27 novembre 2011

Lezione di Sessismo 2: Buongiorno cielo di Paola Salluzzi su cielo.

Cara Paola Salluzzi, ho visto per pur caso su Cielo lo spot che annuncia il morning show (non c'è niente di più ridicolo di noi italiani che non parliamo inglese ma poi usiamo più barbarismi di tutti gli altri europei) tutto nuovo da te condotto, nel quale intrattenimento, informazione ed attualità sono uniti e sai che novità, dalla sveglia al meteo, dall'oroscopo alle news se il nuovo è l'oroscopo siamo messi bene.
Se mi rivolgo a te nella remota eventualità che tu legga queste mie noterelle è per lamentarmi del sessismo contenuto nello spot che fa pubblicità al tuo show, un biglietto da visita che indica non solo che tipo di pubblico pensi che possa guardare il tuo programma ma anche q quale tipo di pubblico ti piacerebbe rivolgerti.



Un pubblico svagato che alla domanda in sovrimpressione Qual è il PRIMO PENSIERO del mattino dà risposte non solo di per sè banali perchè si rivolgono ai fati spiccioli della giornata, il caffè, dormire di più, che tempo farà, come mi vesto che preparo per cena, che facciamo stasera, l'oroscopo, solo uno pensa alle notizie, un pubblico di deficienti data la crisi Italiana, economica, politica, morale. Un pubblico di analfabeti, che non si pongono domande sulla cultura, sul cinema, sul teatro, sui libri (che, pure, sono beni di consumo) che non pensa ai figli,alla scuola, alla vita comune, al mondo.
Ma, soprattutto, guardacaso, mentre gli uomini pensano al traffico, a cosa fare la sera e alle notizie, tutte le alte frivolezze superficiali sono pensate e dette da donne.

Eppure non posso credere che tu hai così scarsa considerazione delle donne e degli uomini che possono guardare il tuo programma. Perchè fosse davvero così dovresti vergognarti, perchè l'immagine che dai delle donne non solo non corrisponde a verità ma è anche molto offensiva.

Perchè gli italiani, le italiane, sono meglio di come li dipingi tu o chi per te.

Spero ce te ne accorgerai anche tu quando il tuo programma chiuderà per scarsità di ascolti. Te lo augurano tutte le donne che hai offeso, tutte le persone che non si riconoscono nei cliché che tu ammannisci come novità.

Vergognati.

Lezioni di Sessismo: Ancora Dr. House

Nel secondo episodio della settima stagione di Dr. House, Selfish (egoista) la paziente è una giovane skater che ha addirittura vinto una gara maschile ricoverata coi solito strani sintomi (il format di Dr. House, dopo tutto, è ripetitivo proprio come quello di Cold Case.
La ragazza ha un fratello distrofico già su sedia a rotelle. Uno dei dottori dello staff di House pensando che la sorella emuli tutto quello che il fratello paralitico non può fare arriva a dirle "non ti sembra di fare attività più adatte a un maschio?" e lei, invece di vomitargli in faccia come ne L'esorcista, dà ragione al medico.
Nel 2010 lo skateboard è ancora un hobby da maschietto. Poco importa che lei sia più brava dei maschietti stessi...

Sogno orde di femministe ululanti che travolgono casa dello sceneggiatore di questo episodio Eli Attie, (scrittore e autore dei discorsi di Clinton e di Al Gore...) prima di precipitarlo dall'ultimo piano del grattacielo in cui vive.
Quanto mi piacerebbe accodarmi...

Vedete voi stessi al minuto 14 e 52.

Un piccolino al giorno toglie la noia di torno: Armoniche convergenze

Armoniche convergenze comincia come una delle tante canzoni spagnoleggianti di Minona bella e poi proprio quando meno te lo aspetti, nel ritornello, si trasforma nella canzone di Mina che più amo, quella che mi ferma il cuore e mi rende felice di essere vivo.



Merito di Piero Cassano e Fabio Perversi (due Matia Bazar, uno storico che a Mina ha già regalato tante belle canzoni, l'altro entrato nel gruppo nel 1999).

26 novembre 2011

Puttanate pop: l'eliminazione della seconda puntata di X factor.

Ora in tutta onestà mi chiedo com'è possibile mandare al ballottaggio Le 5 e Valerio e tenere in gara quella cagna (musicalmente parlando) di Jessica.

Jessica sta a X-factor per motivi non musicali e questo è un offesa a tutti: alle donne, alla musica e al programma stesso.

Ma come si fa a dire verbigrazia che Francesco Bianco ha scritto una poesia?
Ecco il testo il della canzone

Vivere non è possibile, lasciò un biglietto inutile, prima di respirare il gas,
prima di collegarsi al caos, e la mia amica era una stronza aveva 16 anni appena.
Vagamente psichedelica, la sua t-shirt all’epoca, prima di perdersi nel punk,
prima di perdersi nel crack,
si mise insieme ad un nazista conosciuto in una rissa....
E nonostante le bombe vicine, la fame, malgrado le mine,
sul foglio lasciò parole vere di vita: "la guerra è finita, per sempre finita, almeno
per me!"
Emotivamente instabile, viziata ed insensibile, il professore la bollò, ed un caramba la incastrò durante un furto all’esselunga, pianse e non le piacque affatto..
E nonostante le bombe alla televisione, malgrado le mine, la penna sputò parole vere di vita: "la guerra è finita, per sempre finita, almeno per me!"
E nonostante sua madre impazzita e suo padre, malgrado Belgrado, l’america e Bush, con una bic profumata d’attrice bruciata "la guerra è finita!", scrisse così...


Se questa è una poesia io so' Giulio Cesare...

Un piccolino al giorno toglie la noia di torno: Fly Away e Only This Song

Axel Pani non mi aveva mai convinto fino in fondo, so far.

Ho trovato Per poco che sia (il suo debutto con nonna Mina) la classica canzone a manovella (chi mi conosce sa cosa intendo) una canzone cioè che stenta a partire e a muoversi e che ti annoia già dopo poche note, scritta da Axel con Mattia Gysi e con un testo incomprensibile, come al suo solito, di Samuele Cerri (come collaboratore di Mina insopportabile quasi più del figlio Massimiliano).



Stesso discorso per Con o senza te, testo sempre di Samuele Cerri, musica sempre di Axel e Gysi. Altra canzone manovella, sopriferrzzzzzzz.



Con Il frutto che vuoi siamo già a un altro livello ma la canzone è comunque malamente commerciale, nel senso che è una canzone furbetta, scritta per essere il singolo di Mina orecchiabile (basata infatti su un giro di chitarra..), ma è una canzone decente, della quale Axel firma la musica (il testo è di Massimo Morante).




Canzone della quale esiste anche una versione unplugged mai pubblicata ma che girò sulla rete ai tempi di Facile probabilmente migliore di quella apparsa su cd.




Su Carammella Il povero e il re è un'altra canzone nenia-manovella, che Axel firma tutto da solo, l'unica caduta di gusto di un disco magico.


Il testo, cripitco, secondo me può essere letto come un testo neanche troppo velatamente gay. Mia sorella direbbe, come al solito, che penso solo a quello.

Giudicate voi

Sento la tua voce
in questa città
riscalda l'anima
Quasi inesistente
sfuma in un istante
ritratto di serenità
E' solo un suono,
ma per me questa è musica,
opera prima di semplicità.
Si spengono le luci
su questa città
sparisce la diversità.
E sono solo ombre
intorno a me.
Non distinguo il povero dal re
E' solo un suono,
ma per me questa è musica,
la tua voce
in mezzo a questa velata realtà
E' solo un fuoco
che illuminerà il mondo e anche te
saprai distinguere
il povero dal re.

Ora tocco la tua voce
in questa città
ti ho dentro l'anima
brivido rovente
sospiro in questo istante
ora ci sei tu
I corsivi naturalmente sono miei.



Ma i due brani contenuti in piccolino, scritti in inglese, sono davvero notevoli.

Fly Away è una canzone vera, finalmente non neniosa, molto elegante, con colte citazioni beatlesiane ma una sua autonomia di composizione. Firmano Axel e Mattia.



Un brano da compositore maturo, da seguire con interesse.

Stesso discorso vale per Only This song



e pensare che una volta Axel era solo un nome chiamato sguaiatamente da nonna Mina...

25 novembre 2011

Un piccolino al giorno toglie la noia di torno: L'uomo dell'autunno

Più che una canzone un'aria da opera...
Mina la interpreta in maniera incredibile. Ascoltate i fiati, quando rompe la voce per non farne una dimostrazione di forza vocale (che pure c'è) ma di sentimento. L'istinto di questa donna nel rendere una parola, una frase, un'emozione sono ineguagliabili.





l’uomo dell’autunno questo sei per me
mi calpesti l’anima
senza far rumore
e sai colorare giorni allegri pallidi
ma è solo un illusione come quei coriandoli
che dopo carnevale se ne vanno via
ma l’estate passa come una bugia
come quella maschera che ti copre il cuore
ma io so vedere proprio come sei
quell’uomo dell’autunno che scordare non potrei
sento sempre freddo da quando sei andato via
è triste sai l’inverno
senza la tua malinconia
ma io so vedere proprio come sei
quell’uomo dell’autunno che scordare non potrei
sento sempre freddo da quando sei andato via
è triste sai l’inverno senza la tua malinconia


Composta da Maurizio Fabrizio, testo non eccelso di Giuseppe Fulcheri (quel buco ignobile nella frase e sai colorare giorni buco allegri pallidi che poteva essere legata in e sai colorare i giorni di allegria   e sai colorare i miei giorni pallidi*



Ma chi cazzo scrive 'sti testi? Degli informatici???


Però te la dedico lo stesso piccole' perché sento sempre freddo da quando sei andato via

* Grazie alla segnalazione di un lettore ho corretto il testo errato, così come risultava da un sito di testi, e sostituito anche il mio suggerimento aggiornato al vero testo della canzone. (cfr. i commenti)

24 novembre 2011

Un piccolino al giorno toglie la noia di torno: Matrioska

Franco Fasano è l'autore della splendida Ti voglio senza amore cantata da Iva Zanicchi due anni fa a Sanremo (ma già pensata nel 1994 per Fiordaliso).
A Mina regala Matrioska, brano minoso che Mina interpreta magistralmente (quella svisata a calare su Mani nude è da brivido).

Forse il razzista sono io ma... a proposito del make-up occidentalizzante per Rahma a X factor 5




Questa è la Rahma televisiva, quella che tutti abbiamo visto a x factor.















Questa è la Rahma struccata apparsa nella videochat andata in onda online sul sito di Sky e non on air.



Notate la differenza?
La forma dell'occhio, del viso e dell'incarnato molto meno occidentale che in trasmissione?...

Ora, ditemi, sono io che sbaglio?


23 novembre 2011

I lettori del mina fan blog? Dei conservatori! Votano come prima la canzone più trita dell'albu Piccolino

Nel consueto sondaggio sulle canzoni di Piccolino al numero uno, sul sito del Mina Fan club so far c'è la canzone peggiore dell'album, funambolica nel canto quanto prevedibile, trita e banale nel suo andamento.
Si tratta di Così sia il secondo pezzo di Saongiorgi il cantante dei Negramaro uno dei gruppuscoli odierni su cui campicchia il desolato paesaggio della musica (?) italiana.




All'inizio sembra una canzone di Patty Pravo, poi sembra una delle nenie di Axel Pani, che cincischia con le note senza andare da nessuna parte. Dopo il ribadito come a prendere tempo per pescare nuove note parte la prima variazione mentre anche il testo gira a vuoto senza dire davvero nulla.

Senza dite non c'è più il giorno verso non proprio originale è cantato altissimo ma poi la canzona invece di volare si rituffa nelle elucubrazioni canore dei bassi del suo autore, noiose e insopportabili. E poi ricomincia tutto da capo.
Senza fantasia, in uno stile fintamente classico che può piacere giusto ai lettori del fan club più inutile del pianeta che invece di fornire informazioni, punti di vista critici (nel senso di profondità dei giudizi espressi) si cimenta nel più stucchevole elogio di Mina, come se a servisse a lei o a qualcuno.

Una canzone che non comincia davvero mai tranne gli strilli che il suo autore obbliga Mina a fare.

Per tacere dell'italiano del testo davvero incerto.

Dentro me
È ancoro giorno
E senza risveglio tu dimmi che notte c’è
..se c’è
Forse è un sole spento
Quello che sento e che brucia in fondo all’anima
Senza più attese
Senza alcuna dignità
Ho tanta paura di noi due
forse ha paura PER noi due?
Che sia soltanto neve già

Forse è un sole spento
Quello che sento
e che brucia in fondo all’anima
Senza più attese
Senza alcuna dignità
Ho tanta paura di noi due
Che sia soltanto neve già
bell'inversione sintattica complimenti!!!

Senza di te non c’è più il giorno
Che si consumi senza l’inganno
Ed io ti sento ancora
la d eufonica...
Pazzo di me!
Anima mia
Mentre vai via
E così sia.. così sia
Se tu vai via…
Se tu vai via
E così sia
Anima mia..
aridatece Samuele Cerriiiii

Senza di te non c’è più il giorno
Che si consumi senza l’inganno
Ed io ti sento ancora
Pazzo di me!
Anima mia
Mentre vai via
E così sia.. così sia
Se tu vai via…
Se tu vai via
E così sia
Anima mia.

Giuliano Sangiorgi DATTI ALL'IPPICA

Un piccolino al giorno toglie la noia di torno: Rattarira

La canzone capolavoro di Piccolino per me è Rattarira di Anselmo e Manuel Genovese.

Il genio dei Genovese che manca a quasi tutti gli altri autori di Piccolino, sta nell'aver di aver scritto una canzone non à la Mina ma davvero per Mina. E che Mina interpreta magistralmente. In una improbabile versione italiana di Queer As Folk io vedrei benissimo mille froce ballare in una discoteca accalcata la versione mix di questo brano eccezionale, stupendo, che fa ballare anche i paralitici, e me.

22 novembre 2011

Piccolino è quiiii!

Cd disponibile in due versioni:

STANDARD contenente 10 brani



1.      COMPAGNA DI VIAGGIO
2.      MATRIOSKA
3.      QUESTA CANZONE
4.      AINDA BEM
5.      BRUCIO DI TE
6.      CANZONE MALEDETTA
7.      L’UOMO DELL’AUTUNNO
8.      FUORI CITTÀ
9.      FLY AWAY
10.   E COSÌ SIA






Brani extra, contenuti nella
DELUXE EDITION con quattro brani extra e libretto di 28 pagine

11.   ONLY THIS SONG
12.   RATTARIRA
13.   ARMONICHE CONVERGENZE
14.   DR. ROBERTO


Ainda Bem è una cover di un brano cantato da Marisa Monte

15 novembre 2011

Puttanate pop: i concorrenti del nuovo X Factor su Sky 1 HD

Sarebbe facile dire che Simona Ventura essendo quella che di musica non capisce nulla abbia fatto le scelte più illogiche, quelle più di pancia e non di testa.
La tentazione di scrivere così è orte e visto che, come diceva OW, l'unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi, lo scrivo.
Simona ventura è ormai l'ombra di se stessa. Una cariatide che si atteggia a diva ma della diva non ha nulla nemmeno l'aspetto.
Sembra una professoressa in pensione che si ringalluzzisce perchè i giovani le ricordano quando anche lei (la prof) aveva un lavoro e un posto nel mondo.
Dopo averla massacrata alle selezioni per il suo atteggiamento arrogante Simona non solo porta Jessica in Home Visit ma la sceglie dopo che Jessica massacra Caffè nero bollente.



Jessica ha in sé qualcosa di inquietante, di alieno, di non umano. Soprattutto non è una cantante, non ne ha la stoffa, la presenza, alcuna qualità. E il più grande bluff (ma non l'unico) di questa edizione di X Factor.

Jessica non è l'unica scelta infelice di Simona (s)Ventura.

Simona scarta Nadia che pure c'è che si meritava il posto molto più dell'aliena.
Simona (s)Ventura non è l'unica a fare cappellate.

Anche Arisa che sembra la più umana dei giudici compie una scelta incomprensibile. Rhama, che distrugge Se c'è una cosa che mi fa impazzire di Mina, canzone che va cantata con un'energia da centrale nucleare e che lei canta con la dinamo.

A dire il vero già il pianista ammoscia la canzone pestando i tasti delpaino come stesse tastando due tettine striminzite, e lei ci mette la cilieggina sulla torta. Una torta che io personalmente avrei dato in faccia a Rhama a nome e per conto di Mina e di tutti suoi fan.




In quanto a energia, presenza e grinta anche Michele meritava di stare a x-factor molto più del culo-mosh Rhama.

Questo perchè Arisa anche se è brava e intelligente nelle sue esecuzioni non ha una personalità artistica tale da potersi commisurare con gli altri e ottenere scelte precise, magari non condivisibili, ma precise come scelte.

Le c di Paolo (franciesca, son cierto) fanno inorridire. Non si capisce come mai sia arrivato fin lì, se non per la sua faccia, che trovo orribile perchè sembra quella di un vecchio che sembra giovane. Un mistero come i Malviventi. Scorie nucleari capitate tra le selezioni solo dio sa perchè.

Chi licenzierei dal programma e possibilmente cancellerei dalla vita stessa è quell'idiota del vocal coach di Arisa quando, a fine clip, dice che lui non si è emozionato per niente. Ecco il messaggio di merda che passa a X factor.
Tu che sei un tecnico non devi emozionarti, devi interessarti, annoiarti, inorridire, stupire, devi giudicare in base alle tue competenze e non esprimere come il pubblico un giudizio di pancia.

Elio che personalità artistica ne ha, non commette cappellate ma ha solo uscite infelici.
Una battuta sessista sulle 5Sisters, dopo la loro esibizione (sembravano donne di classe e invece urlano anche loro)...


...Il commento sui Mescla (sentite che rilettura elegante fanno di Che cosa c'è) che scarta dicendo che non c'è interpretazione (?!?!).


Il vocal coach di Elio poi, non ha solo la faccia da porco perchè ha le cicatrici di un'acne giovanile - segno evidente di miliardi di pippe-, è un vero porco maschilista che avrebbe bisogno della castrazione chimica per rimanere in un programma dove ci sono minorenni (anche se non le allena lui). Il commento da maschietto porco patriarcale qual è, sugli occhioni blu e il sorriso di Celeste Gugliandolo la cantante dei Free Chords è irricevibile e menomale che Elio lo rimette a posto suo.
Se Elio li sceglie è perchè sono bravi. Non confondetevi, i Moderni sono sempre loro, solo con un nome nuovo.



I Malviventi invece sono un mistero della natura e non si capisce proprio come abbiano fatto ad arrivare fin là. Sparissero e non ci importunassero più con le loro facce da delinquenti mafiosi. Nomen omen.

L'unico ad avere fatto scelte ineccepibili è Morgan che punisce Steven, il ciccione roscio la cui arroganza fosse per paesanini gli costerebbe la vita. Guardate come commenta e come si giustifica con Daniel.


Le scelte di Morgan sono ineccepibili sia come cantanti sia umanamente.
Se Vincenzo è quello più sicuro di sé e dalla voce più potente, Valerio è un ragazzo dolcissimo, un giovane uomo etero che non ha nessuno dei difetti dell'italico maschietto fascista. Uno dei migliori esempi che si può essere sensibili e dolci senza essere per forza gay.
Davide, anche se veste un po' troppo come Kurt di Glee, non è stato scelto per la sua esoticità (come i due mostri gay della scorsa edizione) ma perchè ha testa e intelligenza ed conosce le proprie potenzialità. E poi cantare Mika e rimanere credibili non è impresa da poco.

Ed ecco i miei insindacabili, discutibili, inutili, non richiesti, insopportabili, acidi, parziali giudizi sui nuovi 12 concorrenti del primo X-Factor scippato alla Rai.

14 novembre 2011

En attendent Piccolinò (2) il duetto con Iacchetti

Annunciato per martedì 8 novembre (poi rimandato all'11) Acqua di Natale è un disco di Enzo Iacchetti per sostenere l’AMREF nella costruzione di una diga in Kenya per consentire l’accesso all’acqua a più di 2500 persone. Dall'album è stato estratto un singolo, Buon Natale, al quale hanno partecipato Claudio Baglioni, Lucio Dalla, Enrico Ruggeri,  Roberto Vecchioni e Mina.
Alcuni mesi fa ho scritto una mail a Mina – racconta Iacchetti – Le ho inviato una mia canzone e le ho chiesto se conosceva un’artista adatta a interpretarla. Lei mi ha risposto: la canto io. Le ho chiesto se le fosse piaciuto il brano, lei mi ha risposto che l’avrebbe cantata comunque, perché le ero simpatico. Poi, facendomi bello del duetto con Mina, sono andato da Baglioni, Vecchioni, Ruggeri, Dalla e tutti mi hanno risposto di sì. Non mi hanno proprio risposto invece la Nannini, Pausini e Jovanotti. Ma li capisco, hanno i cd che escono a Natale da lanciare


Il disco comprende anche i brani:
Buon anno ai diritti umani impreziosito (sic!) da un intervento di Maria De Filippi, che declama (sic!) l’Articolo 1 della Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’Uomo;
Acqua con Giobbe Covatta;
Quando sarò capace di amare di Giorgio Gaber nella quale Enzo duetta virtualmente con il Signor G;
Vorrei qualcosa in più, con Paolo Meneguzzi, L’Aura e Silvia Olari (da Amici) e il rap del duo torinese Madback;
Il Natale del naufrago, in difesa dei clandestini;
Il Natale del cabarettista sgangherato, con il duo comico Gino e Dino;
Non sono Lady Gaga (Il Natale dell’indeciso),  bonus track nella quale Enzo viene accompagnato dalla drag queen Cesira.

L’album, prodotto da Immaginazione Srl e distribuito da EDEL, è suonato da Max Zaccaro (basso), Andrea Cervetto (chitarre) e Marcello Franzoso arrangiamenti e tastiere).

fonti per questo post:

doremifasol.org

www.melodicamente.com

8 novembre 2011

En attendant Piccolinò: il nuovo spot dela Carta Si

E mentre contiamo i giorni che mancano al 22 p.v data prevista dell'uscita del nuovo album di Mina Piccolino, leggo sul sito del Mina Fan club che la CartaSi (senza accento, non è errore mio) ha usato una canzone di Minona per il suo nuovo spot.
La canzone è Devi dirmi di sì, non eccelso single del lontano 1983 (aaaah la scuola, il liceo... Aaaaaaaaaahhhhh) scritta da Pani in coppia con Cassano fuoriuscito dai Matia Bazar due anni prima (e che a Mina regala gemme come Rose su Rose, E va bene, ti voglio e Cosa manca non certo questa melensa e sconclusionata canzona). La canzone non è cantata da Mina non solo, e non tanto, come spiegano quelli del fan club, perchè
L’utilizzo della versione originale dell’hit cassan-paniano non era ovviamente possibile visto che la Voce di Mina è ancora vincolata – pubblicitariamente parlando – al rapporto di esclusiva con Casa Barilla destinato a concludersi senza particolari colpi di coda alla fine di quest’anno…
ma perchè un conto è pagare le royalties a Cassano e Pani un conto a Mina... Pecunia non olet ma scarseggia!

Ecco lo spot



L'interprete di questa versione è Roberta Bonanno che quelli del fan club qualificano come ex-Amica di Maria (No, non si tratta di una devota alla madonna ma di una concorrette del programma di Maria De Filippi).


La cosa che colpisce è la narrazione dello spot.
Vediamo una giovane donna fare spese in un negozio antico una torrefazione di quelle di una volta, tra vini e dolciumi. Un negozio d'élite nonostante le apparenze dimesse.

Poi è la volta di una giovane coppia sulla loro barca, concretizzazione della metafora del navigare. Lei è al timone della barca, lui a quello delle finanze: sta al computer e spende i soldi...

Poi vediamo un padre di mezza età, in giacca - grigina tristina - e cravatta comperare il pianoforte al figlio che non ha dieci anni che sorride, dentone, felice.

Ora Carta sì, dove sta per Servizi Interbancari, nasce nel 1985 come società che fornisce servizi di moneta elettronica a tutte le banche. La società offre ai propri clienti bancari la gestione dell’intero ciclo di emissione e accettazione delle carte di credito e assicura agli esercizi commerciali i servizi di accettazione e la gestione dei pagamenti effettuati con le carte attive sui principali circuiti mondiali. (fonte Il profilo cartaSi). Quindi molti italiani che usano carte di credito (e bancomat) usano il sistema cartaSi.

Nello spot ovviante si vuole dare l'immagine dei clienti di cartaSi (non chi usa il circuito ma proprio chi ha una carta con quel brand) come gente ricca, di gusto, spensierata. Cioè, secondo i dati Istat, meno del 10% della popolazione italiana.

Di più la pubblicità è subdolamente e nemmeno troppo velatamente sessista.
E' la donna a fare le piccole spese (anche se dal droghiere può aver comperato un costosissimo caviale a 200 euro la confezione...) e a considerare la carta la sua migliore amica (si sa le donne sono tutte amiche) mentre è l'uomo a comperare il pianoforte al figlioletto dentone (considerandolo il suo più grande investimento.
La donna oggi ricopre mansioni una volta pensate solo adatte ai maschi, come stare al timone di una imbarcazione, ma chi naviga in rete per spendere i soldi è il maschio (immaginatevi la situazione al contrario: lui al timone e lei su internet... vi fa strano, no?).

Insomma mentre il paese è sul baratro e l'economia ristagna CartaSi dà un'immagine degli italiani tranquilla, rassicurante,  che corrisponde a verità per quella piccola fascia di popolazione che è straricca in barba (in culo?) al resto della popolazione che non arriva nemmeno a metà mese (il sottoscritto per primo).

Consoliamoci con Piccolino, sempre che il 22 avrò i soldi per comprarlo... 
(vedesi Gatto, euro 22...)

P.S.
A proposito di Spot
Dopo la bonaria (mica tanto...) critica di Littizzetto agli spot Barilla di Mina fatta nel 2009



ecco uno degli spot criticati...





...critica alla quale Mina ha risposto sulle pagine de La Stampa dicendo che la ha fatta ridere...

...il nuovo spot (2011) della Barilla vede Mina solo cantare, il testo è fatto recitare a un uomo...


Littizzetto 1 Mina 0?

5 novembre 2011

Festival internazionale del film di Roma 2011: li film premiati

I PREMI ASSEGNATI DALLA GIURIA INTERNAZIONALE
Una giuria internazionale presieduta da Ennio Morricone e composta da Susanne Bier, Roberto Bolle, Carmen Chaplin, David Puttnam, Pierre Thoretton, Debra Winger ha giudicato i film in concorso nella Selezione Ufficiale. La giuria internazionale ha assegnato il:
- Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior film: Un cuento chino di Sebastián Borensztein
- Premio Marc’Aurelio della Giuria alla migliore attrice: Noomi Rapace per Babycall
- Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior attore: Guillaume Canet per Une vie meilleure
- Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio: Voyez comme ils dansent di Claude Miller
- Premio Speciale della Giuria Marc’Aurelio: The Eye of the Storm di Fred Schepisi
- Premio Speciale alla colonna sonora della Giuria Marc’Aurelio: Ralf Wengenmayr per Hotel Lux

IL PREMIO ASSEGNATO DAL PUBBLICO
Attraverso un sistema elettronico, il Festival ha previsto la partecipazione degli spettatori all’assegnazione del Premio BNL del pubblico al miglior film. I film che hanno partecipato all’assegnazione del premio sono quelli in concorso nella Selezione Ufficiale. Il pubblico ha assegnato il:
-Premio BNL del pubblico al miglior film: Un cuento chino di Sebastián Borensztein

IL PREMIO ASSEGNATO AL MIGLIOR DOCUMENTARIO PER LA SEZIONE L’ALTRO CINEMA | EXTRA
Un’apposita giuria internazionale, diretta da Francesca Comencini e composta da Pietro Marcello, James Marsh, Anne Lai, Meghan Wurtz ha assegnato il:
- Premio Marc’Aurelio al miglior documentario per la sezione L'Altro Cinema | Extra: Girl Model di David Redmon e Ashley Sabin

I PREMI ASSEGNATI DALLE GIURIE DI RAGAZZI
Ai film in concorso nella sezione Alice nella città sono stati attribuiti due premi Marc’Aurelio Alice nella città. Sono stati votati da due giurie, una composta dai ragazzi sotto i 13 anni e una dai ragazzi sopra i 13. Le giurie di ragazzi hanno assegnato il:
- Premio Marc’Aurelio Alice nella città sotto i 13 anni: En el nombre de la hija di Tania Hermida P.
- Premio Marc’Aurelio Alice nella città sopra i 13 anni: Noordzee Texas di Bavo Defurne

IL PREMIO MARC’AURELIO ESORDIENTI
Grazie alla collaborazione con il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato assegnato il Premio Marc’Aurelio Esordienti, trasversale a tutte le sezioni del Festival, e destinato al regista della migliore opera prima. La giuria presieduta da Caterina D’Amico e composta da Leonardo Diberti, Anita Kravos, Gianfrancesco Lazotti, Giuseppe Alessio Nuzzo ha assegnato il:
- Premio Marc’Aurelio Esordienti: ex aequo Circumstance di Maryam Keshavarz – La Brindille di Emmanuelle Millet

IL PREMIO MARC’AURELIO ALL’ATTORE
Il riconoscimento è stato assegnato a Richard Gere, il divo di Hollywood da sempre impegnato in battaglie umanitarie, protagonista di film popolari come American Gigolo, Ufficiale e gentiluomo, Pretty Woman e interprete per autori come Robert Altman, Akira Kurosawa, Sidney Lumet, Francis Ford Coppola, Todd Haynes, Terrence Malick.

Ultimo giorno di festival (prima delle premiazioni...).

Zui Ai (Cina, 2011) di Changwei Gu
La cosa che infastidisce di più di questo film è che si dà per scontato che chi dona sangue possa contrarre l'hiv (e non chi lo riceve). seconda cosa data per scontata è che di hiv si muore. Questo non è più vero oggi come non era vero nemmeno all'inizio degli anni 90 (quando il film è ambientato, come ci dice una didascalia a inizio film, a dire il vero un po' persa tra gli altri titoli del film...).
L'hiv è vissuto come una condanna ineluttabile (come se fossimo altrimenti tutti immortali...) ala quale non c'è cura farmacologica da opporre. E non si tratta nemmeno del problema del costo dei farmaci (una scatola con 3 pasticche, il fabbisogno giornaliero, costa 500 euro...) che è proibitivo per l'Africa, e forse, anche per la Cina. No. Nel film cure proprio non ce ne sono.
Anche la reazione dei villains nei confronti degli appestati è irrilevante perchè rimane una pallida versione di quanto le persone in fatto di pregiudizi sanno essere criminali (da quelli politici a quelli etnici a quelli d'orientamento sessuale).
La seconda parte del film, quando due adulteri si innamorano e poi divorziano e si sposano prima di morire l'una sostenendo l'altro non spiega perchè si scomoda una sindrome che, purtroppo, miete molte vittime per disinformazione e interessi economici.
Poi il film è anche bello come storia d'amore. Ma perchè scomodare l'hiv? A quale metafora pensava il regista?



No et Moi (Francia, 2010) di Zabou Breitman tratto dal romanzo omonimo di Delphine de Vigan (pubblicato in italiano dalla mondandori col titolo Gli effetti secondari dei sogni) è un film incredibili, di una tale leggerezza e profondità che descrive le vite di tre adolescenti (Anzi due adolescenti e una giovane ragazza) che si stagliano davanti le vite dei genitori incapaci assenti o che si negano come tali. UN film mai banale ben costruito meglio recitato con un ritmo mai prevedibile e un finale vero che non concede spazio al sentimentalismo. Una delle vere sorprese di questo festival passata quasi inosservata.



Nuit blanche(Francia, 2011) di Frédéric Jardin non ha nulla da invidiare ai film statunitensi. una storia di poliziotti corrotti, spacciatori di coca e figli rapiti, raccontata con ritmo incalzante e una plausibilità sempre al limite ma che, miracolosamente, regge. Per chi crede che il film debba intrattenere e non far pensare. (e non è detto che sia sempre un male).


E anche questa sesta edizione del festival internazionale del film è finita...

4 novembre 2011

Penultimo giorno di Festival. La mano è stanca, la vista pure...



Il primo film ieri visto è stato Dead Men Talking (Cina, 2011) di Robin Newell, un documentario australiano su un programma televisivo cinese nel quale la conduttrice intervista persone condannate a morte. Poco ci viene detto sui reati per cui in Cina è prevista la pena di morte. Il programma si limita a intervistare omicidi di familiari (mariti, mogli, figli). Solo in un caso intervistano un uomo che ha ucciso una bambina in seguito a un rapimento finito male.
Quello che colpisce del documentario è la mio pia di chi lo fa, che non prende posizione su nulla di quanto vede ma lascia che la conduttrice (una donna spregevole) concioni dei suoi sentimenti, della sua sensibilità e del rispetto per i condannati  a morte (ma poi non riesce a stringere la mano a un condannato a morte perchè ha del nero sotto le unghie...) o si permette di giudicare l'infanticida dicendo che si merita di morire e che nessuno lo perdonerà. Il documentario non ci fa mai vedere il dito le quinte e intervista giudici, e collaboratori della sciacalla mediatica, seguendo le loro regole. Un documentario pericoloso che legittima non solo la pena di morte ma anche un modo di fare documentari che è altamente inquinato dalla retorica televisiva.
Tra i condannati a morte anche un gay, che la sciacalla dice di accettare in quanto gay perchè altrimenti come tutti i diversi erigerebbe un muro e non le parlerebbe. L'uomo è gay perché si prostituisce (sogna di fare i soldi con la strada...) ed è condannato a morte perchè ha decapitato la madre, le ha tagliato gambe e braccia e poi l'ha stuprata. Proprio come tutti i gay fanno.
Mille le domande che il documentario non risolve. Una quella più importante di tutte. Perchè mai questo prodotto è stato portato al Festival?


Poi è stata la volta di Wild Bill (UK, 2011) di Dexter Fletcher il primo vero film del festival, che racconta una storia con un occhio alla società, uno alle psicologie, uno ai personaggi. Dirige Dexter Fletcher che qualcuno ricorderà novello Bacco nel Caravaggio di Derek Jarman.
Fletcher che non ha perso un'unghia del suo fascino non solo ha continuato come attore (Topsy Turbey di Mike Leigh, del 1999) ma ha intrapreso anche la carriera di regista debuttando con un film emozionante, che hanno visto in pochi al Festival, dato che la proiezione era unica (come tutte quelle della vetrina UK).




Too Big Too Fail (USA, 2011) di Curtis Hanson è un docu-film sulla crisi del 2009 della Leehman Bros con un cast d'eccezione, che ricostruisce precisamente i fatti e le speculazioni dietro e dentro la crisi. UN film da bere per la bravura degli interpreti e il coraggio che hanno negli americani di dire la verità quando fannoq ualche stronzata...



Ultimo film della giornata è stato Voyez comme ils dansent (Francia, Canada, Svizzera, 2010) di Claude Miller tratto dal romanzo La petite-fille de Menno di Roy Parvin.
Adesso anche questo film pur se interessante, emozionante, bello da vedere, dimostra come la trascrizione della pagina scritta sul grande schermo comporta uno snaturamento una perdita di interesse per la storia raccontata. Qui un attore famoso figlio di un intellettuale altrettanto famoso si ritira in un paesino vicino gli indiani canadesi (?!?) con un'altra donna che non sia la moglie, in seguito a una serie di crisi di panico che gli derivano dall'insoddisfazione per il suo lavoro recente (fa degli spettacoli cdi clownerie). Tutti i film tratti dai romanzi si limitano a una trascrizione da un medium all'altro mentre necessiterebbero di una riscrittura. Quando questo non accade il film è smepre meno film di una storia dalla sceneggiatura originale.

2 novembre 2011

Ultimi giorni: festival internazionale del film di Roma

Esemplare e nordico People in White (Finlandia-Olanda, 2011) di Tellervo Kalleinen, Oliver Kochta-Kalleine el qale un gruppo di pazienti psichiatrici e di psicoterapeuti si invertono nei ruoli e raccontano le terapie giuste e sbagliate che hanno subito negli ultimi 40 anni. Tra elettroshock e abusi sessuali passando anche per terapie esemplari. Un film da vedere, per non dimenticare e imparare che la psicoterapia è per perone coraggiose.


Il pregio maggiore del film di Faenza Someday This Pain Will Be Useful to You (Usa-Italia, 2011) è che non sembra un suo film. Anche se la direzione degli attori non è eccelsa (e questo è sempre stato uno dei suoi maggiori difetti) a meno che non si tratti di mostri di bravura come Ellen Burstyin o Lucy Liu (meno bene per Marcia Gay Harden) è difficile anche per Faenza fare orrori con un racconto (tratto dal romanzo omonimo di Peter Cmeron) splendido che vede il diciassettenne James Svanck alle prese con la vita, con dei genitori divorziati e ricchissimi e dove l'opzione gay etero è vissuta alla pari e dunque non esplicitata (perché non fa differenza) anche se nella prestazione del programma del festival si legge un ignobile in crisi di identità anche sessuale che possa morire chi lo ha scritto.
Un film da vedere e un libro da leggere.


How To die In Horegon (USA, 2011) di Peter Richardson viene presentato come un documentario sulla legge che nello stato dell'Oregon permette il suicidio assistito per i malati terminali. Inizia mostrando le vere immagini di chi decide di prendere una dose mortale di un farmaco, assistito da dei volontari (che ti chiedono se hai cambiato idea e se sai cosa ti faranno i farmaci che stai per assumere, ma si trasforma, man mano che procede nella sua inesorabile interminabile lunghezza di 107 minuti nella (involontaria?) spettacolarizzazione della morte e della malattia, soprattutto soffermandosi sulla fine di una giovane donna di 54 anni colpita da un recidivo cancro al fegato. Mentre all'inizio le morti possono essere riprese perché non consociamo le persone la morte di questa donna viene ripresa da lontano. La mdp rimane fuori della casa, solo il microfono registra la sua voce, il suo trapasso sereno e morbido dalla coscienza all'incoscienza, al coma, alla morte.   Per quanto si rimanga coinvolti dalle vicissitudini di chi si avvale della morte assistita, c'è un che di osceno nel fare spettacolo della sofferenza di questa donna, e la sua generosità, nel regalarci la sua intimità non serve la causa di sostenere la legge (nel documentario si vede la campagna, vinta, per far approvare una legge simile nello stato di Washington DC) ma solo la morbosa curiosità di edere come una persona decide di darsi una morte dignitosa. Una diversa impostazione avrebbe giovato a un documentario che,pure, racconta molte contraddizioni di una legge giusta (come quella dello stato dell'Oregon che decide di non sostenere le cure a un barbone malato di cancro alla prostata ma di pagargli il suicidio assistito...). Certo, sapere alla fine che la donna malata di cancro ha avuto la morte dignitosa che cercava, mi fa piacere, ma rimane un che di osceno nella sua morte mostrata, raccontata, per la curiosità del pubblico.

L'equivoco epistemologico di Ostende (Argentina, 2011) di Laura Citarella è che la mdp sappia vedere di per sé. Per questo usa estenuanti piani sequenza, cioè, macchina fissa, mentre la sua protagonista (l'inespressiva Laura Parede) si spoglia o si veste in spiaggia, interminabili inquadrature fuori fuoco, sempre sostenute dalla stessa musica, a sottolineare che sta succedendo qualcosa (ma non succede mai niente) mentre in realtà è l'occhio del narratore (della narratrice) a dirci qualcosa. E quelli di Laura Citarella non solo sono ciechi ma fastidiosamente tronfi. Un film inutile, odioso, da bruciare al rogo possibilmente insieme alla regista e a chi ha scelto questo deliro per rompere i coglioni al pubblico. E che alla fine le due ragazze viste in compagnia di un vecchio vengano da questi uccise, ma lo sappiamo solo noi spettatori, non la protagonista, non aggiunge nulla a un film che non ha nulla da dire oltre che affermare la presunzione di chi lo ha fatto (e lo ha scelto per il Festival).

L'insostenibile leggerezza del genere (conematografico): i film a tematica gay al Festival Internazionale del film di Roma (1)

Se i film a tematica omosessuale siano un genere a sé e se, comunque sia, in quanto tali, servano a qualcosa, o a qualcuno, me lo sono sempre chiesto, al punto tale da organizzare una tavola rotonda al festival di cinema omosessuale Omovies di Napoli nel dicembre del 2010.

Al Festival internazionale del film di roma Weekend (Gran Bretagna, 2011) di Andrew Haigh è stato presentato come un film capolavoro dell'omosessualità, che il Festival è orgoglioso di presentare in Italia, dopo un anno di alto tasso omofobico del Paese, un film che, altrimenti, non sarebbe mai approdato nelle nostre sale.
Purtroppo la storia raccontata nel film non si capisce a quale pubblico si rivolga. Se a un pubblico omosessuale (maschile) che le cose dette nel film già le conosce perché le vive in prima persona o a un pubblico di etero gayfriendly ai quali il film non arriva perché i punti più delicati dei problemi dei gay sono purtroppo detti in estenuanti dialoghi e non raccontati, mostrati con fatti concreti che capitano ai protagonisti, oppure a un pubblico di omofobi i quali non cambieranno certo idea vedendo due uomini che si spompinano, tirano di coca e hanno la maturità sentimentale di due adolescenti.
Alla fine, nell'assenza del lieto fine il film non esce nemmeno dal cliché rassicurante per il mainstream coi quali TUTTI i film non smaccatamente made for gay approdano in sala nei quali, cioè i protagonisti sono soli, hanno una storia sessuale e non sentimentale, e se è sentimentale è non felice, o interrotta (come nel caso di Weekend) di modo che i gay possano essere visti non come pericolosi eversivi dell'eterosistema (sessismo, maschilismo, patriarcato, capitalismo, liberismo, razzismo) ma come innocui freaks che sono umani perché, toh, anche loro soffrono.
Un film che nel raccontare dell'ennesimo problema a dichiararsi gay al mondo, al mantenere una relazione fissa perché spazzati via dall'altrui promiscuità, avrebbe avuto senso 20 anni fa ma che oggi non racconta più davvero la vita e il vissuto dei gay i cui problemi non sono più, o non solo, quelli di accettazione, di non poter uscire per strada mano nella mano senza che qualcuno dica loro a froci, visto che la comunità gay in tutto l'occidente è cresciuta, si è stabilizzata e ha messo su famiglie con bambini propri, avuti come mariti etero o all'interno della coppia gay.
Un film del genere piace a quei gay (solo ed esclusivamente uomini perché le donne non contano per gli etero figuriamoci per i gay) che non hanno intenzione alcuna di andare in giro a militante ma vogliono borghesemente avere il marito, l'amante, la casa in campagna e qualche pompino al locale gay il venerdì sera. Weekend  fa più danni di quanto non denunci, legittimi o, semplicemente, riscatti le persone omosessuali raccontando una storia degna di essere vista sul grande schermo come la storia tra due persone e non tra due gay. Purtroppo rimanendo nell'ambito del film a tematica, sembra che basti un bacio tra due uomini per fare di una mediocre commedia un bel film. Ma non è così. Una storia che ha la vocazione del cortometraggio e il respiro corto per essere un lungometraggio.

Mentre ero in fila per il film successivo, una ragazza, una giovane attrice, molto brava, che ho visto recitare rimanendone colpito, ha fatto una domanda terribile, senza volerlo,  mentre constatava la bravura dei due interpreti del film si è chiesta saranno gay? Spiegando che solo due gay sono in grado di portare in scena due personaggi così credibili.
E se anche una giovane donna, evidentemente etero, attrice, e pure brava,  si pone una domanda cosi illogica prima ancora che piena di pregiudizio,vuol dire che il discorso politico che noi gay dobbiamo fare è davvero latro da quello che questi film sembrano imbastire. It's a long way to Tipperary...

Quello che ci insegna Magic Valley (Usa, 2011) di Jaffe Zinn, un racconto lentissimo ma progressivo che mostra l'alienazione di ogni essere umano e non solo (ci sono i salmoni morti...) è che non basta studiare cinema per diventare regista, bisogna anche vedere tanti film e Jeff Zinn sembra non averne decantato uno proponendoci una storia che pretende vergine mentre è ormai talmente sputtanata da ridurre il film a un continuo trailer di altre pellicole. Quel che Magic Valley dice è profondamente vero e terribile: un ragazzo uccide una ragazza probabilmente a scopo sessuale (ma questo il film non lo dice e, dopo tutto, poco cambia rispetto l'omicidio) ma nessuno rispetta più alcuna forma di vita nemmeno i due ragazzini che ritrovano il cadavere e pensano di seppellirlo non per pietà ma perché è quello che si fa in questi casi. Lo conferma l'immagine finale del pesce appena pescato con le branchie oscenamente dilatate per l'asfissia mentre gli esplode un petardo in bocca messogli dagli stessi due bambini (bellissimi e ariani) ma quell'immagine rimanda alla crudeltà del regista di uccidere un pesce per fare un film e tutto il messaggio di denuncia è viziato da un estetismo che prevale sull'etica. Tutto nel film rimanda involontariamente ad altri film più per ignavia del regista che pretende uno sguardo vergine chiedendo allo spettatore di dimenticarsi della sua storia di spettatore, di dimenticare gli altri film che hanno già raccontato questa storia.

Un Cuento chino (Argentina-Spagna, 2011) di Sebastián Borensztein è una commedia che fa ridere e che mostra e dimostra come non rimanere fissati a un evento che ci ha segnato la vita ma andare avanti e vivere, anche se la tua futura sposa è morta investita da una mucca piovuta dal cielo,o tuo padre è morto di crepacuore quando tu sei andato in guerra come immigrato italiano in argentina contro l'Inghilterra. Memorabile. Uno dei veri film da festival di questa sesta edizione.

1 novembre 2011

Noordzee Texas di Bavo Defurne, omofobo, misogino, pieno di morte. Il giorno di festival inzia male ma per fortuna cresce.


Bobby Fisher against the world (USA, 2011) di Liz Garbus è un documentario classico apparentemente basato sulla stessa struttura di Project Nim. Ma mentre lì le testimonianze raccolte sono competenti, perché ognuno racconta quello che gli è capitato senza esprimere giudizi, in questo documentario le persone, pur essendo amici di vecchia data del protagonista si permettono giudizi nemmeno personali ma generali su aspetti piscologico-biografici senza che il documentario prenda una sua posizione dando dunque oggettività a quelle dichiarazioni ideologiche (Fisher viene accusato di eversione e delirio perché contrario alla politica estrema degli Stati uniti...). Interessante per i materiali d'epoca, interviste, programmi tv, il documentario non fa mai vedere il dietro le quinte, dando per scontato che la sua versione dei fatti, personale e discutibile, sia invece Storia oggettiva. Pretenzioso e destrorso.


Pim è gay. Lo capiamo sin dai titoli di testa quando, ancora preadolescente,  guarda un giovane uomo con uno sguardo interessato. Ancora bambino si mette la tiara e la fascia di un premio di miss camping vinto dalla madre in gioventù.  Cresciuto, quasi 15enne, è innamorato del quasi 18enne Gino, figlio dei vicini, una madre e una sorella, niente padre. Anche Pim vive solo con la madre. Nulla ci è detto del padre. La madre, grassa, civetta, flirta con un meccanico, presso il quale lavora Gino. Gino e Pim scopano, e quando Gino si trova la ragazza Pim ne rimane deluso. La madre scappa con un giovane zingaro, quello al quale sorride bambino nei titoli di testa, dopo che la storia col meccanico è finita perché, come spiega Pim alla sorella di Gino, a mamma quelli grassi non piacciono. Pim è accolto dalla madre di Gino, già malata, che muore poco dopo non prima di aver unito le mani dei due ragazzi. Ma quando Gino ribacia Pim e questi gli chiede di restare il film finisce.

Ambientato alla fine degli anni 60 Noordze, Texas (Belgio, 2011) di Bavo Defurne colleziona tutti i luoghi comuni del film con personaggi omosessuali senza averne alcun pregio.
Padri assenti, madri amorali o assenti anche loro, le famiglie di Gino e Pim sono disastrate senza che ne sappiamo davvero il perché. L'amore di Gino sembra più il patriarcale rito di iniziazione gay prima della fase etero e se Gino ritorna da Pim è più per foja che per amore. Li vediamo baciarsi, masturbarsi, ma non condividono nulla per cui l'attrazione fisica possa diventare amore. La sorella di Gino è innamorata di Pim e dunque frustrata e respinta come nella migliore tradizione misogina che vede le donne invadenti, rifiutate o morte.
Un film malato che non è affatto un riscatto del desiderio omoerotico, sia esso fisico o romantico, ma il classico fiore nato nella merda e destinato a morire. Un film da vietare ai minori di 18 anni perché a un adolescente che sta scoprendo il proprio omoerotismo questo film può solo fare danni e preparare al peggio. Perché il film non racconta di un sentimento legittimo come quello etero ma di una pulsione incontrollabile da tollerare tollerare perché non la si può impedire.
Bavo Defurne dovrebbe essere bandito dalla comunità gay come il peggiore omofobo che l'occidente abbia conosciuto. Lui e il romanzo, che non ho letto, dal quale il film è tratto. Rispetto film quali Beautyful Thing (Gran Bretagna, 1989) di Hettie MacDonald, il film di Defurne fa fare un passo indietro alla legittimazione dell'amore gay di almeno 40 anni!



Amy George (Usa, 2011) di Yonah Lewis, Calvin Thomas è un film interessante su un giovane adolescente di 13 anni alle prese con un compito per la classe di arte e l'erotismo con le ragazze anche se la famiglia (una coppia di genitori sprovveduti anche se progressisti) lo sospetta di essere gay perché non ha ancora la ragazza. Splendido il rapporto con la zia, con la quale parla da adulto anche se gli adulti, professore compreso, non lo stanno davvero ad ascoltare. Un film perfetto per la sezione Alice nella città, presentato in concorso

Cosa succede se sei donna, vuoi cantare, guidare la macchina, ballare, bere alcol e fumare sigarette, ma sei in Iran? che vai al commissariato, dove uomini ti ispezionano corporalmente per vedere se sei vergine, dove tuo fratello, ex tossico, dispone videocamere in tutta la casa e ti vede a letto con la tua migliore amica. La salvezza non sta nemmeno nei soldi della tua ricca famiglia ma solo nella città di Dubai dove tutto è permesso. Meno asciutto e più esplicito di Dog Sweat (Iran.Usa, 2010) di Hossein Keshavarz, visto al Festival lo scorso anno Circumstance (Stati Uniti, Iran, Francia, Libano, 2011) di Maryam Keshavarz denuncia il clima dittatoriale di un paese come l'Iran senza mostrare però la complessità di una cultura altra che dà alle donne l'opportunità di studiare anche se non possono cantare o guidare la macchina, made unica comunque l'insostenibilità della mancaza di diritti civili in un paese che anche se sembra ancora nel medioevo è a tutti gli effetti nel 2011 (droghe comprese).

Sciatto il film di Guzzanti su Franca Valeri, senza contesto storico, senza citare le fonti, con battute ferocemente misogine sulle prostitute che vanno in parlamento. sabina Guzzanti non è proprio nessuno e si crede qualcuno. Ma tra 100 anni di Franca Valeri si parlerà ancora e di lei no.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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