26 ottobre 2013

L'imminente album natalizio di Mina: un altro lavoro inutile e senile.

Lo so, direte, come fai a parlare di un album se ancora non lo hai ascoltato?

Conosco gli sciagurati collaboratori, sempre gli stessi, con i quali Mina ha deciso di isolarsi dal mondo e pontificare da un impalpabile e non più prestigioso eremo svizzero.

E so perciò che anche questo Mina Christmas song book (l'italiano è una opinione...) sarà senile come il precedente 12 songs un album vuoto di ogni contenuto musicale dove l'unica idea uniformante e appiattente è che per fare qualcosa di chic o di classico o, peggio, di colto basta rallentare le canzoni, in realtà uccidendone lo spirito.

Basta sentire lo scempio fatto di classici già da lei interpretati quando faceva ancora la cantante come Fly Me To the Moon, un vero stupro musicale, delitto già commesso in passato con altri album sciagurati come Napoli secondo estratto (soporifero micidiale) o quel disastro musicale che è L'allieva.

Mina Christmas Songbook non sarà da meno Mina è incapace da un pezzo di proporre un brano davvero ritmato. Anche quando sceglie l'orchestra prende un'orchestra moscia, priva di swing (vi ricordate la lentezza esasperante dei fiati di Comeglio di Je so pazzo in Canarino Mannaro?)

Il problema è che i collaboratori che circondando Mina si sono messi in testa che Mina sia una cantante colta, quando Mina è sempre stata ed è una cantante pop.

Non c'è nulla di male ad essere pop. Anzi credo che Mina abbia dimostrato, negli anni settanta e ottanta, a quali livelli possa giungere la musica leggera.

Ma Mina non ha lo spessore interpretativo per fare la cantante Jazz, o per cantare Brecht e Puccini e quando lo fa, lo fa da provinciale, da dilettante, da cantante improvvisata.

Non dovete per forza credere a me, sentite la sua interpretazione di Surabaya Johnny, da Milleluci, completamente priva di spirito, di nerbo (complice l'arrangiamento sbagliatissimo di Gianni Ferrio).



Confrontatela con l'esecuzione di Milva e capirete di cosa parlo.



Non che Mina manchi di pathos, le manca piuttosto la misura intellettuale, lo spirito colto, quella formazione musicale che le consentirebbe di interpretare questi pezzi come vanno interpretati.

Lo dimostrano gli album come Sulla tua bocca lo dirò o Dalla terra che sono inutili e imbarazzanti e che non servono a nulla.

Non portano gli ascoltatori pop verso un genere di musica altro e non portano gli ascoltatori di musica altra verso il pop.

Sono degli ibridi che lasciano il tempo che trovano, dei mostri bicefali destinati a morire già durante il primo ascolto.


Sono degli album privi di Storia, Mina arriva e canta Puccini come fosse uno degli autori sconosciuti che le propone un brano per l'album di inediti, oppure canta gli standard senza misurarsi con chi ha interpretato quei brani prima di lei...
Li incide come fossero interpretazioni prese da concerti dal vivo, una sera va meglio e una sera va peggio... E infatti spaccia gli album per canzoni registrate dal vivo.

Mina che ha ormai superato i settant'anni dovrebbe cominciare a guardare alla sua storia e invece di proporre inutili lagne strascicate sia vocalmente che musicalmente potrebbe regalarci perle del suo immenso repertorio di scarti (che sono scarti per lei ma rimangono perle rispetto il piattume musicale contemporaneo) Itaca, spacciato come inedito del prossimo album (ma per cortesia!?!?!) lo dimostra ampiamente.


Purtroppo da quando Mina si è messa nelle mani dei manager e non più in quelle dei musicisti sforna miseri progetti commerciali a prezzi salatissimi: 12 songbook a 24.50 euro - ma siamo impazziti? - in edizioni de luxe irraggiungibili (12 diverse edizioni del cd... più una tredicesima ufficiale) per tacere della assurda doppia versione di Piccolino, quella evidentemente per sfigati con 10 pezzi  a 21 euro e quella per ricchi con 14 pezzi - e tra i 4 in più c'è l'unica vera canzone ascoltabile dell'album che è quella perla di Rattarira di Genovese, padre e figlio - a 25 euro.

Anche Mina Christmas Songbook avrà una precisa strategia di marketing, immorale e da commerciante.

Sarà pubblicato come Cd standard (con il booklet con le informazioni relative ai brani e le tavole di Cavazzano), nella versione Cd + libro (con in aggiunta le storie disegnate dallo storico illustratore Disney e i testi completi delle canzoni) e in Box Deluxe, contenente un vinile, un fascicolo con le ricerche storiche e le tavole illustrate da Giorgio Cavazzano in formato da collezione.

E le canzoni, come saranno?

Lente, inascoltabili, noiose, inutili.

Mi auguro di essere smentito ma conosco la mia polla.

E lei conosce noi visto che ci rifila i suoi compitini senili vendendoli a caro prezzo (come l'inutile cofanetto di dvd dove devi per forza ricomprare dvd già editi e riediti con qualche aggiunta per titillare le tasche dei fan, ma che schifo, che sfruttamento immane in tempi di crisi ma che strategia da negoziante...).

Ho smesso di comprare Mina e mi degnerò di ricomprarla quando ci venderà canzoni  e non libri, pappine e putipù.

Che vada in malora.

Lei e quei mercanti nel tempio della musica che l'hanno trasformata in una gallina dalle uova d'oro.
Sempre dal culo escono però e puzzano spesso di merda.

17 ottobre 2013

Ammazzati da Priebke

E mentre preparo un post su Priebke riprendo l'iniziativa di Articolo 21 e pubblico i nomi di tutte e 335 le vittime della strage delle Fosse Ardeatine:

Agnini Ferdinando – Studente di medicina
Ajroldi Antonio – Maggiore dell’Esercito.
Albanese Teodato – Avvocato.
Albertelli Pilo – Professore di filosofia.
Amoretti Ivanoe – Sottotenente in servizio permanente effettivo.
Angelai Aldo – Macellaio.
Angeli Virgilio – Pittore.
Angelini Paolo – Autista.
Angelucci Giovanni – Macellaio.
Annarumi Bruno – Stagnino.
Anticoli Lazzaro – Venditore ambulante.
Artale Vito – Tenente Generale d’artiglieria.
Astrologo Cesare – Lucidatore.
Aversa Raffaele – Capitano dei Carabinieri.
Avolio Carlo – Impiegato (S.A.L.B.)
Azzarita Manfredi – Capitano di cavalleria.
Baglivo Ugo – Avvocato.
Ballina Giovanni – Contadino.
Banzi Aldo – Impiegato.
Barbieri Silvio – Architetto.
Benati Nino – Banchista.
Bendicenti – Avvocato.
Berardi Lallo – Manovale.
Bernabei Elio – Ingegnere delle Ferrovie dello Stato.
Bernardini – Commerciante.
Bernardini Tito – Magazziniere.
Berolsheimer Aldo – Commesso.
Blumstein Giorgio Leone – Banchiere.
Bolgia Michele – Ferroviere.
Bonanni Luigi – Autista.
Bordoni Manlio – Impiegato.
Bruno Dl Belmonte Luigi – Proprietario.
Bucchi Marcello – Geometra.
Bucci Bruno – Disegnatore.
Bucci Umberto – Impiegato.
Bucciano Francesco – Impiegato.
Bussi Armando – Impiegato delle Ferrovie dello Stato.
Butera Gaetano – Pittore.
Buttaroni Vittorio – Autista.
Butticé Leonardo – Meccanico.
Calderari Giuseppe – Contadino.
Camisotti Carlo – Asfaltista.
Campanile Silvio – Commerciante.
Canacci Ilario – Cameriere.
Canalis Salvatore – Professore di lettere.
Cantalamessa Renato – Falegname.
Capecci Alfredo – Meccanico.
Capozio Ottavio – Impiegato postale.
Caputo Ferruccio – Studente.
Caracciolo Emanuele – Regista e tecnico cinematografico.
Carioli Francesco – Fruttivendolo.
Carola Federico – Capitano d’aviazione.
Carola Mario – Capitano di fanteria.
Casadei Andrea – Falegname.
Caviglia Adolfo – Impiegato.
Celani Giuseppe – Ispettore capo dei servizi annonari.
Cerroni Oreste – Tipografo.
Checchi Egidio – Meccanico.
Chiesa Romualdo – Studente.
Chiricozzi Aldo Francesco – Impiegato.
Ciavarella Francesco – Marinaio.
Cibei Duilio – Falegname.
Cibei Gino – Meccanico.
Cinelli Francesco – Impiegato.
Cinelli Giuseppe – Portatore ai mercati generali.
Cocco Pasquale – Studente.
Coen Saverio – Commerciante.
Conti Giorgio – Ingegnere.
Corsi Orazio – Falegname
Costanzi Guido – Impiegato.
Cozzi Alberto – Meccanico.
D’Amico Cosimo – Amministratore teatrale.
D’Amico Giuseppe – Impiegato.
D’Andrea Mario – Ferrovie.
D’Aspro Arturo – Ragioniere.
De Angelis Gerardo – Regista cinematografico.
De Carolis Ugo – Maggiore dei Carabinieri.
De Giorgio Carlo – Impiegato.
De Grenet Filippo – Tenente e agente del SIM.
Della Torre Odoardo – Avvocato.
Del Monte Giuseppe – Impiegato.
De Marchi Raoul – Impiegato.
De Nicolo Gastone – Studente.
De Simoni Fidardo – Operaio.
Di Capua Zaccaria – Autista.
Di Castro Angelo – Commesso.
Di Consiglio Cesare – Venditore ambulante.
Di Consiglio Franco – Macellaio.
Dl Consiglio Marco – Macellaio.
Di Consiglio Mosè – Commerciante.
Di Consiglio Salomone – Venditore ambulante.
Di Consiglio Santoro – Macellaio.
Di Nepi Alberto – Commerciante.
Di Nepi Giorgio – Viaggiatore.
Di Nepi Samuele – Commerciante.
Di Nola Ugo – Rappresentante di commercio.
Diociajuti Pier Domenico – Commerciante.
Di Peppe Otello – Falegname ebanista.
Di Porto Angelo – Commesso.
Di Porto Giacomo – Venditore ambulante.
Di Porto Giacomo – Venditore ambulante.
Di Salvo Gioacchino – Impiegato.
Di Segni Armando – Commerciante.
Di Segni Pacifico – Venditore ambulante.
Di Veroli Attilio – Commerciante.
Di Veroli Michele – Collaboratore del padre commerciante.
Drucker Salomone – Pellicciaio.
Duranti Lido – Operaio.
Efrati Marco – Commerciante.
Elena Fernando – Artista.
Eluisi Aldo – Pittore.
Ercolani Giorgio – Tenente Colonnello dell’Esercito e agente del SIM.
Ercoli Aldo – Pittore.
Fabri Renato – Commerciante.
Fabrini Antonio – Stagnino.
Fano Giorgio – Dottore in scienze commerciali.
Fantacone Alberto – Dottore in legge.
Fantini Vittorio – Farmacista.
Fatucci Sabato Amadio – Venditore ambulante.
Felicioli Mario – Elettrotecnico.
Fenulli Dardano – Maggior Generale
Ferola Enrico – Fabbro.
Finamonti Loreto – Commerciante.
Finocchiaro Arnaldo – Elettricista.
Finzi Aldo – Agricoltore.
Fiorentini Valerio – Autista meccanico.
Fiorini Fiorino – Maestro musica.
Fochetti Angelo – Impiegato.
Fondi Edmondo – Impiegato commerciante.
Fontana Genserico –Tenente dei Carabinieri, dottore in giurisprudenza.
Fornari Raffaele – Commerciante.
Fornaro Leone – Venditore ambulante.
Forte Gaetano – Commerciante.
Foschi Carlo – Commerciante.
Frasca Celestino – Muratore.
Frascà Paolo – Impiegato.
Frascati Angelo – Commerciante.
Frignani Giovanni – Tenente Colonnello dei Carabinieri
Funaro Alberto – Commerciante.
Funaro Mosè – Commerciante.
Funaro Pacifico – Autista.
Funaro Settimio – Venditore ambulante.
Galafati Angelo – Pontarolo.
Gallarello Antonio – Falegname ebanista.
Gavioli Luigi – Impiegato.
Gelsomini Manlio – Medico.
Gesmundo Gioacchino – Professore di lettere.
Giacchini Alberto – Assicuratore.
Giglio Maurizio – Dottore in legge.
Gigliozzi Romolo – Autista.
Giordano Calcedonio – Corazziere.
Giorgi Giorgio – Ragioniere.
Giorgini Renzo – Industriale.
Giustiniani Antonio – Cameriere.
Gorgolini Giorgio – Ragioniere.
Gori Gastone – Muratore.
Govoni Aladino – Capitano dei granatieri.
Grani Umberto – Tenente Colonnello dell’Aeronautica.
Grieco Ennio – Elettromeccanico.
Guidoni Unico – Studente.
Haipel Mario – Maresciallo dell’Esercito.
Iaforte Domenico – Calzolaio.
Ialuna Sebastiano – Agricoltore.
Imperiali Costantino – Rappresentante di vini.
Intreccialagli Mario – Calzolaio.
Kereszti Sandor – Ufficiale.
Landesman Boris – Commerciante.
La Vecchia Gaetano – Ebanista.
Leonardi Ornello – Commesso.
Leonelli Cesare – Avvocato.
Liberi Epidemio – Industriale.
Lioonnici Amedeo – Industriale.
Limentani Davide – Commerciante.
Limentani Giovanni – Commerciante.
Limentani Settimio – Commerciante.
Lombardi Ezio – Impiegato.
Lopresti Giuseppe – Dottore in legge.
Lordi Roberto – Generale dell’Aeronautica.
Lotti Giuseppe – Stuccatore.
Lucarelli Armando – Tipografo.
Luchetti Carlo – Stagnaro.
Luna Gavino – Impiegato delle Poste.
Lungaro Pietro Ermelindo – Sottufficiale di Pubblica Sicurezza.
Lunghi Ambrogio – Asfaltista.
Lusena Umberto – Maggiore dell’Esercito.
Luzzi Everardo – Metallurgico.
Magri Mario – Capitano d’artiglieria.
Manca Candido – Brigadiere dei Carabinieri.
Mancini Enrico – Commerciante.
Marchesi Alberto – Commerciante.
Marchetti Duilio – Autista.
Margioni Antonio – Falegname.
Marimpietri Vittorio – Impiegato.
Marino Angelo – Piazzista.
Martella Angelo
Martelli Castaldi Sabato – Generale dell’Aeronautica.
Martini Placido – Avvocato.
Mastrangeli Fulvio – Impiegato.
Mastrogiacomo Luigi – Custode del ministero delle Finanza.
Medas Giuseppe – Avvocato.
Menasci Umberto – Commerciante.
Micheli Ernesto – Imbianchino.
Micozzi Emidio – Commerciante.
Mieli Cesare – Venditore ambulante.
Mieli Mario – Negoziante.
Mieli Renato – Negoziante.
Milano Raffaele – Viaggiatore.
Milano Tullio – Impiegato.
Milano Ugo – Impiegato.
Mocci Sisinnio
Montezemolo Giuseppe – Colonnello dei Carabinieri e agente del SIM.
Moretti Augusto
Moretti Pio – Contadino.
Morgano Santo – Elettromeccanico.
Mosca Alfredo – Elettrotecnico.
Moscati Emanuele – Piazzista.
Moscati Pace – Venditore ambulante.
Moscati Vito – Elettricista.
Mosciatti Carlo – Impiegato.
Napoleone Agostino – Sottotenente di vascello della Marina.
Natali Celestino – Commerciante.
Natili Mariano – Commerciante.
Navarra Giuseppe – Contadino.
Ninci Sestilio – Tramviere.
Nobili Edoardo – Meccanico.
Norma Fernando – Ebanista.
Orlandi Posti Orlando – Studente.
Ottaviano Armando – Dottore in lettere.
Paliani Attilio – Commerciante.
Pappagallo Pietro – Sacerdote.
Pasqualucci Alfredo – Calzolaio.
Passarella Mario – Falegname.
Pelliccia Ulderico – Carpentiere.
Pensuti Renzo – Studente.
Pepicelli Francesco – Maresciallo dei Carabinieri.
Perpetua Remo – Rigattiere.
Perugia Angelo – Venditore ambulante.
Petocchi Amedeo
Petrucci Paolo – Professore di lettere.
Pettorini Ambrogio – Agricoltore.
Piasco Renzo – Ferroviere.
Piattelli Cesare – Venditore ambulante.
Piattelli Franco – Commesso.
Piattelli Giacomo – Piazzista.
Pierantoni Luigi – Medico.
Pierleoni Romolo – Fabbro.
Pignotti Angelo – Negoziante.
Pignotti Umberto – Impiegato.
Piperno Claudio – Commerciante.
Piras Ignazio – Contadino.
Pirozzi Vincenzo – Ragioniere.
Pisino Antonio – Ufficiale di marina.
Pistonesi Antonio – Cameriere.
Pitrelli Rosario – Meccanico.
Polli Domenico – Costruttore edile.
Portieri Alessandro – Meccanico.
Portinari Erminio – Geometra.
Primavera Pietro – Impiegato.
Prosperi Antonio – Impiegato.
Pula Italo – Fabbro.
Pula Spartaco – Verniciatore.
Raffaeli Beniamino – Carpentiere.
Rampulla Giovanni – Tenente Colonnello.
Rendina Roberto – Tenente Colonnello d’artiglieria.
Renzi Egidio – Operaio.
Renzini Augusto – Carabiniere.
Ricci Domenico – Impiegato.
Rindone Nunzio – Pastore.
Rizzo Ottorino – Maggiore dell’Esercito.
Roazzi Antonio – Autista.
Rocchi Filippo – Commerciante.
Rodella Bruno – Studente.
Rodriguez Pereira Romeo – Tenente dei Carabinieri.
Romagnoli Goffredo – Ferroviere.
Roncacci Giulio – Commerciante.
Ronconi Ettore – Contadino.
Saccotelli Vincenzo – Falegname.
Salemme Felice – Impiegato.
Salvatori Giovanni – Impiegato.
Sansolini Adolfo – Commerciante.
Sansolini Alfredo – Commerciante.
Savelli Francesco – Ingegnere.
Scarioli Ivano – Bracciante.
Scattoni Umberto – Pittore.
Sciunnach Dattilo – Commerciante.
Semini Fiorenzo – Sottotenente di vascello della Regia Marina.
Senesi Giovanni – Esattore istituto di assicurazioni.
Sepe Gaetano – Sarto.
Sergi Gerardo – Sottotenente dei Carabinieri Reali.
Sermoneta Benedetto – Venditore ambulante.
Silvestri Sebastiano – Agricoltore.
Simoni Simone – Generale.
rimosso su cortese richiesta di familiare della Vittima
Sonnino Gabriele – Commesso.
Sonnino Mosè – Venditore ambulante.
rimosso su cortese richiesta di familiare della Vittima
Spunticchia Antonino – Meccanico.
Stame Nicola Ugo – Artista lirico.
Talamo Manfredi – Tenente Colonnello dei Carabinieri Reali.
Tapparelli Mario – Commerciante.
Tedesco Cesare – Commesso.
Terracina Sergio – Commesso.
Testa Settimio – Contadino.
Trentini Giulio – Arrotino.
Troiani Eusebio – Mediatore.
Troiani Pietro – Venditore ambulante.
Ugolini Nino – Elettromeccanico.
Unghetti Antonio – Manovale.
Valesani Otello – Calzolaio.
Vercillo Giovanni – Impiegato.
Villoresi Renato – Capitano dell’Esercito.
Viotti Pietro – Commerciante
Vivanti Angelo – Commerciante.
Vivanti Giacomo – Commerciante.
Vivenzio Gennaro
Volponi Guido – Impiegato.
Wald Pesach Paul
Wald Schra
Zaccagnini Carlo – Avvocato.
Zambelli Ilario – Telegrafista
Zarfati Alessandro – Commerciante.
Zicconi Raffaele – Impiegato.
Zironi Augusto – Sottotenente di vascello della Marina.
12 Salme non identificate

6 ottobre 2013

Contrastare la violenza sulle donne è un'altra cosa: sulla pubblicità di Coconuda


Lei (Anna Tatangelo) davanti a lui.
La faccia seria, una camicia maschile sotto la quale non indossa il reggiseno, gli occhi bistrati come al suo solito, una lacrima di trucco à la Pierrot, una tiara in testa da reginetta del ballo americano, da principessa dei sogni.

Guarda oltre l'obbiettivo, a lato, come immersa nei suoi pensieri, assorta, non è davvero presente nella scena. Sicuramente meno presente di lui.

Lui (Fabio Coconuda) defilato, dietro di lei, una gamba flessa, il jeans strappato sul ginocchio, guarda dritto in obiettivo guarda in un'altra direzione.

Una mano col palmo rivolto verso chi lo guarda.
Come dovesse difendersi lui dalla violenza. E infatti sul palmo della mano ha scritto basta. E' lui il vero protagonista.
Lo stilista Coconuda proprietario del marchio che porta il suo cognome, e maschio.

Un maschio che non agisce la violenza, che non testimonia nemmeno contro la violenza ma che si atteggia a vittima mentre la donna, quella contro cui la violenza si abbatte, continua a essere una presenza esornativa, come sempre, una presenza astratta, un femminino che serve a vendere di tutto, in questo caso a sostenere una campagna nominalmente contro la violenza sulle donne, come non la riguardasse in prima persona, ma solo in quanto strumento di pubblicità e vendita. Proprio come il corpo della donna non c'entra niente con lo yogurt o gli altri mille prodotti che (Il copro del)la donna più o meno (s)vestita pubblicizza.

Un capolavoro di ossimoro perchè questa pubblicità mentre pretende di dire basta alla violenza contro le donne allestisce in realtà uno scippo enorme sostituendo il maschio alla donna come soggetto della comunicazione e tenendo la donna come oggetto di appeal, defilato e assente, distaccata, quasi atarattica, esteriormente triste (quella lacrima simbolica dipinta col trucco) mentre è lui il maschio quello che mena stupra e uccide a essere sofferente, ad avere un viso contratto dal dispiacere, dalla paura, dal dolore, è lui che si sta difendendo.

A ben vedere questa pubblicità dice basta di accusare noi maschi di compiere violenze sulle donne.

Dopo il danno anche la beffa.

Non basta apprezzare le intenzioni se il linguaggio comunicativo è sempre quello discriminatorio quel linguaggio che Boldrini ha così precisamente criticato sentendosi dare dell'incompetente da quel maschilista e omofobo di Barilla.

Se sono i maschi a compiere violenza sulla donna com'è possibile che in una immagine di denuncia ci sia un maschio non in atteggiamento aggressivo ma in atteggiamento da vittima che si difende?

Il linguaggio di questa fotografia è maschilista, discriminatorio e ingannevole.

Fateci attenzione non rendetevene complici.

2 ottobre 2013

Ancora sulla pubblicità e Guido Barilla. Uno splendido articolo di Antonella Valoroso


UN bellissimo articolo su la 27ora del corsera che riporto integralmente per la gioia di leggere un commento intelligente e colto.

E aveva provato a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste

Quando la pubblicità Barilla, con Mina, raccontava altre storie



Anche Dario Fo ha provato a ricordarlo nell’appello lanciato qualche giorno fa su change.org.
C’è stato un tempo in cui l’azienda emiliana –sotto la guida illuminata di Pietro Barilla (1913-1993)- non solo ha incarnato un’idea di Italia in cui tutti potevano riconoscersi ma ha anche scelto consapevolmente di guardare in avanti, provando a immaginare e raccontare una società in via di modernizzazione in cui le donne non erano identificate soltanto come massaie ma stavano diventando sempre più protagoniste.
Da allora sono passati quaranta o al massimo cinquant’anni. Ma sembrano secoli se proviamo a confrontare scelte di campo e modalità di narrazione.
Basta guardare questa breve clip per rendersene conto:

Che effetto vi fa (ri)guardare questa pubblicità?
Si tratta di uno spot del 1967 e nel messaggio promozionale è presente un’autentica rivoluzione linguistica e culturale: non solo Mina si rivolge alla spettatrice con il tu, ma la invita a preparare la pasta per il suo uomo e per i suoi ragazzi, non per suo marito e i suoi figli. E allora come oggi la mente corre da una parte al titolo di uno dei più grandi successi della cantante – È l’uomo per me (1964)- e dall’altra alle vicende personali che fecero dell’artista un simbolo di emancipazione femminile.

Mina, la più trasgressiva, moderna e sexy delle celebrità degli anni Sessanta, era stata ingaggiata come testimonial dall’azienda emiliana nel 1965: un anno di svolta per la sua carriera. La cantante venticinquenne era infatti appena rientrata in televisione dopo esserne stata bandita per più di un anno a causa della sua relazione irregolare con l’attore Corrado Pani, all’epoca già sposato.
In un’Italia in cui il divorzio non esisteva e i modelli familiari tradizionali non sembravano ammettere eccezioni, Mina aveva deciso di rendere pubblica sia la relazione con Pani che la sua gravidanza -il 18 aprile 1963 era nato il figlio Massimiliano- e aveva pagato a caro prezzo la propria scelta con l’ostracismo da parte della televisione di stato (l’unica, peraltro, esistente in quegli anni). La maggioranza del pubblico, però, rimase dalla sua parte e questo diede al suo rientro il sapore di un trionfo.
Nel 1965 la popolarità di Mina era alle dunque alle stelle, eppure ingaggiarla come testimonial fu una scelta di marketing abbastanza azzardata.
Cosa c’entrava Mina con la pasta, la casalinga e la famiglia tradizionale italiana? Poco o nulla.
Mina rappresentava però un modello di donna moderna e indipendente. E sceglierla come testimonial dimostrò che la Barilla intendeva farsi interprete del cambiamento in atto nella società proprio in un momento storico in cui il paese reale era lontano anni luce dal paese legale. Fu una scelta fatta con stile e ironia –gli spot girati con Mina dal ’65 al ’70 sono lì a ricordarcelo- ma fu un contributo non trascurabile a quella trasformazione della mentalità italiana che avrebbe portato il paese verso la grande stagione delle riforme degli anni 70:
approvazione delle legge sul divorzio e sull’aborto, riforma del diritto di famiglia, legge sulle pari opportunità.
La collaborazione di Mina con l’azienda emiliana sarebbe andata avanti fino al 1970. Nei primi anni ‘70, però, con l’avvento della crisi economica, il prezzo della pasta viene calmierato e l’azienda è costretta a ridimensionare drasticamente il proprio budget promozionale.
L’investimento nella comunicazione fatto negli anni ’60 lascerà tuttavia un’impronta durevole nel costume e nei consumi degli italiani.
E così gli anni ’80 segneranno non solo l’uscita dalla crisi ma anche, complice la vittoria degli azzurri al campionato del mondo di calcio del 1982, la consacrazione della pasta come icona culturale e gastronomica dell’Italia dentro e fuori i confini nazionali.Ripensando alle polemiche dei giorni passati, sarebbe stato bello se, durante la famigerata intervista con La Zanzara, l’attuale presidente dell’azienda Guido Barilla, piuttosto che cadere nelle trappole dei conduttori della trasmissione radiofonica, si fosse ricordato di una bella campagna a stampa.


Era il 1984 e -per la prima volta in una pubblicità della pasta- si vedeva una donna seduta a tavola per gustare il cibo e non in piedi nell’atto di offrirlo a qualcun altro. Certo, sembrerebbe che l’unico a mangiare sia lui, ma –dopo un decennio di lotte e di riforme fondamentali per la parità di genere e i diritti delle donne- uomo e donna erano collocati sullo stesso livello.
Almeno nello spazio ideale della pubblicità.

*Nota dell’autrice: Ho studiato a fondo la rappresentazione della donna nella comunicazione pubblicitaria della Barilla tra anni ’50 e anni ’60 lavorando sui materiali dell’Archivio Storico Barilla di Parma, cui appartengono anche tutti i materiali fotografici utilizzati in questa sede. Il testo completo della mia ricerca -“A Kitchen with a View”. Female Role-Models and Gender Relations in Barilla Advertising Campaigns of the 1950s and 1960s- sarà presto disponibile negli atti del convegno Italian Food: Fact and Fiction, London, Berg Publishers, 2014.
Link al programma della conferenza [http://www.foodconference.it/schedule/]

Lo spot fallocratico dei Fonzies: ovvero Boldrini ha ragione da vendere!

Così mentre le scuse blande e parziali di Guido Barilla hanno placato gli animi sul boicottaggio della sua pasta (che bisogna continuare a non comprare come minimo perchè il gruppo di minoranza dell'asset proprietario fabbrica armi) scuse parziali che non gli fanno prendere le distanze dalle affermazioni contro la Presidente della Camera Laura Boldrini, quarta carica dello Stato, che per Barilla di può esprimersi circa il maschilismo di certe pubblicità perchè incompetente, ecco una pubblicità che non solo conferma le preoccupazioni della Presidente ma le rende ancora più urgenti.




Il blog Un altro genere di comunicazione ne fa una lettura interessante della quale riporto alcuni passaggi fondamentali

La sessualizzazione dei ragazzini attraverso pubblicità e media avviene per entrambi i sessi, con la differenza che per i giovani maschi si rimanda ad una sessualità attiva, agita; per le giovani femmine, invece, ad una sessualità che rimanda al grado di appetibilità raggiunto e allo sguardo esterno e giudicante su di sé. Non si stupirebbe nessuno, infatti, di ritrovare una dodicenne in una pubblicità alle prese con le sue tette che crescono e con le paturnie conseguenti agli sguardi (o non sguardi) dei coetanei maschi. Ma nell’immaginario collettivo l’organo sessuale femminile è un tabù e viene circondato da un’aurea di sacralità, scollegandolo dalla sessualità attiva e dalla sua funzione di godimento. Il rapporto di un bambino ( poi ragazzo, poi adulto ) con i suoi genitali è impostato sull’esteriorità: esterni i genitali, esterno l’uso e il commento che se ne fa. Esposizione costante, valutazioni collettive. E se viene trovato a masturbarsi, è normale, gli si lascia il suo tempo. Un neonato maschio che si tocca i genitali viene trattato teneramente. Una neonata femmina non deve, fin da piccolissima le si tolgono le mani “di lì”. La vagina, la vulva, la fica nemmeno si nomina, nemmeno si sa che c’è. La bambine non sanno nemmeno com’è fatta, perché non essendo lì fuori, pronta alla vista, in pochissimi genitori spiegano l’anatomia del corpo femminile o suggeriscono le acrobazie con gli specchietti per conoscersi meglio. E’ interiore. Non interna (che anche le donne hanno i genitali esterni), ma proprio interiore. Da mettere vicino ai sentimenti, legando sessualità ed emotività femminile come invece non viene proposto ai bambini, ragazzi, uomini. Non si può nominare in un Parlamento, non se ne può discutere tra amiche senza creare reazioni pruriginose, non se ne può parlare senza uomini che ti insegnino come farlo.

Mimosa Pale, artista finlandese, invita i suoi cittadini ad arrampicarsi nella sua vagina. Ha infatti scolpito un’enorme vagina sul calco della propria e ne ha ricoperto una bicicletta sui cui su cui si può pedalare, assistendo all’esteriorizzazione totale dei genitali femminili. Il senso dell’opera, chiaramente ironica e dissacratoria, vuole essere quello di esporre talmente tanto la vagina da non poterla evitare, non poterla negare, relegare a imbarazzo e ignoranza, come succede in questo mondo pieno di adulazioni falliche.


Io vorrei soffermarmi invece su alcuni aspetti dello spot che restituiscono l'antropologia della sessualità nell'Italia del terzo millennio non così lontana da quella patriarcale e contadina di cui parava Pasolini.


il contesto

Il contesto è rurale, un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti. Lontano dalla città cosmopolita e metrosexual.

A dare pubblicità dei due centimetri in più è un Ape con i megafoni quello che in città oggi sopravvive solo per l'arrotino.

L'età, il sesso, il lavoro e la sessualità

Nello spot, ad esclusione della mamma di Andrea, ci sono solo adolescenti e persone anziane.

Il discorso sul sesso è dunque fatto da persone che al sesso alludono ma che il sesso non agiscono, non ancora o non più.

Il doppio senso non è caricato di alcuna potenzialità ses(n)suale.

Andrea è ancora un brutto anatroccolo e non un ragazzino già sessualmente desiderabile come pure ci sono in altri spot.















A differenza della ragazz(in)a che viene fatta rientrare in casa non solo perchè innocente altrimenti non potrebbe cogliere il discorso sul sesso ma proprio perchè potrebbe coglierlo.

L'interdizione è per la signorina in età da sesso.

Il discorso sui due centimeri che alludono al fallo viene fatto da un preadolescente ingenuo (è l'unico a non avere colto il doppio senso tant'è che alla fine dello spot ribadisce il significato letterale che riguarda il fonzies più lungo, tenendolo in mano, mostrandolo e annuendo per ribadire il concetto) e che dunque ancora non si masturba.

Può dunque avere ancora come interlocutrice la madre alla quale comunica un messaggio senza malizia del quale ignora il portato sessuale.

Portato sessuale che la madre capisce benissimo naturalmente ma non come sessualità agita bensì come sessualità simbolica.

La crescita del pene implica la mancanza di uno sviluppo completo e dunque è ancora una questione di donne che allevano la prole, maschile quanto femminile.

Potrebbe essere cresciuto in altezza e invece no gli è cresciuto l'uccello.

Per evitare cortocircuiti tra l'orgoglio  femminile di genitrice con quello di donna che apprezza il membro maschile in termini sessuali lo spot mostra una mamma.


Una mamma che non fa niente. Nemmeno i lavori donneschi della cucina ma sta al telefono.

La mamma riferisce a sua volta la notizia a sua madre che sta capando i fagiolini.



Ed è la (d)(n)onna a dare la notizia al paese. Ma chi la ascolta?

Gli uomini pensionati che non hanno un cazzo da fare proprio come la madre e giocano a carte, sublimando il sesso in una partita di scopa, e che si complimentano per il maschio che sarà sessualmente attivo ma ancora non lo è, loro che sessualmente attivi non sono più.

C'è anche un bambino colpito dalla notizia che comunque sa che prima o poi succederà anche a lui la stessa cosa.



E che guarda infatti speranzoso più che invidioso.

Non tutti gli anziani dello spot sono inattivi perchè pensionati.


Un uomo fisicamente - poco attraente secondo i canoni standard  - esce dal bar portando sottobraccio quello che sembra un casco(?) un portiere che trova la cosa esagerata, si sa che i vecchi sono sempre restii ai cambiamenti...



e un barbiere e un suo cliente invidiosi (beato lui...)




...una invidia di chi sa che anche gli crescesse l'equipaggiamento non saprebbero pi come usarlo oppure, più sottilmente, non saprebbero con chi usarlo.

Se mancano i maschi giovani o adulti, comunque sessualmente attivi è per scongiurare (censurare?)  il portato implicito omoerotico che quando un maschio apprezza la crescita del membro di un altro maschio è sempre in ballo.

A ben vedere il motivo più profondo dello stigma omosessuale è che l'omosessualità rende concreta ed esplicita quella simpatia simbolica tra maschi dotati di pene.
Una simpatia dettata dal potere e non dal desiderio desiderio che quel potere mina perchè rende esplicita la contraddizione di fondo che il fallocentrismo non può permettersi: la totale non necessità della donna.


Esautorata da ogni gestione del potere nonostante il potere procreativo sia suo  e non del maschio

La donna è la porta che mette in contatto il qui con un altrove da cui tutte veniamo e a cui tutte torniamo talmente potente che l'uomo ha esautorato la donna da quel potere iscrivendolo in una sacralità (la stessa cui fa riferimento Barilla) che di fatto toglie alla donna ogni gestione e controllo.

Sacralizzata la porta diventa il contenitore dello sperma maschile, nell'antichità l'unico principio attivo e vitale (la donna essendo solo un incunabolo). 

Luogo dell'incontro di un potere maschile il ventre materno con la cultura giudaico cristiana diventa è un ventre gestatorio dal quale nasce il figlio di dio (ma la madonna resta vergine prima durante e dopo) un ventre simbolico, una funzione, un oggetto non un soggetto.

I maschi non possono fare sesso tra di loro perchè non essendo tra di loro fertili ricordano che il vero potere sta in quel femminile messo tra parentesi dalla sacralità.
Se due maschi fanno sesso tra di loro si auto-esautorerebbero dal potere lasciandolo alle donne.

Ecco il vero cuore di tutto il patriarcato da quello precedente l'era giudaico-cristiana a quella cattolica dove si insiste tanto sulla famiglia come famiglia che procrea, per giustificare questa divisione del potere: la donna asservita all'uomo senza possibilità di autoemancipazione alcuna.

L'unica eccezione a questo potere performativo del pene ingravidante (dalla quale nessun maschio si può sottrarre) è quella del prete che pur essendo potenzialmente ingravidante è casto raggiungendo il massimo dei poteri magnanimi di chi ha un potere e non lo usa. Proprio come si chiede di fare agli omosessuali il cui peccato non è l'omo-affettività ma l'omo-sessualità...

Per tornare allo spot al di là del fallocentrismo spiazzante nella sua mancanza di pudore colpisce questa idea vetusta che il sesso riguardi solo una fascia giovanile adulta che è ancora ferma a quell'idea rurale, patriarcale e contadina di sesso degli anni 50, prima del passaggio alla società post industriale, come ha saputo ben individuare Pasolini ai tempi del boom.
Beninteso l'idea sublimata e codificata nei racconti nei film e nelle foto, non quella concreta dove i nonni scopano le e i nipoti...


Interessante notare come questo spot sia chiaro per tutte nei suoi riferimenti impliciti nonostante la società reale sia molto distante da questa dove i vecchi sesso lo fanno (basta vedere Berlusconi) le vecchie no ma le donne ancora non contano un cazzo nei mass media eppure...
Ecco come gli spot sostengono, diffondono e rielaborano vecchi immaginari collettivi con il loro portato ideologico poco importa se e quanto questi modelli corrispondano alla società reale.

Questo per rispondere a quante in questi giorni a proposito degli spot Barilla senza gay hanno risposto che gli spot seguono le regole oggettive del marketing e che non vanno letti in senso politico o ideologico.
Che cioè se le pubblicità sono reazionarie è perchè lo è la società.

Questo spot dimostra come l'orizzonte ideologico di uno spot è scelto dalle pubblicitarie secondo una precisa strategia di comunicazione che non è necessariamente scritta nella realtà contemporanea ma in un immaginario collettivo che tutte possediamo anche se vetusto e sorpassato.

E che dire che le pubblicità si limitano a restituire la realtà per quel che è, è una affermazione stra ideologica oltre che risibile e discutibile.

Ognuna di noi coglie questi segni che hanno perfettamente senso tanto da non da dover essere esplicitati o spiegati. 

E quando una comunicazione massmediale è implicita e non abbisogna di spiegazioni si fa indottrinamento puro perchè si confermano con il meccanismo dell'ovvio (di quello cioè che è talmente tacito per tutte da non dover essere spiegato) ideologie che la società, quella reale ha invece magari già messo in discussione, nelle pratiche legislative, nelle pratiche sociali, e anche in certa letteratura o certa cinematografia meno di massa e di consumo quotidiano come uno spot.

Alla faccia di pseudogiornaliste come Naso che sul Fatto quotidiano conciona sulla pubblicità dicendo che non ha alcun impatto sul modo di pensare delle persone cui è rivolta.

Alla faccia di chi, seguendo una ideologia castrante, pretende sia solo uno spot.

Infine ritorno anche io al bel post del sito Un altro genere di comunicazione
quando si dice
Per evitare commenti del club “ma fatevela una risata“, sempre più in crescita: hahahahahaha. Fatto.
L’ironia bisogna saperla cogliere.
 Ecco.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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