4 aprile 2008

Il diritto di Parola

Leggo su Repubblica online un articolo di Miriam Mafai
Il diritto di parola
che riporto di seguito


Fossi stata ieri sera a Bologna, sarei stata dalla parte di Giuliano Ferrara, contro coloro che, con la violenza, gli hanno impedito di parlare.

FOSSI stata ieri sera a Bologna, avrei difeso il diritto di
Giuliano Ferrara di esporre in pubblico le sue idee, che non condivido, che combatto e continuerò a combattere scrivendo su questo giornale e partecipando a incontri e manifestazioni in difesa della legge 194, della libertà delle donne e della laicità dello Stato. Fossi stata ieri sera a Bologna avrei difeso Giuliano Ferrara dalla insensata aggressione di cui è stato vittima perché non credo, non ho mai creduto, nemmeno in tempi assai più torbidi di quelli che attraversiamo, che sia lecito aggredire e togliere con la forza la parola a qualcuno di cui non condividiamo le posizioni.

La scena alla quale abbiamo assistito ieri sera a Bologna mi appare una sorta di grottesca replica di altre aggressioni che abbiamo visto in anni lontani contro militanti e manifestazioni di opposti schieramenti. Una replica grottesca, ma non per questo meno pericolosa. I ragazzi e le ragazze che lanciavano contro il palco e l'oratore insulti, pomodori
e qualche corpo contundente avevano facce allegre, divertite.

Ne abbiamo viste facce così, altrettanto allegre e divertite, in altre manifestazioni e cortei, che hanno dato luogo poi, in breve volger di tempo, ad aggressioni e violenze di cui noi, e tutto il paese, abbiamo conosciuto le conseguenze.

Può essere infatti molto breve la strada che, dal gusto un po' infantile del dileggio, conduce al più robusto piacere della violenza con lo stesso obiettivo. Quello di costringere l'avversario politico, trasformato in nemico,
prima all'umiliazione e poi al silenzio. E' intollerabile. Non solo in nome della famosa ed abusata massima volterriana che vuole che io difenda fino alla morte il diritto di un avversario a sostenere una tesi che non condivido, ma per una esperienza recente. Perché conosco, come tutti coloro che hanno attraversato la storia degli ultimi anni di questo paese, il pericolo di una esasperazione, non più controllabile, dei contrasti politici.

La democrazia, nella quale crediamo, è fatta - lo sappiamo tutti ma va forse ripetuto - di opinioni diverse, opposte, contrastanti e del diritto di ognuna di
queste di esprimersi in pubblico, raccogliendo consensi e dissensi. Giuliano Ferrara incarna in questo momento una posizione politica e culturale che mi offende come donna e che rischia, se fosse vincente, di far tornare centinaia di migliaia di donne alla vergogna ed alla sofferenza degli aborti clandestini. Ma non saranno i pomodori e le uova o i corpi contundenti lanciati contro un palco e un oratore a sconfiggere quelle posizioni. La democrazia non viene messa in pericolo dalle posizioni di Ferrara, ma rischia di essere messa in pericolo da quei pomodori, da quelle uova, da quel dileggio esibito e feroce e da quella violenza.
(potete leggere l'originale sul sito di Repubblica.

Resto basito da tanta ingenuità e chinarsi al potere (maschile) e decido di scriverLe una lettera,che ho appena inviato.
eccone il testo:
Cara Miriam Mafai,

mi dispiace leggere che nel tuo articolo “Il diritto di parola” rimproveri a quei giovani che con i loro fischi coprivano quel che Ferrara aveva da dire le loro facce sorridenti e i pomodori lanciati (e uova… Mi risulta invece che gli oggetti contundenti siano stati lanciati contro la macchina e non contro la persona) mentre non rimproveri a Ferrara la provocazione, l’ecolalia delle sue argomentazioni, l’insostenibilità delle sue posizioni, come se la posta in gioco sia quella che si decide ogni giorno nel normale agone della cosa pubblica.

E’ Ferrara ad attaccare la libertà e la democrazia.

La libertà della donne di autodeterminarsi, la democrazia che permette loro di scegliere autonomamente come gestire il proprio corpo.

Ferrara conciona su decisioni che mai in nessun caso riguarderanno il suo corpo, perché lui, in quanto uomo, non dovrà mai preoccuparsi di gestire una gravidanza, desiderata o no che sia.

La reazione dei giovani contestatori è, almeno, comprensibile, ma tu non vedi nel gesto di quei giovani nessuna eccezionalità commisurata alla gravità dell’azione politica reazionaria, fascista e patriarcale di Ferrara. Ci vedi invece un attacco alla democrazia da parte dei giovani contro Ferrara . E citi Voltaire dicendo che in democrazia ognuno ha diritto a dire la sua.

Ne se proprio sicura?

Qualunque cosa?

Posso dire che le donne sono inferiori agli uomini?

Che i gay sono malati mentali?

Che i “negri” sono stupidi?

Che Hitler ha fatto bene a uccidere gli ebrei?

Credo proprio di no, penso che queste “idee” debbano essere censurate e che il diritto di opinione di ogni singolo cittadino debba interrompersi se le idee espresse contraddicono i cardini della nostra carta costituzionale.

Voltaire ha detto quel che ha detto 300 anni fa quando la democrazia non c’era ancora in nessun paese ed era reato anche avere un’opinione, figuriamoci poterla esprimere.

Ma la democrazia da allora ha fatto molta strada e ha conquistato, a fatica, col sacrificio, non dei politici, ma delle persone, molti dei diritti inviolabili della donna e dell’uomo che nessuno può più portar via.

Ci sono valori incontrovertibili nella democrazia che non possono essere messi in discussione e sui quali non vale alcun diritto di opinione, perché una democrazia che si dice tale non può annoverare tra le opinioni certe idee come quelle di Ferrara. Ferrara poi non è un comune cittadino che esprime le sue idee ai suoi amici ma un uomo politico di televisione che diffonde le sue “idee” (sic!) tramite molti mezzi di comunicazione cui i normali cittadini non possono accedervi.

Perché difendi Ferrara che ha molto più potere e facoltà di esprimere la sua “opinione” di quel pubblico di giovani che è stato anche picchiato (anche una madre in cinta oltre ad alcuni tuoi colleghi giornalisti…)

Tanti anni di berlusconismo hanno forse minato anche Te, che stimo e seguo da tanto tempo, e ti hanno indotta a cadere nell’equivoco politico che il dissenso sia roba da comunisti, e in nome di una visione della democrazia naif e astorica apri la porta al cavallo di Troia di Ferrara e ti schieri dalla sua parte.

Ferrara sa difendersi bene da solo senza che anche tu ti schieri dalla sua parte. Chi difende invece i comuni cittadini? Chi ha il coraggio di schierarsi dalla loro parte? Io mi schiero dalla parte di chi crede che la democrazia debba porre dei limiti alle idee che si possono esprimere, altrimenti non è democrazia ma propaganda.

.

Se mi risponderà, come al solito, pubblicherò la risposta su queste pagine.

He Had a Dream...

...before they killed Him...

Il 4 aprile 1968, 40 anni fa, Martin Luther King veniva assassinato mentre si trovava assieme alla moglie Coretta Scott King (1927-2006) su un balcone del Lorraine Motel di Memphis, Tennessee poco prima di andare ad una cena. Il suo assassino, James Earl Ray dapprima confessò l'omicidio ma in seguito ritrattò.


"I have a dream"

(di Martin Luter King)



Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".


Il discorso che pronunciò il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington al termine di una marcia di protesta per i diritti civili è un richiamo per tutte le cittadine e i cittadini delle democrazie avanzate che ancora oggi, vengono discriminante per l'orientamento sessuale, politico, per il colore della pelle o la provenienza geografica.

Il sogno di Martin Luther King è il nostro sogno ma se continuiamo a sognare non vuol dire che stiamo dormendo in piedi...
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Etichette

altri blog (41) arte (32) astronomia (1) bollettino ufficiale sullo stato del mio umore (58) capitalismo (1) celentano (1) chez moi (1) chez Tam (3) chez Tam (sans Tam) (1) chiesa (4) cinema (138) classismo (1) co (1) comunicazioni di servizio (26) controinformazione (7) cultura (76) diario (92) dieta (3) diritti (1) dischi di Mina (1) ecologia (30) elezioni (6) eventi (78) femminile dei nomi (1) femminismo (1) festival del film di roma 2009 (3) festival di cinema (1) festival internazionale del fil di Roma 2010 (4) festival internazionale del film di Roma 2009 (9) Festival internazionale del film di Roma 2011 (10) festival internazionale del film di Roma 2012 (2) festival internazionale del film di Roma 2013 (1) Fiction Fest 2009 (2) Fiction Fest 2010 (2) Fiction Fest 2011 (1) Fiction Fest 2012 (1) Ficton Fest 2012 (2) fiilm (2) film (1) foto (5) giornalismo (1) informazione (135) internet (1) kate bush (1) La tigre di Cremona (1) letture (4) libri (12) lingua (1) maschilismo (18) mina (2) Mina Cassiopea (1) mina da 1 a 50 (97) Mina Fan club (1) Mina Mazzini (1) Mina Orione (1) misoginia (5) musica (246) neofascismo (56) netiquette (6) omofobia (6) parigi chez moi (1) patriarcato (2) politica (318) politiche del corpo (202) pregiudizi (1) pubblicità (29) radio (3) razzismo (3) referendum 2011 (1) ricordi (21) ricorrenze (54) sanremo (3) sanremo 2010 (2) scienza (60) scuola (43) sessismo (60) sessismo nella lingua italiana (1) Sony (1) spot (3) star trek (1) storia (126) teatro (36) tecnologia (7) traduzioni (1) transfobia (1) tv (82) video (183) Warner (1) X-factor (1) X-factor 5 (2)