27 dicembre 2010

disambiguando un bel post sulla rete

E mentre mi trastullo epr delle inezie su Facebook, dove perdo tempo con persone oltranziste e dogmatiche, (se volete perdere tempo a vostra volta cliccate pure qui) scopro questo bel sito sulla rete da tenere d'occhio perchè è una bella fonte di informazioni e occasione di riflessione. sto parlando di dis.amb.iguando di Giovanna Cosenza che presto saccheggerò!

25 dicembre 2010

puttanate pop 2

Ed ecco, come promessovi la versione, di You and I di Carmen Mc Rae, dal disco Ms. Jazz del 1973. Ascoltate e godete.




Michael Bublè non mi è mai piaciuto. Sta alla musica come io sto alla linea-forma maschile. Bublè semplifica, banalizza rispetto i brani originali che vampirizza, bublerizza restituendoli storpiati e zombielike.

Oggi mi è capitato di sentire una sua versione di un brano di Stevie Wonder poco noto dal titolo You and I, che io conoscevo cantato da Carmen Mc Rae (versione della quale sula rete, maledizione, non c'è traccia) e che non sentivo da tanto tanto tempo.

La canzone è de 1972 ed è contenuta nell'album  Talking Book.


Il testo è un capolavoro, come la musica, ed è una dichiarazione d'amore Totale.

"You And I"

Here we are on earth together,
It's you and I,
God has made us fall in love, it's true,
I've really found someone like you

Will it say the love you feel for me, will it say,
That you will be by my side
To see me through,
Until my life is through

Well, in my mind, we can conquer the world,
In love you and I, you and I, you and I

I am glad at least in my life I found someone
That may not be here forever to see me through,
But I found strength in you,
I only pray that I have shown you a brighter day,
Because that's all that I am living for, you see,
Don't worry what happens to me

Cause' in my mind, you will stay here always,
In love, you and I, you and I, you and I, you and I
In my mind we can conquer the world
In love, you and I, you and I, you and I

L'arrangiamento originale oggi fa un po' orrore, meglio la versione per solo pianoforte che si trova in rete (quella di Carmen è invece un capolavoro di voce e di arrangiamento jazz)



In ogni caso il testo è una poesia.

Ecco la versione che Michael zombi Bublè ha inciso nel 2005 per l'album Caught In the Act


Lo ...zombie toglie via una strofa fondamentale come
I only pray that I have shown you a brighter day,
Because that's all that I am living for, you see,
Don't worry what happens to me
che dà al testo quell'alone di unidirezionalità visto che allude alla possibilità che lui ami lei (o un altro lui perchè no?) all by himself

Così dopo la frase Don't worry what happens to me la successiva 'Cause in my mind, you will stay here always,acquista un significato diverso.

Ma il cretino invece di interpretare  fa il bel canto in barba al testo e alle intenzioni di Wonder... Peccato che non vi possa far sentire la versione di Carmen che fa impallidire anche quella di Stevie stesso (fidatevi).
Appena posso (devo metterla io su youtube) ve la posto.


Diana Krall, Michael Bublè, gli skifitus della musica...

Feel so sad

24 dicembre 2010

puttanate pop

Tutto comincia col film Ready, Willing and Able di Ray Enright (Usa, 1937) della Warner Bros, su musica di Richard Whiting e testo di Johnny Mercer.
Il pezzo è Too marvelous for words.
Un pezzo brioso che nel film compare anche in versione tip tap strumentale


Poi è la volta del film Dark Passage del (Usa, 1947) di Delmer Daves, dove diventa il tema d'amore musicale ed è cantata anceh da Jo Stafford.

Nel 56 Frank Sinatra ne fa un evergreen.


Io la conoscevo grazie a una versione capolavoro di Ella Fitzgerald che però non trovo in rete...

Anche Billie Holiday ne fa una versione swingata


Una canzone che mette gioia e dà voglia di vivere e anche quando è cantata come classica canzone d'amore contiene quel quid di ritmato che al caratterizza (e per il quale è stata concepita).
Poi l'altro giorno inciampo in questa versione.
e quasi mi suicido.
Diana Krall la più soporifiera delle cantanti la più disastrosa delle interpreti, la più scialba cantante della faccia della terra ha rovinato anche questo capolavoro.

Ecco la differenza tra chi sente la musica e chi apre bocca per gittar fori fiato.
Diana Krall o dell'anti musica che piace, come Michael Bubblè, a quelli che di musica non ci capiscono niente.

Pure quando parla dorme. Ma allora se dorme perché non si addormenta per sempre????

Un consiglio: Diana Krall datti all'ippica! E voi smettete di comperare i suoi dischi così smette di inciderli.

ventiquattro dicembre duemiladieci

Doveva essere il 1978. Ricordo perfettamente il piccolo albero di natale che stava in un angolo di camera mia, su una libreria bassa, che, allora, mi arrivava al petto. Mentre dell'albero della casa, che stava all'ingresso, quello grande e vero, i cui capelli d'angelo sarebbero entrati qualche anno dopo nella ...dieta di Buio, il mio primo gatto, mi interessava poco, ci tenevo molto a quell'albero di dimensioni ridotte che avevo chez moi mi faceva sentire già piccolo adulto, che ha le sue cose. Le piccole dimensioni ribadivano al contempo che del natale non mi interessava molto e che avevo già un natale tutto mio. Ero orgoglioso di quel piccolo albero la cui simbologia era modificata in quella mia, privata e personalissima. Nell'albero c'erano delle luci mie di quelle grosse, a forma di orsacchiotto (evidentemente la vita sa dove vai molto prima di te...)  credo le abbia ancora mia sorella e le metta ancora nel suo di albero.

Quell'albero chez moi  mi ricordava del natale anche quando stavo per conto mio, a cantare sopra i 45 giri (Noi noi di Sandra Mondaini... ma poteva anche essere Mettiamo che tu di Loretta Goggi)  quando, sopraffatto dall'energia natalizia, mi ritiravo nei penetralia della casa (la mia stanza era la più lontana dall'ingresso  e dalla camera da pranzo)  lontano dal rumore, dal troppo sfoggiare, dalle troppe persone (le zie e relativi mariti e figli) che avevano da dire la loro una loro smepre omologa ed equipollente, così' distante dalla mia. Ricordo intere giornate natalizie trascorse in camera mia, dietro le quinte, dove pur presnete mi sentivo assente, sottratto alla scena, al palco, alla recita del natale.

Ho tanti ricordi legati al natale, da bambino, come tutti. Quei ricordi che sono in parte riaffiorati dopo aver visto l'ultima Istallazione drammaturgica di Ricci Forte, alla Fondazione Fendi, giusto due giorni prima di partire per quel di Napoli. Ricordi sparsi, contraddittori.
Natale del 1977 quando, la mattina della vigilia, convinco mia madre e mia sorella ad accompagnarmi alla stanza ai colli portuensi (la più distante da casa) per acquistare il 45 giri di Ombretta Colli Luna quadrata (ce l'ho ancora). Ho un vago ricordo di noi tre (io Silvia e mamma) sull'autobus, in una mattina dai colori stranamente estivi (vatti a fidare dei ricordi...). Ricordo dello stesso natale quando mamma aveva disseminato l'albero di regali epr me e mia sorella e io, che già sapevo che babbo Natale non esiste, mi preoccupavo dello sforzo economico che mamma aveva fatto (sforzo economico che non apprezzavo, l'importante era il clima natalizio non i regali, ma come dire a un genitore che si p svenato grazie ma di tutti questi regali non so cosa farmene l'importante è che sie felice tu, anzi noi?)...
Molto meglio il regalo assai laico (Anche se l'aggettivo all'epoca non lo conoscevo) che mi faceva nonna per capodanno e per la befana.  Invece di farmi il regalo a Natale nonna mi regalava qualcosa di costoso per il primo dell'anno. Un disco, un libro, una radiolina. E' da nonna che ho preso l'abitudine di ascoltare la radio, il gr piuttosto che il tg... Il vero regalo era quello del primo dell'anno.
Poi cera la befana che però, per un patto stabilito tra me e lei, richiedeva un regalo economico, simbolico, un piccolo giocattolo, una rivista, qualche oggetto epr la mia camera, dei dolciumi. Era nonna che mi aveva chiesto di scegliere  se avere il regalo più cospicuo per il primo dell'anno o per l'epifania. E io avevo scelto la festa più laica, senza saperlo.
Oggi finalmente all'età di 45 anni posso dire che il natale non abita più in me, nemmeno che non mi interessa (rimarcare un non interesse vuol dire comunque accorgersi della mancanza). Il natale mi è proprio indifferente. Non mi danno nemmeno più fastidio le luminarie o chi lo festeggia. So solo che io sono libero e che, in fondo, lo sono smepre stato, che per me il natale è smepre stata una recita, una sciarada, un modo che la chiesa e lo stato hanno per coglionarci per illuderci che siamo unti e felici mentre in realtà decidono persone come dobbiamo morire figuriamoci se possiamo scegliere come vivere. Una festa talmente assurda che viene percepita come la più importante di quelle religiose (anche le vacanze scolastiche sono le più lunghe) mentre non lo è assolutamente (eppure, da cattivo cattolico, ma almeno io non credo... l'ho creduto per anni), lo è la Pasqua.
Credo però che il ricordo cui sia più legato di quegli antichi natali scolastici è il senso di angoscia per le vacanze che finivano e che mi strappavano a quell'intimità solitaria della casa e mi rispedivano dritto all'inferno, quello che ho vissuto alle medie e soprattutto al Liceo perchè a scuola andavo male e me ne vergognavo da morire senza riuscire a fare nulla per cambiare quello stato.
Quando le emozioni le subivo e non le vivevo.

18 dicembre 2010

Napule è...



...le sfogliatelle appena sfornate così buone che le mangi anche se se rischi di ustionarti la lingua.
Napule è il voi che si dà al posto del lei così  che quando chiedi la strada a una signora anziana dirle scusate ti fa sentire che le stai tributando davvero quel minimo di rispetto dovuto.
Napule è i clienti di un ristorante che entrano nella sala quando tu sei già seduto e che, pur non conoscendoti, ti salutano.
Napule è gli stessi clienti che non battono ciglio se al tuo tavolo uno dei commensali, vincitore del concorso regionale Miss Drag Queen, ha il viso truccato in maniera vistosa ed eccessiva persino per una Drag, perché ha ha i colori della bandiera raibow disegnati sulle arcate sopracciliari.
Napule è la stessa Drag, una delle tante e tanti volontari che ci hanno aiutato a fare il Festival Omovies giorno dopo giorno, è stata tutti i giorni del festival, dalle 17 alle 24, alla cassa del cinema Astra dove si svolge Omovies,  festival di cinema omosessuale (e questioning), a vendere i biglietti, non delle proiezioni (il cui ingresso è gratuito) ma quelli per il party di chiusura.
Napule è le trans che vengono a vedere i film, seguono i dibattiti e dicono la loro su quello che hanno visto. Persone così autoconsapevoli che quando si parla del cliché con cui nei film e nei media  vengono associate alla prostituzione (che per il 90% delle trans è l'unica fonte di sostentamento visto che nessuno le assume per un lavoro diverso), pur ricordando che nessuna trans fa la prostituta per vocazione non nascondono né si vergognano di quel che hanno dovuto fare per mantenersi. 
Napule è la città dove il più completo documentario sul gay pride napoletano (quest'anno nazionale) è stato fatto da un giovane universitario etero.
Napule è gli studenti delle superiori che, pur occupando le loro scuole, fanno lezione in piazza, tra la gente, incuranti del freddo (ma almeno c'è il sole).
Napule è una città dove mangi bene dappertutto e paghi 2 euro per un trancio di pizza e una lattina di coca.
Napule è una città che ha un centro universitario con bar-mensa, a prezzi politici, computer con accesso alla rete gratuito, e centro polivalente con uffici a disposizione di varie attività, pulito, efficiente e funzionante che nessuno sporca o distrugge perché è un bene di tutti e lo lasci così come lo trovi (a Roma durerebbe due giorni poi sarebbe un porcile) perché domani qualcun altro, o magari te stesso, continuerai a utilizzarlo.
Napule è i volontari e le volontarie dell'associazione I-ken, che raccoglie persone gay, lesbiche e trans, che si entusiasmano per i dibattiti che tu, ciccione romano, hai aggiunto alla programmazione del Festival di quest'anno dei film,  e che rimangono tra il pubblico a parlare  e discutere sui film appena visti, riscoprendo come tutti gli altri spettatori e spettatrici  il gusto di dire la propria in un contesto pubblico, in mezzo ad altre persone, parlando davanti a tutti, col microfono, invece che digitare davanti uno schermo telematico.
Napule è la funicolare (o come dicono qui la funiculare) che ti fa sembrare di stare in montagna, dove con sole due fermate sali o scendi un dislivello di qualche centinaio di metri,  con la funicolare organizzata a gradoni e la fermata rannicchiata sulle scale.
Napule è poter mangiare anche in pieno dicembre alle due del mattino, dove il proprietario ti accoglie salutandoti con una stretta di mano e il cameriere bono ti sorride dandoti del tu come ti conoscesse da sempre. Siamo usciti dal locale alle 3 e dentro c'era ancora un gruppo di attori che era venuto a mangiare dopo lo spettacolo...
Napule è i ragazzi gay che si fidanzano giovanissimi e non sono affatto femminielli effeminati e molto checchine come a roma ma dei giovani normali, che magari si toccano il pacco come i loro coetanei etero, senza volgarità e senza malizia, giovani che studiano all'università (se non vanno ancora la liceo) e magari già lavorano e portano a casa soldi. Soldi che mettono da parte perché a san Valentino vanno a Parigi... Napule song'e viche del centro storico che costeggiano o Munastiero 'e Santa Chiara, e tu ti senti dentro la storia tua, perchè quella canzone la ascoltava tua nonna, e poi anche tu (cantata da Mina).
Napule è una città nella quale vivrei volentieri benissimo come mi sta capitando in questa settimana piena di cose da scrivere e organizzare (la mattina) e film da introdurre e analizzare assieme al pubblico dopo la visione (il pomeriggio e la sera, dalle 17 alle 24).
Napule è la città che mi ha ricordato che, per quanto precario sia, amo il lavoro che faccio e sono fortunato a poterlo fare, perché quando vedi che il pubblico resta a parlare anche alle 24 capisci che hai colto nel segno e che la gente non è ancora del tutto morta ma aspetta solo occasioni per potersi risvegliare.
Napule è la mia città adottiva.

3 dicembre 2010

Piscosi per il cineclub Detour

Di solito non amo le proiezioni in dvd diserto cineclub e cineforum che non siano rigorosamente in pellicola. Sono snob e devo mantenere la nomea no? Eppure l'altra sera ho deciso di andare a vedere un film proiettato in dvd, in un cineclub romano, il Detour. Il supporto originale del film è digitale e dunque non ho infranto la mia regola fino in fondo... L'occasione è particolare. La proiezione romana del documentario + o - il sesso confuso Racconti di mondi nell'era dell'Aids (Italia, 2010) di Andrea Adriatico e Giulio Maria Corbelli.
La proiezione è gratuita ma il Detour non accetta prenotazioni. Basta venire prima rispondono solerti alla mia mail. Così con Antonio ci diamo appuntamento una buona ora prima per avere il tempo di bere un caffè al bar dove Peppino e Totò girarono la scena del "Ragionier Casoria" ne La banda degli onesti (Italia, 1956) di Camillo Mastrocinque,

e incamminarci per la prospiciente via Urbana, numero vattelappesca, ma tanto ho visto su google map non è lontano dal bar...

Invece del Detour non c'è alcuna traccia!!! E, per quanto chiediamo a bar, alimentari, Saint Louis Jazz Club, passanti, nessuno sa dirci dove sia (o cosa sia a vedere dalle facce che fanno) il Detour.
Io mi innervosisco, Antonio, più serafico, già pensa a cosa fare in alternativa, entrambi, sudiamo.
Dopo esserci fatti TUTTA via Urbana in su e in giù mentre Antonio commenta sardonico ecco un esempio di lotta all'aids in italia, nessuno sa cos'è, chiamo casa, Giovanni mi dà il loro numero di telefono, chiamo il Detour e quelli mi dicono il numero, 107, dove c'è il negozio di commercio equosolidale. A me e ad Antonio cadono le mascelle a terra. Siamo passati 3 volte davanti quel negozio che avevamo escluso automaticamente anche perché attraverso le ampie vetrine si vedevano avventori e merci eque e solidali non clienti del cineclub.... Invece, quando lo raggiungiamo notiamo anche, incastonata nella vetrina, la scritta Detour, che prima non avevamo notato...
Entriamo, districandoci tra clienti che non si spostano di un millimetro per fati passare, facciamo la tessera, gratuita anche quella, entriamo in sala e un tizio occhialuto ci dice che i posti sono prenotati. Io commento ma come ? mi avete risposto che non ce n'era bisogno?!?!

Il tipo mi risponde:
1) che non dipende da loro perchè la serata non l'hanno organizzata loro
ma allora perché non mi hanno risposto così alla mail ?

2) che non posso pretendere niente visto che la serata è gratuita (!?!?!)

3) che non sono posti prenotati ma riservati agli ospiti.

Gli faccio notare che mi ha detto prenotati mi risponde (letteralmente, giuro)
Ho detto prenotati ma intendevo dire ospiti... Poi mi guarda e mi dice anzi sa che le dico le chiamo l'organizzatore!!!
Intanto ci siamo trovati un posto su un divano a fondo sala, così quando l'organizzatore arriva offrendoci dei posti noi siamo sistemati e il suo intervento è inutile. Ci garantiscono che il posto è libero e invece non lo è ma chi credeva di averlo preso è gentile e ci concede due dei 4 posti che aveva preso (solo per questo non la zittirò quando commenterà tutto il film con il suo amico...).

Finalmente inizia il film, io e Antonio, sudatissimi, ci leviamo giubbotti e maglioni e ci godiamo il documentario che è molto interessante e ben fatto. Un excursus storico e non sull'aids detto da diversi punti di vista toccando temi diversissimi, forse a tratti con poco approfondimento, ma preciso e intellettualmente ineccepibile.

All'uscita del film penso proprio che non metterò piede al Detour per almeno dieci anni.
Anche se l'idea del tornarci per dare dello stronzo al nervoso occhialuto, visto che, secondo lui, solo pagando il biglietto posso lamentarmi, è molto invitante...

Ma fuori dal cinema mi dimentico di lui e non del film...

1 dicembre 2010

Se il governo censura il profilattico

La campagna 2010 del Governo italiano per la lotta all'aids riprende quella esattamente a di un anno fa e prevede questo spot anonimo, firmato da Ferzan Ozpetek.



Ieri il Ministro per la salute Fazio ha dichiarato a un incontro indetto alla vigilia della Giornata mondiale contro l'Aids che l'aids
dimostra come sia importante promuovere comportamenti sessuali responsabili e collocati all'interno di relazioni stabili: cosa che il Governo intende fare1.
Ha anche aggiunto che
le categorie a rischio sono meno identificabili perchè l'Aids colpisce anche le coppie normali2 
Chissà quali sono per il governo le coppie anormali.
Per chi vuole sapere qualcosa sulle caratteristiche della diffusione del contagio ecco l'ultimo rapporto disponibile< dell'Istituto Superiore della Sanità.



Il fatto è che né nella campagna né nelle parole del ministro (né nel post sul sito) si fa almeno un cenno all'unico mezzo in grado oggi di proteggere dal contagio del virus (nonché dalle malattie a trasmissione sessuale e anche evitare gravidanze indesiderate): il profilattico, volgarmente detto preservativo, o, per chi ama le parole straniere, condom, ma c'è anche il francese capote.

Insomma meglio lo spot tristanzuolo di tre anni fa con Ambra Angiolini come testimonial


La quale (o chi per lei ) si dimentica che il profilattico non protegge solo dall'aids e quando invita a usarlo lo fa come stesse invitando dei malati terminali di cancro a continuare a fare la chemio!!!!
Un po' di allegria perdio!!!

Ora invece niente. Niente preservativi. Solo il test hiv. Siamo nelle mani degli altri e se ci scopriamo sieropositivi voilà basta la castità, come invitava a fare Donat Cattin (ministro della sanità) nel 1988.

Molto meglio una pubblicità commerciale fatta cioè da chi i condom li produce del lontano (da ogni punto di vista) 1992...








1) fonte AdnKronos


2) fonte agi

30 novembre 2010

Ancora Mina!


Mina regala ai suoi fan una straordinaria sorpresa per Natale pubblicando su cd i quattro brani inediti realizzati appositamente per la colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo “La banda dei Babbi Natale”. Il cd si intitola “Piccola Strenna” e sarà nei negozi da martedì 30 novembre, come cd singolo oppure in una  “Deluxe Edition” natalizia unitamente all’ultimo album di Mina “Caramella”.
“Piccola Strenna” si apre con “Mele Kalikimaka”, un brano natalizio gioioso e solare, cantato parte in inglese e parte in lingua hawaiana, già in radio. “Walking the town” è invece una canzone in puro stile rock inglese che aderisce perfettamente all’ambientazione di una particolare scena del film, così come “Il sogno di Giacomo”, le cui note sottolineano l’incubo ricorrente di uno dei protagonisti, rimandando alle atmosfere delle colonne sonore più classiche, con la voce di Mina che  accompagna le musiche con vocalizzi da brivido.  Infine, il più conosciuto tra i brani natalizi, “Silent Night”, è proposto in una emozionante e suggestiva chiave a ballad jazz.
Come di consueto, le copertine sono a cura di Mauro Balletti che per “Piccola Strenna” ha ripreso pennino e calamaio per realizzare un delizioso disegno a tema natalizio dal sapore antico, mentre per il doppio cd ha spolverato di stelline scintillanti la cover di “Caramella”.
Il film “La banda dei Babbi Natale” con Aldo, Giovanni e Giacomo è diretto da Paolo Genovese, prodotto da Paolo Guerra per Medusa Film e Agidi s.r.l. e sarà nelle sale cinematografiche il 17 dicembre.






“PICCOLA STRENNA”



1. MELE KALIKIMAKA (R.Alex Anderson)
Arrangiamento e sax : Gabriele Comeglio – Batteria: Diego Corradin – Basso: Lorenzo Poli – Steel Guitar e ukulele:Giorgio Cocilovo – Piano: Franco Serafini – Tromba: Emilio Soana – Trombone: Marco Parodi – Tecnico  di  registrazione e mix: Celeste Frigo


2. WALKING THE TOWN (Samuele Cerri /Franco Serafini)
Arrangiamento e tastiere: Franco Serafini – Batteria: Diego Corradin – Basso: Lorenzo Poli – Chitarre: Giorgio Cocilovo – Archi diretti da Gabriele Comeglio – Tecnico di registrazione e mix: Celeste Frigo

3. IL SOGNO DI GIACOMO (Massimiliano Pani / Franco Serafini)
Archi diretti da Gabriele Comeglio – Tecnico di registrazione Gabriele Kamm – Tecnico di missaggio: Celeste Frigo

4. SILENT NIGHT (John Freeman Young /Franz Gruber)
Chitarra: Luca Meneghello – Tecnico di registrazione e mix: Celeste Frigo
Mastering effettuato da Alessandro Di Guglielmo presso Elettroformati Milano
Prodotto da Massimiliano Pani
Copertina e disegno: Mauro Balletti – Grafica: Stefania La Gioiosa
(Comunicato stampa ufficiale Sony Music Italy) fonte Mina fan club Blog

Monicelli artefice della propria vita (e della propria morte) ovvero lo sciacallaggio di Repubblica

Intanto svegliarsi e apprenderlo da Facebook, tra mille post frivoli e personali, è devastante.

Monicelli è morto.

Vado subito al link di Repubblica e rimango disgustato da un altro esempio di pessimo giornalismo.

Il titolo:
Addio a Mario Monicelli
il regista suicida in ospedale.

Quel "suicida" sottolinea il gesto ma non le motivazioni.

Quelle sembrano essere riportate dal lungo catenaccio
"Se ne va l'ultimo grande del cinema italiano. Aveva 95 anni. Si è buttato da un balcone al quinto piano dell'ospedale romano San Giovanni, dove era ricoverato per un tumore in fase terminale. Le reazioni del mondo della cultura e delle istituzioni"

Insomma la notizia è che Monicelli ha deciso lui quando porre fine alla propria vita, una gran bella vita. Malato di un cancro in fase terminale ha detto basta a una morte doppiamente inevitabile, per sopraggiunta età e per la malattia terminale.

Invece nell'articolo si passa al pudore per il gesto, quasi fosse il risultato della senescenza, e non un coraggioso atto di volontà.

Addio a Mario Monicelli, l'ultimo grande del cinema italiano. Il regista, 95 anni, è precipitato dal quinto piano dell'ospedale romano "San Giovanni". E' accaduto intorno alle 21. Secondo fonti sanitarie, si è tolto volontariamente la vita.
Dunque non è precipitato, si è gettato...

Era ricoverato da qualche tempo nel reparto di urologia, per un tumore alla prostata in fase terminale. Era in una stanza da solo. Non è stato trovato alcun biglietto.
E certo! Un  gesto talmente incomprensibile che un biglietto era proprio necessario. Capite la mente di questo giornalista (sic!) come è abituata al suicidio come gossip, un gesto del quale trovare una causa? Come se 95 anni di età e un cancro terminale alla prostata non fossero una motivazione più che sufficiente. Invece e di sottolineare la grandezza dell'uomo anche nella morte, scelta e non subita, si insinuano dubbi che sono tutti nella mente di chi scrive...
Il corpo è stato rinvenuto dal personale dell'ospedale, a pochi metri dall'ingresso del pronto soccorso, disteso in un vialetto, accanto ad alcune aiuole. Il reparto è presidiato dalle forze dell'ordine. Il padre del regista, Tomaso, scrittore e giornalista, si era suicidato, nel 1946.
Ed ecco la porcata finale. Tale padre tale figlio. Il suicidio è una eredità di famiglia, un male trasmesso dai genitori. Non una opzione di alta dignità etica, per decidere quando finire la propria vita, suggerendo, casomai, che bisognerebbe istituire il suicidio assistito perchè magari Monicelli invece di defenestrarsi poteva andarsene in un modo meno cruento (ma che coraggio! Che coraggio!). Macché
sucida come il padre.
Ladro come il padre. Mafioso come il padre.
Non vi viene da vomitare?

 Tra l'altro, in una intervista a Vanity Fair, del 7 giugno 2007 (ma la fonte è wikipedia...) Monicelli aveva parlato del suicido di suo padre inserendolo nell'orizzonte etico del proprio:
"Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre lo ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto".
Due minuti di ricerca su internet...

Un professionista onesto lo avrebbe fatto. Ma non ci sono più giornalisti onesti in questo paese. Nè cittadini. Ed ecco un terzo motivo per andarsene, vero Mario?!

28 novembre 2010

La rete o del giornalismo feccia

Anche se la mia amica Mariù, a ragione, mi ricorda che non ha senso parlare di cose che hanno consistenza solo sulla rete non posos fare a meno di commentare certi articoli pubblicati sulla rete.
Stamane mi cade l'occhio sul sito Giornalettismo il cui titolo è già tutto un programma.
Tra le notizie leggo questa: Non chiamatemi prostituto, sono un escort gay”.
Niente da invidiare alla carta stampata. Non leggo l'articolo, non spreco più il mio tempo così. Mi cade però l'occhio sullì'...occhiello dell'articolo che dice: Nella notte parigina il sesso a pagamento omosessuale nasce nei bar: ecco le testimonianze di tre protagonisti.

Sesso a pagamento omosessuale...

Cioè non è il sesso ad essere omosessuale, ma il pagamento...
Beh è evidente che un pagamento gay p molto più gentile e morbido...

Giova ricordare Moretti: Chi parla male, pensa male.
Tommaso Caldarelli, l'autore di questo pezzo,  non pensa affatto e nel suo articolo (poi l'ho letto...) dice solo stupidaggini da gossip e non ricorda nemmeno che, nel mondo gay battere non vuol dire prostituirsi, ma cercare qualcuno che ci sta. Per cui la descrizione dei clienti tipo di uno di questi escort, riportata nel pezzo,
C’è l’uomo sposato, che ha scoperto tardivamente la sua omosessualità, o che ha a volte solo bisogno di parlare; poi c’è l’uomo attivo e superindaffarato, che quando è di passaggio a Parigi vuole tirare un colpo veloce ad un bel ragazzo; e poi c’è il ragazzo di 25 anni che ha avuto un colpo di fulmine e vuole passare una bella notte con me
sono tutte cose che soprattutto a Parigi, puoi fare GRATIS, non solo nei locali gay, ma in qualunque altro posto della città, visto che parlare lo fanno tutti e che i ragazzi di 25 anni che si innamorano di altri ragazzi sono gay ben inseriti nella società, con una vita lavorativa oltre che omoaffettiva e non hanno certo bisogno dei soldi per mediare le loro sere di sesso (o di amore).
Ma si sa, l'omosessualità deve sempre rimanere nel sordido...

10 novembre 2010

La rai una velina del governo. Gr2 schiavo del sistema.

Stamane ascolto come sempre il gr2. Tra le notizie ce n'è una su uno spot pro eutanasia che avrebbe scatenato molte polemiche.
Fino a qualche mese fa, già qualche minuto dopo la seconda edizione del gr2 del giorno, quella delle 7 e 30, la principale del mattino, la prima va in onda un'ora prima, potevo riascoltarla su internet. Adesso non più. Ancora alle 8 e 30 è disponibile la prima edizione del gr1 ma non quella del gr2 (l'ultima disponibile del gr2 è quella delle 21 e 30 di ieri, non andata in onda).

Per il momento non posso riportarvi dunque la notizia data dal gr2, in maniera talmente distorta, surrettizia e capziosa che paesanini arresterebbe tutti dal direttore generale della rai in giù con la precisione che mi è solita: cioè la trascrizione parola per parola della notizia tal quale. 
Il fatto però che sulla rete non si trovi il gr2 e che il sito grr privilegi il gr1 come tutto il primo canale rai mi preoccupa davvero... La democrazia in questo paese ce la stano togliendo pezzo per pezzo.

Intanto beccatevi lo spot, brutto, noioso, antitelevisivo, mal doppiato (si vede l'origine non italiana e la lingua originale dell'attore che è l'inglese) con un attacco frontale a questo governo (il peggiore della storia d'Italia) che è probabilmente il vero motivo dello scandalo. Avremo modo di riparlarne.
Appena recupero il podcast del gr2 (domani?) vi rendiconto sulla notizia data in studio e sul servizio nel quale vengo fatte certe affermazioni da far ridere anche il più sprovveduto degli studenti al primo anno di comunicazioni di massa...




Dunque, il podcast è finalmente online. Ecco come viene data la notizia in studio.

E' destinato a riaprire dibattiti e polemiche uno spot televisivo a favore dell'eutanasia già censurato in Australia ma permesso in Canada. Nel nostro paese si attende la risposta dell'Autorità Garante delle Comunicazioni per la trasmissione del filmato su alcune reti televisive al nord ma intanto è già disponibile in rete, ascoltiamo il servizio.
parte il servizio
Sono pochi secondi però destinati ad avere un effetto dirompente per il contenuto che hanno e per il dibattito mai sopito che prevedono di riaprire. Il tema è l'eutanasia legata al diritto di scelta e mentre si attende una risposta da parte dell'Autorità garante delle Comunicazioni che autorizzi la messa in onda su alcune emittenti lombarde lo spot interpretato da Tony Garrani è già fruibile con un click su internet. Bruno Mazzara vicepreside della Facoltà di scienze delle comunicazioni dell'università la sapienza di Roma.

domanda della cronista: ancora una volta la rete cambia le carte in tavola delle regole della comunicazione?

risposta del Prof.
: Certamente perchè la rete porta al massimo delle potenzialità quell'aspetto attivo della fruizione che nel caso della televisione era limitato quando possibile all'uso del telecomando.

domanda della cronista:
Quindi in qualche modo la discussione che si apre sulla questione dello spot è già superata dai fatti?

risposta del Prof.:
cioè se io quello spot lo vedo in televisione diventa semplicemente un messaggio che io posso più o meno accettare se è in rete io lo inserisco in un mio perocorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni.
Viviana Verbaro per il gr2.

Un servizio a dir poco agghiacciante. Non la notizia di per sé ma proprio come viene data.
Per il gr2 dibattiti e polemiche sono la stessa cosa. Peccato che non sia così per la lingua italiana. Il dibattito in quanto Pubblico confronto di opinioni su un tema dato 1 è il sale di ogni democrazia, mentre la polemica, in quanto Discussione dettata da animosità e condotta spesso solo per il gusto di contraddire gli altri2 è esattamente il contrario della democrazia. Non per il gr2 che, fascisticamente, ritiene il dibattito alla stregua delle polemiche, una cosa negativa, qualcosa di negativo perchè è una discussione che è stata chiusa (e non è vero) e guai a riaprirla. Della serie decido io per tutti e per sempre. Democratico, no? Qualcosa che va censurato, come è successo in Australia,  e infatti, dice la speaker in studio, si aspetta il responso dell'autorità Garante delle comunicazioni. Un organismo che non esiste essendo il nome preciso Autorità nelle Garanzie delle comunicazioni, cioè l'Agcom i cui scopi precipui però, lungi da essere censori, sono ben altri.
L'Autorità svolge infatti una funzione attiva di controllo dell'intero mercato delle comunicazioni, i cui attori devono conformarsi in primis ai principi dell'art. 21 della Costituzione: pluralismo e promozione della concorrenza, garanzia di un'informazione imparziale, completa, obiettiva e di qualità.
Ha inoltre competenze in materia tariffaria, di qualità, controllo degli operatori del mercato (fonte Wikipedia.

Il fatto è che l'associazione Luca Coscioni, di area radicale, nel cui statuto si legge che lo scopo è   Promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili (fonte Wikipedia ha comprato i diritti italiani per lo spot pro Eutanasia creato dall'associazione Exit International, lo ha doppiato in italiano con la voce di Toni Garrani (è del doppiatore il nome dell'attore citato nel servizio del gr2, non quello dell'attore che lo interpreta...) e lo ha messo in rete. Il tutto presentato in una conferenza stampa, a Milano, il 9 novembre, alla quale ha partecipato, assieme a Mina Welby e al Segretario dell'Associazione Luca Coscioni Marco Cappato, anche Fabio Ravezzani, direttore di Telelombardia. L'emittente lombarda ha annunciato, la trasmissione dello spot. (fonte Il sito dell'associazione Luca Coscioni Prima di metterlo in onda telelombardia ha voluto sentire il parere preventivo dell'Agcom, assieme alle emittenti locali Antenna3 e Milanow3, cui la messa in onda è subordinata. Ed ecco il perchè l'agcom è stato coinvolto.
Ora, quello che il servizio non dice affatto è che ieri, 10 novembre, sull'Avvenire, il quotidiano dei vescovi, sono stati pubblicati due4 articoli5, entrambi nella pagina degli interni, e quindi non strettamente un editoriale, che criticano e l'iniziativa e lo spot in questione. Repubblica riporta, male, entrambi gli articoli.
CITTA' DEL VATICANO - "Permettere che si pubblicizzi un reato attraverso i mezzi di comunicazione a noi pare inammissibile". Dura presa di posizione di Avvenire sullo spot a favore dell'eutanasia che, lanciato prima in Austraila, è ora stato adottato in Italia dai Radicali "col chiaro intento di provocare un caso" e di "azzardare la dimostrazione del trito teorema secondo il quale il Paese sarebbe più avanti del Palazzo (e della Chiesa, manco a dirlo) nell'esigere la codificazione di nuove libertà ". (La Repubblica)

Peccato che la dichiarazione con cui apre Repubblica non sia già dell'editorialista cioè di chi firma il pezzo (in realtà senza firma) ma riporta (male), le parole di Luca Borgomeo, presidente dell'associazione di telespettatori cattolici Aiart (una masnada di fascisti, ma di quelli proprio brutti). la farse di Avvenire è Come si fa a trasmettere sulle tv uno spot su una cosa che è del tutto illegale? L'eutanasia in Italia non è prevista, quindi con capiamo perchè la televisione debba essere utilizzata per questi scopi Che non è esattamente la stessa cosa riportata da Repubblica. Che Avvenire abbia vocazione dittatoriale, quel che pensano loro deve valere per tutti, è cosa nota (d'altronde cosa aspettarsi da una religione che ti dice che dio ti ama anche se tu non lo vuoi?)ma le argomentazioni dei due articoli, per quanto capziose e polemiche, sono un po' più sostanziose di quanto riportato da Repubblica.
Come a dire che non eiste più una infromazione che possa dirsi tale in questo paese.
Sull'eutanasia di per sé non ho nulla da dire, se non che la posizione morale di chi è contro è diversa da quella di chi è a favore. Chi è contro impone il suo no a tutti, chi è a favore non costringe certo chi non vuole, ma lo permette ha chi esprime questo desiderio. Proprio come per l'Aborto. Ma si sa i Cattolici hanno l'asso di dio, non è l'uomo che parla, dicono, ma Lui quinti taci e obbedisci. Ecco, io userei una bomba ha per disintegrare vaticano e quella merda architettonica di San Pietro. Cioè, non paesanini, ma proprio io io.


Tornando al servizio del gr2, capita l'antifona? Avvenire spara azero contro uno spot ancora non trasmesso in tv e il servizio non riporta le diverse reazioni, la polemica, ma presenta come oggettivamente un problema la comparsa dello spot destinato a riaprire dibattiti e polemiche. Evviva la deontologia!


Il meglio deve ancora venire, quando interviene bruno Mazzara, al quale dobbiamo dare almeno in aprte il beneficio del dubbio perchè la sua intervista è evidentemente manipolata (se la ascoltate sentit4 dei tagli, sicuramente atti a snellire il suo discorso ma che tagliano la frase finale che, così com'è non ha senso se è in rete io lo inserisco in un mio percorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni. delle rappresentazioni di che? Manca qualcosa...


Partiamo dalla domanda un capolavoro di pregiudizi  e giudizi impliciti: ancora una volta la rete cambia le carte in tavola delle regole della comunicazione?

Ancora una volta = lo ha già fatto 
cambia le carte in tavola delle regole ?!?!?! Pessimo italiano ma il senso è preciso. Non le regole teoriche quelle che in Italia non rispetta nessuno ma le carte in tavola, cioè le intenzioni esplicite del gioco. Dunque la rete non solo cambia le regole ma lo fa mostrando di volerlo fare... Capolavoro del doppiamo che andrebbe premiato. Il pulitzer per la velina di stato a Viviana Verbaro!!!


E vediamo finalmente cosa dice il nostro professore universitario. La sua risposta non è detto necessariamente sia alla domanda che sentiamo nel servizio viene detta in studio, non durante l'intervista telefonica...
La risposta però è certa:

la rete porta al massimo delle potenzialità quell'aspetto attivo della fruizione che nel caso della televisione era limitato quando possibile all'uso del telecomando.
Qundi sula rete sono attivo perchè scelgo io cosa leggere e vedere e non mi sorbisco il palinsesto televisivo che al limite posso modificare solo facendo zapping. Peccato che per quanto la scelta sia più ampia che quella televisiva io scelga qualcosa pensato da qualcun altro... Non sia io a documentarmi, ma mi limiti  leggere sul portale del mio quotidiano quel che prima leggevo su carta. Sono pochi quelli che si documentano sul serio (come sto facendo io impiegando molto tempo). E, in ogni caso, la verificabilità delle fonti o ha le stesse autorità del cartaceo e della tv (ansa, agenzie di stampa, quotidiani) p è del tutto aleatoria 8chunque scrive su internet ma non per questo è credibile quel che scrive, soprattutto se non fornisce fonti e pezze d'appoggio).
Non siamo più attivi perchè smanettiamo su internet. Siamo più attivi quando scriviamo la nostra sull'eutanasia e non quando leggiamo quel che hanno da dire gli altri. Per documentarsi internet è solo la prima base la vera documentazione te la fai ancora altrove (biblioteca, etc.). La sindrome di Negroponte miete sempre qualche vittima.

Ma la risposta successiva (ripeto, bisogna vedere il contesto in cui è stata data) lo è dunque almeno per come la usa l'autrice del servizio) è così fascista, così nazista, cosi cattolica (dio ti vuole anche se tu non te lo fili) così agghiacciante che paesanini arresterebbe il prof per ammanco di democrazia.

Cosa dice il nostro ?
se io quello spot lo vedo in televisione diventa semplicemente un messaggio che io posso più o meno accettare se è in rete io lo inserisco in un mio percorso di costruzione dell'immagine del mondo e delle rappresentazioni
Cioè in tv mi fanno illavaggio del cervello e io posso solo dire sono d'accordo o non sono 'accordo. Sulla rete invece mi creo una coscienza critica.
Ora tralasciando se questo sia vero o no quel che ci sta dicendo il prof che lo spot sula rete è più disdicevole che in tv perchè in tv fa solo propaganda sulla rete fa cultura. E questo per lui sarebbe un male? E' una cosa da controllare? Dov'è la democrazia? LA libera circolazione di idee? Non stiamo forse dalla parti di Goebbles che metteva mano alla pistola quando sentiva la parola cultura?

Quindi la tv è buona perchè ammansisce e al limte i fa dire se su un argomento che non ho scleto io sono d'accordo o no (agenda setting)
La rete invece che mi permettere (ammesso  e non concesso sia vero) di formarmi una opinione personale più ragionata è il male.

PAESE DI MERDA INFORMAZIONE DI MERDA UNIVERSITÀ' DI MERDA. ITALIA FECCIA DEL MONDO. ITALIANI CANCRO DEL PIANETA

!?# 





1) Sabatini Coletti

2) Sabatini Coletti secondo significato della parola

3) fonte La Repubblica

4) Eutanasia, uno spot da bocciare

5) Eutanasia: i Radicali ci provano con lo spot in televisione

2 novembre 2010

Festival del film, primo novembre, giorno dei morti

The Socila Network Usa (e getta), 2010, di David Fincher è u film verbosissimo, che puoi seguire benissimo alla radio, tanto poco è film tronfio e inutile come solo gli inventori della rete sanno essere. Vacuo, maschilista, noioso, con un attore protagonista che vorresti prendere a schiaffi per tutta la durata del film e non tanto per il personaggio che interpreta ma per la sua inespressività idiota. se aggiungiamo che ci hanno fatto vedere il film doppiato in italiano la frittata non poteva essere più umidiccia e sporca.
Di frittate ne fanno anche madre e figlio in As melhores coisas do mundo (Brasile, 2010, di Lais Bodanzky, dopo che il padre li ha lasciati per un uomo e lui e suo fratello sonon presi in giro dai compagni di scuola. La prima scopata del protagonista, non con una prostituta dalla quale pur è andato, ma con una compagna di classe un po' zoccola, u fratello maggiore incline al suicidio, salvato dall'uomo del padre che è molto più aperto verso i figli del compagno di lui. Nulla di davvero nuovo ma tutto raccontato con leggerezza, girato bene e che affronta con onestà un tema che finora avevo letto in un romanzo (americano). questo film è tratto da una serie di romanzi intitolati a Momo il giovane protagonista. Un film godibilissimo che in Italia non ha ancora un distributore...
Hold om mig Danimarca, 2010 di Kaspar Munk mostra come il bullismo più becero sia arrivato anche nella patria della democrazia perfetta. Dei ragazzini di prima liceo o terza media svesto non una compagna di classe mimando per gioco uno stupro mentre il resto della classe guarda senza intervenire. Inutile dire chi siano i veri mostri. Il film finisce male. Se la merda è arrivata in Danimarca, vuol dire che l'Italia ne è sommersa...

Festival del film, giornata del 31

Del collettivo Amanda Flor e del film presentato al Festival on avevo sentito parlare e non sarei andato a  vederlo se non fossi stato consigliato. Ad ogni costo Italia, 2010 di Davide Alfonsi e Denis Malagnino, è un film dalla genuina vena narrativa. Il collettivo più che esplorare la società, denunciarne le sperequazioni (come la parola collettivo suggerisce a un vecchio marxista come me...) vuole raccontare una storia e ci riesce benissimo. Una storia sganciata dai film e dalle fiction italiane, la cui amatorialità degli attori e delle riprese (e nonostante alcuni evidenti problemi di edizione, attori sbarbati e poi di nuovo con la barba...) ha una sua autonomia e una cifra personali.  In una società dove al sopruso del furto corrisponde quello delle istituzioni (al protagonista spacciatore è chiesto di trovarsi u lavoro per vedere il figlio minore, messo in un istituto) lo spacciatore si arrangia, tra ispettori di polizia corrotti, nuova delinquenza (marocchina) che si sostituisce alla vecchia guardia nostrana, donne virago e dalla pistola facile, tutto detto con coerenza e credibilità. Ne emerge uno sguardo senza speranza, cattivo ma non incattivito, al quale però è indifferente il lato sociale e, a ben vedere, anche quello etico, ed interessa solo raccontare la sua storia fino alla fine. e questo gusto per la storia e non per quel che c'è prima, o dopo, è anche il più vistoso limite ideologico di questa operazione che risulta però più interessate e difendibile dei prodotti patinati come il film di Jalongo.  Un pulp nostrano, a tratti grottesco, come quando il protagonista decide di far morire di overdose un suo amico tossico perché ha saputo dalla sua donna che ha l'aids (mai sentito parlare di cure?).



 Il secondo e ultimo film della giornata è la proiezione unica di Fuwako No Adagio Giappone, 2010 di Tsuki Inoue. Un film delicatissimo sulla femminilità dal punto di vista di una suora cattolica di mezza età, ai primi sintomi di menopausa, che dopo una vita asessuata ritrova attraverso un se  mistupro una propria dimensione di donna. Il tutto raccontato in 70 minuti, con una fotografia notevole per u film girato in digitale. Una delle poche sorprese del festival, so far, nella sezione più da seguire, occhio sul mondo\focus.

Poi sono andato a teatro nell'unico appuntamento dell'altra metà del mio non lavoro che no sono riuscito ad evitare.

1 novembre 2010

sette film in un solo giorno

Grazie all'alchimia dell'orario che si è incastrato bene il 30 sono  riuscito a vedere sette film sette.
Una magia che no si ripeterà più, anzi, il 3 tra un film e l'altro aspetterò quasi due ore... Ah potessi fare io l'orario delle proiezioni!!!

Alcuni film erano completamente inutili, come Matching Jack Australia, 2010, di Nadia Tass, su una madre che cerca possibili figli illegittimi del marito cornificatore per salvare il figlio dalla leucemia... Meno peggio di quanto possa sembrare, commovente fino alle lacrime (quanto ho pianto!!!) , ma perfettamente inutile come, a quanto sembra tutti i film della sezione Alice nella città di quest'anno visti fin qua ...

Molto interessate Quartier Lointain Belgio, Francia, Lussemburgo, 2010  di Sam Garbarski, il sogno di un disegnatore di fumetti che rivive la propria infanzia scoprendo  le motivazioni che hanno portato il padre tanti anni prima ad abbandonarlo con la madre...

The Freebie (Stati Uniti, 2010, di Katie Aselton, è un film inutile e furbetto sul ménage di una giovane coppia di sposi americani che non fanno più sesso nonostante la loro giovane età e che pensano bene di rinverdire il loro rapporto concedendosi un rapporto extraconiugale. Interno Berlinese, ma in digitale...

Scendendo le scale dopo la visione ho sentito due ragazzine dell'età di Anna Tatangelo, e truccate quanto lei, commentare le attrici del film, la protagonista e quella che interpreta la sorella, due bellissime donne sulla trentina avanzata con pochissimo trucco, dicendo che non erano belle. La tentazione di spingerle giù per le scale è stata forte...

Dog Sweat Iran/Stati Uniti, 2010 di Hossei Keshavarz racconta i maniera illuminante la vita di alcuni giovani iraniani, uomini e donne, alle prese con problemi ben diversi dai nostri eppure simili. Donne non emancipate, che trovano libertà nel matrimonio, che non possono nemmeno incidere canzoni, che fungono da alibi ai mariti gay (che magari non volevano spesarsi e lo fanno solo dopo aver visto le madri in lacrime chiedere a se stesse Perchè proprio io? Perchè a me?. Donne intellettualmente superiori ai ragazzi ( Vuoi fare un film?, dice una studentessa a un ragazzo appena tornato dagli States dove si è laureato in cinema, tanto non diresti la verità, inquadreresti il deserto e due cammelli, mentre la nostra realtà e in questa città (Theran) eppure succubi della stessa visione di femminilità di noi occidentali.
Un film molto interessante di denuncia e non solo della dittatura...

Altro film interessante Shimjangii-Thyney (Corea del sud 2010, di Eunhee Huh) che racconta di una assistente universitaria che torna a fare film porno per svegliare un cuore congelato (che nella sequenza dei titoli di testa mangia letteralmente lordandosi di sangue). La cosa che mi colpisce sempre dei film Coreani è la diversa percezione del tempo: quando l'assistente e la direttrice della casa di produzione porno, amiche di vecchia data, lasciatesi evidentemente in malo modo, si rincontrano dopo anni, c'è una sorta di fermo immagine solo che la pellicola (digitale) scorre sono loro a rimanere immobili per un tempo lunghissimo. Un diverso tempo narrativo  dagli snodi temporali complicati, ellittici, che allude molto più di quanto mostri, come il cinema occidentale sapeva fare fino a 30 anni fa prima della semplificazione narrativa voluta dalle televisioni.
La ragazza vuole scopare ma essendo lei timida (ed essendo le relazioni interpersonali condotte da una rigido formalismo) spera di poterci riuscire sul set porno. Qui incontra un ragazzo bellissimo con delle enormi (e vistosamente finte) cicatrici, che lei tocca (e il ragazzo piange). Così durante gli amplessi quel che la ragazza, ma anche il ragazzo, scopre sono le emozioni, al di là del sesso fatto per lavoro, i sentimenti e il desiderio nonostante il sesso. Senza lieto fine americano ma con un più realistico la vita prosegue di merda peggio che prima: viene scoperta da alcuni studenti impudenti (che osano chiederle durante il corso di cinema erotico se lei sia ancora vergine, e lei impassibile),  denunciata e licenziata (mi raccomando, le fa il preside, cancelli tutto dal pc controllano tutto).
Insomma mentre il cinema occidentale, almeno quello presnete al festival, sembra non avere davvero più nulla da dire se non ripresentare storie vecchie al pubblico di oggi che i film in cui quelle storie erano già state raccontate (e anche meglio) non li ha mai visti (il cinema è industria e non ha storia, ma solo un eterno presnete...) il cinema asiatico e quello sudamericano è l'unico è in grado di dire ancora qualcosa, anzi molto di più.

La sera è la volta del complesso e discutibile Yoyochu-Sex to Yoyogi Tadashi no Seka Giappone, 2010, di Masato Ishioka un documentario frammentario e privo di un vero senso storico su Yoyochu ultrasettantenne regista di film porno. Se i film di Yoyochu sono interessanti, anche da un punto di vista sociologico (film con ragazze ipnotizzate, con donne esperte nella stimolazione anale dei partner maschili) il documentario di Ishioka è ripetitivo, frammentario, noioso, senza ritmo, maschilista e sessista (ho posto la domanda a entrambi, ma entrambi hanno glissato cavandosela con una risposta sulle differenze culturali, però Yoyochu nella sua risposta cita Focoult!). Un film sul quale voglio tornare appena ho un po' di tempo.
Deludente il settimo e ultimo film del giorno Leila Francia, 2010, di Audrey Estrougo, che pretende di raccontare una storia di multiculturalismo e integrazione, sulla scia di canzoni famose, francesi e non (c'è anche Jacques Brel), tutte arrangiate e riscritte in francese, cantate e danzate dai protagonisti del film,  ma gira un film piccolo piccolo, involontariamente razzista e con una storia inconsistente: tutte le tnie non bianche incarnano il peggiore dei cliché etnici (le neri vestono etico e muovono la testa lateralmente, gli ispanici ballano, etc.) mentre i bianchi (ricchissimi) sono descritti con toni più dimessi. le canzoni sono belle, le coreografie anche di più, e nonostante il riferimento ai sans papiers del finale (con immagini delle vere manifestazioni parigine) le vie di Parigi sono un set invidiabile (aaaah Paris!) ma il film manca là proprio dove dovrebbe essere più forte, avere uno sguardo vero che sa cogliere la realtà, anche se stilizzata in un musical, e purtroppo fallisce miseramente. Un film da vedere comunque, se non altro per i due interpreti principali bellissimi, lei come lui.


31 ottobre 2010

Festival del film interemezzo. I commenti dei mie conoscenti: delle sabbie mobili di merda

Ieri ho avuto la sfrontatezza di vedere sette film, miracoli degli orari che si sono incastrati bene e precisione dell'organizzazione ce ha fatto partire tutte le proiezioni puntualmente, tranne l'ultima, quella delle 22 e 30 che è iniziata con 20 minuti di ritardo (divenuti poi 30 perchè in sala c'erano regista e cast). Il ritardo era dovuto alla presenza in sala, anche alla proiezione delle 20, del regista, e del successivo dibattito col pubblico, per cui ritardo giustificato.
Pensare che c'è chi, praticando uno sport molto italiota, critica la macchina del Festival, arrivando a consolarsi con la prospettiva (voce? Diceria?) che pretende che questa quinta edizione sia l'ultima. Lo ha detto una mia vecchia conoscenza che non vedevo da tempo immemore, insistendo quando le ho risposto che i gossip non mi piacciono, lo ha detto una giornalista.
Perché, in Italia ci sono giornalisti?
Alla mia amica non piace l'organizzazione del festival, e alle sue lamentele si aggiunge un attempato signore suo amico, il quale, mi speiga, per vedere i film con lei, pur potendo avere l'accredito stampa, ci ha rinunciato per poter vedere i film con la nostra amica in comune. di che si lamentano i due?   Della fila da fare alle proiezioni, quelle della mattina che sono delle anticipate stampa, alle quali gli accrediti culturali entrano alla fine, dopo che i possessori di accrediti stampa sono entrati.  L'amico della mia amica, che è anche simpatico, commenta, en passant, i possessori dell'accredito stampa, lui che scrive da 40 anni, surclassato dai ragazzini che scrivono su internet. Anche a me, devo dire, certe checchine giovanissime che non conosco nulla del cinema precedente la loro nascita e si atteggiano a critici cinematografici, fanno girare i cosiddetti, ma non perché sono ragazzini. In ogni caso due snob non fanno una ragione...
Accuso amica e amico di praticare lo sport italico di non rispettare le regole perchè ognuno di noi crede a differenza di tutti gli altri, di avere buone ragioni per esserne dispensati. Se la proiezione è stampa tu che hai l'accredito culturale non puoi lamentarti che ti facciamo attendere dando la precedenza a chi quella proiezione è stata dedicata ma comunque facendoti entrare... Ti stanno facendo una cortesia, potrebbero benissimo dire i culturale alle anticipate stampa no. Che è quello che avrei deciso di fare io dopo che l'amico della mia amica , mi racconta, è andato a lamentarsi in direzione, che i ragazzini si fumano la sigaretta prima di entrare e lui comunque deve aspettare prima che loro entrino. Fossi stato io al posto del direttore gli avrei risposto: Bene lei non entra in nessun caso. Problema risolto. 
Non importa quanto umiliante sia vedere dei 20enni passare prima di te che vai per i 70... Che poi ti facciano entrare a proiezione iniziata, quando in sala c' il buio, per quanto antipatico, io penso ancora grazie che mi hai fatto entrare visto che quella proiezione è solamente per la stampa.
Non mi posso lamentare per un diritto che non ho e per una cortesia che mi fanno:  i culturali entrano anche alle proiezioni stampa solo se c'è posto.  Se tutti aspettano fino all'ultimo per entrare in sala facendo entrare te culturale a film iniziato non è certo colpa dell'organizzazione (ricordate è da lì che siamo partiti...) ma di noi italiani che non sappiamo rispettarci l'un l'altro...
Cosa può fare l'organizzazione del festival? Un corso di educazione accelerato?! 
E chi educa l'amico della mia amica?
D'altronde la mia amica, quella che si lamenta dell'organizzazione e che dice che questa di Roma non funziona ma quella di Venezia sì (!?!?!?!?!?!?!) parte da un punto di vista ancora più personale. Qualcuno in sala le ha impedito di mangiare il panino. E quel qualcuno per questo o stronzo e prepotente. (per amore della verità faccio presnete che il suo amico l'ha criticata per questo ma era solo epr dire, lei ha esagerato ma io no...).
Stronzo chi sta lavorando o burina la mia amica che entra attene nell'atrio, non già in sala, ma nell'atrio, mangiando il panino che può benissimo finire di mangiare fuori? Come le ho fatto notare se tutti mangiassimo nell'atrio quello diventerebbe un porcile: un tizio che si è portato del cibo in sala (lo faccio anche io, panini fatti in casa) ha lasciato la busta che conteneva dei tramezzini comprati al bar sul sedile accanto al suo.
Io mi riporto sempre indietro avanzi  e bustine naturalmente...
Non sono bravo io è un porco il tizio che ha lasciato il sacchetto di carta.

Io invece noto, riconosco e ringrazio l'efficienza e la professionalità di chi ci fa accedere in sala, ce ne fa uscire, le pulisce, le mette in sicurezza ed efficienza (il motivo per cui ti fanno uscire e poi rientrare anche se il prossimo film inizia nella stessa sala 30 minuti dopo...) e non mi sento diverso, con diritti in più perchè ho un accredito. Quelli stanno lì a lavorare io sto qui a vedere film (anche io lavoro ma se permettete quelli puliscono la sala io vedo un film...).
ITALIANI DI MERDA

 (...)

Incontro un'altra amica, colta, intelligente, sensibile, compagna, bella. Eppure ieri, in un commento a uno dei film si è rivelata molto femmina. Scusate, l'aggettivo merita una spiegazione non arrivate subito a conclusioni affrettate.

Il film è Les petits mouchoirs del quale ho parlato nel post precedente. Commentavamo lo spessore dei personaggi femminili. Io dicevo come, fosse stato un film italiano, quei personaggi non avrebbero avuto spessore, mentre in realtà qui, pur rimanendo secondari rispetto quelli maschili, acquistano peso man mano che il film procede.
La mia amica concorda ma poi aggiunge che le due mogli erano petulanti. Oppressive. Sic!
Il padrone della casa di vacanza, quello che ha ricevuto la dichiarazione d'amore dal suo migliore amico, si lamenta con tutti i sottoposti per ogni dettaglio insignificante (l'erba non tagliata, le faine che disturbano il sonno, per le quali ha sfondato a colpi d'ascia una parete di legno), di ogni ritardo dei suoi amici che invece di alzarsi all'alba dormono fino a tardi,  un gran rompiscatole che tutti sopportano benevolmente perché lo conoscono, si conoscono, sono amici di vecchia data. Quando grida con una incazzatura da adulto contro il figlio di una coppia di amici (lo stesso ragazzino che ha chiesto cosa significa pedé, la moglie,  trattandolo da ragazzino cresciuto qual è lo porta in camera e mentre gli grida contro gli dice guardami negli occhi mentre ti rimprovero. Petulante? Oppressiva? Non piuttosto una donna che ha a che fare con un marito-figlio? La seconda moglie petulante e oppressiva, per la mia amica, è proprio quella dell'innamorato del suo migliore amico la quale scoperta la bisessualità repressa del marito invece di rientrare a Parigi con i figlioletto lo raggiunge in camera  e lo abbraccia da dietro come a dirgli: io sono qui.
Anche io vorrei una moglie cosi ...petulante!
Per la mia amica queste donne sono materne e non mogli, perché non fanno sesso coi mariti.
Della prima coppia non lo sappiamo, il film non ci mostra che lo fanno, ma nemmeno il contrario. Della seconda coppia il problema c'è ma non perchè la moglie non vuole, anzi la vediamo di notte giocare ad un videogioco porno (notare la raffinatezza della sceneggiatura, la donna vede delle animazioni al pc non immagini reali) ma perchè il marito si è accorto che una parte del suo orientamento sessuale che ha finora ignorato ora emerge in tutta la sua dirompenza e la trascura.
Insomma appena appena le donne escono dal ruolo codificato di moglie che, credo, sia quello di scopare coi loro mariti e far loro da serve,  e diventano appunto donne, cioè esseri senzienti con una mente autonoma, ecco che anche una donna intelligente come la mia amica rimane, in quanto femmina, vittima dello stesso cliché perchè, credo è più facile essere la donna di un uomo che una persona autonoma. 

Siamo insomma ancora ben intrisi di merda italiota e più ci agitiamo più ce ne lordiamo.
Delle sabbie mobili di merda...



29 ottobre 2010

Festival Internazionale del Film di Roma numero 5

Che cos'è un pedè, chiede il figlioletto che ha sentito la parla. Chiedilo a tuo padre, fa uno degli adulti, che lui lo sa bene. Il padre del ragazzino, un giovane uomo che sta cominciando a invecchiare chiama il figlio e gli dice: Pedè è una parolaccia, un insulto, e significa omosessuale. E omosessuale significa un uomo che ama un altro uomo. E tu lo devi rispettare, perché l'amore è sempre amore. Poi accompagna il figlio e i ragazzini di un'altra coppia in un'altra stanza è da un pugno all'uomo che ha parlato prima. Il suo migliore amico al quale ha confessato solo pochi giorni prima di esserne innamorato.


E' una delle scene di Les petits mouchoirs Francia, 2010, di Guillame Canet. Un Grande freddo francese lunghissimo (154 minuti) e con dei personaggi femminili molto interessanti che mostra, ancora una volta, l'egoismo adolescenziale dal quale noi maschietti non sappiamo uscire e dal cui orizzonte emotivo annaspiamo verso la vita adulta (quando mi sono sposato ero molto giovane si giustifica con l'amico al quale ha dichiarato il suo amore dicendo i piacciono le tue mani). Film interessante soprattutto perché mostra quel che vien prodotto oggi in Francia una produzione solida, credibilissimo nei dettagli, ben recitato, ben scritto, splendidamente girato e diretto). Per vedere film francesi dobbiamo rivolgerci ai festival, qui in Italia, anche se il tributo da pagare sono le varie marchette fatte al cinema USA meno invadente degli anni scorsi ma con proposte stucchevoli (i primi 20 minuti di Tron Legacy) mentre il provincialismo filoamericanon di colleghi e amici dirotta in massa verso film di Landis che, pure, saranno in sala già dalla settimana prossima, mentre quello di Canet no, e mi sono sentito rispondere e chissene frega.
Secondo film di oggi un inutile, anche se ben girato e recitato Animal Kingdom Australia, 2010 di David Michôd la cui tesi è che come gli animali i giovani sono deboli e vengono difesi dagli adulti forti, fin quando non sanno difendersi da soli, come capita al protagonista, minorenne sopravvissuto a una madre eroinomane morta di overdose,  che spara allo zio, rapinatore psicopatico che gli ha ucciso la fidanzata per tema, che lo denunciasse alla polizia, dopo averlo fatto assolvere al processo del quale era testimone chiave. I panni sporchi si lavano in famiglia e lo stesso dicasi per la giustizia. Inutile dire, ma forse no, che in sala, alla proiezione per soli giornalisti, il film è stato accolto da un applauso entusiasta, tutti fascisti gli italiani...

Poi è la volta dio My Brothers Irlanda, 2010 di Paul Fraser, compitino in digitale dignitoso e ben confezionato su tre fratelli un preadolescente un adolescente e uno in età di patente che arrivano fino al mar per riprendere l'orologio digitale Casio (ah! il product placement) al padre morente che si è rotto. Scuregge, maniaco che si masturba (per fortuna fuori campo) dinanzi il ragazzo d'età di mezzo (che però ha perso gli occhiali quindi vede quel tanto che gli basta per darsela a gambe levate) ma, insomma, un film inutile.

Otsuka Yasuo no Ugokasu Yorokobi (Giappone, 2004) di Uratani Toshiro è il più classico dei documentari su Ootsuka Yasuo, storico animatore, tra i fondatori dello stile giapponese, nonché mentore di Takahata Isao e di Miyazaki Hayao. Come ogni buon documentario ti insegna molte cose, ed essendo stato pensato per un pubblico giapponese e non internazionale dice anche altre cose involontariamente (sulla politica e la storia giapponesi, sulla loro cultura), un piccolo gioiello.

Hævnen (Danimarca, 2010) di Susanne Bier (non lasciatevi ingannare la t.l è vendetta non paradiso come può sembrare, ma perchè siamo tutti così anglocentrici?!) è una storia ben scritta, ben girata e ben diretta, che pone buone domande etiche e suggerisce più di una risposta interessante e meno discutibile che altrove, anche per l'impostazione non cattolica (e non religiosa) del problema che però affronta domande un poco astratte non calate nella società, nella storia. Anche la parte girata in Africa, con uno dei protagonisti che fa il medico volontario, non denuncia le cause  delle condizioni di quegli esseri umani, si limita a descrivere IL MALE (nella fattispecie un guerrigliero che va in giro con le armi e si diverte ad aprire le pance di giovani ragazze incinta per scommettere sul sesso del nascituro) chi gli dà le armi? Perché il medico non appronta una campagna anticoncezionale ? (lo seguirebbero come prendono i suoi medicinali...) Non si sa. Così posta la questione anche se rispetto alla vita mia e di voi che leggete è sicuramente meglio (se fossimo tutti un minimo responsabili del nostro benessere a discapito degli altri dovremmo tutti fare volontariato nel terzo mondo...) il film è anni luce avanti, alla fine è un film edificante che conferma la buona volontà di noi bianchi assolvendoci dalle colpe dello sfruttamento dell'Africa. Gli africani sono solo sfigati e non è colpa di nessuno. Ma non fraintendete il film si svolge in Danimarca e riguarda il problema di come reagire nei confronti del bullismo, giovanile e adulto. Ma, come al solito, prende una piega privata (il bulletto giovane ha appena perso la madre a causa de cancro...) per chiamare in causa la società. E per la prima volta in un film Danese (almeno per quelli che ho visto io) i genitori annaspano proprio come quelli del sud Europa. Insomma stiamo davvero nella merda se anche i paesi scandinavi hanno problemi basilari di disciplina e non sanno come reagire coi figli.

Questo secondo giorno del festival è comunque all'insegna dell'inutilità. nessuno dei film visti ha infatti lo spessore dell'opera nuova, o diversa, nessuno dei film proposti ha la motivazione di disturbare lo spettatore romano con nessuna qualità, nemmeno la ragione più commerciale. Sono tutti film che sono copia di altri gfilm, a loro volta copia di altri film e solo quelli erano davvero interessanti.

Sarà che nel 2010 io ai film chiedo davvero molto ma i film visti oggi sono tutti facilmente dimenticabili e sembrano pescati a caso dal mucchio


Ieri invece è stata la volta del capolavoro (si ironizza ovviamente) di la scuola è finita opera terza di Valerio Jalongo, con Valeria Golino, brava anche da chi non sa dirigere gli attori e Vincenzo Amato, attore feticcio di Crialese che qui non convince per niente. Un film rivoltante che parla della scuola con la cattiveria e la superficialità degne di Maria (pora)Stella Gelmini (la più grossolana i giudizi delle medie al posto dei voti in un liceo...), banchi istoriati di scritte, buchi alle porte, collegi dei docenti fatti in 12, misogino (la madre del protagonista è una ex bucatina mignotta e sprovveduta) e qualunquista, che prende un po' di credibilità solo quando esce dalla scuola, per incartarsi subito nel privato dei protagonisti, niente società, niente economia, niente paese reale. Sguardo da vecchio (e il regista lo è molto più dei suoi 50 anni) sui giovani descritti come bestie da zoo per un fil inutile che si guarda solo per la bellezza di Valeria Golino e quella del giovane protagonista Fulvio Forti.

22 ottobre 2010

Frances Nacman, il corpo e la voce.

Era una sera di inizio estate. L'anno, il 1984. Io e i miei amici di allora, Graziano, Roberto, fabrizio decidemmo di andare a sentire un concerto Jazz. veramente IO decisi e loro mi veniva dietro. Aprii la pagina degli spettacoli di Repubblica (manifesto non ce l'aveva...) cercai nella sezione concerti jazz puntai il dito sull'elenco né corposo né esiguo e mi cadde l'occhio su un nome Frances Day, come Doris Day. Quel nome mi andava a genio. Il locale era purea  Trastevere, quindi decisi che avremmo visto il concerto di Frances Day.

Il resto è storia.

Nel 1985 quando io e Frances non eravamo ancora amici ma io IL suo fan e lei LA DIVA le chiesi un'intervista per la rivista Uscita di Sicurezza (edizione italiana di Sortie de Secours, una rivista belga) per la quale collaboravo. Io all'epoca ancora non sapevo cosa fare della mia vita, regista? scienziato? porno attore ?!) non avevo le idee chiare. Quando Fernando, il marito di Frances, lesse quel che scrissi nell'intervista disse a Frances non so cosa questo ragazzo voglia fare nella sua vita ma lui è uno scrittore. L'articolo non è mai stato pubblicato perchè la rivista chiuse i battenti prima. e' rimasta inedita tra le mie carte (faldone freelance con tutte le cose scritte dal 1980 in poi).
L'ho scansita, integrata in una parte mancante (l'originale è battuto a macchina ma mancano alcune righe) e la pubblico ora, sul mio blog, 26 anni dopo.

A rileggerla oggi sono sorprendenti la lucidità e la lungimiranza di Frances (l'unica differenza col dattiloscritto è il cognome lì  quello d'arte, qui quello vero) la sua capacità di dire le cose, di sentirle, di trasmetterle.

Ho pensato di fare cosa gradita a voi lurkers del mio blog e la pubblico con una foto d'eccezione della DIVA.

Oggi, al secondo anniversario della sua morte, Frances ci manca più che mai ed è sicuramente sempre viva dentro ognuno di noi, nel cuore e nella mente.



FRANCES NACMAN: IL CORPO E LA VOCE

Prendete gli Stati Uniti d'America e il su più piacevole prodotto: il Jazz. Pensate ad una affermata cantante di L'or Angeles, dalla particolare estensione vocale, dotata di diversi registri interpretativi, di una irresisti¬bile presenza scenica, capace di at-tirare anche un pubblico di sordomuti  e immaginatevi di trasferire tutto questo in Italia, nei locali della Roma nottambula e dal gusto Jazz.
Un’utopia, penserete, un esperimento destinato  a fallire.
Au contraire!
Frances Nacman è riuscita in tutto questo. Ha ridato vita a delle canzoni imprigionate nei solchi di vecchi dischi,tiene un corso di canto Jazz, insegnando la difficile arte dell’interpretazione, contribuendo a diffondere quel “quid” che distingue il Jazz da ogni altro tipo di musica.

PERCHÉ SEI VENUTA IN ITALIA?

L'Europa mi ha sempre affascinata, mi piace la sua cultura, la sua arte. Così ho colto al volo l'occasione offertami da una eredità, ho abbandonato tutto e tutti e sono venuta a vivere in Europa. Prima l’Inghilterra, poi la Francia e infine l’Italia. Giunta a Roma pensavo che la mia tappa successiva sarebbe stata la Grecia, ma ora non credo che lascerà l’Italia molto facilmente.

COME HAI DECISO DI CANTARE A ROMA

Quando sono  partita per l'Europa avevo deciso di non cantare più. Credevo fosse difficile per una cantante americana. trovare lavoro in altri paesi soprattutto in Italia.
Durante un mio lungo soggiorno in Nigeria a casa di anici, ho ripreso a cantare Ero accompagnata da una batteria, un basso e un piano elettrico, dato il clima era impossibile mantenere un piano acustico.)
Così, tornata a Roma, sentii che non potevo più fare a meno di cantare. Mi presentai al Billie Holyday Jazz Club e Nino De Rose mi fece esibire subito. Era la primavera del 1984.


COME TI SEI TROVATA?

Beh, la difficoltà Principale    è quella della lingua. Così ho pensato che sarebbe stato bello se prima di ogni canzone, avessi spiegato il significato del testo, l’idea della canzone, ed  è una cosa che il pubblico apprezza molto. Comunque il problema rimane, una canzone in inglese resta  incomprensibile per la maggior parte del pubblico italiano, così il feeling; che posso instaurare dipende dall'acting, dalle mie capacità sceniche d'interpretare le canzoni mentre, a differenza che negli States, il testo ha un ruolo irrilevante.


COSA NE PENSI DEL PUBBLICO ITALIANO CHE VIENE AD ASCOLTARTI? (pensa un po' prima di rispondermi)

Vedi, non vorrei che lo scrivessi, ma il pubblico italiano è distratto parla mentre io canto. Questo sempre a causa dell'inglese.
In America dove l'inglese è la mia lingua e quella del pubblico, la canzone si rivolge diretta-mente ad ognuno che mi ascolta, qui tutto dipende dalle mie capacità , da quanto riesco a catturare l'attenzione. Ma c’è anche un altro motivo. La televisione ha abituato lo spettatore a parlare mentre segue il programma con i familiari; difficilmente qualcuno seguirà un programma in tv senza dire una parola dall’inizio alla fine. Questa abitudine lo spettatore la mantiene anche quando viene a sentire un concerto di jazz. Anche per me è difficile rimanere in silenzio quando ascolto un concerto in inglese, in italiano proprio non ci riesco perché non capisco i testi delle canzoni.

TROVI DIFFERENZE TRA I JAZZ-MEN AMERICANI E QUELLI ITALIANI?

Certo. Il jazz nasce in America, fa parte della nostra cultura Qui in Italia è giunto dopo la guerra e quindi i jazz-men italiani sono ancora in fase di acculturazione, di maturazione. 20 anni fa c'erano molte più differenze che oggi. Ancora mancano dei grossi nomi italiani per quanto riguarda il jazz, ma i jazzmen con cui lavoro, pianisti, bassisti, batteristi, stanno formando un background del tutto analogo a anello americano. Una cultura jazz italiana mi sta formando ora.

TROVI DIFFERENZE TRA IL MODO DI FRUIZIONE DEL JAZZ IN AMERICA E qUI IN ITALIA?

Si, moltissima. Qui i jazz e soprattutto rhythm, ci nono contaminazioni con altre forme musicali la musica brasiliana, ma anche il Blues. Il vero Jazz qui in Italia è ancora per pochi e infatti i locali jazz nono molti di meno che in America. Ma non mi fraintendere. Io adoro la contaminazione. Anzi credo che i musicisti Jazz, come tutti i professionisti della musica, siano un po’ rigidi. Se fai jazz non segui il rock e viceversa. Il pop poi viene snobbato da tutti. Per me è importante tenersi informati anche sui questo tipo di musica, perché è la musica d’oggi che riscuote il suc-cesso del pubblico. Poi trovo l’avvento del videoclip moto stimolante, sono i nuovi film di oggi che si rifanno anche al passato. La capacità di sintesi si rifà ai film muti dei primi del secolo. Alcuni video mi colpiscono a tal punto che ogni volta che ascolto la canzone alla radio non posso scinderla dalle immagini del video.

UN’ULTIMA DOMANDA: C’è QUALCOSA CHE VORRESTI TI AVESSI DO-MANDATO?

rimane in silenzio. Ci pensa un po’. Fa cenno di no con la testa poi ci ripensa  e mi dice:
Qui in Italia ho trovato un forte interesse da parte dei giovai di voler conoscere il jazz, non come spettacolo passivo., ma come partecipazione attiva alla creazione di quel sound che rende il jazz LA musica.
Per questo io e Nino de Rose, insieme a Sandra Provost tengo un corso di canto Jazz al Tusitala.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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