14 aprile 2008

La legge sul'aborto

Un articolo del manifesto per ricordare (o scoprire) la storia del paese che ha portato alla 194.



Con l'aborto andò così E il manifesto disse no
Il sì del Senato arriva appena nove giorni dopo l'assassinio di Aldo Moro. Con lo scambio di voti e astensioni tra Pci e Dc si consuma il massacro di una legge. Esplode la rabbia delle donne
Eleonora Martini

«Ci sono leggi che segnano più di altre o in modo più immediato la vita quotidiana, che ne cambiano per così dire la qualità. La legge che ieri sera il Senato ha definitivamente approvato, con 160 voti contro 148, è certamente una di queste».
Il 19 maggio 1978 Miriam Mafai annuncia così dalla prima pagina de La Repubblica il varo definitivo della legge 194 con la quale l'Italia legalizza l'aborto. Il Corriere della Sera titola invece: «Legge necessaria, scelta dolorosa». Con il sì di Palazzo Madama si mette fine - così almeno sembrava all'epoca - ad anni di battaglie e scontri politici e culturali. Un clima che negli ultimi tempi è diventato decisamente nocivo alla via del «compromesso storico» su cui si sono avviati insieme i democristiani morotei e i comunisti berlingueriani. La situazione poi precipita quando le Br rapiscono e uccidono, il 9 maggio, il presidente della Dc Aldo Moro. Va da sé che quando il testo di legge arriva al Senato, a soli nove giorni da quel tragico evento, il voto scivola via senza grandi dibattiti ed emozioni.
Ma la vera partita si è già giocata il 14 aprile alla Camera, con una lunga e sofferta seduta. «Pci e Dc si scambiano voti e astensioni e concordano il massacro della legge. La ritirata radicale», è il titolo d'apertura del manifesto, il giorno dopo. Sono passati esattamente trent'anni e vale la pena oggi ripercorrere - a grandi linee - quei giorni, per interrogarsi su cosa abbia rappresentato davvero quel voto del '78 e su come si sia giunti alla formulazione di una legge entrata talmente nella nostra consuetudine da essere semplicemente chiamata «la 194».
Mentre già dal 1973 in Parlamento venivano presentate le prime proposte di legge in materia, come quella del deputato socialista Loris Fortuna, il movimento femminista superando divisioni e lacerazioni interne si batte invece non per la legalizzazione dell'aborto ma per la sua depenalizzazione. Per una forma cioè che permetta di considerare l'intervento abortivo al pari di ogni altra cura medica da assicurare a chi ne abbia bisogno. Poi, nel '75, fanno particolare scalpore gli arresti del segretario radicale Gianfranco Spadaccia, accusato di aver organizzato aborti clandestini in una clinica di Firenze, e delle militanti Adele Faccio e Emma Bonino, che si autodenunciano. E mentre dalle colonne del Corriere della Sera Pier Paolo Pasolini si dichiara contrario moralmente all'aborto, l'Espresso, insieme alla sinistra extraparlamentare, intraprende una campagna per un referendum abrogativo. Ma la vera novità arriva, sempre nel '75, con una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittimo punire l'aborto quando sia in pericolo la salute della donna e invita l'esecutivo a legiferare partendo dal principio che «non si può dare al concepito una prevalenza totale ed assoluta» rispetto al corpo della donna.
Si arriva così al 14 aprile 1978, quando la Camera mette ai voti il testo della 194. La seduta dura 36 ore ininterrotte a causa dell'ostruzionismo dei Radicali, con i parlamentari costretti a passare la notte in Aula, "bivaccando" tra i banchi, come raccontano le cronache dell'epoca. A sbloccare la situazione ci pensa il presidente Pietro Ingrao che convoca nel suo ufficio una riunione con i capigruppo e trova l'accordo con i Radicali: fine dell'ostruzionismo e in cambio, al referendum sul finanziamento pubblico ai partiti previsto per giugno, si aggiungerà un quesito di abrogazione della legge Reale sulle armi. La 194 passa così con 308 voti favorevoli: quelli del Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli e di un drappello di democristiani. Votano contro 275 deputati: quasi tutta la Dc, i Radicali, l'Msi, il Pdup-Dp.
Il testo votato è gravemente peggiorativo di quello originario, messo a punto fin dal gennaio '77 da una commissione parlamentare mista e trasversale che aveva ricevuto il compito di trovare una felice sintesi di tutte le proposte di legge finora presentate. Allora, la legge era stata approvata da quegli stessi scranni anche con i voti dell'estrema sinistra, ma poi era stata bocciata in Senato. In un anno però molto è cambiato, soprattutto negli ultimi mesi: il 16 marzo le Br sequestrano Aldo Moro e uccidono i cinque uomini della sua scorta. Quella mattina alla Camera era previsto il voto di fiducia sul V governo Andreotti, dimessosi l'11 marzo perché il Pci aveva ritirato l'appoggio esterno e chiedeva di entrare nell'esecutivo. Il 9 maggio, dopo 55 giorni che aprono un profondo dibattito tra gli italiani, viene rinvenuto in via Caetani il cadavere di Moro. Il 16 maggio il governo monocolore di Andreotti riottiene la fiducia con il voto di comunisti e socialisti. Anche l'approvazione definitiva della 194 in Senato suggella per certi versi una ritrovata "solidarietà nazionale".
La legge però finisce per scontentare un po' tutti. La Dc, accettando di ritirare ogni clausola che caratterizzasse l'aborto come crimine, incorre nelle ire del Vaticano. E le donne dell'Udi «gridano al parlamento la loro rabbia per il massacro del testo originale», come scrive il manifesto. Due in particolare gli articoli contestati, il 5 e il 12, emendati in senso peggiorativo dalla Dc. Il primo prevede che il medico o il personale del consultorio coinvolga nei colloqui preliminari il padre del concepito, «ove la donna lo consenta». Il secondo prevede una procedura più restrittiva per le minorenni e innalza a 18 anni il limite di età per l'autodeterminazione (nel testo originale era di 16). Altrettanto osteggiato è l'articolo 9 sull'obiezione di coscienza pensato per coloro che esercitando già la professione sanitaria potevano sentirsi costretti a «subire» una norma contraria alla propria morale.
A distanza di trent'anni, stravolto lo scenario politico e sociale, cambiano i personaggi, si ridisegnano ruoli e schieramenti, ma il corpo della donna rimane il terreno preferito su cui giocare tutt'altre partite.

Eleonora Martini

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