13 febbraio 2005

Il Luce fa (ancora) rima con Duce?

Sono andato a vedere la mostra La Roma del Luce, al museo di Roma in Trastevere, ospitato nell'ex convento della chiesa di S. Egidio (splendida la stanza dedicata agli oggetti apartenuti al grande Trilussa).
La mostra, patrocinata dal Comune di Roma, sponsorizzata da un gruppo di banche (BNL, Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena) dovrebbe, nelle intenzioni "mettere l'accento sulla vita di Roma tra il '26 ed il (sic!) '43" (cito dalla brochure).
Ma, appena messo piede nel museo (dove, come in tutti i musei romani si paga daver poco) ti accorgi subito che qualcosa non va.
Il patrimonio del Luce è costituito sia da fotografie sia da immagini filmate (tratte dai cinegiornali). Ebbene, le foto non ci sono, al loro posto ci sono degli enormi pannelli nei quali sono state ingigantite alcune foto (o, meglio, dettagli di foto) il cui scopo è quello di vestire scenograficamente gli angusti corridoi del museo. Peccato che, così facendo, si perda il senso documentale di quelle foto che, agli occhi del visitatore, vengono percepite non per il valore di quanto da esse ritratto (la Roma architettonico/urbanistica, storico/sociale di quegli anni ) ma nel loro valore di oggetti (ingigantiti). Peccato. Dsvvero peccato.
Addentrandosi nella mostra si scopre che la medesima consiste nella video-proiezione di diversi filmati luce, per le quali sono state adibite alcune stanze, tratti da diversi cinegironali, raggruppati per l'età (filmati muti, filmati con sonoro) o per gli argomenti da essi trattati.
Entrando nella prima sala, quella dei filmati muti, ci si accorge subito della natura dell'operazione, ambigua, discutibile e per niente scientifica.
Totalmente assenti sono gli apparati, quelli che ti permettono di capire la natura di queste immagini in movimento, che sono tutti filmati tratti dai cinegironali proiettati nelle sale di tutto il regno e, dove non c'erano sale, dai cine-camion del Luce che arrivava nei più piccoli paesini italiani.
Il Luce infatti (ma questo la mostra non lo dice) nasce nel 24 come istituzione privata, successivamente assorbita dallo Stato, con precisi scopi educativi (Luce sta per L'unione cinematografica educativa).
I cinegironali assunsero una chiara natura propagandistica del regime, tanto che fu il Luce e non il cinematografo (lasciato in mano ai privati, in condizioni economiche sempre precarie) a costituire (assieme alla radio) il precipuo mezzo di comuniazione di massa di cui Mussolini si servì per la sua propaganda.
Ma questo i curatori dela mostra non devono saperlo visto che nella brochure si dice: "La cinematografia è l'arma più forte" aveva detto Mussolini e l'istituo luce si inseriva in questa ottica". Peccato che la dichiarazione del Duce (mutuata da quella, molto più intelligente di Lenin, che avea detto "Il cinema è l'Arte più forte") si riferisce all'inaugurazione di Cinecittà, avvenuta nel 1937, cioè ben 13 anni dopo la comparsa del Luce...
Ma questi sono dettagli.
Le immagini proiettate sono presentate al di fuori del loro contesto naturale (quei cinegironali con tanto di numerazione e anno dell'e.f.) per cui un giovane che non consoce il passato del suo paese o qualche adulto sprovveduto ignora la natura di quelle immagini prese (e montate) con intenti propagandistici si illude che siano, già all'origine state filmate con intenti documentaristici, per lasciare ai posteri una traccia dell'Italia (della Roma) di quegli anni.
Già, l'Italia (la Roma) di quegli anni.
Stando alla natura di quei filmati (proganda signori, propaganda!) la Roma (l'Italia) del ventennio sembra un'Italia allegra, spensierata, calma, dove tutto procede liscio, magari con una punta di provincialismo, qualche naivetè, ma si sa, erano gli anni 20...
Dov'è il fascimo, quello vero? Dove, caro sindaco?
Quelle immagini non possono certo dircelo... Ecco che gli apparati avrebbero dovuto dire qualcosa di più (qualcosa Veltroni, anche non di sinistra, ma qualcosa!).
Non è la prima volta che il luce presenta all'Italia il suo patrimonio di cinegironali, ma lo fa sempre in questo modo non scientifico (si tace l'operazione di montaggio che è sata efettuata nel presentarcele oggi, così come l'origine, le fonti, dei materiali stessi...), anti-storico (si ha la presuznione di credere che quelle imagini hano valore di documento in quanco calco dela realtà che rapprensetano e non come operazione di restituzione di una realtà che scaturisce dall'epoca storico-sociale di provenienza...) e, sotterraneamente (nostalgicamente) fascista.
("Ma cosa vuoi che sia stato il fascismo! Qualche scappelotto a chi rompeva le scatole, ma poi si viveva bene...").
Dire che il fascismo è stata una dittatura significa tutto e niente... Ditattura è un concetto troppo astratto... Proviamo allora a vedere, tra le altre cose, cosa è stato il fascismo concretamente, nella vita di tutti i giorni, ci aiuta, no, non uno storico del fascismo, ma un (grande) strorico del cinema come Guido Aristarco che, nel suo bellissimo Il cinema fascista Il prima e il dopo, dice:

Dalla "marcia su Roma" al 1929 erano accadute molte cose. Abolizione della festa del Primo Maggio (...) Viene (...) abolito il diritto di sciopero, (...) annullamento dei passaporti per l'estero, definitiva soppressione dei giornali antifascisti, scioglimento dei partiti, dei sindacati e delle associazioni che svolgono attività contraria al regime, istituzione del confino di piolizia (...). Legge per la difesa dello Stato: condanna a morte per le attività "sovversive".

(Guido Aristarco Il cinema fascista, Edizioni dedalo, Bari 1996, pp. 68-69)

Lista parziale e incompleta, ma nessuna di queste cose viene detta, nemmeno tra le righe, prima o dopo la proiezione dei filmati alla mostra.
Un senso di indignazione cresce in me tanto che abbandono la sala e il museo.
Mi manca l'aria in questo museo di merda, e, prima di venire catapultato, come in un film di fantascienza di serie b, di nuovo in quel ventennio altrettanto di merda, esco a respirare aria pulita.
Non ho visto le proiezioni nelle altre sale, ma quel che ho visto nella prima sala vale per tutte le altre.
Mancano date e precisi riferimenti a ciò che si vede. E visto che si tratta di una mostra su una Roma del passato (che forse non ce più o, se c'è ancora, è sicuramente diversa), perchè non cercare di individuare l'urbanistica delle immagini presentate, l'ubicazione delle vie riprese nella toponomastica della città eterna? Ci si limita alla buona volontà dei singoli visitatori: se uno riconosce qualcosa esclama in sala :"Uuh! guarda, Monteverde!" altrimenti è Roma perchè sapere anche il quartiere? Una mostra fatta al risparmio dunque, dato che i filmati son già pronti e al luce non costano niente, mentre pagare qualcuno che riconosca i luoghi (mica tutti, bastava anche solo qualcuno) e lo indicava nei filmati (ma bisoganva fare le didascalie... e quelle costano...) voleva dire impegnarsi a fare una mostra almeno decente.

Una mostra pericolosa, che dà del fascismo (e di Roma) non un'immagine parziale ma una distorta e storicamente falsata, un piccolo golpe dunque, un riuscitissimo (e ignorato da tutti) atto di revisionimso storico pagato coi soldi del cittadino e patrocinato da Veltroni il sindaco (ah, perchè, abbiamo un sindaco?!).


1 commento:

Anonimo ha detto...

caro Ale,

Non so se è una mia impressione, ma mi sembra che da un po' di tempo a questa parte propongano delle mostre (e anche dei programmi TV) di natura "storica", dove di storicità ce n'è in realtà ben poca...La storia è diventata una simpatica tappezzeria dove appendere i ricordi di una generazione (ti ricordi di quando...). Ma i ricordi in sè non bastano a dare obiettività alla storia. Non basta: alcune mostre sono fatte in grande economia - e si vede - sino al punto di rasentare la "sòla".Mi viene in mente quella su Picasso al Museo del Corso,dove c'erano in realtà solo pochi quadri e il resto pubblicità...Inoltre le informazioni che vengono date alle mostre si pagano ormai "a parte", come le consumazioni nei locali notturni.(walkman,ecc.)Che dire? Che questo è un modo di fare cultura falso e assai paternalistico.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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