Dunque: 1) Il governo sdogana il nucleare
Alla fine il momento è arrivato. Cacciato definitivamente il fantasma di Chernobyl, accantonati con prepotenza i dubbi sui vantaggi che davvero potrebbero derivare dall'atomo, oggi l'Italia si prepara a riaprire ufficialmente le sue porte al nucleare. Il via lo darà nel pomeriggio il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, presentando in consiglio dei ministri un pacchetto di norme che serviranno a sbloccare la costruzione di impianti atomici nel nostro paese, ventuno anni dopo che il referendum del 1987 li aveva messi al bando. «Dobbiamo superare i vecchi ideologismi, che nulla hanno a che fare con la concretezza del problema», ha spiegato lunedì Scajola parlando all'assemblea milanese di Federchimica. Ma non tutti sono d'accordo. Proprio in queste ore, infatti, al premier Silvio Berlusconi è stata recapitata una lettera aperta nella quale più di 1.200 scienziati gli chiedono di non rilanciare il nucleare, mentre per oggi pomeriggio alle 17 Legambiente, Greenpeace e Wwf [non sono riuscito a trovare sul sito alcun riferimento al nulceare...] hanno indetto un sit in davanti a Montecitorio per contestare quella che definiscono come una scelta «arretrata, antieconomica e insicura».
Il governo si prepara dunque a mantenere la parola data solo poche settimane fa all'assemblea di Confindustria, quando lo stesso Scajola annunciò di voler arrivare, «entro la fine della legislatura», alla posa delle prima pietra per la costruzione delle prime centrali che, stando ad alcune anticipazioni, dovrebbero essere almeno quattro. Le nuove misure sugli impianti nucleari sono inserite nel pacchetto energia della manovra finanziaria e prevedono incentivi per le popolazioni che accetteranno di convivere con una centrale. In particolare si pensa a un taglio delle bollette elettriche, i cui costi sarebbero a carico delle società coinvolte nella costruzione o nella gestione degli impianti.
Ma come prima cosa il governo dovrà individuare i siti in cui aprire i nuovi cantieri. E qui le cose potrebbero complicarsi, fino al punto di rivedere le stesse proteste avute in Campania con le discariche per i rifiuti. E forse proprio per ritardare al massimo possibili momenti di tensione, il governo ha deciso di far slittare alla fine dell'anno l'individuazione dei criteri, morfologici e geologici, che dovranno avere i nuovi siti. Nel frattempo verrà creato un comitato di saggi che avrà il compito di aprire un primo confronto con le popolazioni e gli enti locali. Ma che aria tira, lo si è già capito. Il piano deve infatti ancora vedere la luce e Scajola ha già dovuto digerire due no. Il primo è arrivato dal governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, per il quale «qualunque discorso su localizzazioni in Lombardia è del tutto prematuro». Il secondo è invece dell'assessore all'Ecologia della Regione Puglia. «In materia energetica - ha detto Michele Losappio - la Puglia ha, verso lo Stato, solo crediti da riscuotere. Ci aspettiamo pertanto un impegno che escluda la nostra Regione dalle possibili destinazioni del nucleare».
Almeno sulla carta tutto sembra comunque essere pronto. L'obiettivo del governo, annunciato da Scajola e confermato ieri anche dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, è quello di diversificare la produzione di energia elettrica, puntando su un 25% frutto del nucleare, un altro 25% derivante da energie alternative e su un 50% dai combustibili fossili. Un piano che piace al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che non ha perso occasione per ribadire ancora una volta il suo appoggio alla scelta nucleare di palazzo Chigi.
Legambiente, Greenpeace e wwf hanno pubblicato un dossier sul nucleare...
2)
Il governo rinvia di 6 mesi la Class action, che non sarà più retroattiva.Se il buon giorno si vede dal mattino, non si può proprio dire che la class action sia nata sotto i migliori auspici. Merito (suo malgrado) di un senatore di Forza Italia che nel novembre scorso salvò per errore di voto la fragile maggioranza del senato, votando l'emendamento che introduceva l'azione collettiva risarcitoria. Lui scoppiò in lacrime ma la class action, tra i boatos di Confindustria, trovò un posto nelle centinaia di pagine della legge finanziaria 2008.
«Un provvedimento all'amatriciana», così Luca Cordero di Montezemolo stigmatizzò la norma che sarebbe dovuta entrare in vigore a fine giugno, e che invece il governo ha annunciato di volere posticipare di sei mesi (a gennaio). Non perchè la maggioranza sia contraria, per carità. Anzi, dice il ministro Claudio Scajola: «Il governo è favorevole a un provvedimento di assoluta validità e importanza per i consumatori, solo che così com'è rischia di portare a vagoni di ricorsi senza giovare ai consumatori». Servirà insomma qualche altro 'tavolo di confronto' con le parti interessate, un po' come sul Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro. Indovinate in quale direzione?
Risulta difficile pensare a qualcosa di più annacquato di quella che è la class action all'italiana. L'emendamento votato nella scorsa finanziaria prevede infatti che possano intentare una causa collettiva di risarcimento solo le associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative, o comitati adeguatamente rappresentativi (per esempio i 'gabbati' dai bond Parmalat che decidano, come hanno fatto, di fare causa). Negli Usa, al contrario, anche un singolo cittadino può intentare un'azione collettiva: spetta poi al giudice, nell'udienza preliminare, valutare quanto quella singola istanza sia rappresentativa degli interessi di una 'classe' di persone. Negli Stati uniti poi, una volta ottenuto il via libera dal giudice, la class action riguarda (tanto nel caso di vittoria che in quello di sconfitta) tutti i cittadini effettivamente coinvolti, e non solo i promotori della causa. Il principio è quello dell'opt out, se non si vuole essere compresi bisogna dichiararlo. In Italia invece il principio è quello dell'opt in: partecipa agli eventuali benefici di una class action, solo chi vi ha effettivamente (e esplicitamente) aderito.
E veniamo a quello che il presidente di Altroconsumo (associazione indipendente di consumatori), Paolo Martinello, giudica «il vero punto debole del modello italiano», e cioè la conclusione dell'azione risarcitoria. Mentre infatti negli Usa è il giudice che, dopo avere valutato l'entità della 'classe', quantifica il risarcimento che l'impresa è tenuta a pagare, nella legge italiana tutta la fase della quantificazione dei danni e dell'erogazione delle somme dovute viene di fatto delegata a un momento successivo a quello della sentenza e rimessa ad una procedura conciliativa: «La legge non è chiara e risulta dunque difficile capire come in pratica il risarcimento potrà avvenire», dice Martinello.
Detto tutto questo, e con la necessaria premessa che negli Usa la class action ha una funzione di regolamentazione del mercato (con lo stato che di fatto delega ai privati la tutela di interessi collettivi) - si pensi ad esempio al «danno punitivo» che un giudice statunitense può comminare (funzione che in Europa dovrebbe essere svolta dagli organismi di vigilanza, antitrust e quant'altro) - il governo italiano pare intenzionare a modificare l'azione collettiva. Anticipava ieri MilanoFinanza che tra le revisioni, potrebbe esserci quella sulla non retroattività del provvedimento: addio dunque alla causa collettiva Parmalat, tanto per dirne una. Protestano le associazioni dei consumatori che oggi sono state convocate dal governo. «Siamo assulutamente contrari a qualsiasi rinvio sulla class action», dicono dal Codacons. Mentre Cittadinzattiva stigmatizza «l'ennesima vittoria delle lobby ai danni dei cittadini consumatori». dal manifesto di ieri 19 giugno 2008
3)
Una manovra che taglia i fondi agli enti locali e aggrava il precariatoda manifesto di ieri 19 giugno 2008
Forbici per 17 miliardi, governatori e sindaci contro. Tornano il «lavoro a chiamata» e i contratti a termine senza limitazioni
Antonio Sciotto
Adesso che stanno al governo il gioco si fa serio: e infatti cominciano i tagli pesanti ai servizi pubblici e una forte ri-precarizzazione delle leggi sul lavoro. Bastino due misure, scelte tra le tante annunciate ieri e in arrivo al consiglio dei ministri di oggi: il ritorno del job on call (ovvero quello che trasforma il lavoratore in manodopera «squillo» a disposizione dell'impresa, chiamato o no a seconda della bisogna); e l'abolizione della legge sulle dimissioni in bianco, una delle meno conosciute ma delle più civili del passato governo: quella che obbligava a utilizzare lettere di dimissione con uno speciale codice alfanumerico a progressione cronologica, in modo da impedire che un imprenditore facesse firmare la comunicazione (più spesso alle lavoratrici) insieme al contratto di assunzione. Il ministro del Lavoro Sacconi vuole tornare al sistema precedente, ridando carta bianca alle imprese. Deroghe si annunciano anche per i contratti a termine, la cui proroga era stata limitata dal ministro Damiano, e Sacconi prevede anche l'abolizione totale del divieto di cumulo lavoro-pensione. Ma non basta, perché i problemi li vivranno tutti i cittadini, grazie al fatto che la finanziaria taglia molte voci di bilancio destinate alla sanità e al trasporto pubblico locale, proprio quei servizi destinati alle fasce più deboli. E non è ancora tutto: verranno favoriti anche gli evasori fiscali, dato che il governo ha intenzione di smantellare la riforma di Visco sulla tracciabilità dei pagamenti. Questa mattina l'esecutivo incontrerà le parti sociali, nel pomeriggio si terrà il consiglio dei ministri.
Enti locali: via 17 miliardi in tre anni. La manovra annuncia dolori per le regioni e i comuni, in particolare verranno martoriate sanità e trasporti: si taglieranno 3 miliardi nel 2009, 5 nel 2010 e 9 nel 2011. La manovra complessiva nei tre anni è di circa 34 miliardi, di cui 13,1 nel 2009, ed è obiettivo del governo ottenere il pareggio di bilancio nel 2011. «La manovra non è condivisibile», spiega il presidente delle Regioni Vasco Errani dopo un incontro con i rappresentanti del governo. I governatori prima ancora che sul merito, non concordano sul metodo: definiscono «inaccettabile mettere in discussione accordi già formalizzati e che hanno proiezioni pluriennali». Preoccupati si dicono anche i sindaci dell'Anci, con il coordinatore Leornardo Domenici. E la Cgil afferma che «il governo mette in ginocchio il Paese, tagliando di 9 miliardi in tre anni la spesa degli enti locali, di 2 miliardi la sanità, di 17 i ministeri e di 3 le spese del pubblico impiego e della scuola». Tra l'altro, insieme alla manovra, verrà presentato oggi anche il piano del ministro Brunetta orrendamente battezzato come «anti-fannulloni», che riduce tutta l'idea del servizio pubblico al problema del «nullafacentismo» e annuncia licenziamenti a raffica per chi non accetterà mobilità, trasferimenti di funzioni e altre sanzioni. Non a caso, si prevede anche di privatizzare i servizi pubblici locali, permettendo grossi ingressi di capitali privati nelle cosiddette utility, secondo il principio di concorrenza.
Robin Tax, porte aperte agli evasori. La cosiddetta «Robin Tax» sulle compagnie petrolifere dovrebbe essere un sistema di tassazione «una tantum» (valido solo quest'anno) che darebbe circa 800 milioni di euro: si imporrebbe alle compagnie di dichiarare le plusvalenze realizzate grazie alle scorte (petrolio comprato quando il prezzo è più basso e rivenduto quando è più alto), applicandovi poi l'aliquota Ires (28% medio). E, restando in tema tasse, il governo pensa di abolire la «tracciabilità» dei pagamenti introdotta da Vincenzo Visco, ovvero la norma che impone di pagare con assegni non trasferibili, bonifici bancari e postali, o elettronici, i compensi sopra i 100 euro.
Così mentre tutti sono indignati per la sospensione dei processi il governo compie un vero e proprio golpe ai danni di tutti gli italiani, anche di quelli che lo hanno votato...
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