


SOLIANI (PD). È la legge n. 133, Presidente!


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Voterò a favore della legge di conversione per tre motivi che esporrò brevemente.

Signor Presidente, siccome sono notoriamente logorroico, quando lei crede mi tolga pure la parola.


PRESIDENTE. Vorrei evitare di farlo, Presidente. Mi auguro che il suo intervento sia contenuto nei dieci minuti.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Lo faccia pure,  depositerò il discorso agli atti. Tenga anche presente che non ho mai  avuto la soddisfazione di essere cacciato via dall'Aula e una volta  tanto sinceramente la vorrei avere.


Innanzitutto voglio ringraziare da questi banchi  gli organizzatori e i partecipanti delle oceaniche manifestazioni di  questi giorni: dai baroni universitari alle irresponsabili mamme dei  bambini innocenti portati in piazza ad urlare slogan di cui essi non  comprendevano nulla. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP). Avrei  capito se avessi sentito i bambini gridare: «Merendine! Merendine!» No:  «Assunzioni!». Cosa ne sa un bambino di sei anni, salvo che glielo  suggeriscano, del significato di «Assunzioni, assunzioni!». «Merendine,  merendine!» sarebbe stato meglio. (Ilarità e applausi dai Gruppi PdL e LNP).

Per quanto riguarda l'intervento eventuale  dell'autorità di pubblica sicurezza, essendo stato io, tra le altre cose  (salvo che Presidente della Camera sono stato tutto), Ministro  dell'interno, è stata una vera botta di vita sentire inneggiare slogan  che temevo ormai desueti, sapere che la piazza non mi ha dimenticato e  che qualcuno si ricorda di me: «Cossiga boia!», «Cossiga assassino!»,  «Cossiga piduista!». Mi è stato chiesto se si dovesse inviare un  rapporto all'autorità giudiziaria e io ho risposto di no, perché temo  che ad essere condannato sia io e non questi, con l'aria che tira. (Ilarità dai banchi della maggioranza).

Devo confessare che su questo campo speravo di  più dalla marcia di oltre cinque milioni di persone, senza contare i  cani e i gatti al seguito (Ilarità) (cinque milioni di persone!  Pensate che ormai la fila delle persone arrivava a Firenze), una marcia  non su Roma, questa volta, ma in Roma e nell'oceanica adunata del Circo  Massimo, che - ero ragazzo ed ero in Germania - ricordava le bellissime  manifestazioni a Norimberga di Adolfo Hitler. Tutti i totalitarismi sono  uguali e sempre così si comincia.

Speravo invano che i marcianti dessero fuoco a  qualche macchina, come ai bei tempi, spaccassero qualche vetrina,  scandissero slogan...


GIARETTA (PD). Ti sarebbe piaciuto per fare quello che volevi fare tu.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Certo, quello che  ho fatto io con l'aiuto e il consenso del Partito Comunista, che in  quest'Aula ha votato all'unanimità una mozione e un ordine del giorno a  mio favore! (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).


VOCI DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Bravo!


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Ma erano i tempi  di Berlinguer, non di Walter Veltroni! Erano i tempi di Natta, non di  Franco Marini! Era il tempo del glorioso Partito Comunista! (Vivaci proteste dai banchi dell'opposizione).


VOCE DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Bravo!



PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, lasciamo parlare il presidente Cossiga senza interromperlo. (Commenti dai banchi dell'opposizione).


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Quando ho fatto  picchiare a sangue gli universitari che hanno cacciato via Lama, il  Gruppo del Partito Comunista alla Camera, in piedi, mi ha tributato  un'ovazione. Vada a leggere gli atti! Vada a leggerli!


GIARETTA (PD). Li ho letti. Noi non siamo per una polizia che picchia! (Vivaci commenti dai banchi della maggioranza).


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Il Gruppo del PCI in piedi mi ha tributato un unanime applauso. (Proteste dai banchi dell'opposizione).


VITALI (PD). Smettila!


DONAGGIO (PD). Presidente Cossiga, rispetti il Senato!


PRESIDENTE. Prego, presidente Cossiga, prosegua  nel suo intervento. Colleghi, così non si va da nessuna parte. Cerchiamo  di consentire al presidente Cossiga di proseguire il suo intervento.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Speravo di sentire  il glorioso grido degli studenti del movimento che il servizio d'ordine  del PCI e della CGIL ci hanno aiutato a picchiare di santa ragione.  Quando ci fu un 5 maggio, ci mettemmo d'accordo con il servizio di  vigilanza della CGIL e ci mettemmo d'accordo così: prima quelli del  movimento li picchiavano loro, poi ce li davano in braccio e li  picchiavamo noi. Gloriosi tempi di Lama! (Vivaci e reiterate proteste dai banchi dell'opposizione). Sì, perché io sono stato il Ministro dell'interno di tre Governi di solidarietà nazionale! (Vivaci proteste dai banchi dell'opposizione).


PERDUCA (PD). Hanno ammazzato Giorgiana Masi!


PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di consentire al presidente Cossiga di concludere il proprio intervento.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Speravo di sentire  il famoso grido: «Se vedi un punto nero, spara a vista: o è un  carabiniere o è un fascista». Siccome nel partito obamiano ci sono molti  cattolici (cattolici adulti o cattolici democratici, ma pur sempre  cattolici), naturalmente veniva espunta dalla suddetta frase la parola  «prete». (Ilarità dai banchi della maggioranza).

Questo tocco di illegalità dato alla  manifestazione sarebbe stato utile anche per il Paese, perché il partito  veltroniano avrebbe acquistato credibilità nei confronti del "movimiento",  nel suo deciso evolversi in forme proprie dall'«Autonomia Operaia» alla  «Lotta Continua» e - non dimentichiamolo - al FUAN. A Milano gli  studenti di estrema destra hanno manifestato con quelli di estrema  sinistra. Va bene che c'è una certa captatio benevolentiae in  modo che uno di loro possa essere il Presidente della Repubblica al  prossimo turno, c'è la proposta di erigere un monumento dell'Olocausto a  Predappio, e questo mi sembra giusto.

I baldi, coraggiosi marcianti...


VOCE DAL GRUPPO PD. Tempo!


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Appena il Presidente me lo dirà!

I baldi, coraggiosi marcianti, tra i quali è  giusto citare Folloni, allievo del compianto Sbardella, detto nel mio  partito «lo squalo» (Ilarità dai banchi della maggioranza);  Franceschini, allievo dell'epurato dal Partito Democratico Ciriaco De  Mita; Rosy Bindi, eletta da Giulio Andreotti e da Bernini per bocciare  (cosa in cui si è riusciti) Tina Anselmi, colpevole...


PERDUCA (PD). Tempo!


PRESIDENTE. La Presidenza conosce la  regolamentazione dei tempi. Vi sono state ampie interruzioni e ha  concesso già un minuto in automatico. Credo rientrasse nelle nostre  competenze. Prego, presidente Cossiga.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Ed infine il  carissimo amico Franco Marini, di cui ricordo il durissimo discorso  contro il segretario del partito Ciriaco De Mita e l'allora presidente  del Consiglio Francesco Cossiga, che citò per la prima volta il grande  discorso di Togliatti a Bergamo sulla chiesa cattolica. Marini fece un  grande discorso a favore del "preambolo": «Con la sinistra,  mai!»...perderò! Ho intenzione di scrivere un libretto (quando era  Presidente del Senato dovevo offrirglielo) con il discorso di  Zaccagnini, mio e di Franco Marini: «Con la sinistra, mai!». Ma, ahimè,  Franco Marini era un così abile oratore che la sinistra DC in quel  congresso perse e non vinse mai più!

Perché voto a favore? Non per la legge in sé,  anche perché credo che questi non siano tempi di riforme e anche perché -  che io mi ricordi - salvo il referendum tra Repubblica e  monarchia non mi sembra che in Italia di riforme vere se ne siano mai  fatte. Non mi sembra questo un Paese di riforme! Ma voto a favore...


PRESIDENTE. Presidente Cossiga, le resta un minuto.


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Benissimo, magari  un minuto e mezzo. Resto a favore di quella pericolosa pagliacciata di  professori ex sessantottini, alcuni ai loro tempi anche aspiranti  terroristi...


VOCE DAI BANCHI DEL PDL. Bravo!


COSSIGA (UDC-SVP-Aut). Ed evito di fare i nomi (Applausi dai Gruppi PdL e LNP)...  che però a differenza dei terroristi veri non hanno avuto il coraggio  di passare alla lotta armata perché era più comodo leccare il culo ai  baroni per diventare professori universitari. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP. Commenti della senatrice Garavaglia Mariapia. Richiami del Presidente).


Gentile collega Finocchiaro, lei riesce ad  immaginarsi il grande latinista, Concetto Marchesi, che ho avuto l'onore  di avere come collega, rigido marxista- leninista e stalinista,  discettare di Ovidio, di Catullo, di Virgilio di fronte ai bambini che  ogni tanto alzano il braccio dicendo: «Voglio andare a fare la pipì»?  Non mi sembra! E il normalista Alessandro Natta, che sbatté la tavoletta  del banco alla Camera quando fu approvata la legge sull'abolizione del  latino dicendo: «Ho capito! Anche il mio partito vuole una scuola di  asini!»? Io non ce lo vedo!

Ho terminato e consegno agli atti il mio intervento scritto. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP. Molte congratulazioni). (fonte sito del Senato della Repubblica italiana)

16 agosto 2010

Che cosa succede ai tuoi libri quando muori?
(suggestioni dopo aver visto Il riccio)


Tra le tante oscenità della morte tra le più volgari c'è senz'altro quella degli oggetti che sopravvivono alla persona. Una casa da svuotare, oggetti da spartire, smaltire, buttare. Oggetti senza ormai contesto, senza competenza, perchè la persona per la quale avevano un significato, e della quale costituivano una parte della sua storia, non c'è più. Oggetti destituiti, degradati, squalificati. Magari contesi perché di valore, economico o affettivo.  Ma sempre imbarazzanti propaggini di chi non c'è più.
Quando morì mia madre il passaggio fu quasi impercettibile. La casa, i suoi oggetti, il suo arredo, rimasero tutti al loro posto visto che io e mia sorella continuammo ad abitare nello stesso appartamento per altri 7 anni. Mia sorella scelse di non modificare nulla dell'arredo, nemmeno la posizione degli oggetti di decoro, trasformando la casa di due figli orfani di 20 e 25 anni nella casa-museo di una mamma morta.
La mia stanza era diversa, ma lo era stata già prima della morte di mamma. Solo negli anni, per mancanza di spazio, alcune mie propaggini uscirono dalla stanza (una libreria, qualche suppellettile) ma l'espediente della casa museo non mi fece fare l'esperienza che fanno tutti i figli quando muore la mamma vecchia (mia madre aveva 54 anni quando morì): che ne faccio della roba di mamma? Solo i suoi vestiti, oscenamente inutili, vestigia di una persona che non c'era più, si imponevano in tutta la loro ingombrante presenza. L'incombenza di sbarazzarsene fu di mia sorella, cui spettarono anche i pochi ori, i trucchi e i rossetti, e degli altri parchi effetti personali. A me toccò uno specchietto da bagno, di quelli di plastica, dell'Upim, che ancora custodisco gelosamente, e parte del contenuto del cassetto dell'ufficio del quale mi è rimasta ancora la radiolina a transistor, rossa, di plastica, con le rifiniture cromate.
L'ingombro della roba mi si è presentato per la prima volta in tutta la sua concretezza alla morte di Fraces, quasi due anni fa ormai, quando, per fortuna non da solo, ma, anzi, partner minore dell'impresa, io, Rob, Pasquale e Marco, abbiamo svuotato il suo appartamento, del quale ho preso molte più cose di quanto mi sia rimasto di quello dove sono cresciuto e sopravvissuto a mia madre per sette anni (la cucina scomparsa, la camera da letto, quella che mamma aveva da quando si era sposata e che, dunque, essendo il primogenito, ricordo dalla primissima infanzia, andata perduta in seguito all'allagamento della cantina di alcuni amici che ce la custodivano gentilmente, il resto dei mobili, camera da pranzo e poco altro, a casa di mia sorella...).
Vedere la casa piena di oggetti quando la proprietaria non c'è più è una rimanenza insolente, una perduranza ostinata, una sopravvivenza micidiale, che sancisce l'indifferenza dell'universo alla morte di chicchessia (come fanno i suoi oggetti a esser ancora là?) Il roba mia vientene con me di verghiana memoria acquista così un significato più sinistro, ma anche sacrosanto: che alla morte di qualcuno sparisca la sua roba senza tante storie perdio!
Così, ieri sera, alla fine del film Il riccio subito dopo che la protagonista Renée è morta (ops, scusate lo spoiler!) vediamo la stanza dove custodiva tutti libri che aveva letto nella sua esistenza solitaria di portinaia di uno stabile signorile, con gli scaffali impolverati e vuoti. I libri nelle scatole, tranne due, regalati alla giovane dodicenne  Paloma, che l'ultimo inquilino arrivato, il non più giovane Kakuro Ozu, l'unico ad accorgersi che Renée fosse una donna, ha provveduto a inscatolare.
Ho pensato subito ai miei di libri, quando morirò, alla loro massiccia presenza e ...ingombranza, alla loro polverosa sopravvivenza a me, e dunque  all'assurdità dell'accumulo, allo spreco di spazio, di tempo, di vita. Sarà che Reneé ha appena 9 anni più di me ed è grassa e malandata come me, coi capelli lunghi e trascurati come i miei, disabituata ai contatti umani in maniera più plateale e assoluta di quanto non capiti a me, ma significativamente in maniera analoga. 
Ecco il motivo in più che avevo per essere triste all'uscita del film, che ho visto ieri pomeriggio, con Antonio, al Madison. Un finale prevedibile e banale, reazionario nella sua ineluttabilità: la protagonista muore proprio quando, dopo anni di vita sospesa nel tempo, il tempo comincia a scorrere di nuovo, e proprio mentre con sua grande sorpresa, Renée si scopre niente affatto arrugginita alle cose della vita, tenuta in allenamento dai tanti libri letti che l'avevano tenuta lontano da un mondo che non le interessava più almeno da quando il marito le era morto di cancro 15 anni prima, ecco che un impossibile incidente stradale la toglie di mezzo. 
Un film furbetto, che imbastisce una blandissima critica alla borghesia e poi fa morire la chiave vivente di quella critica improvvisamente riconfermando lo status quo .
Non ho letto (ancora) il romanzo da cui il film è stato tratto. So che ci sono significative differenze (tanto che l'autrice del romanzo, Muriel Barbery, pare abbia preso le distanze dal film): molte meno citazioni letterarie mentre il diario di Paloma (la ragazzina dodicenne aspirante suicida, l'altra protagonista del romanzo la cui storia nel film viene presto dimenticata per quella di Renée) è trasformato in una registrazione video
Poche le critiche pericolose/ perchè vere alla borghesia: una inquilina che saluta il signor Ozu e la sua accompagnatrice (è un piacere vederla) senza riconoscere in lei La portinaia e Renée che non si capacita non l'abbia riconosciuta, splendida notazione subito rovinata dalla constatazione retorica di Ozu è perchè non ti ha mai vista (maldestro tentativo di filosofeggiare alla Piccolo principe). L'atteggiamento schiavista che tutti hanno nei confronti della portinaia, vista come una macchina assolvi funzioni e non come una persona (la sorella di Paloma che la sveglia alle 7 e 30 del mattino solo per raccomandarsi di recapitarle subito un plico che aspetta: lettere d'amore? No la tesi corretta (niente pc?).
Lo sviluppo dei personaggi nel film non è ben misurato. Il film si apre con Paloma che annuncia il suo suicido 165 giorni dopo, al compimento del suo dodicesimo anno d'età perché, consapevole che il suo destino da adulta sarà come quello di un pesce rosso che vive in una boccia d'acqua, preferisce togliersi di mezzo e si conclude con la morte di Renée. Ma mentre la prima parte del film è incentrata su Paloma e tutto è visto dal suo punto di vista man mano che facciamo conoscenza di Renée Paloma perde d'importanza, nonostante il suicidio annunciato e, soprattutto, il film smette di essere raccontato dal suo punto di vista. Il brusco passaggio (senza che il film lo mostri con alcune espediente narrativo) dai 165 giorni al sudicio dell'esordio direttamente a una settimana prima del suo compleanno (perchè?!?!) danno subito poco peso al suicidio della giovanissima che invece, per il personaggio, è meditato e davvero voluto. Così, mentre all'inizio il riccio sembra il film di Paloma appena Renée prende spazio nella storia il film diventa bruscamente il film della portinaia cicciona, butta e sfigata che riprende vita quando  è elegantemente corteggiata da uno strano signore giapponese con la sua cultura esotica (la casa arredata come fosse la più classica delle case giapponesi, nessun oggetto a vista, stanze dalle pareti vuote, con lo stretto indispensabile), un tocco pittoresco per il provincialismo borghese della regista e sceneggiatrice di tutti  noi europei contemporanei da quando abbiamo smesso di essere noi centro culturale del pianeta.
Una storia  di adulti e per adulti che usa il punto di vista della bambina come espediente narrativo e non perché sinceramente sente esigenze, vissuto e sensibilità di Paloma.
Un non scevro da luoghi comuni anche se usati in maniera elegante e giustificati, all'inizio, dal punto di vista di Paloma. Padre madre e sorella della dodicenne ci vengono descritti tramite i suoi occhi e i suoi caustici commenti (padre ministro vittima di un rimpasto governativo, madre alcolista, in analisi da 10 anni, che parla alle piante, sorella maggiore alle prese coi ragazzi e indifferente dell'acuta intelligenza di Paloma) personaggi descritti con schemi semplificati, giustificata dal peculiare punto di vita che li descrive, una bambina di 12 anni. Ma quando il film, senza soluzione di continuità, non è più il racconto di Paloma perchè ci mostra fatti cui paloma non assiste e che, dunque Paloma non può conoscere, anche dal nuovo punto di vista (a tratti di Renée a tratti più dell'istanza narrante del film) i personaggi continuano ad avere lo stesso inesistente spessore e ci rendiamo conto che i cliché usati non sono quelli di Paloma ma quelli della regista nonché autrice della sceneggiatura (o del romanzo, non saprei, non avendolo letto).
Tranne Ozu, Paloma e Renée tutti gli altri personaggi sono descritti con pochi tratti, la vecchia svampita, la condomina antipatica (quella che non riconosce Renée quando esce con Ozu) la condomina solidale con Renée che la convince ad accettare il primo invito a cena a casa di OZu, ma che poi scompare improvvisamente dal film e non ritorna nemmeno nel finale...
Insomma un film non pienamente riuscito, alquanto furbetto nel modo in cui racconta la storia ma con una caratteristica non so quanto voluta o quanto involontaria che gli conferisce un certo stile e una certa coerenza e lo rende godibile, da vedere, tanto da farmene parlare qui.
L'assenza di tecnologia digitale. Paloma usa una strana videocamera HD, senza schermo visore, ma col mirino di una volta, quello delle vecchie cineprese super8). Il riccio è un film atecnologico, dove non ci sono computer, le tv sono ancora quelle a tubo catodico, pochi i telefonini, e anche il film (in videocassetta) che Renée vede con il signor Ozu a casa sua è visto su di uno schermo in retroproiezione  e non in uno di quei pacchiani inutili e inquinanti  tv al plasma. Quindi non la borghesia, ma quel che rimane dell'aristocrazia, quando la cultura che si possedeva era assai solida e non abbisognava di ostentazione. E anche le animazioni dei disegni di Paloma che si vedono ogni tanto nel film hanno qualcosa di squisitamente analogico.L'unica eccezione l'ausilio digitale nel mostrare l'incidente che uccide Renéee investita da un'automobile (vediamo l'investimento, maldestramente animato digitalmente, in maniera analoga a quello che si vede all'inizio de Le fate ignoranti di Ozpetek). Csì quella tecnologia coraggiosamente butta fuori dalla porta rientra dalla finestra di un oltranzismo scopico che deve farci vedere l'inutile quel che sappiamo non essere vero...

Certo che confrontata alla piccola (soprattutto moralmente) borghesia italiana quella francese appare la più nobile delle aristocrazie...


Gli indizi di tecnologia digitale ci sono (il bagno tecnologico di Ozu che collega mozart alla tavoletta del wc per cui ti siedi e parte la musica (e si vede il controllo del dispositivo che non è certo analogico) per cui il film, anche se sembra ambientato negli anni 70, è sicuramente contemporaneo e proprio per questo è interessante vedere una storia nella quale le ultime propaggini del nostro organismo, quelle invasive digitali che banalizzano ogni prodotto culturale contaminandolo in un unico enorme dato alfanumerico sia esso musica film foto o parole scritte, da consumare non sono presenti non sono necessarie (non c'è film nel quale il telefonino non sia un espediente per far proseguire la trama...). Un film che fa riflettere ma che non scomoda affatto i miti orizzonti borghesi, né quelli dei protagonisti del film né tanto meno di quelli ancora più miti degli spettatori cui il film si rivolge: la parabola di Renée (una Josiane Balasko in stato di grazia), è chiara, sarà anche colta, intelligente e più umana dei borghesi ricconi del palazzo ma non ci siamo allontanati di molto dall'etica verghiana: Renèe è e resta una portiera sfigata e ogni tentativo di emancipazione è destinato a fallire.
E buonanotte al secchio.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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