29 settembre 2007

...senza fiato... e senza parole!!!


Anselmo Genovese (autore della canzone)


Lello Rosellini


Ajda Pekkan


Ajda Pekkan (in Italiano)

la Birmania questa sconsociuta...




e mentre quel porco di Than Shwe continua a uccidere due note e qualche link per sapere qualche cosa sulla Birmania. Fino a qualche tempo fa per me la Birmania era famosa per il titolo di un film meraviglioso di Kon Ichikawa L'arpa Birmana che vi consiglio di vedere.

La Birmania vive sotto una dittatura militare dalla fine degli anni 80, ma nessuno se ne impipa, né la scimmia che comanda gli Stati Uniti (con tutto il rispetto per le scimmie) né il Vaticano preoccupato più di dire agli Italiani come comportarsi anche nell'intimità delle lenzuola... D'altronde perché dovrebbe in Birmania non sono mica cattolici... Io, per quel che conta la mia opinione, avrei già inviato truppe Onu nello stato di Birmania mostrando in mondovisione come gli abitanti del pianeta Terra difendono i diritti universali dell'uomo (ma a ben pensarci sono troppi gli stati in cui l'Onu dovrebbe andare...). Invece mi tocca di vedere i nostri giornalisti fare le facce tristi e parlare di posti nomi e città di cui fino a due giorni prima non si erano mai occupati. Posto anche due articoli del manifesto che ci raccontano le ...amenità che succedono in quel di Birmania (o come diavolo si chiama ora... Ma voi lo sapevate che ha cambiato ufficialmente nome in Myanmar? nel 1989!? mica ieri!!!).
Spesso la Birmania è definito un paese isolato: ed è verissimo, se si guarda al sistema culturale proposto dalle dittature militari fin dal 1962: ma è anche una verità del tutto parziale. La Myanmar della giunta militare è un paese ad alta internazionalizzazione, nel senso che ha un’economia orientata all’export come da classico manuale liberista. Dal 1988 una raffica di privatizzazioni, controllate nel modo più autoritario possibile dal vertice politico amministrativo, ha contraddistinto la nuova economia del paese. L’intreccio di interessi con i paesi vicini si è accompagnato a un forte controllo della popolazione, ma non ha potuto impedire i contatti. Il segno forse più importante è la popolazione birmana residente in Thailandia, paese che confina con la Birmania permigliaia di chilometri di foresta e mare. Un’emigrazine considerevole. Secondo uno studio della Mahidol University di Bangkok, i birmani in Thailandia arrivano a due milioni, in gran parte privi di qualsiasi documento, clandestini profondi che passano la frontiera più volte nelle due direzioni. Alcuni da soli, altri pagando le bande di frontiera. L’esodo è cominciato dopo il 1988. La prima ondata, dopo la repressione dei tremila morti dell’agosto di quell’anno, era fatta di studenti e attivisti in cerca di asilo politico e solidarietà. Erano migliaia, furono in gran parte rifiutati dalle autorità e dovettero accontentarsi di vivere da clandestini, contando sulla solidarietà della società civile. Dopo pochi mesi però cominciò un altro flusso di emigrazione, il passaggio clandestino di lavoratori, disoccupati, donne e giovani che fuggivano da una società senza lavoro e senza respiro. La frontiera tra Thailandia e Birmania è fuori controllo per ampi tratti. Per le donne, forzate all’esodo per lavorare come prostitute, il viaggio era organizzato da protettori, gruppi armati sedicenti politici, trafficanti di droghe e contrabbandieri. Le ragazze birmane furono collocate nei bordelli a basso prezzo, per thailandesi che non potevano permettersi imassage parlour di un certo tono o una escort girl, cantanti da balera in hotel fumosi e poco illuminati. Le ragazze aprirono una falla che tese subito ad allargarsi. Sempre secondo la ricerca della Mahidol University, ci sono oltre 100.000 collaboratrici domestiche birmane in Thailandia. La domanda di servizio è garantita dalla crescita dei ceti di nuovi consumatori urbani, tecnici, intellettuali, imprenditori, commercianti, sui cui acquisti e sul cui stile di vita «simbolicamente lussuoso» si fonda una parte del successo del modello asiatico di sviluppo. La crescita dei consumi dei «New Thai», come amano definirsi, permette l’espansione economica interna senza intaccare il mitico basso costo della forza lavoro thailandese (secondo gli operatori turistici, malgrado la maturità del sistema ricettivo thai, i salari sono ancora tra i più basi del mondo). E una parte non secondaria dei lavoratori a basso reddito delmiracolo thai sono oggi i birmani, emarginati e sotto la costante minaccia dei controlli della polizia e anche, sempre secondo la Mahidol, delle estorsioni in cambio dimancata denuncia, provenienti da varie parti. I birmani di Thailandia provengono in parte rilevante dalle minoranze etniche - Shan, Kachin, Karen e e altre - che abitano le regioni periferiche del paese, dove da decenni guerriglie locali contestano il potere centrale e dove traffici illegali sono una parte importante dell’economia e una minaccia costante ai contadini dei villaggi.Molti hanno sottolineato la scarsa influenza esercitata dai paesi dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) sulla giunta militare della Birmania, che è un paesemembro. Solo le Filippine hanno chiesto l’espulsione di Myanmar. Ma sono gli intrecci di economie semiclandestine e di complicità che possono rendere comprensibile un comportamento cosi di basso profilo a livello organizzativo e diplomatico. Durante il tsunami, i birmani spazzati via dall’onda nel Sud non furono registrati tra le vittime. Nessuno poteva sapere quanti fossero: fu scelta la formula di dire che erano tornati a casa. La giunta non disse neppure una parola, togliendo dall’imbarazzo tutti. Un esempio dell’intesa di buon vicinato tra paesi, al di là delle posizioni dei governi. Anche la vasta area di economie illegali ai confini è probabilmente sorretta da cordiali scambi. Il generale Maung Aye, classe 1937, numero due del regime, deve parte del suo potere al fatto di essere stato tra gli anni ’70 e ’80 il responsabile dell’esercito nella regione del cosiddetto Triangolo d’Oro (dove si toccano Birmania orientale, Thailandia e Laos), che era allora la zona di maggior produzione mondiale di oppio, materia prima per l’eroina. Le relazioni con i trafficanti gli avrebbero fruttato vantaggi e conoscenze preziose. Forse non solo con i trafficanti: nel Triangolo, ciascuno entro le rispettive frontiere, ci sono anche l’esercito thailandese e quello laotiano. La famiglia del numero 1 della giuntamilitare, Than Shwe, ha lasciato Rangoon il 26 settembre per una visita in Laos ed è felicemente atterrata all’aeroporto di Vientiane.
Renato Novelli il manifesto del 20 sett 2007
Il «progetto Yadana» illustra bene
in quale complicità si possno
trovare le aziende straniere
che investono in Birmania. Forse
dice anche perché le potenze
mondiali sono così restie a sanzioni
economiche contro una giunta militare
che spara su manifestanti...
Yadana significa «tesoro» in birmano,
ed è il nome di un giacimento di
gas nel mare delle Andamane. Per
sfruttarlo, nei primi anni ’90 il governo
militare di Rangoon ha avviato
un progetto ambizioso: costruire un
gasdotto per trasferire il gas naturale
estratto dai giacimenti off-shore delle
Andamane fino in Thailandia, sulla
costa del Golfo del Siam.
Nel 1993 dunque un consorzio tra
Total (francese, ora Total-Fina-Elf) e
Unocal (californiana) ha firmato un
accordo con l’azienda di stato birmana,
Myanma Oil and Gas Enterprise,
che possiede una partecipazione sia
nei pozzi di gas che nel gasdotto: è
stato stimato in un paio di miliardi
di dollari, ed è il maggiore investimento
straniero realizzato in Birmania.
Nell’ottobre ’95 la joint venture
è diventata operativa. Ditte francesi,
giapponesi e italiane hanno partecipato
alla produzione e posa del gasdotto,
impiegando il lavoro di 2.500
persone (di cui solo 300 tecnici stranieri,
il resto era manodopera locale).
Nel 1998 il lavoro era terminato e
poteva cominciare la produzione.
Per la popolazione locale il progetto
Yadana è stata una tragedia. Per
preparare il terreno, nei primi anni
’90 Tatmawdaw («Esercito del popolo
», l’esercito birmano) ha cominciato
a aprire strade nella foresta, evacuare
i villaggi lungo il tracciato del
gasdotto, costruire alloggi per i militari,
eliporti, e una ferrovia. Solo verso
la fine del ’94 un sindacalista birmano
in esilio è venuto a conoscenza,
ed è stato attraverso i racconti dei
profughi che avevano cominciato a
fuggire dalla zona del gasdotto.
Le storie dei fuggiaschi si confermavano
l’un l’altra. A volte un villaggio
era preso di sorpresa, le capanne
rase al suolo, uomini e donne di quasi
ogni età arruolati a forza a lavorare
per l’esercito. A volte un gruppo di
persone cercava di sottrarsi ai lavori
forzati fuggendo. Altri sono scappati
attraverso la foresta senza aspettare
l’arrivo deimilitari, rifugiandosi al di
là del fiume che segna la frontiera
con la Thailandia. Molti hanno raccontato
di stupri e uccisioni.
Storie di brutalità incredibile, che
hanno scosso anche chi conosceva
la violenza della giuntamilitare. Dirigente
di un sindacato nazionale, U
Maung Maung era fuggito da Rangoon
(poi ribattezzata Yangoon) dopo
il massacro del 1988, quando imilitari
hanno represso una rivolta per la
democrazia sparando sulla folla.Nella
seguente ondata di arresti ed esecuzioni
tremila persone furono uccise.
Maung era fuggito in Thailandia,
come molti studenti e attivisti di
quel movimento.
U Maung Maung riassume: tra il
1993 e ’94 circa 150mila persone sono
state strappate ai propri villaggi e
costrette a fuggire, rifugiandosi in
Thailandia: private dei mezzi di sussistenza
e insieme anche della propria
libertà, dignità e vita sociale. Altri
attivisti birmani in esilio si sono
imbattuti nei fuggiaschi del Tenasserim:
come Ka Hsaw Wa, cofondatore
di EarthRights International. Finché
sindacalisti e attivisti per i diritti
umani hanno deciso di chiamare in
causa le aziende occidentali del progetto
Yadana: Total e Unocal.
Nel settembre del 1996 la Federazione
dei Sindacati della Birmania
ha fatto causa alle due aziende petrolifere
presso il tribunale di San Francisco,
California, a nome di un gruppo
di profughi birmani e con il sostegno
del International Labor Rights
Fund, organizzazione statunitense
per i diritti del lavoro. Un’altra causa,
a nome di un altro gruppo di profughi,
è stata presentata da EarthRights
International. In entrambi i casi,
le aziende petrolifere erano accusate
di complicità in omicidi, riduzione
ai lavori forzati, stupri e violenze
commessi dall’esercito birmano nell’ambito
del progetto Yadana.
La sproporzione tra i contendenti
è evidente: dei contadini semianalfabeti
e due multinazionali dal fatturato
superiore al prodotto interno lordo
della Birmania. E però, le testimonianze
raccolte nella giungla sono infine
approdate in tribunale di San
Francisco (anche se la corte ha ritenuto
di potersi occupare solo diUnocal,
non della socia francese Total).
Il caso «Doe versus Unocal» è per
molti aspetti unico. Doe è il nome
collettivo di quindici persone, i profughi
birmani. I rifugiati restano in
una situazione assai precaria nei loro
accampamenti al limitare della
giungla, senza terre da coltivare né
un lavoro e senza uno statuto legale:
per la Thailandia erano immigranti
illegali. Per proteggerli, sono stati nominati
«JaneDoe» o «John Doe» e un
numero. Le loro testimonianze sono
state riprese dalla stampa americana
con grande clamore.
I legali di Unocal ribattevano che
quelle storie, per quanto tragiche,
non provano nulla contro la compagnia,
le accuse erano infondate. Unocal
non nega che i militari birmani
abbiano seminato il terrore nella regione
del gasdotto: però ha sostenuto
che il lavoro forzato non è stato
usato nella posa del gasdotto stesso,
i 2.200 operai che hanno lavorato
per il consorzio erano là per libera
scelta e ricevevano il loro regolare salario;
la compagnia non poteva sapere
cosa facevano i militari, e in ogni
caso non ne era responsabile.
Tra gli atti dell’accusa però diversi
documenti chiamano in causa direttamente
le due aziende petrolifere.
Uno è la «valutazione di rischio»
commissionata da Unocal a una ditta
privata, Control RiskGroup, quando
l’affare Yadana si stava profilando:
il rapporto ricevuto nel maggio
1992 diceva chiaro che il governo birmano
«fa abitualmente uso di lavoro
forzato per costruire strade», e avvertiva:
«Ci sono informazioni credibili
su attacchi dei militari a civili nella
regione, la comunità locale è ormai
terrorizzata». Ci sono poi le deposizioni
di diversi dirigenti della stessa
Unocal: ammettono che, ai termini
del contratto, spettava proprio all’esercito
garantire la sicurezza della
pipeline.
Agli atti è anche la trascrizione di
un incontro tra l’allora presidente di
Unocal John Imre e un gruppo di attivisti
per i diritti umani, all’inizio
del 1995 presso la sede centrale dell’azienda
in California: alle accuse di
coprire la repressione militare aveva
risposto: «Se il lavoro forzato va di
pari passo con i militari, sì, ci sarà
più lavoro forzato. Per ogni minaccia
al gasdotto ci sarà una reazione».
Più tardi, in tribunale, Imre precisò
che non voleva con questo dare la
sua approvazione al lavoro forzato.
Infine, nel 1995, Unocal aveva ricevuto
un altro allarme da un suo consulente,
John Haseman, ex attaché militare
all’ambasciata Usa in Myanmar:
diceva che terribili violazioni
dei diritti umani erano in corso nella
regione meridionale. e «accettando
la versione dei fatti [data dai militari
birmani] Unocal appare nelmigliore
dei casi naive, nel peggiore un partner
volente della situazione».
La difesa di Unocal - «non sapevamo,
non siamo responsabili» infine
ha perso.Nel settembre 2002, e in appello
nel luglio 2003, il tribunale di
San Francisco ha infatti giudicato
che c’erano abbastanza elementi
per rinviare a giudizio la compagnia
petrolifera. E’ un precedente importante,
anche se è finita in un patteggiamento
extragiudiziario che ha evitato
ai rappresentanti di Unocal di
comparire in aula: un risarcimento
per i querelanti e una forte somma
per finanziare opere sociali per le
persone che hanno sofferto a causa
del gasdotto. Per la prima volta
un’azienda multinazionale statunitense
ha dovuto rispondere in tribunale
per complicità nella violazione
di diritti umani. Certo, quei risarcimenti
restano briciole, rispetto al valore
del gas che Total-Unocal continuano
a estrarre dalla Birmania.

Marina Forti il manifesto del 20 sett 2007


Vuoi vedere che dobbiamo "ringraziare" il porco che ha ucciso i monaci (e non sol) per farci venire a sapere cose altrimenti celate in qualche trafiletto, in due righe, tra una tetta e un gluteo dell'isola dei famosi?
ma in che mondo viviamo?
dov'è finita l'informazione vera????


26 settembre 2007

Nannarella nostra

Il 26 settembre 1973 moriva Anna Magnani.
Ecco alcuni stralci dai suoi film per ricordarla, o magari, chissà, per (ri)scoprirla.
Una grande donna, una grande artista, che ci manca ancora tanto...

Una voce umana, ep. del film L'amore (Italia, 1948, dal film) di Roberto Rossellini

Risate di Gioia (Italia, 1960) di Mario Monicelli

Roma
(Italia, 1972) di Federico Fellini


Mi ricordo quella sola della ex amica mia Mariù (quella del bluff... ricordate?... No?!?!) che parlava sempre male di Anna Magnani, facendo come tanti che criticano i giganti per sentirsi superiori...
Questo è quello che avrei voluto farle ogni volta che, dall'alto della sua spocchia supponente, Mariù sminuiva Nannarella... ^_^

Nella città l'inferno (Italia, 1958) di Renato Castellani

25 settembre 2007

Il 6 e 7 ottobre, nelle piazze italiane, torna la Giornata degli Animali organizzata dall'Enpa Ente NAzionale Protezione Animali.

Fin dal 20 settembre, si ha la possibilità di aiutare la Protezione Animali grazie alla disponibilità di Tim, Vodafone, Wind, 3 e Telecom: con il numero unico 48585, dal 20 settembre al 10 ottobre, chi invia un sms dona 1 Euro e riempie una ciotola dei cani e gatti accuditi dall'Enpa, chi telefona da telefono fisso dona 2 Euro (e di ciotole ne riempie due!), grazie al generoso contributo di Effeffe, azienda leader nella produzione di petfood.




Io ho già riempito le ciotole (come dici Cirillo?! NON la tua??? Ehm...) e voi?

24 settembre 2007

parole parole parole












e qui per il karaoke




Ora svelo quel piccolo segreto che Loris aveva anticipato sul blog, perché mi hanno chiesto in molti in che cosa consistesse la mia piccola partecipazione al progetto "Todavia".
Loris si era rivolto a me per i testi di "Un ano de amor" e"Palabras palabras".
Per il primo si trattava solo di un controllo della versione di Luz Casal firmata da Almodovar, sulla quale Mina era già orientata, lasciando perdere la versione da lei già cantata negli anni sessanta, dal testo un po' troppo "raffazzonato".
Per "Palabras palabras", Loris mi chiedeva se gli potevo fornire il testo, così come cantato dai Pimpinela. Loris si era ricordato che qualche anno fa io avevo riferito dell'incisione del brano da parte di questo duo argentino (fratello e sorella) che davano una versione particolare del brano, in forma di telefonata.
Mi chiedeva il testo e gliel'ho fornito, non senza fargli presente che, seppur misconosciuta in Italia, una versione in spagnolo di "Parole parole" c'era.
La cantarono ed incisero nel 1972 i due attori spagnoli Carmen Sevilla e Francisco Rabal, con traduzione fedelissima al testo italiano.
Parendomi troppo sbarazzina la versione dei Pimpinela, ho insistito affinché Mina scegliesse il testo cantato dai due attori spagnoli, che ho trascritto, inoltrando a Loris.
E' accaduto che la scelta sia caduta proprio sul testo da me caldeggiato e non nascondo che mi ha fatto molto piacere che attraverso Loris e Max, Mina mi abbia ascoltato.


Tutto qua!

Paolo
(dal blog del minafanclub)













...un'altro grande se n'è andato....

todavìa

e mentre scribacchio qualche intervento sul blog del Mina fan club (dove bacchetto e vengo bacchettato ma dove l'aria da carineria a tutti costi stile minachebellaebravafasolocosemagnifiche è davvero asfissiante...) è passato anche questo primo settimana con todavìa...


Il disco di Chiara Civello è monotematico, nello stile e negli arrangiamenti, (e infatti, lei stessa, al concerto di sabato scorso all'auditorium di Roma di canzoni dall'ultimo album ne ha cantate 4 su 12...) ma quando interpreta (variando anche la linea melodica) Chiara è davvero grande,



mentre il disco di Joni Mitchell è omologo a Timing the Tiger ma i suoi testi sono poesie (un po' poco per chi, come me, magari sbagliando approccia una canzone prima per la melodia- e l'armonia - e POI per il testo...).



Meglio le sinfonie di Beethoven (probabilmente anche a Todavìa...) che sto seguendo dall'inzio del mese, due a settimana, ormai restano solo la sesta e l'ottava giovedì prossimo...




Intanto il tempo va avanti, la gente continua a morire (ciao Marcel!!!) e io sono sempre più ciccione.



21 settembre 2007

Todavia MINA


la vera sorpresa di questa mattina non è Todavìa di Mina, che scivola via già come un vecchio amico nel mio lettore cd, ma l’uscita improvvisa (almeno per il sottoscritto, visto che lei aveva già annunciato l’album lo scorso marzo…) di un nuovo album di Joni Mitchel, Shine (oltre all'uscita del disco di Chiara Civello a prezzo speciale, era tanto che non comperavo tre cd così, sull'unghia...).

Ricco fine settimana di musica da ascoltare e leggere (almeno i testi di Joni...) e poi rendicontare, qui, senza fiato...



20 settembre 2007

...meno uno



Le canzoni di Todavia
1)Olio
Mina
Grande amor
(Giulia Fasolino)

Grande amore
pubblicata in Olio (1999)
2)Cremona
Mina
Vuela por mi vida
(Alberto Testa / Gualtiero Walter Malgoni - Manrico Mologni)

Volami nel cuore
pubblicata in Cremona (1996)
3) Un anno d'amore / E se domanStudio uno
Mina & Diego El Cigala
Un año de amor
(Mogol - Alberto Testa - Gaby Verlor / Nino Ferrer)

Un anno d'amore
pubblicata su 45 giri (1964) e poi inclusa in Studio uno (1965)
4)Bula Bula
Mina
Llevate ahora
(Stefano Borgia)

Portati via
pubblicata in Bula Bula (2005)
5)Questione di feeling Finalmente ho conosciuto il conte Dracula
Mina & Tiziano Ferro
Cuestion de feeling
(Mogol / Riccardo Cocciante)

Questione di feeling
pubblicata su 45 giri e inclusa in Finalmente ho conosciuto il conte Dracula (1985)
6)Mina Celentano
Mina & Diego Torres
Corazòn felino
(Paolo Audino / Stefano Cenci)

Brivido felino
pubblicata in Mina Celentano (1999)
7)Succhiando l'uva / I'll see you in my dreamsVeleno
Mina
Uvas maduras
(Matteo Saggese / Adelmo Fornaciari - Mino Vergnaghi)

Succhiando l'uva
pubblicata in CDs e inclusa in Veleno (2002)
8)Copertina non disponibile
Mina & Chico Buarque
Valsinha
(Chico Buarque / Vinicius De Moraes)

Inedita
9)Sorelle Lumière
Mina
Nieve
(Giovanni Donzelli - Vincenzo Leomporro)

Neve
pubblicata in Sorelle Lumière (1992)
10)Mina Celentano
Mina & Miguel Bosè
Aqua y sal
(Giovanni Donzelli - Vincenzo Leomporro)

Aqua e sale
pubblicata in Mina Celentano (1999)
11)Bula Bula
Mina
No se si eres tu
(Valentino Alfano / Massimiliano Pani - Piero Cassano)

Sei o non sei tu
pubblicata in Bula Bula (2005)
12)Parole parole / AdagioCinquemilaquarantatre
Mina & Javier Zanetti
Palabras palabras
(Leo Chiosso - Giancarlo Del Re / Gianni Ferrio)

Parole parole
pubblicata su 45 giri (1972) e inclusa in Cinquemilaquarantatre (1972)
13)Copertina non disponibile
Mina & Joan Manuel Serrat
Sin Piedad
(Joan Manuel Serrat)

Inedita
14)Sorelle Lumière
Mina
Como estas?
(Giorgio Calabrese - Massimiliano Pani - Claudia Ferrandi / Massimiliano Pani)

Come stai?
pubblicata in Sorelle Lumière (1992)

dal sito lochness.altervista.org

19 settembre 2007

Pier Cortese...


Pier Cortese si esibirà Live alla Festa per il Partito Democratico il 19 Settembre 2007 - alle ore 21,30, Lungotevere degli Anguillara.... Da non perdere!!!!!

Io ci vado... e tu?




17 settembre 2007

snake eater



Proprio come in un film questo videogioco Metal Gear Solid 3 Snake Eater giunto al suo terzo capitolo (ma la storia in realtà è un prequel ai due capitoli precedenti) si presenta al suo pubblico con una cornice narrativa così ben definita da avere dei veri e propri nei titoli di testa di come quelli dei lungometraggi, anche se poi la parte giocabile è molto più affine ai videogame che alla fiction cinematografica.

La canzone che prende nome dal videogame è cantata da Cinthya Harrel della quale si sa ben poco (quindi se per casso avete informazioni... fatecele avere...).


Ecco di seguito il testo

Cynthia Harrell - Snake Eater Lyrics



What a thrill
With darkness and silence through the night
What a thrill
I'm searching and i'll melt into you
What a fear in my heart
But you're so supreme!

I give my life
Not for honor, but for you (snake eater)
In my time there'll be no one else
Crime, it's the way i fly to you (snake eater)
I'm still in a dream, snake eater

Someday you go through the rain,
Someday you feed on a tree frog,
It's ordeal, the trial to survive
For the day we see new light

I give my life
Not for honor, but for you (snake eater)
In my time there'll be no one else
Crime, it's the way i fly to you (snake eater)
I'm still in a dream, snake eater


Grazie a Thomas che me l'ha fatta conoscere (canzone e cantante...)

automobili e autodromi....

Tanti anni fa (1995 o giù di lì…) ne parlavo con alcuni conoscenti… amici è una parola troppo grossa. Ragazzi coi quali avevo in comune la passione per Star Trek (perché? Cosa avevate pensato?!?!) ma che, per il resto, non potevano essere più lontani da me…

Non so come eravamo entrati in argomento (l’ennesimo incidente?) ma io sollevai l’obiezione che lo Stato doveva impedire la costruzione di automobili che superavano i limiti di velocità stabilita. Questo ragazzo (non ricordo il nome…) mi si rivoltò contro in perfetto stile berlusconiano dicendomi che era un attentato alla libertà individuale che lui se voleva, poteva costruirsi un circuito privato di strade nel quale correre alla velocità che più gli aggradava… Il suo amico Roberto (nostro trait d’union) gli dava ragione, almeno in via di principio.

L’osservazione era proprio debole come appare, d’altronde Roberto e altri accoliti non erano nuovi a osservazioni infelici…

Mi ricordo qualche anno prima quando (era il 92, quando era uscito Forrest Gump di Zemeckis) Franco, e Roberto, una sera criticarono la mia lettura politica del film, che apparentemente sdoganava i portatori di handicap mentre, in realtà, era un film a uso e consumo dei normodotati: Forrest veniva accettato nonostante la sua diversità non proprio in base a quella… per cui il criterio di normalità, lungi dal venire integrato ed espanso (è normale anche chi sta su una sedia a rotelle) continuava ad essere amministrato dai normodotati che, in deroga alla normalità, accettavano i diversi facendo finta che la loro diversità non ci fosse (uuuh come sono buoni…!) e, intanto, confermavano la regola proprio con questa eccezione magnanima…

Insomma lo avevo bollato come film fascista e Franco e Roberto criticavano l’uso di questo aggettivo… perché secondo loro i film non sono politici, sono film (cioè storie) e basta… Lo so, direte voi, ma che amici ti scegli, avete ragione, ma il punto non è questo.

Più tardi, quella stessa sera, assistendo a un’intervista televisiva a Woody Allen fatta da Ciak, l’intervistatrice paragonò il film di Allen (che, se non ricordo male, era Herry a pezzi) a quello di Zemeckis, al che Allen, balzando sulla sedia, disse: “ma no cosa fa paragona quel film fascista al mio?...”.

Ricordo il silenzio di Roberto e Franco… che fecero finta di niente mentre io, senza infierire, mi godetti la loro imbarazzata nonchalance.

12 anni dopo l’europarlamentare britannico Chris Davies propone una legge che porterà al divieto di costruire auto che superano i 162 km\h entro il 2013.

Chissà cosa ne penserà oggi quel trekkies berlusconiano… se si ricorderà di quel ragazzo magro (eh sì anche io lo sono stato… giovane E magro) che aveva idee a suoi dire illiberali (“comuniste”) dettate invece dal buon senso (anche Beppe Grillo ne ha parlato nei suoi spettacoli…).

Certo, nell’educare i giovani bisognerebbe anche insegnarli a rispettare il codice stradale ma, nel frattempo, una legge che impedisca la costruzione di automobili che …inducono in tentazione è già un primo passo verso uno stato che si prende cura dei propri cittadini…

È proprio vero che mi piace la fantascienza! :-D

15 settembre 2007

Tu quoque Cold Case...

Ormai guardo solo fiction come una vecchia zitella.

Come dite? SONO una vecchia zitella?!?!?

Simpatici!

Guardo Cold Case serie che ho visto saltuariamente, infatti siamo giù alla quarta stagione e io avrò visto in tutto sì e no 8 episodi(!).

Nel primo episodio della quarta stagione, Rampage (Gioco al massacro), come in un episodio di Numb3rs (Dark Matter) di cui ho già avuto modo di parlare, due giovani ragazzi sparano in un luogo pubblico. In Cold Case sono due giovani teenager a uccidere degli ignari avventori di un centro commerciale e poi a suicidarsi.

Memore della scelta estetizzante di Gus van Sant che all’argomento dedicò il film Elephant (nel quale, e non si capisce perché, i due ragazzi uccisori fanno sesso fra loro…)

Elephant

i due ragazzi assassini di Cold Case hanno i volti belli e dannati di

Kyle Gallner

e Will Rothhaar.

Mai un teenager grasso o brufoloso (negli States poi!!!), solo e sempre belli e dannati…

Anche se Cold Case non tratta gli argomenti con la stessa disinvoltura e ars semplificatoria di Numbe3rs, la musica nella sequenza della sparatoria è appena più soft (in Numb3rs è un pezzo metal qui un pezzo un po' più grunge dei Filter Hey Man, Nice Shot, la potete sentire nella clip) sottolineando strane affinità tra violenza e genere musicale, come se bastasse una musica un po’ più ritmata a generare o sostenere la violenza (evidentemente nessuno si ricorda dell'impiego di Beethoven e Rossini nelle scene di violenza di Arancia meccanica di Kubrick… ma d'altronde questa è tv non cinema…) .

Arancia meccanica

Cold Case
mostra una delle due famiglie dei due ragazzi che hanno commesso la strage come una famiglia normale (mentre nell’episodio di Numb3rs uno delle madri dei ragazzi armati è addirittura una ragazza madre, mentre la famiglia di una altro dei ragazzi si è appena separata) però non riesce ad evitare il parallelo tra videogioco e violenza per cui se spari e ammazzi gente innocente (e già perché se non fosse gente innocente… chi se ne frega se è morta per mano di due ragazzi…) nel videogame poi lo fai anche nel mondo reale…

Comunque la leva finale, suggerisce il telefilm, è la fama. Si uccide per diventare famosi e la causa scatenate una ragazza, che, conoscendo la propensione all’omicidio dei due ragazzi in questione, li istiga a uccidere per vendicarsi di una (semi)violenza appena subita dal suo moroso e da alcuni suoi amici…

Cold Case

Bella la trama, nevvero?

Mi immagino una mamma o un papà molto distratti (quelli medi di oggi in Italia e non solo) che guardano Cold Case, mandato in onda in prima serata anche se la signorina buonasera si spertica ad avvertirti che per i contenuti e le scene il programma “è adatto a un pubblico adulto” (e se oltre ai videogame anche i telefilm fossero a rischio di emulazione?), i quali si preoccupano che il figlio (mai la figlia…) che passa ore a giocare col videogame possa diventare come “quelli lì” e sparare e magari si alzano e fanno a pezzi il videogioco, o forse la testa del figlio (o l’emulazione vale solo per glia adolescenti…?)…

Insomma, se i telefilm servono per intrattenere, e magari, mentre intrattengono fanno riflettere, se lo scopo della fiction è quello di (ri)raccontare il mondo per rifletterci su ma un po’ anche per digerirlo in una sorta di schermo proiettivo perché mai i telefilm americani che popolano adesso i palinsesti italiani sono così a corto di idee da ammannirci la solita idea balzana e reazionaria che se i giovani sbroccano la colpa è di qualcosa che piace loro (i videogame, etc.) e mai della società intera in cui vivono (media compresi) e crescono ?

In maniera del tutto inconsapevole Cold Case si fa memento di una società che ignora gli adolescenti fin quando non diventano adulti inducendoli così a emulare gli adulti in quel che sanno fare meglio (usare le armi…) invece di riconoscere agli adolescenti lo status di persona a sé, con le sue peculiarità che tutti quanti consociamo bene perché tutti, nostro malgrado, siamo stati adolescenti, mentre la società degli adulti fa di tutto per fartene dimenticare, per sublimare la tua adolescenza perché è nell’adolescenza che si è ancora critici, sovversivi, fuori dagli schemi, diventando adulti significando proprio diventare square borghesi, irreggimentati, seri. Così Cold Case ignora (o è ignaro…) di quel che davvero spinge dei giovanissimi a uccidere e uccidersi e propina le solite idee di merda degli adulti lobotomizzati che diventiamo tutti quanti appena ci sentiamo cresciuti, adulti, persone e non più ragazzi…

14 settembre 2007

14 settembre 2003

Stavo sul treno, mi ricordo. L’aria condizionata era troppo alta ma ero più infastidito dal fatto che l’estate stesse finendo che dall’aria gelida (anche se la mia ipocondria già mi portava a preoccuparmi di improbabili raffreddori…). Mi stavo recando a un appuntamento di lavoro (programmazione didattica per il Liceo Malpighi) quando il cellulare squilla e Tonino, con voce funerea, mi dice “devo darti una brutta notizia”. Mi si gela il sangue, quel tanto che non ha già gelato l’aria condizionata. e, mentre aspetto che mi dia la brutta notizia, penso a morti, incidenti di amici-conoscenti-parenti, Mina?!!?!?

Intanto Toni mi dice che Giuni Russo non c’è più…

Io rimango come un fesso…. Nemmeno sapevo stesse male, com’è possibile che sia morta?!?

Mi sento di merda… non pensavo fosse davvero una brutta notizia…

Sono affranto, triste, davvero dispiaciuto… il dolore che traspare dalla voce di Tonino mi fa compagnia ma mi sento desolato, solo, penso chissà perché alla mia di morte... “volevo che lo sapessi da me” mi dice Toni e mi fa tenerezza, mi commuovo, quasi piango… Parliamo un po’ del cancro, dei suoi capelli corti alla sua ultima apparizione televisiva al festival di San Remo, al senno di poi che ti fa capire tutto e vedere meglio le cose…

Scendo dal treno e Paola già mi aspetta in macchina. Mentre ci rechiamo a casa sua per la programmazione lei accenna con pudore a Giuni e allora capisco che è davvero morta, che non inciderà più dischi, non la vedrò più sul palco, in tv; che di lei resterà la sua musica, la sua voce incisa, che sopravvivrà a tutti noi, ma la Giuni Russo in carne ed ossa non c’è più e non potrò mai più incontrala, conoscerla, andare a sentirla cantare.

Era il 14 settembre del 2003.

Son già passati quattro anni… e tutti sembrano essersi dimenticati della sua morte, di Lei.

Io no.

Mi vengono in mente due versi di una sua vecchia canzone: “quando mi prende la malinconia mi metto a letto a pensare a te…”.

Ciao Giuni!


13 settembre 2007

Pauline Ester


Quando ancora non ero zitel... ehm, ...un single, avevo la bellissima abitudine di andare quasi tutti i sabati da Revolver storico negozio di Roma famoso per i dischi metal e indie ma dove trovavi praticamente di tutto. Nel mare ottimo dell'usato io mi ci immergevo arrivando ad ascoltare anche 15 cd tra quelli che sceglievo tra offerte speciali e sezioni varie in cui la musica è incardinata. Spesso mi lasciavo incuriosire da una foto, da una copertina, da un titolo, spesso i dischi risultavano inascoltabili (almeno per il mio orecchio) ma altrettante volte ho scoperto perle inestimabili. Il bello di Revolver è che decidi di acquistare i dischi DOPO averli ascoltati, se non ti piacciono non sei obbligato ad acquistarne nemmeno uno (ma non sono mai uscito dal negozio a mani vuote...).
Una di queste è Pauline Ester, della quale ricordo una canzone in particolare (oui j'l'adore) che mi accompagnò ossessivamente mentre scrivevo la tesi di laurea...
Pauline fa un pop molto francese che in Italia di solito non piace (tranne al sottoscritto, che l'adora...). Mi intenerisce quel retrogusto malinconico che la musica pop francese porta sempre con sé, omologo a quello di certa musica brasiliana, fatte le debite proporzioni e mutatis mutandis si intende...

Non ho trovato quella canzone su youtube, ma c'è invece il video di un'altra canzone (dello stesso lp) Le monde est fou...


Le monde est fou
Paroles: Pauline Ester. Musique: Frédéric Loizeau 1990

Le bébé à doudou est tombée dans la boue
Teille ça l'a rendue folle elle lui donne des coups
Coup de bâton, coup de balai, coup de bambou
Si elle continue comme ça lui cassera le cou
Mais malgré tout le doudou est amoureux de la bébé
Bébé si douce avec doudou entre deux coups de balai

Le baba tout béat est bêta d'observer
Qu'il a eu beau crier rien non rien n'a changé
Fatigué de rester dans les coulisses
Il s'est engagé dans la police
Et aujourd'hui le baba est amoureux de sa patrie
C'était bien ce qu'il voulait être gardien de la paix

Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !
Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !

J'ai envoyé du pain pour sauver les enfants
Qui meurent de faim dans le petit écran
Quelle surprise en voyant qu'un militaire
S'envoyait tout cru mon sandwich au gruyère
Car voyez-vous notre pays est amoureux de ses bébés
Il leur envoie des caisses entières de balles de revolver

Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !
Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !

S'il est une morale alors gagnons
À connaître la fin de la chanson
Mais pour cela il n'est pas nécessaire
D'attendre que le monde soit mis en bière
Car voyez-vous il suffit d'être amoureux de la vie
Et si vous le dites avec des fleurs évitez les soucis

Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !
Le monde est fou, fou, fou, fou voyez-vous !



Oggi Revolver, tanto per testimoniare che i tempi sono cambiati e nulla dura per sempre, non so più dove sia, se si è trasferito, se ha chiuso (da quando ha aperto La Feltrinelli che vende dischi come si vendono gli ortaggi le sue vendite sono calate... ma temo che il declino fosse precedente), se c'è ancora...
So solo che mi piacerebbe riprendere quella vecchia sana abitudine... Chissà quante altre Pauline ci sono che mi aspettano!!!!

12 settembre 2007

257 morti sul lavoro dal 1º novembre 2006

(dato calcolato sulla base delle notizie riportate dalle agenzie di stampa)

TORINO, 11.
Nuovo lutto sul lavoro. Un operaio di una ditta di ristrutturazioni al lavoro in una villa di Revigliasco, nel Torinese è morto questa mattina. Secondo le prime informazioni sembra che l'uomo, alla guida di un automezzo abbia urtato con la gru del veicolo un arco che si trova all'ingresso della villa. In seguito all'urto parte dell'arco è crollato investendo l'operaio.

(da "L'Osservatore Romano" di oggi)

La scienza e dio


Papa [Benedetto XVI]:
''Senza verità cristiana la scienza diventa terribile minaccia''

Per il Pontefice, ''l'Europa è diventata troppo povera di bambini e questo è un segno che le nostre società non si fidano più del futuro e che vogliamo tutto per noi stessi''. E aggiunge: ''Non disprezziamo le altre religioni''

Mariazell, 8 set. (Adnkronos/Ign)

- L'incapacità di credere nella verità della fede è all'origine della crisi dell'Occidente, in tal modo non si può distinguere il bene dal male e le conoscenze scientifiche diventano ambigue. E' questo uno dei passaggi centrali dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel corso della messa celebrata questa mattina al santuario mariano di Mariazell in Austria. ''Di fatto - ha detto il Papa - la nostra fede si oppone decisamente alla rassegnazione che considera l'uomo incapace della verità - come se questa fosse troppo grande per lui''.

Da qui la considerazione generale: ''Questa rassegnazione di fronte alla verità è il nocciolo della crisi dell'Occidente, dell'Europa''. Così, ha proseguito il Papa, ''Se per l'uomo non esiste una verità, egli, in fondo, non può neppure distinguere tra il bene e il male. E allora le grandi e meravigliose conoscenze della scienza diventano ambigue: possono aprire prospettive importanti per il bene, per la salvezza dell'uomo, ma anche - lo vediamo - diventare una terribile minaccia, la distruzione dell'uomo e del mondo. Noi abbiamo bisogno della verità''.

Poi il Santo Padre ha lanciato un allarme: ''L'Europa è diventata troppo povera di bambini, e questo è un segno che le nostre società non si fidano più del futuro e che vogliamo tutto per noi stessi''. Sottolineanddo che ''il bambino Gesù ci ricorda anche tutti i bambini del mondo'', bambini ''che vivono nella povertà; che vengono sfruttati come soldati; che non hanno mai potuto sperimentare l'amore dei genitori; i bambini malati e sofferenti, ma anche quelli gioiosi e sani'', Ratzinger fa riferimento al vecchio continente: ''L'Europa è diventata povera di bambini''. Poi aggiunge: ''Priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore, quando il volto di Dio non splenderà più sopra la terra''. Perché ''dove c'è Dio - ha chiosato Ratzinger - là c'è futuro''.

''Gettiamo ancora brevemente uno sguardo al Crocifisso sopra l'altare maggiore - ha affermato il Papa - Dio ha redento il mondo non mediante la spada, ma mediante la Croce. Morente, Gesù stende le braccia. Questo è innanzitutto il gesto della Passione, in cui Egli si lascia inchiodare per noi, per darci la sua vita''. E, conclude, ''se pensiamo a Dio come l'unico mediatore della salvezza valido per tutti, che interessa tutti e del quale, in definitiva, tutti hanno bisogno - ha spiegato il Pontefice - questo non significa affatto disprezzo delle altre religioni, né assolutizzazione superba del nostro pensiero''. Ma, ha osservato Ratzinger, ciò significa ''solo l'essere conquistati da Colui che ci ha interiormente toccati e colmati di doni, affinché noi potessimo a nostra volta fare doni anche agli altri''.

(fonte Adnkronos)


LA SCIENZA NON HA BISOGNO DI NESSUN DIO

di Carlo Flamini (da “Il manifesto” dell’11 settembre 2007)

Le verità di papa Benedetto XVI stanno diventando sempre più numerose, e tenendo conto dello spazio che trovano sui nostri giornali e sulle televisioni sarà sempre più difficile contestarle tutte: qualcuna finirà per sfuggirci e a quel punto sarà tutto finito, lui andrà trionfalmente a dama e a noi poveri laici resterà solo la consolazione del suo inevitabile, odioso perdono. Per il momento, però, la parola d'ordine è ancora «resistere, resistere, resistere…».
Tra le molte verità delle quali ci ha gratificato durante il suo viaggio in Austria, ne colgo due che sono un po' più delle altre alla mia portata: la prima afferma che l'uomo per il quale la verità non esiste non può distinguere tra il bene e il male e che il cattolicesimo si oppone a questa rassegnazione; la seconda verità riguarda i rischi che derivano da
una scienza che non riconosce la morale e non vuole fare riferimento a dio, rischi che possono giungere fino alla distruzione dell'uomo e delmondo. L'uomo, dunque, ha bisogno della verità. Di quale, potete immaginarlo.

L’attacco di B 16

Direi che questo è un robusto attacco portato ai principi della laicità, almeno a quelli sostenuti da Abbagnano, Calogero, Jemolo, Lecaldano, Mori, Giorello. La cultura laica è nata dalla confluenza di molte forme di pensiero che hanno ritenuto necessario affrancare la filosofia e la morale dalla religione positiva: sono le stesse idee che hanno percepito come una forte istanza civile il diritto alla libertà di coscienza e che hanno consentito il progressivo distacco del pensiero politico dalle richieste della religione, costruendo quella nuovamentalità alla quale dobbiamo la prevalenza della ragione sul mistero. Così la scelta definitiva del pensiero laico è stata quella di rifiutare la verità rivelata, il dogma assoluto, sostenendo la priorità della libera ricerca delle verità relative. Questo fermo atteggiamento di rifiuto delle verità rivelate lo si ritrova in tutte le definizioni credibili di laicità, certamente non nelle incredibili manipolazioni con le quali il mondo cattolico ha cercato di esorcizzare una parola per lui straordinariamente odiosa.
Prendo ad esempio Calogero: laicità è unmetodo di convivenza di tutte le ideologie e di le filosofie possibili, che debbono rispettare, come regola primaria, il principio che nessuno può pretendere di possedere la verità.
Dunque, la laicità è l'atteggiamento di chi non crede nella metafisica e nel trascendente e di chi ritiene che il mondo basta a se stesso e non ha alcun bisogno di essere fondato metafisicamente. Distinguere una razionalità povera e umile perché incapace di librarsi nell'empireo della metafisica e una razionalità nobile e virtuosa perché aperta alla spiritualità è una acrobazia dialettica.
In realtà il mondo ha bisogno di un'etica razionale che sia in grado di assicurare a tutti la libertà e di adeguarsi continuamente alle mutevoli circostanze storiche.
I dieci punti del papa sulla laicità, invece di dimostrare l'esistenza di una verità unica e assoluta, il cui bagliore cancella tutte le altre pretese verità, invece di dimostrarci la verità del logos, cerca di convincerci che la fede è razionale perché la razionalità ha bisogno della fede, dimenticando che gli assiomi possono essere accettati quando si discute di geometria euclidea, non quando si deve dimostrare l'esistenza di dio. Sarà bene ricordare a tutti che la nostra società si è data delle regole:se qualcuno vuole dimostrare agli altri la fondatezza di una sua teoria deve farlo rispettando queste regole, se non lo fa gli altri hanno il diritto di dirgli che quanto afferma non corrisponde a verità. Uno dei punti dolenti del papa a proposito della laicità riguarda il fatto che essa sembra considerare la religione come irrazionale e indegna di entrare nel dibattito pubblico.
Questo argomento merita qualche ulteriore precisazione. Certamente la laicità considera la fede come un fatto privato, una esperienza legittima, che non può però pretendere di condizionare la vita degli uomini, come se il criterio ordinatore della società potesse dipendere dalla metafisica e dal soprannaturale: non si esorcizzano miracoli e fantasmi senza una forte razionalità e una altrettanto forte fiducia nel razionale e chi non possiede queste doti non può immaginare di poter presiedere alla costruzione delle regole.
Altra cosa è lamorale delle religioni, perché trae la sua essenza dal dialogo tra gli uomini e perciò certamente merita grande attenzione. Temo che gran parte delle cose
che ci vengono ammannite sotto l'egida della verità altro non siano che propaganda religiosa, che trae gran parte della sua forza dall'atteggiamento remissivo della cultura
cosiddetta indipendente. Un grande maestro della filosofia laica, Carlo Augusto Viano, ha ripetutamente affermato che da questa propaganda dl cittadino ha il diritto di essere difeso.Ha scritto Viano: di fronte alla pretesa di imporre a tutti, con mezzi spesso discutibili, comportamenti giustificati da considerazioni di ordine religioso e per giunta spacciati per argomentazioni razionali, la cultura indipendente dovrebbe avere il coraggio di dire che queste convinzioni private proposte come base per decisioni pubbliche sono imposture.
Non è cosa di poco conto: le imposture possono essere propagandate con successo se non sono state scoperte, possono essere propagandate e basta se sono state riconosciute come tali. Per difendere i cittadini dalla propaganda religiosa bisogna anzitutto riconooscere che quella religiosa è propaganda, che significa ammettere di sapere che si basa su presupposti gratuiti e surrettizi, ispirati a un sapere fittizio e attinti da libri pieni di falsi. Dunque, un mondo che basta a se stesso e non ha bisogno della metafisica per orientarsi, ha il diritto di scegliere da solo le regole che debbono essere utili per stabilire compiti, confini e limiti della ricerca scientifica: non è cosa nuova e, soprattutto, non è cosa difficile. In fondo la ricerca scientifica non è che un grande investimento sociale, forse il maggiore di tutti gli investimenti nei quali la società si impegna, e ha lo scopo di assicurarle i maggiori vantaggi possibili per la sua qualità di vita e soprattutto per quella dei suoi figli più sfortunati.
In terminimolto semplici, il compito della scienza è quello di conoscere per mettere ordine nel disordine naturale nel quale viviamo. Non vi è dubbio sul fatto che i ricercatori e gli scienziati debbono rispettare una serie di regole (disinteresse, trasparenza, sincerità, onestà intellettuale, scetticismo organizzato) e che chi non riesce ad accettare questo obbligo non fa automaticamente più parte della comunità scientifica.

I confini delle scienza

E' logico a questo punto chiedersi se debbono esistere regole e limiti condivisi e chi li deve definire. Risponderei sì alla prima domanda, sulla base di due principi generalmente condivisi: non tutto quello che la scienza ci consente di fare è moralmente accettabile; non tutto quello che la natura cerca di ammannirci è accettabile da parte della nostra umanità. Mi sembra logico, a questo punto, affidare la definizione di confini e limiti alla morale di senso comune, una morale collettiva che si forma a seguito di diverse influenze e che è certamente sensibile alla intuizione delle conoscenze possibili e dei vantaggi che ne può ricavare, una volta accertata l'assenza di rischi significativi. Entra in campo, con prepotenza, la necessità che questa morale sia messa nelle condizioni di potere decidere da una attenta e scrupolosa promozione della cultura nei campi nei quali le scelte debbono essere operate, quello che gli anglosassoni definiscono il public understanding of science. Gli inglesi ne hanno dato un perfetto esempio con il «sondaggio deliberativo» che hanno utilizzato a proposito della decisione di consentire la produzione di embrioni ibridi. La tecnica, ormai accettata dalla maggior parte dei paesi civili, è relativamente semplice. Si esegue una normale indagine conoscitiva su un certo tema, e a essa si fa seguire una campagna di informazione capillare, coinvolgendo tutti gli esperti, ricercatori e scienziati. Al termine si ripetono le stesse domande della prima indagine per verificare il cambiamento delle opinioni, con l'obiettivo di scoprire quanto la percezione generale
della scienza influisce sull'opinione che i cittadini hanno su un particolare argomento. In questo modo dovrebbero essere accompagnate nel loro percorso all'interno del contesto sociale tutte le innovazioni tecnico-scientifiche, sempre tenendo conto del fatto che se la scienza nasce in vitro, negli ambienti asettici dei laboratori, deve poi essere trasferita in vivo, cioè nella società, dove è destinata a scontrarsi con pregiudizi
e timori.
Tutto sommato, dai messaggi che ci stanno arrivando da molti paesi, dalle loro esperienze e dai successi che vi ha ottenuto il processo di accettazione delle nuove acquisizioni scientifiche, credo che si possa concludere che si può aver fiducia nella scienza e si può contare sulla nostra capacità collettiva di dettarne le regole. Sinceramente non vedo, con buona pace del pontefice, alcun bisogno di dio.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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