31 luglio 2007

bergman è morto, Serrault è morto, Antonioni è morto....

...e anche io non mi sento molto bene....

Le ferie son finite, riprendiamo il lavoro (oh dolce far niente dove sei?!) con calma e serenità...

CAPITOOOOO???????

addio Michelangelo....

Michelangelo Antonioni è entrato nella mia vita molto, molto prima dell’università.

Ero un bambino di 4-5 anni quando in tv trasmisero alcune sequenze della scena finale di Zabriskie Point, quella famosa nella quale, su un brano dei Pink Floyd, esplodono televisori e frigoriferi (ripresi con una cinepresa speciale con pellicola senza perforazione, che riusciva a impressionare migliaia di fotogrammi al secondo...).

Io da piccolo ero affascinato dagli oggetti, mi piaceva aprirli, romperli, per vedere come erano fatti dentro. All’epoca la mia pubblicità preferita era quella dell’Arrigoni, nella quale uno\a scettico\a, lasciato\a da solo\a insieme a un marchingegno elettrico, del quale il commesso del negozio che lo vendeva aveva appena finito di decantare i pregi, cominciava a manometterlo fino al ritorno del commesso il quale, sbigottito di fronte al marchingegno aperto, balbettava: “Ma che fa? Lo ha aperto?!?!” Al che lo\a scettico\a rispondeva col claim della pubblicità: “Certo. A scatola chiusa compro solo Arrigoni”.

Ecco, questa religione dello smontare, del vedere cosa c’è dentro, di capire come funzionano gli ingranaggi (inutile dire che le scene nella catena di montaggio di Tempi moderni di Chaplin erano il mio vangelo) era stata pubblicamente riconosciuta da quel cinetoscopio che andava in mille pezzi, da quel telaio di altoparlante che vorticava al rallentatore verso lo spettatore della sequenza di Zabriskie…. Mi ricordo come fosse ieri l’eccitazione quasi sessuale di scoprire che qualcun altro, molto più grande e più bravo di me, aveva le mie stesse curiosità, la mia stessa morbosità, una sorta di larvato luddismo che mi portavo dietro, ieri come oggi (ah che piacere vedere le astronavi della Federazione andare in mille pezzi!!!!).

Certo all’epoca ancora non sapevo chi fosse l’autore di quelle immagini ma Antonioni era entrato indelebilmente nella mia vita.

Poi, solo pochi anni dopo. ci fu il mio secondo incontro con Lui, quando vidi Professione:Reporter all’arena dietro casa. Avevo 9-10 anni all’epoca e mi ricordo che di fronte a questo film da grandi senza musiche di commento, dove quel che succedeva era raccontato dalle immagini e non dai dialoghi e dove non potevi distrarti nemmeno un attimo se volevi capire cosa stesse succedendo, dinanzi questo film, dicevo, mi resi conto che Antonioni era diverso dagli altri registi, che raccontava delle storie per il gusto delle immagini, per attirare la tua attenzione, per farti ragionare su quel che vedevi…

Insomma Antonioni era per me Il regista, l’idea platonica di questa categoria…

Durante gli anni del liceo vidi molti suoi film, in tv su Rete4 (d'altronde è su canale 5 che ho scoperto Franco Brusati…) e Antonioni divenne sempre di più un amico, un adulto che mi comprendeva, che mi incuriosiva, col quale potevo essere me stesso (come dimenticare l’eccitazione dinanzi alle fotografie delle scene di nudo di Zabriskie Point pubblicate nella sceneggiatura della Cappelli , che scoprii una mattina in biblioteca dove ero andato facendo sega da scuola…?), col quale c’era una tacita intesa, come Antonioni fosse uno Zio che non vedi mai ma che sai che c’è e si ricorda di te.

Così, prima ancora dell’università conoscevo tutto (o quasi) quel che si poteva conoscere a livello amatoriale su di Lui, avevo persino letto con avidità la sceneggiatura di un film mai realizzato Tecnicamente dolce pubblicata da Einaudi e che avevo trovato a Porta Portese…

Poi è arrivata l’università e ho incontrato Antonioni in tutta la sua importanza accademica e ho scoperto che quel che sapevo già mi serviva per la mia carriera universitaria, che a differenza dei miei amici avevo già letto Tecnicamente dolce; era come scoprire che “con Zio” Antonioni avevo davvero capito tante cose in anticipo…

Lì sono nate le tesine sui suoi film, volute da Aristarco.

Lì è nata la mia prima associazione culturale che, ovviamente, si chiamava “Zabriskie Point”…

Michelangelo Antonioni è per me la passione del cinema prima del cinema, del sesso prima del sesso, dell’analisi critica prima dell’analisi critica, della politica prima della politica,
rappresenta tutto quello che mi sarebbe piaciuto fare e diventare e che solo in parte hi poi davvero avuto il coraggio di provare a essere.

La sua morte è per me ben più del lutto che segna la vita di un cinefilo. Per me è morto un parente, un amico, un uomo al quale volevo bene, un uomo che mi mancherà…

tra Africa ed Europa



...capita insomma che mi perda il portafogli (o forse me l'han rubato, non saprei...). Ora, dentro il borsellino io ci tengo praticamente di tutto (dovreste vedere la lunghezza della denuncia rilasciata alla polizia) dalla carta di identità al codice fiscale, dalla tessera sanitaria alla tessera di socio dell'associazione culturale "L'isola Felice"... Insomma una tragedia...
Mi è capitato la sera di martedì 24 e mi sono accorto dello smarrimento\furto DOPO il concerto di Marina Rei\Paola Turci|Max Gazzè.
Il giorno dopo vado affare la denuncia e, toh, ci metto pochissimo, basta compilare un foglio prestampato in duplice copia e la denuncia è bell'e fatta con tanto di timbro e firma del poliziotto che sta alla guardiola...
Tutto contento il giorno dopo (due giorni dopo a dir il vero, il giorno dopo ero a Firenze a vedere la mostra Cezanne a Firenze) vado al Municipio a richiedere il duplicato della carta di identità e TOH, in 20 minuti (sì, avete letto bene) nonostante la presenza cospicua di gente, ho la mia Cd'i Brand new.
Mi compiaccio e quasi ci credo di essere in Europa...
Poi, sabato vado all'ufficio clienti della carta metrebus (avevo fatto l'abbonamento integrato annuale giusto la mattina del 24...) e un ragazzo (gentile a dire il vero) mi spiega che sul loro terminale (ufficio dislocato alla fermata della metro b Fermi) il mio versamento di 230 euro NON risulta"perché ho effettuato il versamento nello stesso mese"!!!!!!!!!!!!!
Mai sentito parlare di "tempo reale"!? vorrei dirgli... Invece me ne resto buono buonino e mi prendo un numero di telefono che lui gentilmente mi porge dicendo "provi a chiamare lunedì mattina". La ragazza (gentile anche lei) che mi risponde ieri mattina mi spiega che, visto che al loro terminale non risulta che io abbia pagato i 230 euro, devono aspettare che un altro ufficio, dopo aver verificato che al terminale dove ho rinnovato l'abbonamento, a Roma Termini fermata della metro A e B, risulti il pagamento effettuato emettano loro la mia tessera e la inviino (con un corriere interno) all'ufficio di Fermi... (ma perché dove tenevi la ricevuta di pagamento vi chiederete? La ricevuta di pagamento serve per convalidare l'abbonamento per cui va custodita assieme al medesimo. In realtà, visto che la ricevuta è fatta su carta termica, va fotocopiata, ma , visto che avevo fatto l'abbonamento la mattina, ancora non avevo fatto in tempo a fare la fotocopia, altrimenti avrei avuto la ricevuta originale per provare l'avvenuto pagamento...
(Oltre la ricevuta una lettera di attestazione di avvenuto pagamento da custodire altrove no eh?!?!)

Ma il capolavoro mi capita alle Poste.
Alla sede di Piramide, dove ho fato la poste pay (me lo hanno detto all'ufficio postale vicino il luogo di lavoro che dovevo andare all'ufficio dove era stata emessa la poste pay, giorni dopo scoprirò che non era assolutamente vero...) il tipo che trovo dietro lo sportello mi dice che senza il numero della poste pay sulla denuncia non può farmi un duplicato. Mi chiede codice fiscale e carta d'identità (che in un primo momento crede io non abbia visto che nella copia della denuncia che gli ho dato questi documenti compaiono nell'elenco dei documenti smarriti...) scrive sul un pezzo di carta il numero della mia poste pay e , con un'aria tra il sadico e il soddisfatto (la stessa soddisfazione di chi, essendo totalmente impotente, ti dice che non puoi fare sesso...) mi dice ora lei torna alla polizia, fa una integrazione della denuncia menzionando il numero della poste pay, poi torna da me e io le do il duplicato. Ringrazio Dio di non essere americano, perché se lo fossi avrei una pistola e l'avrei usata, vado al commissariato, disturbo i poliziotti per questa sciocchezza burocratica, trono dall'ufficio postale (ancora non so che potrei andare in qualsiasi ufficio del territorio italiano...) e un altro tipo, gentile e non impotente come il precedente mi dà la mia nuova poste pay nel giro di pochissimi minuti...
Ora io capisco lo scrupolo e la sicurezza.... ma se sei tu che dai a me il numero della mia postepay perché devo tornare al commissariato facendo perdere tempo a me e , soprattutto, a loro?

Mi ero illuso di trovarmi in Europa e invece sono ripiombato subito in Italia.
Un'Italia dove all'Atac i computer non sono collegati in tempo reale e dove le tessere invece di essere emesse dai singoli uffici vengono emesse da un ufficio centrale e poi inviate brevi manu agli uffici in cui l'utente si è rivolto... (ce ne sono cinque dislocati sul territorio....) mentre alle Poste ("da noi" mi dice ...l'impotente) la burocrazia fa perdere tempo ai privati cittaidni e alla polizia.

Ora metrebus è la migliore invenzione che Rutelli Sindaco abbia fatto nei suoi due mandati (prima bisognava prendere tre biglietti se volevo usare autobus metro o treno...) e i servizi della postepay sono indispensabili per chi vuole comperare in Internet senza tema di avere la carta di credito clonata (la poste pay è una carta di credito prepagata è molto più flessibile ed economica di quelle bancarie) ma le cose continuano ad essere fatte saeguendo una burocrazia italiana inesistente altrove in Europa.

Certo la colpa di aver perso (o subito il furto) del portafogli è mia solo mia nient'altro che mia, ma mai che la buona burocrazja italiana aiuti eh?

Ecco che dall'Europa come mi ero illuso di appartenere sono ripiombato in Africa (Con tutto il rispetto per l'Africa!!!!!)

(post modificato in data 21/8/2007)

Ingmar bergman è morto...

Erano i tempi belli dell’università e io e la mia amica Alessandra decidemmo di partecipare a un concorso di Raitre: dovevamo scrivere una sceneggiatura, quella vincitrice sarebbe stata prodotta dalla rete e diretta dagli autori della medesima… Concorso allettante, mezzo dipartimento di musica e spettacolo alla Sapienza (beh allora era l’unica università romana…) aveva deciso di parteciparvi. Noi sentivamo di avere una marcia in più sia perché ci sentivamo più pratici del mezzo (alcuni “colleghi” all’università ci avevano chiesto, meravigliati, e con un po’ di spocchia: “Ma come?!?! Scrivete anche i dialoghi!”?!?!?) sia perché eravamo convinti di avere una storia buona tra le mani (due amici poco più che 18enni partono dal centro di Roma, in piena estate, per andare in Svizzera a cercare la ragazza di uno dei due il viaggio si trasforma in un viaggio nell’Italia degli anni 80 alla ricerca dei sottili confini tra amicizia e amore…). Passano i mesi e io e Alessandra ci divertiamo a improvvisare scene e situazioni mettendoci l’anima (e le nostre storie personali). Siamo due pazzi e scriviamo una sceneggiatura di ferro, prevedendo gli stacchi di montaggio le musiche e addirittura il piazzamento della mdp…

Il problema più grosso che dovevamo superare era quello di trovare delle inquadrature adeguate, dinamiche e, soprattutto, non noiose per le ripetute sequenze che si dovevano girare nell’abitacolo dell’automobile… Ci scervelliamo e optiamo per una serie di campi e controcampi da punti di vista diversi (finestrino laterale esterno, sedile posteriore, con ripresa anche di quanto si vede attraverso lo specchietto retrovisore) impiegando molto il piano d’ascolto (inquadrando cioè chi ascolta e non chi parla…).

Passano i mesi…

Il tempo si accorcia.

La sceneggiatura è praticamente finta. Dobbiamo solo revisionare i dialoghi e intanto, dattiloscriverla (al pc del fratello di Alessandra, primo pc che abbia mai usato, siamo nel 1986… io non lo comprerò che nel 1990). Ma calcoliamo male i tempi e, con metà della sceneggiatura ancora da dattiloscrivere, desistiamo una notte alle 4 del mattino (il concorso scadeva il giorno dopo alle 12…). Siamo dispiaciuti però siamo contenti di quanto abbiamo scritto, di quello che io e Alessandra ci siamo scambiati in quei mesi alla ricerca di inquadrature, dialoghi, musiche, emozioni.

Passano dei mesi, l’inverno e la primavera. Verso giugno (credo…) al Fantafestival, una delle mitiche edizioni che si tenevano al cinema Capranica (oggi non più operante) che apriva i corridoi collegandosi col cinema Capranichetta (chiuso nei primi anni 80 e mai più riaperto…) danno Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, che né io né Alessandra abbiamo mai visto. Ci precipitiamo e abbiamo una sorpresa che sa di epifania. Non tanto perché il film è magnifico (altro che la sequenza del sogno di Dalì in Notorious di Hitchcock, vedere per credere!) ma perché nelle scene on the road Bergman ha messo in pratica la nostra idea di inquadratura “non noiosa”… Rimaniamo senza fiato non solo perché quel che sulla carta (sulla sceneggiatura) sembrava funzionare scopriamo che funziona magnificamente anche sullo schermo ma soprattutto perché dal nostro punto di vista Bergman …ci ha rubato l’idea! Nessuno dei due aveva mai visto prima quel film e quindi nemmeno inconsciamente potevamo ricordarci di quelle inquadrature. Evidentemente quando una inquadratura è buona sarà sicuramente già venuta in mente a qualcun altro prima.

Ma tant’è per noi la sceneggiatura ha avuto la benedizione di Bergman

Poche altre volte ci siamo sentiti così io e Ale durante gli anni dell’università (un’altra occasione è stata la consegna delle nostre tesine su Zabriskie Point e Identificazione di una donna a Michelangelo Antonioni il giorno della consegna della Laurea honoris causa voluta da Guido Aristarco).

La sceneggiatura non abbiamo mai finito di trascriverla ma ne possediamo una copia ognuno e ci siamo ripromessi di finirla, un giorno o l’altro, o magari anche di provare a girarla, perché no… Se mai lo faremo e leggerete una dedica a Ingmar Bergman, ora sapete il perché…

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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