14 agosto 2013

Il suicidio non è una scelta debole

Vivo solo perché è in mio potere morire quando meglio mi sembrerà: senza l'idea del suicidio, mi sarei ucciso subito.  
Emil Cioran, Sillogismi dell'amarezza, 1952


Viviamo in una società nella quale la vita non ci appartiene perchè o è di dio o è un bene di consumo.

Prima ce l'ha scippata il cristianesimo promettendoci falsi paradisi in un post mortem che non esiste.

Perchè nessuna persona sana di mente può credere VERAMENTE alla vita dopo la morte.

Oggi se la contendono la chiesa (la religione)  e il mercato.

Per la chiesa la vita dei fedeli e delle fedeli è lo strumento tramite il quale imporre una visione necrofila e patriarcale che, per allontanare l'incontenibile paura della morte la anticipa rendendo questa vita una morte (una religione incentrata sulla cancellazione della libido veicolando la sessualità alla sola funzione procreativa è una religione contro l'essere umano e donnano), una morte umana prima che morale, civile prima che spirituale, esercitando un potere che al di là dei beni materiali (che i prelati ottengono con ben altri mezzi) si esplica nella possibilità di dire a tutto il genere umano e no.

Per il mercato la vita è quella dell'acquirente, senza acquirente niente mercato, senza vita niente acquirente. La vita è un capitale da spendere

Da spendere in felicità e spensieratezza, in gioventù e allegria, guai a essere seri o tristi o preoccupati, guai se una ruga di preoccupazione o di saggezza segna la nostra fronte.

Sono segni di una morte annunciata da esorcizzare perchè vista come un corpo estraneo e non parte integrante della vita, quel ad quem  che dà un senso a tutto quello che c'è prima. Il prima perchè dopo non c'è niente. E chi crede al dopo dà minore importanza al prima...

Così in un modo o nell'altro la morte non esiste.
O perchè mero tramite alla vita vera o perchè rimossa dalla società come un imbarazzante residuo organico.

In questa società così sommariamente descritta, non c'è posto per il suicidio. Perchè ci ricorda non solo che la morte, invece, c'è, ma che qualcuno può addirittura desiderarla.

Non c'è posto per il suicidio perchè il suicidio presume che la vita appartenga a ognuna e ognuno di noi, mentre le nostre vite sono di dio per i credenti e le credenti (tutti e tutte malate di mente proiettati in un ultramondo che non esiste),  o sono del mercato, sono mercato.

Sono un capitale da spendere, non da bruciare.


Il gesto subitaneo di togliersi la vita spende un capitale immenso senza consumo.
 
Così chi si suicida compie un gesto tragico, ma anche un po' vile, perchè si sottrae alla vita è perchè non ce l'ha fatta, non ne ha sopportato il peso, quel peso che tutti, cioè tutti quelli e tutte quelle che NON si suicidano, sopportano senza lagnarsi.

Per cui il suicidio è anche un capriccio, una impuntatura, una stupidaggine una forma di immaturità, uno spreco.

Uno spreco per il capitale non del capitale.

Ci sono tante altre forme di morte cercata che la nostra società tollera perchè in quelle che sono a tutti gli effetti forme di suicidio, dilazionato ma altrettanto fatale, si consuma:

chi fuma essendo a conoscenza dei danni del tabacco non si sucida forse?
Poco male però perchè compra le sigarette.

Chi guida in stato di ebrezza o sotto effetto di stupefacenti, o un mix dei due e muore in un incidente, non si suicida forse?

Poco male però perchè spende soldi per procurarsi droghe e alcool.


Queste forme di consumismo estremo e di autodistruzione enormemente diffuse (l'Italia è uno dei paesi in cui si continua a fumare di più in tutta Europa anche dopo la legge contro il fumo entrata in vigore nel 2003) non sono percepite come suicidio anche se ne sono le forme più concrete e più vicine alla percezione che si ha del suicidio come spreco inconsulto.

Il suicidio invece, quel gesto definitivo tramite il quale ci procuriamo la morte, ha mille altri significati.

Ci si sucida per protesta, perchè non siamo noi a non potere più della vita, ma perchè è la vita a non lasciarci più modo di vivere.

Il suicidio è la forma estrema della nostra autodeterminazione che se ci viene tolto non ci rende umani e umane.

Una società che  non coglie questi motivi, non onora e non rispetta chi ha deciso di togliersi la vita è una società eticamente morta, una società che non ha nulla da dire sulla morte è già morta in vita.

Sono stanco della retorica con cui si è accolta la morte di Roberto. Il suo gesto di protesta, la coerenza di un sentire che non gli ha permesso di continuare a vivere in tutta coscienza in in mondo che non gli dava lo spazio vitale per crescere.


Mi fa arrabbiare leggere che Roberto ha compiuto un gesto fragile, perchè era fragile, perchè così ci assolviamo tutti e tutte noi, che siamo i mandatari e le mandatarie morali della sua morte, dicendo(ci) che se è morto Roberto è perchè era fragile lui non perchè non gli abbiamo lasciato altra scelta noi.

Così continuiamo a discriminarlo.

Roberto poco uomo in vita perchè frocio e poco uomo in morte perchè suicida.


Si scrive da più parti che abbiamo lasciato Roberto da solo. Non è vero.

Lo abbiamo accompagnato sempre e costantemente con un sottile odio che lo avrebbe indotto  a nascondersi come fanno molti e molte.
E questo Roberto non era disposto ad accettarlo.
E in tutta coscienza ha esplicitato la condanna implicita dell'omofobia.
Perchè se non vivi per quel che si è sei uno zombie un non vivo in vita.

E il cuore puro di Roberto questo non era in grado di tollerarlo.
Non voleva tollerarlo.

Le opinioni uccidono. E se uccidono non sono opinioni sono un crimine.


Altro che fragilità e debolezza.

Roberto ci ha insegnato che certi compromessi non si possono più fare.

Altrimenti meglio morire. Con coraggio e dignità. Quelli che nemmeno da morto gli riconosciamo.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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