29 ottobre 2010

Festival Internazionale del Film di Roma numero 5

Che cos'è un pedè, chiede il figlioletto che ha sentito la parla. Chiedilo a tuo padre, fa uno degli adulti, che lui lo sa bene. Il padre del ragazzino, un giovane uomo che sta cominciando a invecchiare chiama il figlio e gli dice: Pedè è una parolaccia, un insulto, e significa omosessuale. E omosessuale significa un uomo che ama un altro uomo. E tu lo devi rispettare, perché l'amore è sempre amore. Poi accompagna il figlio e i ragazzini di un'altra coppia in un'altra stanza è da un pugno all'uomo che ha parlato prima. Il suo migliore amico al quale ha confessato solo pochi giorni prima di esserne innamorato.


E' una delle scene di Les petits mouchoirs Francia, 2010, di Guillame Canet. Un Grande freddo francese lunghissimo (154 minuti) e con dei personaggi femminili molto interessanti che mostra, ancora una volta, l'egoismo adolescenziale dal quale noi maschietti non sappiamo uscire e dal cui orizzonte emotivo annaspiamo verso la vita adulta (quando mi sono sposato ero molto giovane si giustifica con l'amico al quale ha dichiarato il suo amore dicendo i piacciono le tue mani). Film interessante soprattutto perché mostra quel che vien prodotto oggi in Francia una produzione solida, credibilissimo nei dettagli, ben recitato, ben scritto, splendidamente girato e diretto). Per vedere film francesi dobbiamo rivolgerci ai festival, qui in Italia, anche se il tributo da pagare sono le varie marchette fatte al cinema USA meno invadente degli anni scorsi ma con proposte stucchevoli (i primi 20 minuti di Tron Legacy) mentre il provincialismo filoamericanon di colleghi e amici dirotta in massa verso film di Landis che, pure, saranno in sala già dalla settimana prossima, mentre quello di Canet no, e mi sono sentito rispondere e chissene frega.
Secondo film di oggi un inutile, anche se ben girato e recitato Animal Kingdom Australia, 2010 di David Michôd la cui tesi è che come gli animali i giovani sono deboli e vengono difesi dagli adulti forti, fin quando non sanno difendersi da soli, come capita al protagonista, minorenne sopravvissuto a una madre eroinomane morta di overdose,  che spara allo zio, rapinatore psicopatico che gli ha ucciso la fidanzata per tema, che lo denunciasse alla polizia, dopo averlo fatto assolvere al processo del quale era testimone chiave. I panni sporchi si lavano in famiglia e lo stesso dicasi per la giustizia. Inutile dire, ma forse no, che in sala, alla proiezione per soli giornalisti, il film è stato accolto da un applauso entusiasta, tutti fascisti gli italiani...

Poi è la volta dio My Brothers Irlanda, 2010 di Paul Fraser, compitino in digitale dignitoso e ben confezionato su tre fratelli un preadolescente un adolescente e uno in età di patente che arrivano fino al mar per riprendere l'orologio digitale Casio (ah! il product placement) al padre morente che si è rotto. Scuregge, maniaco che si masturba (per fortuna fuori campo) dinanzi il ragazzo d'età di mezzo (che però ha perso gli occhiali quindi vede quel tanto che gli basta per darsela a gambe levate) ma, insomma, un film inutile.

Otsuka Yasuo no Ugokasu Yorokobi (Giappone, 2004) di Uratani Toshiro è il più classico dei documentari su Ootsuka Yasuo, storico animatore, tra i fondatori dello stile giapponese, nonché mentore di Takahata Isao e di Miyazaki Hayao. Come ogni buon documentario ti insegna molte cose, ed essendo stato pensato per un pubblico giapponese e non internazionale dice anche altre cose involontariamente (sulla politica e la storia giapponesi, sulla loro cultura), un piccolo gioiello.

Hævnen (Danimarca, 2010) di Susanne Bier (non lasciatevi ingannare la t.l è vendetta non paradiso come può sembrare, ma perchè siamo tutti così anglocentrici?!) è una storia ben scritta, ben girata e ben diretta, che pone buone domande etiche e suggerisce più di una risposta interessante e meno discutibile che altrove, anche per l'impostazione non cattolica (e non religiosa) del problema che però affronta domande un poco astratte non calate nella società, nella storia. Anche la parte girata in Africa, con uno dei protagonisti che fa il medico volontario, non denuncia le cause  delle condizioni di quegli esseri umani, si limita a descrivere IL MALE (nella fattispecie un guerrigliero che va in giro con le armi e si diverte ad aprire le pance di giovani ragazze incinta per scommettere sul sesso del nascituro) chi gli dà le armi? Perché il medico non appronta una campagna anticoncezionale ? (lo seguirebbero come prendono i suoi medicinali...) Non si sa. Così posta la questione anche se rispetto alla vita mia e di voi che leggete è sicuramente meglio (se fossimo tutti un minimo responsabili del nostro benessere a discapito degli altri dovremmo tutti fare volontariato nel terzo mondo...) il film è anni luce avanti, alla fine è un film edificante che conferma la buona volontà di noi bianchi assolvendoci dalle colpe dello sfruttamento dell'Africa. Gli africani sono solo sfigati e non è colpa di nessuno. Ma non fraintendete il film si svolge in Danimarca e riguarda il problema di come reagire nei confronti del bullismo, giovanile e adulto. Ma, come al solito, prende una piega privata (il bulletto giovane ha appena perso la madre a causa de cancro...) per chiamare in causa la società. E per la prima volta in un film Danese (almeno per quelli che ho visto io) i genitori annaspano proprio come quelli del sud Europa. Insomma stiamo davvero nella merda se anche i paesi scandinavi hanno problemi basilari di disciplina e non sanno come reagire coi figli.

Questo secondo giorno del festival è comunque all'insegna dell'inutilità. nessuno dei film visti ha infatti lo spessore dell'opera nuova, o diversa, nessuno dei film proposti ha la motivazione di disturbare lo spettatore romano con nessuna qualità, nemmeno la ragione più commerciale. Sono tutti film che sono copia di altri gfilm, a loro volta copia di altri film e solo quelli erano davvero interessanti.

Sarà che nel 2010 io ai film chiedo davvero molto ma i film visti oggi sono tutti facilmente dimenticabili e sembrano pescati a caso dal mucchio


Ieri invece è stata la volta del capolavoro (si ironizza ovviamente) di la scuola è finita opera terza di Valerio Jalongo, con Valeria Golino, brava anche da chi non sa dirigere gli attori e Vincenzo Amato, attore feticcio di Crialese che qui non convince per niente. Un film rivoltante che parla della scuola con la cattiveria e la superficialità degne di Maria (pora)Stella Gelmini (la più grossolana i giudizi delle medie al posto dei voti in un liceo...), banchi istoriati di scritte, buchi alle porte, collegi dei docenti fatti in 12, misogino (la madre del protagonista è una ex bucatina mignotta e sprovveduta) e qualunquista, che prende un po' di credibilità solo quando esce dalla scuola, per incartarsi subito nel privato dei protagonisti, niente società, niente economia, niente paese reale. Sguardo da vecchio (e il regista lo è molto più dei suoi 50 anni) sui giovani descritti come bestie da zoo per un fil inutile che si guarda solo per la bellezza di Valeria Golino e quella del giovane protagonista Fulvio Forti.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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