29 agosto 2008

Si fa ma non si dice

Mi ricordo un'estate di tanti anni fa.
Era il 1991 o giù di lì.
Vivevo nell'appartamento che era stato di mia madre (morta un anno prima) con mia sorella.
La casa, tranne la mia stanza, era rimasta praticamente uguale. Una casa da sciura, com'era allora mia sorella...

Era di pomeriggio, mia sorella era via non ricordo più dove. Erano venuti a trovarmi alcuni amici del collettivo gay universitario che frequentavo per passione politica. Io ero la "minoranza di sinistra", in buona, ma scarna, compagnia.

Due di questi mie amici, Marco e Alessandro, fidanzati di fresco, si baciarono davanti a me. Un bacio tenero, casto, per niente esibizionista.
Poi, subito dopo, Marco mi chiese scusa.
Io non ne capii il perché. Pensai che, forse, temevano io mi potessi imbarazzare, nel dubbio chiesi: "Perché"?
Siamo stati imprudenti, risposero, magari qualche vicina ci ha visti, non volgiamo crearti dei casini.
Era estate e la porta finestra della camera da pranzo era aperta.
Ci misi un secondo a realizzare quello che era successo.
Poi, quando compresi, iniziai a urlare come un forsennato.

Capite?
Eravamo un gruppo di giovani universitari altamente politicizzati, discorrevamo ogni giorno di liberazione sessuale, di omofobia e sessismo, di femminismo e liberazione della donna eppure Marco e Alessandro non si erano sentiti liberi di darsi un bacio.

Credevano che quel bacio, se notato da persone sbagliate, potesse non già creare problemi a loro, ma creare problemi a me, che li ospitavo a casa mia.

Marco e Alessandro sapevano che quel bacio che si stavano dando non era normale.
Non già per gli altri, ma anche per loro stessi, tanto da aspettarsi una reazione talmente negativa che poteva mettere in pericolo me.

Sono passati 18 anni da allora, ma a leggere alcuni post e alcuni commenti in questi giorni sulla rete, mi sembra che non siano passate nemmeno 18 ore

Così Snapshot, in risposta un mio commento scrive:

In questo caso non appoggio Arcigay perché non è necessario dire ai 4 venti l'identità di una persona scomparsa, soprattutto se per ovvi motivi personali voleva tenere per se il proprio orientamento

Non me ne voglia, Snapshot è in numerosa compagnia.

Ma il punto è sempre lo stesso.

Nemmeno noi stessi che pratichiamo l'omoerotismo consideriamo normale quel che facciamo, al punto tale da trovare comprensibile il nasconderlo.
così Lorenzo sul suo blog illuminismo:

"Io vorrei rispettare il silenzio di cui Riso aveva scelto di circondare la sua vita, nascondendo la propria felicità come fosse una vergogna. E mi costa farlo, perché è una scelta che non condivido".

E parte con una ipotesi speculativa (infondata) che Domenico non si fosse dichiarato.

Non nasconderlo non vuol dire andare in giro a dire a tutti, Salve, sono tal dei tali e sono gay!.

Ho sempre trovato ridicoli, e fascistoidi quelli di Act Up! o chiunque altro obblighi qualcuno al Coming Out.

DIRE di essere gay non serve a niente e a nessuno.

Alessandro e Marco, i miei amici, dicevano di essere gay, ma poi non erano nemmeno capaci di baciarsi in privato senza sentirsi osservati tra tutti gli omofobi del mondo....

Vivere la propria vita infischiandosene di quel che dicono gli altri, senza accettare etichette alcune ma vivendo con la stessa disinvoltura di tutti gli altri, quello sì che cambia le cose, che dà fastidio.

Domenico aveva fatto così. Viveva col suo compagno, ci andava in vacanza insieme, senza dire niente, ma senza nascondere niente.

Come possiamo convincere gli altri di una normalità alla quale non crediamo nemmeno noi stessi?

Siamo noi i primi omofobi, quelli che criticano il pride perché è una carnevalata, che piangono la mancanza di una storia stabile ma poi scopano con tutti quelli che ci stanno, che non vogliono una vita migliore per tutti (donne, extracomunitari, minoranze varie) ma solo per loro anche se, sotto sotto, sanno che gli altri, gli eterosessisti, i normodotati, hanno ragione.

Altrimenti non capisco l'equivoco in cui tanti, troppi!, sono caduti in questi giorni nel rincorrersi a destra nel dire che di Domenico non si doveva dire nulla, che così si è messa in imbarazzo la sua famiglia.

Certo! Perché l'omosessualità è un'infamia che va nascosta, taciuta, da consumarsi al buio, di nascosto, perché, come cantava una canzone degli anni 30, si fa ma non si dice.

Perché quel che conta è che collezioniamo partner come trofei, dell'affettività non gliene frega niente a nessuno.

Io è una settimana che non mi do pace per tutti i morti in quell'incidente aereo e, tra questi, ANCHE per Domenico, Pierrick e il loro bambino. Non perché erano gay, ma perché si volevano bene, erano una famiglia, e, vivendo insieme , erano andati ben al di là del coming out (che non risolve niente) ma vivevano una vita libera, libera dal timore di essere infamati dall'amore che non osa dire il proprio nome.

E non mi capacito di una pletora impressionate di blogger che vorrebbero calare il sipario, nascondere, celare, rimuovere, negare, perché per loro si tratta solamente di sesso, mai di affetti,
come dice sarcotrafficante:

mi trovo d’accordo con Francesco Merlo quando parla di totale irrilevanza della sessualità rispetto ad una tragedia del genere;

come dice Tom:

Probabilmente era gay. E allora? Cambia qualcosa saperlo? E se i familari di Riso non volessero rendere pubbliche le sue preferenze sessuali, non ne hanno il diritto? E soprattutto, l’omofobia che diavolo c’azzecca?.

Sono invidiosi di chi, come Domenico, sa viversi gli affetti, l'amore e la famiglia che non sono né etero né gay ma di tutte/i.

Non guardiamo all'esterno allora, guardiamo dentro di noi, siamo noi stessi che dobbiamo combattere perché siamo i primi a credere che l'omosessualità non sia normale.

I primi omofobi siamo noi.

Domenico Riso morto con tutta la sua famiglia.
Era questo il titolo che tutti avremmo voluto leggere.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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